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Gruppo Scout FSE
LA NASCITA DELL’ASSOCIAZIONE
" Ho avuto la fortuna e l’onore di partecipare alla nascita e allo sviluppo degli Scouts d’Europa in Italia e, a distanza di tanti anni, vorrei raccontare qualcosa di questa mia esperienza. Premetto che non ho nessuna pretesa di fare qui una storia completa della nascita dell’Associazione, né di parlare di tutti coloro che vi hanno preso parte, il mio è solo il racconto di come ho personalmente vissuto quel periodo. Aggiungo che la nostra Associazione non ha avuto un “padre fondatore”, ma è nata e si è sviluppata grazie all’opera di un gruppo di persone le quali, con uno stretto lavoro di pattuglia e dedicando tempo, denaro, impegno ed energie, vi hanno operato per anni per portare un piccolo coacervo di alcuni Gruppi piuttosto eterogenei a diventare un’associazione nazionale solida e numerosa. Ma vediamo come si arrivò all’idea di dare vita agli Scouts d’Europa in Italia."
Una rivista scout
Intorno al 1969-70 iniziò ad arrivare a casa mia una rivista scout francese, dal titolo «Scout d’Europe». Mio fratello ne aveva trovato da qualche parte l’indirizzo ed aveva scritto, ricevendo così alcuni numeri. La rivista era ben fatta e interessante, con bei disegni di Joubert e con belle foto di scouts in uniforme. Rappresentava una piacevole oasi di scoutismo vero in anni nei quali nello scoutismo cattolico italiano vivevamo invece una grande baraonda. Mi abbonai a «Scout d’Europe»: ero Capo Riparto e la rivista mi era molto utile per il mio servizio. In essa ed in altre pubblicazioni della F.S.E. che acquistai successivamente, trovavo una quantità di idee e di spunti per le attività del mio Riparto.
La situazione in Italia
All’inizio degli anni ‘70 la situazione dello scoutismo cattolico in Italia era, come ho detto prima, «una grande baraonda»: la dimensione religiosa era notevolmente affievolita e molti Gruppi e Unità si ponevano in lotta aperta contro parroci e vescovi. La dimensione socio-politica era entrata pesantemente nella vita associativa, con capi e Unità coinvolti direttamente in azioni politiche e di partito. La vita nella natura veniva ripudiata perché era vista come evasione dai problemi della società. In questa linea, l’uniforme scout, sentita solo come ostacolo alla comunicazione con gli altri, era spesso sostituita dal solo fazzoletto portato su abbigliamenti variopinti. Venivano abbandonati capisaldi del Metodo Scout come la Legge, la Promessa, il sistema delle Squadriglie, il metodo Giungla nei Branchi e del Bosco nei Cerchi e tante altre cose ancora. In compenso si introduceva la promiscuità fra ragazzi e ragazze nelle stesse Unità e spesso nelle stesse Squadriglie. In questa situazione, nonostante tutti gli sforzi fatti per riportare lo scoutismo ai suoi obiettivi originali, si arrivò inesorabilmente all’epilogo, con la chiusura dell’ASCI e dell’AGI e la nascita dell’AGESCI, nel maggio 1974. Questo creò non poco scompiglio, Molti Capi e molti Assistenti erano contrari al nuovo andazzo, ma non c’erano praticamente possibilità di reagire al nuovo stato di cose. Alcuni di esse si adattarono a convivere in un modo o nell’altro con le nuove idee, altri lasciarono silenziosamente lo scoutismo. Vi furono Gruppi che per non aderire alla nuova associazione si staccarono e non si censirono più, altri che, pur rimanendo censiti, si isolarono da ogni iniziativa. Alcuni Gruppi passarono addirittura al CNGEI; Qualche tempo dopo la nascita dell’Agesci, alcuni Capi ed Assistenti ex-ASCI ed ex-AGI diedero vita al «Centro Studi ed Esperienze Scout Baden Powell», che si poneva come movimento di opinione per riproporre i valori e i mezzi dello scoutismo di B.P., essenzialmente attraverso la stampa di una rivista e l’organizzazione di incontri per Capi. Era una azione interessante ma, nel mio caso, la trovavo assolutamente insufficiente: i miei problemi erano molto più concreti, perché i miei scouts vivevano giornalmente in una realtà associativa come quella descritta precedentemente. Le proposte che l’associazione faceva, le riviste che i ragazzi ricevevano, i contatti che avevano con altri scouts, lo stesso raduno di San Giorgio e gli altri incontri associativi erano altrettante situazioni di grosso disagio perché le Unità e i Gruppi vivevano ognuno un suo “scoutismo” differente, legato alle idee (molto spesso anche alle “ideologie”) dei rispettivi capi.
