Inviati…Speciali

 

 

un Angelo si  fece infermiere

Artemide Zatti

 

scelse di vivere tra i lebbrosi

Don Luigi Variara

 

attorno al suo sorriso fiorirono i miracoli

Sr.Maria Romero Meneses

 

visse povera tra i più poveri dei poveri

Madre Teresa di Calcutta

 

ha insegnato ad amare con il cuore di Cristo

Padre Emiliano Tardif

 

l’angelo dei poveri, il camilliano dei barboni

Fratel Ettore

 

Ardore missionario

Chiara Lubich

 

A sei anni scriveva a Gesù

Nennolina

 

 

ha insegnato che la vita di tutti i giorni è  cammino di santificazione

Josemaría Escrivá de Balaguer

 

povero tra i poveri

Fra Cecilio Maria Cortinovis

 

una vita per l’Amore

Suor Maria Consolata Betrone

 

nata per aiutare Gesù a portare la Croce

Madre Provvidenza

 

la piccola mendicante di Dio

Suor Eusebia Palomino

 

 

pregare e correre

Serva di Dio Mamma Carolina

 

apostolo delle Vocazioni

Padre Giuseppe Bocci

 

 

 

 

 

 

ARTEMIDE ZATTI

 

Un angelo si fece infermiere

12 ottobre 1880 -15 marzo 1951

 

Don Bosco è andato a Dio nel 1888. Un anno dopo, a Boretto dì Reggio Emilia, un ragazzino di 9 anni inizia a lavorare. Non sa chi è Don Bosco, ma un giorno, in Argentina, lo chiameranno il "Don Bosco dei poveri". E adesso, senza saperlo, rinnova la dura esperienza di Giovannino Bosco alla cascina Moglia, In una vasta fattoria agricola fa il "garzone". Levata alle tre del mattino, una fetta di polenta per masticare e svegliarsi del tutto, e poi ai campi. "Ragazzo da lavoro" fino a 16 anni, con la giornata da sole a sole, la faccia lunga denutrita, la paura di finire come tanti braccianti uccisi sui vent'anni dalla pellagra o dalla malaria.

Si chiama Artemide Zatti, quel ragazzo, e quando torna in famiglia sente che papà e mamma parlano di partire per l'America. C'è uno zio trapiantato a Bahìa Bianca, in Argentina, che scrive dicendo che laggiù chi ha voglia di lavorare può vivere bene. In Italia invece, in quegli anni, un bracciante ha poche possibilità di vivere: c'è la crisi agricola, la disoccupazione, il latifondo, la miseria che falcia i contadini come le spighe del grano. Nel 1897 (Artemide ha 17 anni) gli Zatti partono. Bahìa Bianca e tutta l'Argentina, in quegli anni, è piena di italiani emigrati, che lavorano sodo e in silenzio. Lo zio li aspetta, e aiuta il papà a mettere su una bancarella al mercato. Artemide lavora a fabbricare mattoni.

 

La vita di don Bosco e un'idea

 

Ci sono molti anticlericali, a Bahìa Bianca, ma gli Zatti alla domenica sono tutti in chiesa. La chiesa è tenuta dai salesiani di Don Bosco, arrivati missionari in Argentina 22 anni prima. Il parroco si chiama Carlo Cavalli, e Artemide gli da una mano a tenere in ordine la chiesa, ad accompagnarlo nella visita ai malati, quando non è impegnato con i mattoni. Don Carlo gli mette nelle mani la Vita di Don Bosco, e Artemide la legge di un fiato. E gli nasce in testa un'idea: "E se mi facessi salesiano anch'io?". Artemide ha ormai 19 anni, e ne parla coi suo padre. Il brav'uomo si stringe nelle spalle: "Sei grande puoi decidere della tua vita. Ma pensaci bene, perché se cominci una strada devi andare fino in fondo". Le case salesiani in Argentina sono numerose e sparse un po' dappertutto.Quella che raduna i giovani che intendono prepararsi alla vita salesiana, è a Bernal, vicino a Buenos Aires. A Bernal arriva un giovane salesiano colpito dalla tubercolosi, e Artemide si presta per curarlo e assisterlo. II salesiano, consunto dalla tubercolosi, muore, Artemide, 22 anni, è scosso da una tosse insistente e consumato da una febbre che l'assale tutti i giorni verso sera. E visitato da un medico che rileva la tubercolosi anche nei polmoni di Zatti, e domanda ai superiori: "Non avete una casa sulle Ande, con aria fine e ossigenata? Ebbene, se volete salvarlo, mandatelo là". La casa c'è. Ma per raggiungerla Artemide deve compiere un viaggio di 600 chilometri per tornare a Bahìa Bianca, e di qui affrontare un secondo viaggi» verso est di 700 chilometri. Un viaggio che lo potrebbe stroncare. I primi 600 chilometri, che Zatti compie su un duro sedile di terza classe, lo portano alla sua casa e alla parrocchia salesiana. E sfiancato. Don Carlo scrive immediatamente ai Superiori, e dopo pochissimi giorni annuncia alla famiglia "Artemide non andrà sulle Ande, ma nella casa salesiana di Viedma. Lì c'è aria buona e un ottimo dottore. E guarirà. Appena te la sentirai, Artemide, qui ci sono i soldi per il viaggio". A Viedma sorge l'unica opera salesiana dotata di un ospedale e di una farmacia. I missionari li hanno dovuti costruire quattordici anni prima. La città era un ammasso di povere baracche dove si ammassavano avventurieri, indigeni, soldati. Qualunque malattia poteva essere mortale, perché mancavano anche le medicine più elementari. Un prete salesiano, don Evasio Garrone, era stato infermiere nell'esercito italiano, e mons. Cagliero l'aveva incaricato di mettere in piedi una farmacia. Don Carrone fu promosso su due piedi "medico", e nella farmacia cominciò una strana contabilità: i ricchi pagavano le medicine a un prezzo doppio, i poveri non pagavano niente. Accanto alla farmacia c'era una stalla. Venne pulita, disinfettata, fornita di un letto e di un materasso. Sorse così anche l'ospedale per i malati che era impossibile curare nelle loro case.

