Suor Eusebia Palomino
(1899-1935) |
La piccola
mendicante di Dio Quando arrivava l'inverno, da Cantalpino partivano un uomo e la sua bambina. Andavano a mendicare. Quarantun anni l'uomo, Agostino Palomino. Sette anni la sua bambina, Eusebia. "Faceva molto freddo - scriverà quella bambina - ma io sentivo ancora il calore dell'abbraccio di mia madre, e mi seguivano le sue parole: "Tornate presto perché sto in pena!". |
Arrivati
in un villaggio, lo percorrevano casa per casa, stendendo la mano. Eusebia
guardava le persone di sotto in su, sorrideva, e diceva: "Un pane, per
l'amor di Dio". Nessuno resisteva al sorriso della bambina mendicante.
Erano gente povera. Le davano un pane, una tazza di minestra di ceci, o una
manciata di lenticchie, o una fettina di lardo. Eusebia
e Agostino ringraziavano, poi andavano verso un altro villaggio. Se passavano
in un bosco, Eusebia raccoglieva dei rami. Agostino accostava due pietre e
accendeva il fuoco. In una padella che portavano sempre con sé, preparava la
cena. "Mio padre faceva una zuppa tanto buona che io cantavo a
gloria!". Juana
Yenes e Agostino Palomino, quando si erano sposati, avevano messo insieme il
loro affetto e la loro miseria. Abitavano in una casetta ricavata da un
pagliaio: tre vani imbiancati a calce. Erano
arrivati quattro figli: Antonio nel 1894, che visse solo tre anni, Dolores
nel 1896, Eusebia nel 1899, Antonia nel 1902. Arrivò anche il quinto, Mosè,
nel 1907, ma visse solo pochi giorni. I figli arrivavano, ma un lavoro per
Agostino non arrivò mai. I ricchi latifondisti che possedevano sterminati
campi intorno, lo prendevano sovente come vaccaro da maggio a settembre,
cinque mesi all'anno. Ma la famiglia gli stava sulle spalle dodici mesi
all'anno. Serva e bambinaia a dieci anni
A
dieci anni, ricorda Eusebia, "i miei genitori mi mandarono come serva e
bambinaia presso una famiglia... C'era un bambino piccolo e io passavo la mattinata
a occuparmi di lui". Quanto alla scuola. Eusebia aveva avuto tempo di
frequentare solo la prima elementare. L'immensa aula in cui vive è la natura;
la realtà attorno a cui tesse i suoi primi pensieri è la presenza di Dio.
"Com'ero felice tra quei campi! Contemplavo i prati in fiore, tendevo
l'orecchio al canto degli uccelli, osservavo le nubi che navigavano nel cielo
azzurro e mi dicevo: tutto è tanto bello! Ma nulla mi piace quanto queste
nubi oltre le quali sta il Paradiso". A 13 anni, insieme alla sorella
Dolores, andò a fare la serva e la bambinaia a Salamanca. Presso una
famiglia, poi in un istituto, poi dalle Figlie di Maria Ausiliatrice. Era
entrata una domenica nel loro Oratorio, per iscriversi alla scuola festiva. Suor
Miglietta, direttrice, l'aveva osservata per qualche tempo, poi le aveva
parlato: "Avremmo bisogno di una ragazza come te per aiutarci nei lavori
di casa e accompagnare le ragazzine alla scuola statale. Verresti
volentieri?". Entrò nei primi giorni del dicembre 1917. Deposto il suo
fagottino accanto a un letto povero, fu accompagnata in cucina e il suo primo
lavoro fu macinare il caffè. Le suore erano molto povere, e in quell'inverno
(mentre l'Europa viveva il quarto anno della Grande Guerra) a Salamanca il
freddo scese a 19 gradi sotto zero. C'erano solo due stufe in tutto
l'edificio, eppure era affollato di ragazze. "Viveva solo di Dio e per Dio"
Lei,
Eusebia, ricordava con semplicità: "Mi occupavo nel tener pulita la
casa, aiutare in cucina, stendere la biancheria, portare la legna e andare ad
accompagnare le interne alla scuola pubblica o a far commissioni. Però, fra
tante occupazioni, ero felice e neanche sentivo il freddo quando stendevo i
panni. Ne la fatica ne le screpolature delle mani che sanguinavano a causa
del gelo, mi davano pena, anzi, godevo perché avevo qualcosa da offrire al
Signore. Facevo tutto con gioia e con l'intenzione di scontare i miei peccati
e salvare anime". Eusebia non è ne sarà mai una professoressa. Ma dalla
sua vita comincia a trasparire quella luminosa "lezione cristiana"
che in ogni tempo e in ogni luogo la gente impara quasi senza accorgersene.