Contatti e tentativi
Personalmente non me la sentivo di aderire all’ AGESCI perché non ne condividevo i principi e meno ancora la prassi. Così cominciai a guardarmi intorno: mi iscrissi al Centro Studi Baden Powell e mi documentai su altre associazioni scouts come il CNGEI e l’ASSORAIDER. In quest’ottica, scrissi anche in Francia all’associazione « Guides et Scouts d’Europe», chiedendo una documentazione e ponendo delle domande pratiche sulla possibilità di dar vita a qualcosa di analogo anche in Italia. Il Commissario Generale, Perig Géraud-Keraod, rispose personalmente alle mie domande e mi inviò un ampio dossier informativo. Tutto questo rimaneva, però, allo stato di utopia, perché l’ambiente intorno a me nella grande maggioranza era assolutamente ostile all’idea dello scoutismo cattolico classico, fedele a B.P. e alla Chiesa.
La situazione nel Lazio
Lo scoutismo laziale, così come quello delle altre regioni, finì in breve tempo in mano a gruppuscoli estremizzati. Tutto veniva deciso e gestito sulla base di assemblee alle quali partecipavano tutti indistintamente, capi e aiuti, brevettati e non brevettati. Nel corso dell’anno si tenevano diverse assemblee regionali (altre a quelle di Distretto), ciascuna delle quali durava una intera domenica, dal mattino fino alla sera. Di conseguenza, molti capi, più attenti alle attività con i loro ragazzi che alle chiacchiere assembleari, non vi partecipavano o si limitavano ad una breve visita. Questo consentiva ai gruppetti più esagitati, ma anche meglio organizzati, di monopolizzare la gestione dell’assemblea e, con opportune “manovre”, di far prendere le decisioni sui temi e gli argomenti di maggiore rilevanza nel modo e nei momenti a loro più favorevoli. In occasione della prima assemblea regionale dell’AGESCI, nell’autunno del 1974, insieme ad alcuni capi elaborammo un documento nel quale proponevamo di sviluppare in Regione una azione secondo le linee classiche dello scoutismo cattolico. Prima dell’assemblea regionale, con una serie di contatti personali con Capi Unità, Capi Gruppo ed Assistenti, raccogliemmo, a favore di questo documento, oltre un centinaio di firme (per l’esattezza 108). Naturalmente il documento fu bocciato da un’assemblea regionale di circa 700 persone urlanti e tumultuanti. Ci fu persino l’episodio di un componente dell’équipe regionale, il quale durante il suo intervento sul palco, stracciò pubblicamente una copia del nostro documento e lo gettò verso le nostre file, fra le ovazioni e le urla di giubilo della maggioranza dell’assemblea.
Un campo scuola clandestino
Il risultato più che deludente dell’assemblea ci tolse le ultime illusioni sulle possibilità di azioni di questo tipo, comunque rimasero i contatti stabiliti con alcune delle persone che avevano firmato il documento, con le quali ci incontravamo di tanto in tanto. Rendendoci conto che, con l’avvicendamento dei capi, il livello di scoutismo di molti Gruppi scadeva sempre più e, poco a poco, si andava adeguando alle nuove mode, pensammo di reagire in qualche modo. Dato che i Campi Scuola di Primo Tempo venivano organizzati direttamente dalle Regioni, insieme a Franco Puppini ed ad alcuni capi romani, proponemmo alla Pattuglia Regionale di affidarci uno dei campi scuola di Branca Esploratori, visto che, in passato, avevamo già diretto insieme dei Campi Scuola. La risposta, come prevedibile, fu assolutamente negativa. Cercammo allora un’altra strada e fummo ospitati da Carlino Bertini, Commissario Regionale delle Marche e realizzammo il campo scuola nei pressi di Fano. Ad esso parteciparono una trentina di persone, delle quali più di venti erano venute, quasi clandestinamente, dal Lazio.