 

 Non prete, ma "medico"

 

Marzo 1902. Artemide giunge a Viedma e scrive alla mamma: "Con grande gioia ho trovato i miei cari fratelli salesiani. Quanto a salute, mi ha visitato il medico padre Garrone, e mi ha assicurato che tra un mese sarò guarito". In realtà l'uscita dalla malattia non durò un mese, ma due anni. Nel 1908, a 28 anni di età, Artemide pronuncia i suoi voti definitivi: è salesiano per sempre. Dopo essersi consultato con i superiori, ha deciso di lasciare gli studi per il sacerdozio e di dedicarsi all'aiuto di don Garrone. L'8 gennaio 1911 don Garrone muore. Di colpo, Artemide Zatti si trova da solo a capo della "Farmacia di S. Francesco" e dell’ "Ospedale di S. Giuseppe". Per essere in regola davanti alla legge, il superiore salesiano assume un medico laureato, che diventa responsabile legale di fronte all'autorità. Ma di fatto il medico di tutti e lui, Artemide Zatti, con suoi studi scarsi ma con tanto amore per tutti i malati. Nel 1913 i desideri di Artemide cominciano a realizzarsi: si pone la prima pietra di un nuovo ospedale. Per ora si costruirà solo il pian terreno, ma appena i soldi arriveranno, sopra si farà il primo piano, poi il secondo. Per questo i muri sono solidi e sicuri.La fatica più grande è sempre quella di mettere insieme i soldi necessari, perché ospedale e farmacia continuano con la solita gestione: chi ha paga, chi non ha non paga. Quando i conti sono in  rosso, Zatti inforca la bicicletta, si calca in testa un cappello e va a domandare l'elemosina. Bussa alle rare case dei ricchi: "Don Pedro, potrebbe imprestare cinquemila pesos al Signore?". "Al Signore?", domanda stupito l'uomo ricco. "Si don Pedro. Il Signore ha detto che ciò che facciamo ai malati, lo facciamo a lui. E’ un buon affari prestare al Signore".  La Banca Nazionale ha aperto un'agenzia a Viedma, e assegna a Zatti il conto corrente n, 226. Artemide spende ciò chi ha sul libretto, e anche ciò che non ha. E un giorno la Banca lo manda a chiamare. C'è un grosso conto in rosso da saldare subito, altrimenti scatteranno le pratiche per ipotecare l'Ospedale.  Zatti rimane li, davanti al direttore della Banca, inebetito. Piange, prega e non sa che cosa fare. Soldi non ne ha proprio. L'unica cosa che ha sono altri debiti. Qualcuno della Banca telefona al vescovo mons. Esandi. Il Vescovo brontola, dici che in un modo o nell'altro provvederà. Chiama il suo vicario. "Mi telefonano che in banca c'è Zatti che piange perché non ha da pagare una grossa somma scoperta. Sempre il solito! Abbiamo qualcosa in cassa?". "Il denaro per stampare il prossimo numero del giornale diocesano". "Portali in fretta al direttore della Banca, e salva quel pover'uomo". Con rincrescimento, Artemide Zatti deve ammettere che le banche non "imprestano niente al Signore". Fanno affari e basta. Ma da cristiano testardo conclude:"Sono loro clic sbagliano, non io". E continua così. E' arrivato all'ospedale un poveraccio coperto di stracci, è stato curato e guarito, ma non può ripartire mettendosi addosso nuovamente quegli stracci.  Zatti va da una famiglia: "Non avete un vestito da imprestare al Signore?"- Tirano fuori un vestito molto usato. E lui: "Non ne avete uno più bello? Al Signore dobbiamo dare il meglio che abbiamo". E' arrivato un indio sporco e sciancato.   Zatti grida all'infermiera: "Sorella, prepari un letto per il Signore". E quando arriva un ragazzino affamato e stracciato, domanda alla suora: "Ha una minestra calda e un vestito per un Gesù di dieci anni?".

