LE GRANDI EPOCHE DEL MONACHESIMO
Di Giorgio Picasso
O.S.B. |
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Le grandi regole monastiche: da Benedetto da Norcia a
Benedetto d’Aniene ( VI-IX secolo) |
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Origine e sviluppo del monachesimo
A lungo si è pensato che
Antonio vissuto tra il III e IV secolo nel deserto dell’Egitto, sia stato il
primo monaco:ma ci si è dovuto ricredere. Nella stessa epoca il monachesimo
si manifestò anche in altre aree geografiche, quali la Palestina, la Siria,la
Mesopotamia. D’altra parte leggendo gli scritti di san Girolamo e di Eusebio
di Cesarea – i primi storici della Chiesa e del monachesimo – si viene a
conoscenza che già in concomitanza con la terribile persecuzione
dell’imperatore Decio ( 249-259) molti cristiani trovarono rifugio nel
deserto presso altri cristiani che conducevano vita eremitica. Aggiungendo
tassello a tassella si arriva alle prime comunità cristiane: l’esistenza
della vita consacrata nell’età apostolica è strettamente legata all’esempio
di Cristo. Dom Jean Leclercq, eminente storico del monachesimo, ha sostenuto
in un suo saggio che Gesù stesso fu monaco, anzi il primo monaco. Radicata nel cuore
stesso della Chiesa, la vita monastica non ha assunto subito forme esteriori specifiche:
la Chiesa si andava diffondendo nel mondo in concomitanza con le
persecuzioni, e i martiri ne furono i grandi protagonisti insieme ai vescovi,
discepoli degli Apostoli e martiri essi stessi. Il sangue dei martiri fu
seme fecondo di cristiani e di monaci. Infatti, cessate le persecuzioni, il
bisogno di seguire l’esempio di Cristo povero, obbediente al Padre, che si
ritira sulla montagna a pregare, esplose dappertutto: nelle città, dove
alcune donne si appartavano dalla società per vivere nel silenzio e nella
preghiera nelle loro case, nei deserti, sulle isole, lungo le coste del mare,
sulle cime dei monti. Nel IV secolo i monaci
erano ormai dappertutto. Antonio ne interpretò le istanze in modo eroico:
divenne un modello, di cui sant’Atanasio esaltò la vita. |
Le grandi regole monastiche: da Benedetto da Norcia a Benedetto d’Aniene ( VI-IX secolo) Nei
deserti come nelle città molti scelsero di seguire Cristo entrando a fare parte,
con altri fratelli, di una comunità sotto la guida di un padre, chiamato
abate. Dall’eremo si passò dunque al cenobio. I fratelli conducevano vita
comune, insieme pregavano, insieme lavoravano per il proprio sostentamento e
per poter offrire un aiuto ai poveri. Occorreva una regola che disciplinasse
queste attività: le più antiche furono scritte in Oriente da Pacomio e da
Basilio. Ma anche in occidente il monachesimo si dotò di testi di norme
monastiche: ogni abate sceglieva la disciplina idonea al proprio monastero.
Una diffusa regola fu quella, anonima, scritta all’inizio del secolo VI e
detta Regola del Maestro. San Cesario di Arles ne scrisse una per le monache. Benedetto da Norcia ( 480-547 circa) si inserisce in questo vasto movimento:
prima condusse vita eremitica in una grotta di Subiaco poi, con i suoi
discepoli, fondò dodici piccoli monasteri, infine intorno al 529 si recò a
Montecassino dove fondò un unico grande monastero. Per questo monastero
scrisse la sua Regola, sintesi delle esperienze precedenti, fondata sulla
preghiera, la lettura della Bibbia, il lavoro. San Benedetto è molto
discreto: prefigurava il suo monastero come una “ officina spirituale”, una
scuola del servizio del Signore, una famiglia di fratelli attorno a un padre:
l’ abate, che fa le veci di Cristo. Il monastero è aperto a tutti, senza
distinzioni di cultura o di condizione sociale; vi è posto per i chierici e
per i laici. Una sola condizione: che si cerchi veramente il Signore. La
Regola fu scritta per il monastero di Montecassino, ma quanti ne vennero a
conoscenza, a Roma o nelle Gallie, ne ammirarono l’equilibrio, la saggezza,
la discrezione, e cominciarono ad adottarla nei loro monasteri. Perfino a
Bobbio, il cenobio fondato sull’Appennino piacentino dall’irlandese san
Colombano, i monaci misero da parte ben presto l’austera regola del loro
fondatore per seguire quella di san Benedetto. A sua volta Carlo Magno,
