IO, FRANCESCO

 

 

La vita di

San Francesco attraverso

i dipinti di Norberto,

pittore umbro

e le didascalie di Carlo Carretto.

( tratto dal libro di Carlo Carretto,” IO, FRANCESCO”)

 

Borghese e ricco quale ero non avrei mai pensato che sarebbero stati i poveri a salvarmi, a tirarmi fuori dalla spelonca del mio egoismo. Trovai in essi il mio domani, la mia vocazione, la gioia di fare qualcosa di valido nella mia vita.

 

 

Avrei venduto Assisi intera per aiutare i poveri. La legge dei vasi comunicanti è la prima scoperta che si fa quando si prende coscienza della povertà che ti circonda.Prendere dove c’è e far passare dove non c’è…

 

 

Mi spogliai nudo e buttai nelle braccia di mio padre i vestiti dicendogli:<< D’ora innanzi dirò non più Francesco figlio di Pietro di Bernardone, ma Francesco figlio di Dio>>. Non so se fu per pudore o per amore che il Vescovo mi coprì col suo manto.

 

 

Un giorno fissando il crocifisso, ebbi l’impressione netta che muovesse le labbra e nello stesso tempo sentii una voce che mi diceva :<< Francesco ripara la mia casa che come vedi è tutta in rovina >>. Mi sentii invaso da infinita dolcezza. Ero solo e non ebbi paura a saltare sull’altare per abbracciare Gesù. Da quel momento fui folgorato dal mistero dell’incarnazione del Cristo Gesù.

 

 

Quanto mi facevano orrore i lebbrosi! Cacciavo addirittura il pensiero quando mi immaginavo che ne avrei potuto incontrare uno. E invece lo incontrai. Mi tese le mani fasciate e mi fissò con una dolcezza ed umiltà dolorosa. Lo abbracciai e baciai.

 

 

Avevo toccato il vestito stupendo di colei che avrei sposato per sempre. Madonna Povertà! Ora conoscevo la mia sposa e in lei sentivo di amare ciò che Dio stesso ama: il povero…era la solidarietà con tutto ciò che è piccolo, debole,sofferente.

 

 

Quando ci mettevamo assieme, correvamo nei prati come ragazzini e cantavamo inebriati del Vangelo. Nello stare insieme avevamo trovato la felicità e la forza di sentirci Chiesa.

 

 

Il desiderio di annunciare agli uomini la bontà di Gesù e di comunicare ai poveri la buona novella della salvezza, bruciava troppo per poter stare fermi. Ci dividemmo in gruppi di due, come indicava il Vangelo, e partimmo per la grande avventura.

 

 

Egidio ed io, Francesco, prendemmo la strada delle Marche. Bernardo da Quintavalle e Pietro Cattani la direzione opposta.Inutile dire che ci eravamo dati l’appuntamento alla Porziuncola: non avremmo potuto stare più a lungo senza rivederci.

 

 

La nostra predicazione era semplice, semplice e fatta di poche parole vive: << Convertitevi al Vangelo e fate penitenza perché il Regno di Dio è vicino >>. La gente ci ascoltava e non voleva lasciarci partire.

 

 

Gli assisani incominciavano a prenderci sul serio, anzi ci aiutavano. La cosa non mi dispiacque e rividi più volte mia madre, che ora era in pace con me, e mi mandava sovente dei viveri che distribuivamo ai poveri così numerosi in Assisi.

 

 

Quando le fuggitive furono in vista, tutti andammo incontro con le fiaccole accese. Quel corteo nella notte era veramente stupendo e segno della più gioiosa speranza della nostra povera vita.

 

 

<< Laudato si, mi Signore, per sora luna e le stelle; in celu l’ài formate clarite et preziose et belle >> ( dal << Cantico delle Creature >>.

Le creature sono << significazione >> di Dio. Ne contengono la presenza e la esprimono.

 

 

Prima della mia conversione non avevo visto le creature. Esse erano passate accanto a me come estranee, come decoro di paesaggio. Ora le vedevo e le fissavo bene. Mi accorgevo che anch’esse mi fissavano e forse cercavano, come me, di comunicare.

 

 

Partimmo tutti insieme alla volta di Roma. Era il maggio del 1210. Per la strada non cessavamo di pregare e cantare. Quanta gioia era in noi e questa gioia si trasmetteva come epidemia a chi ci incontrava. Tutti si facevano intorno incuriositi.

 

 

In alto cera lui. Innocenzo III, pallido come se non avesse dormito nella notte e di fronte c’ero io, Francesco, circondato dalla mia poco presentabile compagnia. Il Pontefice mi fissava, quasi volesse riconoscere a fondo colui che gli stava di fronte.