Corrispondenza e incontri
Partecipavo regolarmente alle riunioni dell’équipe romana del Centro Studi Baden Powell e andai anche agli incontri che il Centro Studi organizzò in quegli anni in varie località (Bologna, Vallombrosa, ecc.). In queste occasioni ebbi modo di conoscere diversi capi ed assistenti. Fra gli altri, Sergio Sorgato, infaticabile animatore di iniziative a Padova e Francesco Piazza che a Treviso aveva fondato una associazione scout, denominata «Gruppi e Ceppi Scouts Cattolici - Treviso». Mantenni anche una corrispondenza con Perig Géraud Keraod e continuai l’abbonamento alle riviste F.S.E.. Un giorno, improvvisamente, ricevetti un telegramma di Perig, il quale mi annunciava che sarebbe venuto a Roma tre giorni dopo e mi proponeva di incontrarci. Non volli correre rischi su un appuntamento poco chiaro e, sempre per telegramma, gli proposi di vederci alle ore 18,30 di venerdì 31 gennaio 1975 all’obelisco di Piazza San Pietro, certo che un appuntamento così non ammettesse possibilità di errore. E infatti in Piazza San Pietro conobbi Perig e sua moglie Lizig, che erano venuti a Roma per preparare il pellegrinaggio F.S.E. dell’Anno Santo 1975. Con essi ebbi una lunga ed ampia conversazione, prima nella saletta di un caffè nei pressi della piazza e successivamente proseguita anche a cena. Parlando con loro, fu evidente che la situazione che stava vivendo in quel momento lo scoutismo in Italia era molto simile a quella esistente nelle altre nazioni europee. Nel nostro colloquio Perig mi parlò a lungo della F.S.E. e mi chiese anche una collaborazione per il pellegrinaggio che stava organizzando. È da notare che nel 1975 la F.S.E. fu l’unica associazione scout in tutto il mondo a realizzare un pellegrinaggio associativo in occasione dell’Anno Santo. Qualche tempo dopo l’incontro con Perig ricevetti dalla Francia la lettera di un’Alta Squadriglia F.S.E. di Saint Germain en Laye che desiderava venire a Roma per Pasqua e chiedeva ospitalità. Con il mio Riparto organizzammo l’accoglienza. Ospitammo nella nostra sede questi scouts francesi, li accompagnammo nel loro pellegrinaggio, li conducemmo in visita a Roma, organizzammo alcune attività comuni e li ospitammo a pranzo, ciascuno in una famiglia del Riparto. Fu un’utile occasione per far conoscere ai miei ragazzi gli Scouts d’Europa e, contemporaneamente, per farci conoscere da loro.
Il San Giorgio 1975
Ad aprile 1975. vista la situazione di estremo degrado nella quale si era giunti, i Riparti Roma 46, Roma 25 e Roma 65 (oggi tutti nella F.S.E.) decisero di non partecipare al San Giorgio organizzato dal nostro Distretto. Insieme realizzammo invece una “Uscita di fraternità” dove potemmo organizzare giochi e gare per le squadriglie, potemmo celebrare la Santa Messa per tutti, fare l’Issa Bandiera ed effettuare il rinnovo della Promessa, cose queste che in un San Giorgio di Distretto non sarebbero state nemmeno pensabili. Non partecipare alle attività associative ed isolarci in tutte le manifestazioni, anche se non era corretto verso l’associazione, era però l’unico modo rimastoci per riuscire a praticare ancora uno Scoutismo il più possibile fedele ai principi di B.P..