quando fondò il Sacro Romano Impero, volle unificare anche le osservanze
monastiche e suo figlio, l’imperatore Ludovico il Pio, con l’aiuto di una
abate riformatore, Benedetto d’ Aniene, fece adottare nell’816 da una
assemblea di abati la Regola di san Benedetto come unica regola monastica
valida per tutto l ‘impero carolingio: ogni monaco avrebbe dovuta impararla a
memoria. Da allora tutte le abbazie dell’impero, maschili e femminili,
divennero benedettine. Svilupparono
il culto e la cultura, la liturgia e l’arte. Lo scriptorium dove si
trascrivevano i testi degli antichi autori, sacri e profani, e si decoravano
le preziose pagine dei codici che ancora oggi ammiriamo, divenne un ambiente
sempre necessario in ogni monastero. Tra tutti i monasteri si distense
l’abbazia di Cluny, fondata in Borgogna all’inizio del secolo X: i suoi abati
furono grandi santi, la sua liturgia perfetta, il successo enorme. I priorati
dipendenti da Cluny furono numerosissimi e ne diffusero ovunque l’anelito di
spiritualità e di bellezza, che ebbe profondi effetti sulla società feudale. |
I nuovi monaci bianchi (XII
secolo) L’usura
dl tempo non risparmiò tuttavia l’abbazia di Cluny. E al sorgere di una nuova
civiltà, quella comunale, molti avvertirono il bisogno di un ritorno a una
osservanza più stretta della Regola di san Benedetto. A Cluny non vi era
tempo per il lavoro, che veniva affidato ai servi del monastero. Tre monaci,
sul finire del secolo XI, abbandonarono il loro monastero di Moleste, di
osservanza cluniacense, e scelsero un luogo deserto e abbandonato, denominato
Citeaux, nella diocesi di Chalon-sur-Saone, per instaurarvi una vita semplice
di preghiera e di lavoro. I tre monaci – Roberto, Alberico e Stefano Harding
– furono i primi cistercensi. A loro ben presto si uni Bernardo (1090-1153) che divenne abate di Clairvaux, una delle
prime abbazie “ figlie” di Citeaux, e che con il suo zelo richiamò numerosi
giovani nei chiostri cistercensi. Il nuovo ordine scelse un abito più modesto
di quello nero dei monaci di Cluny: si servì infatti di lana non tinta,
piuttosto chiara, vicina al colore bianco. Il successo del nuovo monachesimo
fu enorme: ben presto le prime fondazioni non furono più capaci di accogliere i nuovi venuti. I monaci sciamarono,
proprio come le api, e costituirono nuove abbazie, legate a quelle originarie
da vincolo di filiazione, ma dotate di larga autonomia nell’ambito della
nuova osservanza. Sorsero in ogni regione dell’Europa, con una preferenza per
le valli, lontane dalle città. I bei nomi portati tuttora dalle abbazie
cistercensi – Chiaravalle, Aureavalle, Valle di Dio – ricordano questa
predilezione. Ovunque i monaci applicarono il loro sistema di organizzazione
del lavoro agricolo, tramite le grange, vere aziende agricole, a volte
lontane dal monastero e affidate ai conversi, laici che vivevano come i
monaci ma senza i loro doveri liturgici. Anche
l’ eremitismo riprese vigore attraverso l’opera di alcuni grandi santi: Romualdo a Camaldoli (1027), Pier Damiani a Fonte Avellana (1043), e Bruno di Colonia nella
Grande Chartreuse presso Grenoble (1084). E tutti si richiamarono alla
povertà e alla solitudine. Ai preti che volevano esercitare la cura
animarum, cioè l’attività pastorale, e sconfiggere i pesanti abusi cui
questa era soggetta, Norberto di Xanten, fondatore della canonica regolare di
Premontré (1120), offrì il sostegno della vita comune, costituendo l’ordine
dei canonici regolari. Anche il monachesimo di Vallombrosa, fondato nel
secolo precedente da Giovanni Gualberto (
morto nel 1073), si sviluppò ampiamente durante il secolo XII: un’ epoca che
rimane negli annali della storia monastica come il periodo di massima
diffusione del monachesimo, nelle sue varie forme. |
Nascita ed espansione degli ordini mendicanti (XIII - XV
secolo) Con il
secolo XIII apparvero nella Chiesa gli ordini mendicanti. Per certi aspetti
essi riprendevano esigenze già presenti nel monachesimo riformato del secolo
XII, ma alcune caratteristiche li fecero considerare una realtà nuova nella storia degli ordini religiosi. A
differenza dei monaci, i frati costituirono una compagine religiosa
gerarchicamente organizzata, alle dipendenze di un unico ministro generale.