Davanti all'Ospedale è sorta una farmacia vera, con un farmacista diplomato. Per legge, la farmacia dell'Ospedale dovrebbe chiudere.  Ma Zatti sa che nella nuova farmacia tutti dovranno pagare tutto. I poveri così non avranno più medicine. Si intende con i superiori, passa giorni e notti sui testi di farmacia, e si reca a La Plata per dare gli esami necessari. Torna fornito pure lui di regolare diploma. E la farmacia dell'Ospedale può continuare tranquilla

il suo servizio ai poveri. Gli hanno detto tante volte di tenere la partita doppia, e lui ha risposto: "Ma io ce l' ho già. Nella tasca destra metto il denaro che ricevo, in quella sinistra i conti da pagare. Più partita doppia di così".

 

E guardò in alto

 

19 luglio 1950. Il serbatoio dell'acqua ha un guasto. Sotto la pioggia, Artemide Zatti (70 anni) si arrampica su una lunga scala a pioli per andarlo a riparare. Un piede scivola, la scala sbanda. Una caduta pesante, la testa ferita, tutto il corpo ammaccato. Tenta di dire: "Non è niente", ma lui stesso sa che non è vero. I vecchi mobili

sembrano massicci ed eterni. Ma se cadono anche solo una volta,diventano tutto un cigolio. E Zatti sente all'improvviso che è diventalo vecchio e malato. Sente un dolore insistente al fianco sinistro, disturbi continui. Sa abbastanza di medicina per dire: "E un tumore al pancreas. Non affannatevi, perché non c'è nessun rimedio". Qualcuno lo sorprende a piangere in silenzio, e subito nasconde le lacrime come una colpa. "Soffre?" gli domandano. E lui:"Non e questo. E che sono un ferro vecchio, inutile ormai". Chiede l'Unzione degli Infermi, rinnova i voti battesimali e i voti religiosi. A chi domanda "Come va?", risponde in una maniera strana: "All'insù". E guarda in alto. Il Signore viene a prenderlo il 15 marzo 1951. Quel Signore al quale Artemide Zatti la vita non l' ha prestata, l' ha donata.

 

SacroCuore/febbraio 2002

 

 

 

 

 

Don LUIGI VARIARA

(1875-1923)

 

Scelse di vivere tra i lebbrosi

e vi portò la gioia

 

Una sera nebbiosa d'inverno nell'Oratorio di Valdocco, a Torino. Ottocento ragazzi gridano, si rincorrono nel gioco frenetico che crea una baraonda festosa. Uno di quei ragazzi, Luigi Variara, scrisse: "D'improvviso da una parte e dal l'altra si udì gridare: Don Bosco! Don Bosco! Istintivamente ci buttammo tutti verso di lui. Lo attorniammo come uno sciame d'api, Don Bosco appariva esausto di forze. (Era il 20 dicembre 1887, gli rimanevano quaranta giorni di vita). In quel momento io potei mettermi in posizione tale da vederlo di mio gusto. Mi avvicinai quanto più possibile e vidi che alzando il suo dolce sguardo lo fissò lungamente su di me. Quel giorno fu uno dei più felici della mia vita. Ero certo di aver conosciuto un santo, e che don Bosco aveva scoperto anche nella mia anima qualcosa che solo Dio e lui potevano sapere",Quel ragazzino. Luigi Variara, era venuto all' Oratorio di malavoglia. Suo papà, maestro elementare e ammiratore di don Bosco, gli aveva spiegato che nell'Oratorio tanti ragazzi avevano  potuto realizzare la loro vocazione e diventare preti, Lui aveva reagito con parole brusche: "Papa, io non ho la vocazione!". Papà aveva sorriso. "Intanto vai, studia e stai buono. Se non hai la vocazione, Maria Ausiliatrice te la darà". Da Viarigi (Asti), il suo paese immerso nel verde Monferrato, Luigi Variara era sbarcato tra la turba scatenata di Valdocco. All'inizio passò giorni spauriti e desolati. Ciò che lo conquistò fu la musica.