Il Pellegrinaggio FSE per l’Anno Santo 1975
All’inizio di settembre arrivò il pellegrinaggio F.S.E. per il quale Perig Géraud Keraod, mi aveva chiesto una collaborazione. Fu così che una sera mi accampai presso la stazione di Mentana, insieme a due miei rovers e a due capi francesi, per preparare la prima colazione per i partecipanti che sarebbero arrivati l’indomani mattina con il treno e che di lì avrebbero poi proseguito a piedi fino a Roma. Nei giorni seguenti ebbi modo di partecipare a diverse attività del pellegrinaggio. Nell’udienza generale in Piazza San Pietro, mercoledì 10 settembre, il Santo Padre Paolo VI rivolse agli Scouts d’Europa calorose ed importanti parole di benvenuto e di apprezzamento per la loro azione.
Le parole di Paolo VI agli Scouts d’Europa nel 1975
“Guide e Scouts d’Europa, sappiate che sarete sempre degli amici per Noi. Noi abbiamo grande fiducia nella vostra presenza, nel vostro lavoro, nella vostra associazione e nello spirito dello scoutismo. Siate i benvenuti! Portate in ricordo del Giubileo al quale avete partecipato, il senso della fermezza e della fedeltà a Cristo e ai suoi insegnamenti”.
Una svolta imprevista
All’inizio del 1976, il Centro Studi Baden Powell pensò di organizzare, per i primi di maggio, un incontro di capi del Lazio, con lo scopo di presentare in due giorni il Metodo Scout originale di B.P. Fui tra coloro che ebbero l’incarico di pensare alla logistica e di creare i possibili partecipanti. In questa ricerca entrammo in contatto con alcuni capi che, con i loro Gruppi ex-ASCI, vivevano da qualche anno in maniera autonoma ed indipendente, senza far parte di nessuna associazione: Franco Franchi dei Cavalieri, Don Sandro De Angelis, Don Agostino De Angelis, Mons Desiderio Nobels, Arturo Vasta, Pietro Manetti e altri. Tutte persone che peraltro già conoscevo dai tempi dell’ASCI. Questi capi avevano mantenuto dei contatti fra di loro e, annualmente, organizzavano un incontro di San Giorgio per i loro Gruppi. Anche quell’anno stavano organizzando un San Giorgio, anzi stavano pensando alla possibilità di dar vita ad un collegamento più stabile, con la creazione di una piccola federazione fra i loro Gruppi. Era un’idea che poteva avere sviluppi interessanti e fu così che, una sera di febbraio del 1976, mi trovai a partecipare ad una riunione con alcune di queste persone in un locale della parrocchia di S. Croce in Gerusalemme. Avevo con me riviste e pubblicazioni degli Scouts d’Europa. Si parlò dell’incontro del Centro Studi, poi si passò all’idea di dar vita ad una nuova associazione. Le difficoltà erano tutt’altro che trascurabili, ma ci trovammo tutti d’accordo che lo Scoutismo Cattolico, realizzato secondo le linee classiche che lo avevano animato per tanti lunghi anni, lungi dall’essere morto e sepolto aveva ancora delle enormi possibilità. Considerammo che la realtà in cui versava lo scoutismo nel Lazio era praticamente la stessa in tutta Italia e che quindi una eventuale nuova associazione avrebbe dovuto avere un respiro nazionale e non essere limitata al nostro ambito locale. A questo punto illustrai ai presenti chi erano gli Scouts d’Europa, i loro principi e le loro finalità e vidi aumentare l’interesse dei miei ascoltatori. Quando poi mostrai loro le riviste e l’altro materiale, si scatenò l’entusiasmo di tutti, in particolare fu molto appezzata la pubblicazione “Scoutorama”. La riunione terminò con la decisione di continuare a vederci per lavorare sul progetto di dar vita ad una associazione scout che avrebbe aderito alla F.S.E.. A distanza di tanti anni, devo confessare però che quella sera iniziai la mia presentazione in maniera piuttosto titubante, perché la nascita di eventuali Scouts d’Europa in Italia l’avevo immaginata in modo differente, in maniera certamente più “ufficiale” e con la partecipazione di un numero ampio di persone. A quella riunione, invece, eravamo quattro gatti e sembravamo tanto dei “carbonari”! Nelle riunioni successive fu precisato meglio il progetto, ma lo spirito da clandestini rimase ancora per diverso tempo perché temevamo che una mossa falsa avrebbe potuto mandare tutto all’aria. Furono assegnati vari compiti: Franco Franchi dei Cavalieri, Don Sandro, Don Agostino De Angelis ed io ricevemmo l’incarico di stendere una bozza di Statuto, che fu poi rivista e discussa nelle riunioni con tutti gli altri. Quando il progetto della nuova associazione fu a buon punto, io fui incaricato di prendere contatto con la F.S.E. di Francia per comunicare la nostra decisione e per chiedere istruzioni su cosa dovevamo fare per aderirvi. Il 23 marzo 1976 scrissi a Perig Geraod Keraod e ricevetti in breve tempo la sua risposta positiva, unitamente all’invito a registrare ufficialmente l’associazione; dopo questo atto formale egli ci avrebbe dato l’autorizzazione ad usare i distintivi F.S.E..