Si vedeva che viveva solo di Dio e per Dio". Cuciniera-postulante
31
gennaio 1922. Eusebia è accettata come postulante insieme alla maestrina
Amalia Fernandez. Ora dovrebbero partire per Barcellona-Sarrià, a iniziare il
tempo di studio e di preparazione al noviziato. La maestrina parte, ma
Eusebia (narra la cronaca della casa) "farà qui il suo postulato perché
manca la suora cuciniera ed essa la supplirà". La prima elementare
rimane il suo unico titolo di studio. Scriverà: "Feci il postulato in
Salamanca ed ogni cosa che mi veniva ordinata la eseguivo con allegrezza...
Mentre stendevo il bucato recitavo il Rosario intero. E offrivo tutto alla Santissima
Vergine. Quando andavo per strada pensavo continuamente al tabernacolo delle
chiese davanti alle quali passavo. Facevo la comunione spirituale. Se avevo
tempo e la chiesa davanti alla quale passavo era aperta, entravo almeno un
momento". Sei mesi dopo deve partire per Barcellona. In quel viaggio, a
25 anni, Eusebia vede per la prima volta il mare. Aveva pregato tante volte
Maria SS. "Stella del mare"... Il
5 agosto 1922 Eusebia veste l'abito della FMA e inizia i due anni di
noviziato. Due sue compagne ricordano: "Durante il primo anno fu dato a
Eusebia l'incarico di lavorare l'orto". "Era
semplice, ingenua, innocente. Per la sua semplicità a volte ridevamo di lei,
ma lei non si offendeva affatto". Nei primi tempi, la maestra del
Noviziato, suor Serravalle, le propose un libro perché cominciasse a fare
meditazione. Con stupore Eusebia le domandò: "Ma per meditare è
necessario un libro?". "Tu come fai?" le chiese la maestra.
"Oh, a me basta vedere un olivo o qualsiasi altro albero per meditare su
Dio". Vigilia
di Pasqua 1924. Mancano ormai pochi mesi a quel 5 agosto in cui si consacrerà
al Signore e diventerà Figlia di Maria Ausiliatrice. Eusebia è nella dispensa
sotterranea, tra patate e bottiglie da lavare. Qualcuno la chiama, le dice di
salire in fretta. Eusebia afferra due bottiglie per portarle sulle tavole del
refettorio e s'affretta su per la scala. Inciampa nell'orlo della veste,
cade, rotola giù con le bottiglie che vanno in frantumi. Grosse
schegge di vetro le si piantano nelle braccia, tagliano le vene, il sangue
esce a fiotti. Il medico, chiamato, ricuce ciò che può. Ma nella notte si
manifestano nuove emorragie. Difficilissimo arrestarle. Eusebia riceve gli
ultimi Sacramenti, soffre moltissimo, lotta tra vita e morte per due mesi. A
chi le chiede come sta, risponde con pazienza dolce: "Faccio la volontà
di Dio". E Dio le ridona quel tanto di salute che le permette di
lasciare il letto, di fare la sua professione religiosa il 5 agosto 1924, di
ricevere la prima obbedienza che la assegna alla casa salesiana di Valverde. I "miracoli" di suor Eusebia
A
Valverde all'estremo sud-ovest della Spagna vive gente semplice, gente
povera. Suor Eusebia vi arriva e le vengono assegnate la cucina, la
portineria, il guardaroba, l'assistenza all'Oratorio. Ed è in questi umili
locali, tra questa gente semplice, che Dio fa fiorire i "miracoli"
di suor Eusebia. Essa, che nel cuore è sempre rimasta la piccola mendicante
dal sorriso irresistibile, tende la sua mano a Dio. E nemmeno Dio sa
resistere al suo sorriso. Le ragazze della scuola e dell'Oratorio,
all'arrivo, l' hanno detta "piccola, gialla, magra, dalle mani grosse e
dal nome brutto". Ma dopo pochi giorni corrono sempre più sovente a
cercarla, ad aiutarla con piacere nei suoi lavori, ad ascoltarla. Lei parla
di Maria Mazzarello, di Don Bosco, delle missioni tra i chivari, tra i
cinesi, racconta la vita dei santi che ha letto al noviziato. Qualche
anno dopo, molte di quelle ragazze saranno tra le postulanti a
Barcellona-Sarrià. E a madre Covi, l'Ispettrice sorpresa per le tante
vocazioni: "Ma che cosa c'è a Valverde?", risponderanno che c'è una
cuciniera con l'asma, che racconta alle ragazze bei racconti. Un
giorno l'uomo di fatica che picconava in fondo al pozzo asciutto della
casa delle suore, a un tratto rimosse una pietra, e l'acqua sprizzò violenta.