 

Cinque lettere e un bigliettino

 

Il 1891 fu l'anno decisivo della sua vita. Raccolto in preghiera, concentrato in serie riflessioni, egli capì che diventare salesiano non voleva dire scegliere un mestiere, ma dedicare tutta la vita a Dio e alle persone che Dio gli avrebbe affidato. Durante quell'anno arrivarono lettere di

molti missionari. Arrivarono anche cinque lettere di don Unia, missionario tra i lebbrosi di Agua de Dios, in Colombia. Narravano con semplicità l'eroismo di ogni giorno per donare un briciolo di gioia e di speranza cristiana ai ragazzi e agli adulti colpiti da quella terribile malattia.

2 ottobre 1892. A 17 anni Luigi Variara, inginocchiato davanti al beato don Rua, fa voto perpetuo di castità, povertà e obbedienza. E chiede di essere mandato nelle missioni. Inizia gli studi che dovranno portarlo al sacerdozio a Torino-Valsalice, nel seminario salesiano per le missioni estere. Qui, nel mese di maggio del 1894, arrivò ammalato e stanco il missionario don Unia. Sentendosi prossimo alla fine, era venuto in Italia a cercare giovani salesiani che prendessero il suo posto tra i lebbrosi. Ecco cosa scrive Luigi Variara: "Scrissi su bigliettino il mio desiderio di partire per la Colombia e chiesi questa grazia alla Madonna. Collocai il bigliettino sul cuore della Madonna, tra la Madonna e il Bambino, e attesi con la massima fede e speranza: la mia preghiera fu ascoltata. All'inizio della novena venne a Valsalice don Unia, per scegliere a nome di don Rua il suo missionario tra tanti chierici. Quanta sorpresa per me vedere che, tra i 188 chierici che avevano la stessa aspirazione, fermandosi davanti a me, disse: "Questo è il mio". Poi, chiamatemi da parte, mi chiese se volevo andare in Colombia nel lazzaretto di Agua de Dios, e io dissi sì, con un'allegria che pareva un sogno. Questa grazia l' ho sempre attribuita a Maria Ausiliatrice". Un rapido addio al suo paese, alla sua famiglia, poi quaranta giorni di viaggio: attraverso l'Oceano Atlantico, poi in battello per mille chilometri sul fiume Maddalena, poi quattro giorni a cavallo fino ad Agua de Dios. "Siamo arrivati! - scrive don Variara -. Il nostro arrivo fu quasi improvviso, ma quanta festa ci fecero i cari lebbrosi: parevano quasi guariti alla sola vista di don Unia, che amano veramente tanto, tanto". È il 6 agosto 1894.

 

La musica tra i lebbrosi

 

Agua de Dios e il paese dove vivono in quel momento 620 ammalati di lebbra e altrettanti familiari sani degli infermi. Il clima è asciutto e ardente, sui 35 °C. Quando arriva don Luigi, lavorano tra i malati trè salesiani: don Unia, l'iniziatore, don Raffaele Crippa che diventerà l'amico e il confidente di don Luigi, e il salesiano laico Giovanni Lusso. Ci sono anche, da due anni, le Suore della Presentazione, che fanno servizio all'Ospedale dove sono ricoverati i casi più gravi, si dedicano alle bambine ammalate e sane, e hanno dato inizio ad un fiorente gruppo di Figlie di Maria. La lebbra è, in questo tempo, una parola spaventosa. Chi è contagiato è marchiato per sempre, isolato da tutti. Don Luigi osserva che quasi tutti i lebbrosi sono condotti nel paese-lazzaretto dalla polizia contro la loro volontà. Sono scaricati lì come in un ergastolo. Anche chi guarisce, anche i figli sani dei lebbrosi, non sono quasi mai riaccettati nella società. Il pericolo maggiore è la disperazione. Prima dell'arrivo di don Unia, l'ubriachezza era una condizione normale, i suicidi erano molto frequenti. Ora invece il paese è un luogo civile, con negozi, attività artigianali, chiesa, scuola, dispensario medico, centro sociale gestito darli stessi lebbrosi. Don Unia ha chiamato don Luigi perché porti i canti e la musica, per dare vita e allegria ad Agua de Dios.

8 settembre 1894. primo gruppetto di ragazzi lebbrosi canta insieme a don Luigi: Sei pura, sei pia, sei bella. Maria...

8 settembre 1897. La banda musicale dei ragazzi lebbrosi da il primo concerto davanti alle autorità e a tutta la gente. È un successo enorme. Tra queste due date c'è stata la lunga pazienza e il vero eroismo di don Luigi. Ottenuti gli strumenti da un battaglione militare, ha superato ogni ripugnanza a imboccare gli strumenti usati dai suoi ragazzi, per insegnare loro il modo di suonarli. Da quel momento, la banda rallegra i giorni festivi, porta allegria e speranza.

