Fratel Ettore

l’angelo dei poveri

(1928-2004)

 

 

Ettore Boschini

<< camilliano dei barboni>>

Una vita al servizio dei diseredati

 

Confortato dai miei superiori...

Penso che quest’Opera per gli ultimi, i diseredati, gli emarginati, sia stato proprio voluta dal Signore.
Egli fa cose ben più grandi, anche solo con una mascella d’asino, dunque perchè stupirci se ha fatto queste belle cose con un poveraccio come me?
Ma io mi stupisco ancora, e richiedo: - Ma è vero, tutto vero, ciò che sto osservando, tutto ciò che si sta compiendo? – E mi rispondo così: - Chi confida nel Signore non manca di nulla! -.
Non solo non manchiamo di nulla, ma constatiamo anche il superfluo dopo aver accolto, sfamato e vestito, migliaia e migliaia di poveri… Il superfluo lo destiniamo come aiuti umanitari ai terremotati, alluvionati, nazioni povere, comunità bisognose… e nel cuore ci risuonano le parole di Gesù: - L’hai fatto a me! –
Dopo venti anni mi si domanda: - Dopo di te, chi continuerà quest’Opera?
Da sempre, come il mio fondatore
San Camillo, ho creduto che l’Opera non è mia ma Sua, del Crocefisso; e ho sempre creduto che Lui, proprio come ebbe a dire San Camillo, la proteggerà e la provvederà.
Per ora ha provveduto ad una associazione di "Discepole" che, noi speriamo, voglia essere il primo passo verso una soluzione stabile per la continuazione dell’opera, divenendo famiglia religiosa: "Discepole di San Camillo,Missionarie del Cuore Immacolato di Maria".
A tale punto potrei pregare come l’anziano profeta Simeone: - Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace…-

  Fratel Ettore

 

 

"Quello che aiuta i poveri..."

Oggi, mentre vado per strada, domando ad un passante: "Tu lo sai chi è fratel Ettore?" Lui mi guarda e poi mi fa: "Ah! Sì…quello che aiuta i poveri". Ecco. In cinque parole c’è dentro un po’ tutto; ma per saperne di più bisognerebbe leggere il libro dal titolo "Ettore dei poveri".
Intanto tento di fare una breve sintesi della vita.
Nasce a Roverbella di Mantova a mezzogiorno del giorno 25 marzo 1928. La sua è una famiglia di contadini ed anche lui fino ad una certa età lavora in campagna. Dopo una giovinezza spensierata (come tanti giovani della sua età) al Santuario della Madonna della Corona decide di cambiare rotta e darsi al servizio dei malati in qualità di religioso camillliano.
Ma la sua avventura al servizio dei più poveri incomincia con l’apertura del "Rifugio" in via Sammartini a Milano, presso la Stazione Centrale. E il cammino tra i più poveri continua da una ventina d’anni, tra tante croci e poche consolazioni. Povero me o beato me…!
Ebbe a sospirare un giorno. E un’altra volta: "C’è di che diventar santi…ma è dura!"
L’elenco delle Case di accoglienza da lui aperte ci dà una misura del lungo cammino che è stato fatto fino ad oggi.
Va tenuto presente che, per lui, le povertà non sono solo quelle materiali, ma anche (e soprattutto…) quelle spirituali.
Di entrambi si prende cura, secondo l’elenco delle sette opere di misericordia corporali e delle sette opere di misericordia spirituali.
Questo è tanto vero che una delle sue Case di accoglienza porta il nome di "Villaggio delle Misericordie" situata a Milano in Via Assetta (Affori).
Ultima sua scoperta… è quella delle "Discepole di San Camillo". E così, col cercare nuove giovani reclute, intende dare continuità a ciò che ha iniziato grazie a Dio… "a cui pongono mano e cielo e terra" mi verrebbe da dire con Dante Alighieri.
Venite e vedete e … dateci una mano…!

 

D.G.V.

 

 

" il camilliano dei barboni"

 