La fondazione ufficiale
La sera di mercoledì 14 aprile 1976, registrammo dal notaio Cucchiai, che aveva lo studio a Piazza Cavour a Roma, l’atto costitutivo dell’Associazione e lo Statuto. Dopo la firma, ci recammo nella sede del Roma 32, presso Corso Vittorio, per partecipare insieme alla S. Messa e per un piccolo festeggiamento. Ho ancora vivo il ricordo dell’emozione provata nell’apporre quella firma dal notaio e, ancora di più, dei sentimenti provati durante la Celebrazione Eucaristica: avevo chiuso dietro le mie spalle un cammino scout iniziato vent’anni prima, proprio a poca distanza da quel luogo. Ora se ne stava aprendo un altro, per il quale nutrivo tantissime speranze ma nel quale vedevo anche tantissime incognite. Chiesi al Signore tutto il suo aiuto e gli offrii tutto il mio impegno. I primi Gruppi che iniziarono l’Associazione furono il Roma 32, il Roma 51, il Roma 68, il Roma 3°, il Roma 46, il Roma 43, per un totale di circa 420 soci: 350 fra capi e ragazzi e 70 fra capo e ragazze (queste ultime erano il Cerchio ed il Riparto di Guide del Roma 46, uniche unità femminili presenti agli inizi dell’Associazione). Dato che a quell’epoca non c’erano norme federali sull’uniforme, adottammo quella utilizzata dai francesi, anche perché era praticamente la nostra vecchia uniforme dell’ASCI. In un primo tempo adottammo anche i calzettoni bianchi che dopo qualche mese furono cambiati in blu per motivi di praticità. Sulla nuova uniforme per i primi tempi portammo i distintivi provvisori disegnati da Franco Puppini e da lui fatti stampare su plastica, perché quelli in stoffa non erano ancora arrivati dalla Francia. La prima Orifiamma dell’Associazione (che ancora conservo) l’avevo fatta cucire a mia madre, in base al disegno del distintivo F.S.E. fatto da mio padre. Nella stessa maniera avevo fatto fare loro anche un’Orifiamma orizzontale e una bandiera europea. Furono le prime bandiere F.S.E. a sventolare su un campo di Scouts d’Europa italiani.
Una strada che continua
Con la fondazione “ufficiale”, il 14 aprile 1976, terminò quella che potremmo chiamare la fase “preistorica” dell’Associazione ed iniziò quel lavoro di pattuglia, al quale accennavo all’inizio, lavoro proseguito per tanti anni e che ha consentito di superare difficoltà di ogni tipo, per portare risultati che oggi sono sotto gli occhi di tutti. Nel chiudere il racconto di questa mia esperienza, sento il dovere di rivolgere un pensiero di ringraziamento al Signore e alla Santa Vergine. A Loro ci siamo sempre rivolti, nei momenti di gioia e quelli di difficoltà, e posso testimoniare personalmente che il Loro aiuto non c’è mai venuto meno.
Attilio Grieco