 

Sacerdote a 23 anni

 

Ma tra quelle due date, don Luigi ha fatto anche altri miracoli. Don Unia è morto quasi improvvisamente il 9 dicembre 1895. Due mesi prima ha tracciato per don Luigi queste righe: "Qualcuno riceverà la mia corona. Coraggio,Luigi: forse è preparata per tè! Studia e prega.Non ti dimenticherò mai nelle mie preghiere", E don Crippa scrive a don Rua, a Torino: "Variara sta organizzando la Compagnia di San Luigi, da lezioni di religione nella scuola pubblica. Studia,canta, lavora, suona... ed ha buona salute ". Le parole più belle le scrive un'anziana lebbrosa:"Dio la conservi sempre puro, amabile e buono; lei è un modello di virtù, una creatura angelica, un essere non comune, che si offre all'ammirazione e al rispetto dell'umanità".

24 aprile 1898. Don Variara è ordinato sacerdote dall'Arcivescovo di Bogotà. Ha 23 anni.

Torna rapidamente da Bugotà ad Agua de Dios. Vuol riprendere il suo posto inosservato. Ma quando affronta il guado del fiume Bogotà, a 15 chilometri da Agua de Dios, esplode un mortaretto e un'immensa acclamazione si leva dall'altra riva del fiume: i suoi lebbrosi sono venuti ad accoglierlo, e lo accompagnano per tutto il cammino con grida festose, abbracci, evviva, e all'arrivo in paese col suono della "sua" banda.

L'accoglienza termina in chiesa, con canti di ringraziamento al Signore. Celebra la prima Messa il 1° maggio con una festa indescrivibile. Un lebbroso scrisse: "Quel giorno nessuno di noi ricordava di stare nella città del dolore". La missione di don Luigi riprese: nell'oratorio con i ragazzi, nella scuola, tra i cantori e i bandisti. Ma ora aveva due nuovi ambienti: l'altare e il confessionale. "Passa ogni giorno quattro o cinque ore al confessionale - scrive don Crippa -, è molto dimagrito, temo che non resista".

 

In confessionale nasce una congregazione

 

Nel confessionale, dove porta la parola di Dio e il perdono di Dio, viene in contatto con le miserie e le grandezze più segrete. Tra le giovani Figlie di Maria scopre numerose anime capaci di forte impegno spirituale, fino a voler offrire la loro vita interamente al Signore. Sono lebbrose o figlie di lebbrosi, e sono angeli. Don Variara ha conosciuto a Valsalice don Andrea Beltrami, un sacerdote salesiano colpito dalla tisi, che si era offerto vittima a Dio per la conversione di tutti i peccatori del mondo. Nel confessionale, don Variara comincia a indicare a qualche giovane la stessa strada: "Fare della propria malattia un apostolato, mettere la propria vita a deposizione di Dio". "Prima fra tutte le Figlie di Maria a emettere voto, di consacrazione vittimale al Sacro Cuore di Gesù - scrìve don Angelo Bianco – fu la signorina Oliva Sanchez, 30 anni, lebbrosa. Divenne preziosa collaboratrice di don Variara... Pochi giorni dopo la seguì nella sua consacrazione Limbania Rojas, anch'essa lebbrosa... Dal 1901 al 1904 furono ben 23 le Figlie di Miaria che arrivarono a fare il voto di consacrazione vittimale". Senza nessun chiasso nasceva così l'Istituto delle Suore del Sacro Cuore di Gesù. Come lebbrose o figlie di lebbrosi non sarebbero state accettate da nessuna congregazione.

 

"La mano carezzevole di Dio"

 

Esse comunicarono il loro Regolamento all'Arcivescovo di Bogotà, che lo approvò- Scrissero anche a don Rua: "Siamo povere giovani colpite dal terribile male della lebbra. Abbiamo sentito la mano carezzevole di Dio nei santi incoraggiamenti e nelle pietose industrie di don Luigi Variara di fronte ai nostri acuti dolori del corpo e dell'anima. Persuase che sia volontà del Sacro Cuore di Gesù e trovando facile il modo di compierla, abbiamo cominciato ad offrirci come vittime di espiazione, seguendo l'esempio di don Andrea Beltrami, salesiano. Ora abbiamo deciso di fare un altro passo avanti: vogliamo, legate dai tre Voti formare la piccola famiglia delle Figlie del Sacro Cuore di Gesù.: servendo Dio e dedicandoci al servizio dei nostri fratelli, in particolare ai bambini dell'Asilo…". Don Rua rispose: " L’istituzione è bella, e deve conservarsi".