Ha deciso di partire dagli ultimi prima ancora che questa espressione fosse stata inventata o fosse entrata nell’uso quotidiano.
Lo chiamano "il camilliano dei barboni" il suo nome è Ettore Boschini, mantovano, (…) fa parte della comunità milanese di via Boscovich.
Gli "ultimi". Se c’è a Milano una categoria di esseri umani bisognosi a cui nessuno prima di Ettore pensava è proprio quella che il gergo cittadino chiama quasi affettuosamente "barboni".
Dire categoria è già attaccare un’etichetta comune o definire un gruppo come se fosse uniforme. Nulla invece di più eterogeneo della massa di gente che da alcuni anni si accalca fuori e dentro i Rifugi ideati da fr. Ettore.
Vagabondi di elezione o sbandati senza dimora, poveracci dalla nascita o falliti della vita per cause varie, uomini e donne, ragazzi, giovani, adulti, anziani; milanesi o immigrati da ogni parte d’Italia; stranieri di razze varie, capitati a Milano più o meno clandestinamente; persone separate dal coniuge o dalla famiglia, o coppie irregolari; gente sfiduciata, gente disperata, gente alla ricerca di ogni mezzo per sopravvivere o che ha tentato la fuga nell’alcool o nella droga.
In comune, questa variegata popolazione aveva la miseria e la solitudine; aveva il bisogno elementare di un pezzo di pane, di un letto e un giaciglio per la notte, di cambiarsi gli indumenti e lavarsi dopo mesi che non lo poteva fare.
Uomini e donne che non pretendevano altro che un aiuto materiale e, avendo perso ogni considerazione di se stessi, non si sognavano neppure che qualcuno potesse dare loro un po’ di attenzione e di calore umano.
Fr. Ettore li ha racimolati qua e là, alcuni incontrandoli per caso lungo le strade della città, altri andandoli a scovare negli angoli o nelle sale d’aspetto della Stazione Centrale. A ciascuno diceva: "Amico, vieni con me a prendere qualcosa di caldo…".
Parecchi di loro li aveva visti più volte al mattino spintonarsi in disordinata fila davanti alla porta della casa religiosa di Via Boscovich per ricevere un paio di panini e un frutto, o ripresentarsi al pomeriggio per vestiti e medicine.
Più di una volta fr. Ettore s’era prestato a questo servizio. Ma aveva constatato che ciò non era sufficiente. Bisognava fare in modo che questa gente potesse mangiare al coperto, e non sul marciapiede, e trovasse aiuto in tante altre necessità, importanti quanto elementari.
Cominciò col recarsi ogni sera con un pentolone di minestra calda in Stazione Centrale col distribuire biglietti per l’alloggio notturno al dormitorio pubblico di viale Ortles. Qui – la notte di Natale del ’77 – aveva scoperto questa massa informe di gente abbandonata: portò il panettone e lo spumante e chiamò un prete per la Messa di mezzanotte. Poi ci tornò ogni sera con cibarie e rosari.
Ma girando in città per il ministero dei malati a domicilio incontrava per la strada volti sempre nuovi, disorientati e affamati. Sulle panchine dei parchi o sugli scaloni della Stazione c’era sempre qualche ubriaco sfinito o qualche vecchio piagato che non si muoveva da giorni. All’ospedale non li accettavano, all’ospizio dei vecchi non ci volevano andare. "Amico, vieni con me…".
Si diede da fare per trovare un hangar, una cascina o una casa abbandonata da requisire.
Trovò solo sorrisi di sorpresa, di comprensione o di commiserazione.
Alla fine convinse il Capostazione e mise in moto il Ministero dei Trasporti, fin che ottenne due grandi magazzini sottostanti ai binari della ferrovia. In uno di questi saloni – senza finestre – adattò cucina e tavoli da pranzo; nell’altro mise una fila di divani usati su tre lati e un altare sullo sfondo; all’entrata sistemò docce, servizi igienici, una lavatrice industriale, magazzino di vestiti e medicine.
Il giorno di capodanno del ’79 invitò il Vescovo ausiliare Mons. Tresoldi per la S. Messa e per l’inaugurazione di un’opera che tanti continuavano a giudicare una pazzia.
In breve il "Rifugio di via Sammartini" divenne il punto d’incontro e di soccorso per tutti gli sbandati della città. A centinaia ogni giorno accedevano alla mensa per i tre pasti: chi aveva bisogno sostitutiva scarpe e vestiti o si faceva medicare; altri avevano problemi più pesanti: pratiche giudiziarie e posto di lavoro o biglietto di ritorno in Marocco o in Siria.
In mezzo a questi ospiti cominciarono a mischiarsi i visitatori: autorità, giornalisti, curiosi, persone disposte a dare un aiuto immediato. Tutti si imbattevano nell’altra faccia dell’umanità: uno spettacolo imprevisto e scioccante, un concentrato di situazioni umane drammatiche o penose, da far venire i brividi.
Ma non in tutti prevalse la paura. Non tutti si accontentarono di un’emozione, di un articolo sul giornale, di far pervenire la cesta di pane o un pacco di indumenti usati. Qualcuno fu colpito da quel Frate che faceva sul serio, che lavorava giorno e notte in un’attività convulsa. Non poteva far tutto da solo, bisognava dargli una mano in modo continuativo.
Ed ecco i primi collaboratori volontari.
All’inizio per un periodo di esperienza, poi – chi resisteva – stabilmente. Ecco Vittorio, Pino, Luigino e Nicola, Sabatino e Isabella e Ornella, ecc.. Giovani e meno giovani, per lo più già sistemati in posto di lavoro o persino con un’attività professionale affermata. (…)
Non contento di ciò fr. Ettore trova forze ed entusiasmo per accorrere con i suoi volontari dove succedono disastri o calamità (un mese a Pescopagano, in Irpinia, durante il terremoto dell’80); ma anche per ricevere il Card. Martini, Madre Teresa di Calcutta o l’Abbé Pierre, o di far visita al Papa, a Roma o nei suoi viaggi apostolici in alta Italia. A tali personaggi illustri non chiede contributi; se mai li dà, giustificandoli come "l’aiuto dei poveri ai più poveri".
I benefattori non mancano: dagli offerenti ignoti a quelli ufficiali, come il Rotary Club o la colletta di Superflash a Canale 5. Ma i soldi passano nelle sue tasche senza che faccia a tempo a contarli: con una mano li riceve e con l’altra li distribuisce. Anche al di fuori delle sue cinque … famiglie numerose.
I benpensanti non evitano di osservare che l’opera dei Rifugi non risolve i problemi alla radice: i problemi della disoccupazione, della disgregazione familiare, dell’alcool e della droga, della immigrazione interna ed estera, della malavita: "Ci vuole ben altro per sanare queste piaghe, occorre l’intervento dei pubblici poteri, bisogna creare infrastrutture e riforme generali della società…!"
Ma Ettore e compagni – mentre lasciano che le autorità civiche studino progetti per soluzioni radicali di là da venire – guardano ai bisogni immediati dell’uomo, del povero che non può attendere, dell’emarginato tentato dalla disperazione. E si accontentano di "dar da mangiare agli affamati, vestire gli ignudi, ospitare i senza tetto e curare i malati". Con la loro carità. E – guarda caso – con la fede in Dio e la preghiera.
E’ il loro modo di predicare al mondo d’oggi il Vangelo del buon Samaritano "A partire dagli ultimi", appunto, vivendo con loro e per loro.

 

Padre Giannino Martignoni Camilliano

 

La sua opera continuerà

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