La loro povertà non era un fatto personale – come invece per il monaco che
non poteva possedere nulla – ma si estese a tutto l’istituto: né i singoli
frati, né i loro conventi, né l’ordine nell’insieme potevano possedere
alcunché. Anche i rapporti con i vescovi cambiò, perché i frati per poter
esercitare il loro ministero ebbero, per così dire, mano libera dalla Sede
Apostolica: costituirono una fraternità povera e itinerante ( specialmente
all’inizio) a imitazione degli Apostoli. I
fondatori di questi ordini furono diversi, ma due si distinsero tra gli
altri. In ordine di tempo dobbiamo citare per primo Domenico
di Guzman, un canonico spagnolo che,
venuto a contatto con gli eretici, si persuase che una predicazione non
sostenuta da una vita veramente apostolica non sarebbe stata efficace. Con
l’assenso del vescovo di Tolosa prima e poi della sede Apostolica fondò una
fraternità che abbracciò un pieno la pratica della povertà, ma con l’impegno
dello studio per poter predicare contro gli eretici. Nel 1220, il nuovo
ordine detto dei predicatori ( e in seguito anche Domenicani) celebrò a
Bologna il primo capitolo generale, durante il quale fu solennemente
rinnovato l’impegno di rinunciare ad ogni proprietà collettiva e di vivere
nella mendicità. L’ anno dopo, il 6 agosto 1221, san Domenico moriva, ma
ormai l’ordine aveva fatto le sue scelte. I domenicani furono grandi studiosi
di teologia e san Tommaso d’Aquino (
morto nel 1274), il più grande teologo della Chiesa, era frate domenicano. Ma
l’ordine dei mendicanti più celebre fu quello fondato da un laico penitente,
san Francesco di Assisi (1181-1226).
Convertitosi a una vita di estrema povertà per seguire Cristo << povero
e crocifisso>>, si trovò ben presto circondato da discepoli che non
aveva cercato, e per loro pensò dapprima che dovesse essere regola il
Vangelo. Ma, dopo alcuni contatti con la Curia romana, mise per iscritto
alcune norme, che divennero la Regola dei Frati minori. Essa conteneva gli
ideali vissuti dal santo con estrema coerenza: la povertà, l’umiltà, il
lavoro manuale, la predicazione, la missione nelle terre degli infedeli,
l’equilibrio tra azione e contemplazione. Dopo la morte del fondatore, che
ebbe il dono delle stimmate, i frati si divisero sulla interpretazione
genuina della regola. In seguito sorsero vari movimenti di osservanza per il
ritorno allo spirito di san Francesco. Tra i Francescani vi furono grandi
teologi come san Bonaventura da Bagnoreggio (
1221-1274), che fu anche ministro generale dell’ordine prima di diventare
cardinale, e grandi predicatori, come san Bernardino da Siena (
1380-1444) seguito da vaste folle sulle piazze di alcune città italiane. Per compiere
la loro missione i frati domenicani e francescani dovettero erigere grandi
conventi, idonei ad accogliere comunità numerose e biblioteche capienti,
necessarie allo studio. Le loro chiese, per poter consentire l’esercizio
della predicazione, furono spesso grandiose, e alcuni conventi costituiscono
ancora oggi autentici monumenti di fede e di arte. Ma i mendicanti non
tralasciarono mai il contatto diretto con la gente, la predicazione
itinerante, le opere di carità in favore del prossimo, specialmente in
occasione di pestilenze e di altre grandi calamità. All’
inizio del secolo XVI dal tronco francescano si staccò una nuova famiglia che
dette origine a un nuovo ordine religioso, quello dei Frati minori
cappuccini, così denominati per il lungo cappuccio triangolare indossato dai
frati. Lo spirito e il carisma di san Francesco rivivono attraverso le grandi
famiglie religiose che a lui ancora oggi si richiamano, mentre il ramo
femminile ebbe origine dall’opera di Chiara di Assisi ( 1194-1253), che ricevette il velo
monacale dallo stesso san Francesco. |
La vita religiosa alla vigilia del Concilio di Trento (XVI
secolo). Alla fine
del XIV secolo i grandi ordini religiosi tradizionali non erano più incisivi:
coinvolti nella crisi del Grande Scisma d’Occidente, abbandonarono in molti
casi la stessa disciplina regolare. La crisi non fu però generale. Il
monachesimo benedettino si rinnovò in Italia per opera del beato Bernardo Tolomei che fondò il monastero di Monte Oliveto Maggiore (1313)
e del venerabile Ludovico barbo che riformò il monastero di S. Giustino di
Padova (1409): molti antichi monasteri italiani accolsero quella riforma che
dette poi origine alla Congregazione cassinese ( 1504). D’altra parte anche i
certosini si mantennero fedeli al loro ideale: la Certosa non fu mai
riformata perché mai fu deformata, amano ripetere gli storici dell’ordine di
san Bruno. Altri movimenti si ispirarono alla Devotio moderna che
diffuse l’aureo opuscolo della Imitazione di Cristo: ebbero nuovo impulso
varie forme di vita religiosa, specialmente femminili. Ma le
più grandi novità vennero dallo spirito del Concilio di Trento (1545-1563):
nel nuovo clima sorsero alcuni ordini religiosi, quali quello dei Gesuiti,
fondato da Ignazio di Layola (1491-1556),
quello dei teatini, istituito da Gaetano di Thiene (
1480-1547) e quello degli Oratoriani, organizzato da Filippo
Neri (1515-1595), ognuno con una vocazione specifica ma nati
tutti a servizio della riforma promossa dal Concilio tridentino all’inizio di
una nuova stagione della storia della Chiesa. |