 

Un prete crocifisso

 

Furono le ultime parole consolanti che don Variara si sentì rivolgere. Da quel momento su di lui e sulla congregazione nascente si scatenò la bufera. Fu ostacolato, calunniato, intralciato. Fu allontanato da Agua de Dios. Arrivarono a torturarlo proibendogli di scrivere alle sue suore e ad allontanarlo dalla Colombia. Il suo fu un calvario lungo, sopportato con pazienza, in silenzio, donato a Dio per la crescila delle figlie spirituali. Ed esse vissero, e prosperarono. La loro superiora Madre Lozano, scrisse "Umanamente parlando non avevamo alcuna difesa, ma il Signore distese la sua mano su di noi, e ci salvò la sua misericordia!"-Fa male al cuore scorrere gli ultimi dieci anni della vita di don Variara. Si tocca con mani come il Maligno possa servirsi anche delle persone consacrale a Dio, delle loro migliori intenzioni, per torturare un grande servo di Dio. Ma fa bene al cuore leggere le ultime parole che paté scrivere alle sue figlie spirituali: "Santifichiamo gli istanti di vita che ancor ci restano, perché il raccolto durerà in eterno. Ah, quanto godo pensando al ciclo! Li ci troveremo tutti e saremo eternamente felici. Per adesso viviamo uniti nello spirito: obbedienti, umili, puri, mortificati, ma solo per amore... Non vi lascio orfane, poiché le mie preghiere sono incessanti per voi nel desiderio di vedervi tutte sante". Morì il 1 febbraio 1923, a soli 48 anni, lontano da tutti, e anche (sembrò) dimenticato da tutti. Ma nel 1964 il Papa Paolo VI riconobbe la sua congregazione, fiorente di centinaia di religiose, tra quelle di diritto pontificio. E nell'aprile 1993 le virtù di don Luigi Variara sono state riconosciute dalla Chiesa "eroiche", e il Papa ora lo proclama Beato (14 Aprile 2002)

 

SacroCuore/marzo2002

 

 

 

 

SR.MARIA ROMERO MENESES

( 1902-1977)

 

Attorno al suo sorriso fiorirono i miracoli

 

 

Maria nacque nella grande e bella casa dei Moreno nella città di Granata (Spagna), terz'ultimo di tredici tra fratelli e sorelle, circondata da una nuvola d’affetto, coccolata dalla mamma e dai servi. Non poteva nemmeno pensare, nei primi dieci anni di vita, che lontano dalla sua casa, nei sobborghi, c'erano bambini denutriti e stenti, ben diversi da lei. Ma nel 1912, a Granada, giunsero le prime Figlie di Maria Ausiliatrice, che con delicatezza l'avrebbero messa in contatto con quest'altra faccia della realtà umana.

Due anni dopo, dodicenne, Maria Romero entra nel loro collegio, e manifesta immediatamente due caratteristiche che l'accompagneranno per tutta la vita: è contenta di stare dove la mettono, sa trovare la felicità anche in un cantuccio; e ha un misterioso ma realissimo contatto con il Signore. Una febbre reumatica l'inchioda a letto per quasi tutto l'anno scolastico, si aggrava fino a far borbottare al medico: "Questa piccina sta morendo". Ma lei dice con serenità: "So che la Madonna mi guarirà". E così avviene all'improvviso, e lei torna a scuola come se niente fosse accaduto.

La sua vocazione matura come un frutto bello, ma normale. A 18 anni si reca in San Salvador per il postulantato, a 19 anni riceve l'abito delle FMA, compie due anni di noviziato e a 21 anni pronuncia i voti. La figlia del ricco fa voto di povertà, la ragazza che cento ragazzi sognavano di sposare fa voto di verginità, la giovane signora cui i servi erano felici d’obbedire, fa voto di obbedienza: si dona tutta a Dio. E Dio continua a parlarle. La novizia Mercedes Barberena si è sentita dire dalle superiore: "Deve tornare in famiglia. Ha troppo poca salute". Mercedes si sfoga con Maria, e lei le dice tranquilla: "Al di sopra di tutti c'è Dio.Tu non te n’andrai, farai i voti e diventerai Figlia di Maria Ausiliatrice". Così si verificò. Suor Mercedes lo raccontava ancora nel 1985, quand’ era FMA ormai da 59 anni.

Durante il noviziato, Maria Romero fu maestra di canto, e lavorò all'oratorio festivo. Fu lì che incontrò per la prima volta, con un impatto che la lacerò, le ragazzine poverissime, denutrite, affamate. In loro, come nell'Eucaristia, c'era Gesù che la chiamava. Non sapeva ancora come rispondere. Lo saprà presto.

A 28 anni torna a Granada, e assiste impotente al crollo finanziario della sua famiglia. Una garanzia sbagliata, fatta a un falso amico, porta di colpo in casa Remero la povertà. Papà cade gravemente ammalato, la mamma deve affrontare una vita incerta e disagiata. Fortunatamente i fratelli e le sorelle sono ormai tutti grandi.