Lo investì, lo sommerse. Ebbe appena il tempo di gridare: "Aiuto!".
Suor Eusebia non era lontana, corse all'orlo, e non sapendo che fare gli
lanciò il crocifisso che portava al collo. L'acqua si fermò, e l'operaio
tornò fuori bagnato e spaventato. Riconsegnò il crocifisso dicendo:
"Grazie". La
giovane Genoveva un giorno tirò da parte suor Eusebia, e le confidò che suo
papa era disperato. Teneva un'osteria, ma essendo un buon cattolico non
tollerava bestemmie o discorsi sporchi. Dopo una scenata a gente che aveva
intonato una canzonacela, gli avventori se n'erano andati. E non venivano
più. Era il fallimento per la famiglia. "State
tranquilli, torneranno - disse la suora – io pregherò". Tornarono, e
Genoveva venne a ringraziare. "Ho sognato"
Ormai
era tutto un fiorire di fatti, aneddoti, che rimbalzavano di bocca in bocca.
Seminaristi, suore, sacerdoti, ragazze, andavano a consultare sul loro
avvenire suor Eusebia, mentre stendeva la biancheria nell'orto o pelava
patate in cucina. E
lei tranquilla consigliava, prediceva il futuro, incoraggiava una vocazione
vera, ne scoraggiava una falsa. E a chi le chiedeva come sapesse queste cose,
rispondeva con una frasetta che Don Bosco aveva detto tante volte: "Ho
sognato". Leggeva
ogni giorno la Passione del Signore nella maniera più semplice. Far la Via
Crucis è bello, ma è difficile ricordare a mente le 14 stazioni. Recitare
il rosario è semplice, ma non tutti riescono a ricordare i 5 misteri
dolorosi. Suor Eusebia, al posto dei 5 misteri dolorosi, ricordava le 5
piaghe di Gesù: quelle delle mani, quelle dei piedi, quella del costato. È
così semplice che lo saprebbe fare anche un bambino. La
Spagna stava entrando nelle convulsioni della guerra civile. Stava per pagare
in un bagno di sangue le gravi e lunghe ingiustizie sociali, l'odio dei
marxisti rivoluzionari che volevano sostituire quelle ingiustizie con
altrettante ingiustizie ancora più profonde, la rabbia dei senza-Dio che
volevano sterminare preti e suore e bruciare chiese e case religiose. Suor
Eusebia Palomino avvertì la burrasca da lontano, e si offrì vittima al
Signore per i suoi fratelli e le sue sorelle. Dio accolse la sua offerta.
L'asma divenne intollerabile, la fece morire soffocata mille volte,
attorcigliò il suo corpo come un gomitolo arruffato. Morì il 10 febbraio
1935, a soli 36 anni. A chi l'assisteva, tese ancora la mano come una piccola
mendicante dicendole: "Mi
dica cose buone, che mi consolino". Teresio Bosco
SacroCuore/aprile2003 |