 

L'oratorio come patria

 

Quando compie 29 anni, l'obbedienza la manda a San Josè di Costa Rica, insegnante di musica e di pittura nel collegio dove sono ragazze di buona famiglia, e assistente all'oratorio dove invece si riversano le ragazze emarginate dei sobborghi, senza lavoro e senza futuro. Suor Maria non sa ancora che quelle ragazze povere, le toro famiglie ammassate nelle baracche della periferia, saranno la sua nuova patria per 48 anni, fino alla morte.

Costa Rica è la repubblica più piccola del America centrale: grande come due volte la Sicilia, in quel momento ha un milione e mezzo di abitanti (nemmeno la popolazione di Milano). Ha un governo democratico, ma i poveri e i disoccupati sono numerosissimi.

Suor Maria forma tra le sue allieve un gruppo di catechiste, e le manda ad esplorare i sobborghi, a tentare qualche lezione volante di catechismo. Tornano un po' disanimate: "Ci sono solo tuguri, madre. Tetti di latta, pareti di cartone, pavimenti interra battuta. E ci sono famiglie ammassate in un solo ambiente, frotte di bambini e di cani. Non hanno lavoro, né vestiti, né viveri. Abbiamo parlato di Gesù. Ci ascoltavano apatici. Una mamma ci ha detto: "Gesù va bene. Ma il latte per i miei bambini chi me lo da?".

Suor Maria parla a lungo con le sue catechiste, raduna viveri e vestiti. Nel giorno di Natale 1939 inizia con loro la "piccola missione": "Andremo nelle case. Daremo una mano a pulire, ordinare. Porteremo vestiti e cibo. Ma ricordiamoci tutte che se portiamo latte e stoffa, ma non portiamo Gesù, lasceremo quei nostri fratelli più poveri di prima".

La "piccola missione" inizia così quasi dal niente, e prende uno sviluppo enorme, incalcolabile, come quello del granello di senape di cui parla Gesù nel Vangelo.

 

Meraviglie e urgenze

 

Le catechiste si spargono a due a due nei sobborghi, offrono cibo e sorriso, augurano Buon Natale alle mamme cui danno una mano a pulire la casa, ai bambini che aiutano a lavarsi bene, ai malati mentre rimettono a posto i loro pagliericci. E pregano con tutti. Da quei giorno, le catechiste tornano da suor Maria raccontando meraviglie o domandando nuovi aiuti con urgenza. Suor Maria, che continua a insegnare musica e pittura lungo il giorno, ogni sera e nel sabato e nella domenica si ritrova con le sue "piccole missionarie" a concretizzare nuove realizzazioni. La prima e la "stanza dei poveri". Ricevono vestiti e cibo dalle famiglie delle collegiali, confezionano pacchi e pacchetti, fanno "ore di riflessione e di preghiera". Una sera due ragazze raccontano che tra le casupole lungo il fiume hanno trovato una frotta di bambini che non sanno chi è Gesù, chi è Maria SS. Occorrono lezioni di catechismo per prepararli alla prima comunione, se non addirittura al battesimo. Si discute, si prega. Poi suor Maria decide di iniziare gli oratori festivi nei sobborghi e  nei villaggi periferici. Parla alle alunne della scuola, alle oratoriane più grandi. Con la benedizione del vescovo e della superiora si comincia. Otto oratori nel primo anno, poi quattordici... Arriveranno a trentasei!

Sul pullman che accompagna le piccole missionarie sale anche suor Maria, che passa le sue domeniche ora in un oratorio, ora in un altro.

Negli oratori si radunano tante ragazze, e con esse tante situazioni difficili. Bisogna far catechismo e fare carità.

Ma la scatola di cartone che per suor Maria funziona da cassaforte non e mai vuota. Arrivano tanti che hanno bisogno, e ugualmente tanti che portano offerte. Spaventata da pettegolezzi, la direttrice chiama suor Maria e le dice che e meglio che non chieda più in giro aiuto per gli oratori. Suor Maria obbedisce tranquilla, e le offerte continuano ad arrivare da sole senza che nessuno chieda.

 

La santa acqua del rubinetto

 

E arriva anche altro. Nel 1955 un centinaio di famiglie dei sobborghi riceve regolarmente aiuti in viveri e vestiti. I fanciulli degli oratori che ricevono pane e catechismo sono circa cinquemila. Ma i malati? Che fare per i malati poveri che non hanno ne medici ne medicine? Suor Maria sogna un grande dispensario, ma intanto che può fare? Si sfoga con la Madonna. Le dice con la confidenza di sempre: "Tu a Lourdes hai fatto scaturire un'acqua che guarisce. Perché questa preferenza per Lourdes? Noi siamo tanto lontani, non ne possiamo approfittare. Ma tutte le acque del mondo sono tue, anche quella di questo rubinetto. Tu sei la Regina del mondo.

E allora fammi questo favore: fai guarire i malati anche con quest'acqua qui". E con fede comincia. C’e un catechista missionario, Leonardo, che è a letto con febbre, tosse e mal di gola. Senza di lui un oratorio rimarrà scoperto. Lo manda a chiamare da sua sorella. Quando lo vede con i brividi addosso apre il rubinetto con un bicchiere in mano: " Bevi con fede, Leonardo. E dopodomani vieni per l'oratorio "Ma io ho l'influenza", "Vedrai, vedrai". La sera Leonardo è  guarito, e domenica è a dirigere il suo oratorio. Suor Maria dice grazie alla Madonna, e continua a usare l'acqua del rubinetto come fosse a Lourdes. La mamma di un’ex- allieva è gravissima, con una fistola cancerosa in gola e 82 anni di età. Con l'acqua della Madonna presa a cucchiaini, la fistola e il cancro se ne vanno. La vecchietta riprende a venire a mettere ordine tra i vestiti dei poveri. Un bambino travolto da un'auto ha il cranio sfondato, è in fin di vita. La mamma corre da suor Maria. Torna con una bottiglia di povera acqua di rubinetto. Ma appena gli bagna la fronte, il suo bambino apre gli occhi. Il terzo giorno torna a parlare, e l'ottavo giorno è guarito. (Ora o laureato, e sua mamma Lidia continua a raccontare di quella bottiglia di acqua di rubinetto).

I fatti si moltiplicano, la gente povera corre per avere "l'acqua della Madonna". Un'Ispettrice, impressionata, dice a suor Maria che è meglio smettere quella distribuzione. Suor Maria obbedisce. Ma un'ex-allieva, che ha la mamma gravissima e non riesce a ottenere l'acqua, disperata l'attinge da un rubinetto qualsiasi della casa; "Se la Madonna ha benedetto quest'acqua, che differenza fa un rubinetto o l'altro?". L'ammalata beve e guarisce. Suor Maria e informata e sorride: "Che bellezza! Ora tutti potranno prendere l'acqua benedetta dalla Madonna, e io potrò tornare alle mie catechiste missionarie".

Un giorno, mentre fa scuola, suor Maria guarda dalla finestra e dice: "Questo terreno, fra qualche anno, sarà un grande edificio e si chiamerà "casa dei poveri". Vi sarà anche un dispensario medico. Lì i poveri avranno vitto e lavoro, e sarà il rifugio per molte giovani orfane, sole o senza casa. E Gesù e Maria avranno una cappella". Una ragazza, Maria Lourdes, le chiede stupita: "Chi le darà tanto denaro?". E lei tranquilla: "La Madonna si incaricherà di tutto".

 

Una stanza per consolare

 

La costruzione inizia nel 1958 e subisce ostacoli. Ma ora e la, grande e bella, e compie tutte le funzioni che suor Maria "vide". Persone povere e disperate cominciarono a cercare suor Maria per parlarle. E poco per volta tutto il suo pomeriggio fu mangiato dal dolore che cercava conforto. Venivano a esporre problemi, chiedere consiglio, sfogare il proprio dolore. Suor Maria non faceva lunghi discorsi: Dio passava attraverso il suo sguardo buono, il suo sorriso, !a sua preghiera. E persone traviate, incredule, prigioniere dell'alcool e della droga, famiglie sull’orlo della disperazione, ritrovavano la via della pace e della fede.

Dopo la sua morte molti raccontarono fatti strani, bellissimi, che suor Maria aveva loro proibito di raccontare. Maria Luz Cubero raccontò che un giorno, mentre lavorava con una compagna

vide suor Maria nell'orto, che innaffiava una pianta di rose e diceva ai fiori: "Siete rose bellissime, ma le mani di Colui che vi ha fatto sono ancora più belle e più miracolose". Mentre così diceva. Maria Luz e la sua compagna videro le rose curvarsi verso la faccia di suor Maria, e accarezzarla, anche se non c'era un filo di vento.

Ma le mani di una suora che per 48 anni si sono curvate ad accarezzare il volto dei bambini poveri e smunti, a confezionare pacchi di cibo e di vestiti per i poveri; le labbra di una suora che per ore e ore ogni giorno hanno ridato la speranza e la pace a persone sull'orlo della disperazione; la vita di una suora che si e spesa giorno dopo giorno per l'amore dei suoi fratelli, delle sue sorelle e del suo Dio, sono un miracolo certo, e infinitamente più grande.

 

 

SacroCuore/aprile2002