 

 

Avrei desiderato di più porre subito il segno del lavoro per la nostra forma religiosa, ma non era possibile. Il lavoro ai miei tempi era un lusso – quello pagato s’intende – come per voi è oggi avere un impiego in banca. Ma oggi nessun frate di buon senso deve sentire il bisogno di andare all’elemosina mentre i campi non hanno più lavoratori. Chiedere il pane per elemosina mentre possiamo procurarcelo col lavoro è un non senso e può diventare scandalo.

 

 

Il miracolo che si compì quella mattina a Gubbio non fu la conversione del lupo, fu la conversione degli abitanti di Gubbio che per un istante cedettero possibile la lotta col lupo, armati solo di cibo da donare invece di armi da insanguinare.

 

 

<< Come il Beato Francesco vide sulla città di Arezzo molti demoni esultanti e disse al suo seguace ( Silvestro). Va’, e in nome di Dio caccia i demoni…, e come quegli obbedendo gridò, i demoni fuggirono>> ( dalla << legenda Major>> di S. Bonaventura).

 

 

Io volevo capanne ed attorno a me i conventi diventarono sempre più fortezze. Ciò mi faceva soffrire era l’opinione diffusa che era cosa impossibile vivere secondo la regola della perfetta povertà. Ciò mi suonava tradimento nei riguardi di Gesù

 

 

Avvicinandosi il Natale, volli ripensare proprio alla vita di Gesù povero, povero e a Greccio combinai una rappresentazione al vivo della grotta di Betlemme. Vedete, dicevo a tutti, vedete che è possibile. Gesù stesso ha vissuto povero, debole, piccolo.

 

 

Intanto c’era qualcosa che si stampava dentro, nella mia carne, e non avrei saputo dirvi dove o come. Sapevo però ch’era Gesù. E mi univa alla sua passione. E mi svelava i segreti di Dio. No. Non era possibile una rivelazione più vera di quella.

 

 

Attraversando Assisi mi volli fermare. Quando la lettiga

fu in terra, mi feci voltare verso la città.

Volevo benedirla.

Piangevo, soffrivo ma ero felice. Non vedevo le

torri della città ma ne sentivo come il respiro.

 

<< Benedetta sia tu da

Dio città santa

imperocché per te

molte anime si salveranno ed

in te molti servi di

Dio abiteranno e di te

molti ne saranno eletti

al reame della vita eterna>>

 

 

Cantico di Frate Sole

o

Cantico delle Creature

 

Detto anche "Canticus creaturarum" fu composto da Francesco, secondo la leggenda, due anni prima della sua morte (1226).

 

Altissimu, onnipotente bon Signore,
Tue so' le laude, la gloria e l'honore et onne benedictione.

Ad Te solo, Altissimo, se konfano,
et nullu homo ène dignu te mentovare.

Laudato sie, mi' Signore cum tucte le Tue creature,
spetialmente messor lo frate Sole,
lo qual è iorno, et allumini noi per lui.
Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore:
de Te, Altissimo, porta significatione.

Laudato si', mi Siignore, per sora Luna e le stelle:
il celu l'ài formate clarite et pretiose et belle.

Laudato si', mi' Signore, per frate Vento
et per aere et nubilo et sereno et onne tempo,
per lo quale, a le Tue creature dài sustentamento.

Laudato si', mi Signore, per sor'Acqua.
la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.

Laudato si', mi Signore, per frate Focu,
per lo quale ennallumini la nocte:
ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte.

Laudato si', mi Signore, per sora nostra matre Terra,
la quale ne sustenta et governa,
et produce diversi fructi con coloriti fior et herba.

Laudato si', mi Signore, per quelli che perdonano per lo Tuo amore
et sostengono infermitate et tribulatione.

Beati quelli ke 'l sosterranno in pace,
ka da Te, Altissimo, sirano incoronati.

Laudato si' mi Signore, per sora nostra Morte corporale,
da la quale nullu homo vivente skappare:
guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali;
beati quelli ke trovarà ne le Tue sanctissime voluntati,
ka la morte secunda no 'l farrà male.

Laudate et benedicete mi Signore et rengratiate
e serviateli cum grande humilitate.

 

 

Una straordinaria avventura

Francesco alla fine della sua vita, ha dettato un breve testamento spirituale nel quale ripercorre la propria storia: "Il Signore diede a me, frate Francesco, di cominciare così a convertirmi: quando vivevo nei peccati, mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi, ma il Signore stesso mi condusse tra loro e io mi rivolsi ad essi con amore. Ciò che prima mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza".

Assisi

Era nato nel 1182, era l'epoca della storia in cui si risvegliavano ansie di libertà comunali e fervore di traffici commerciali, ideali di cavalleria e di crociate ma anche concreti interessi economici; protagonisti di questi cambiamenti erano i mercanti. Tra questi mercanti c'era anche la famiglia di Francesco; suo padre era un ricco commerciante di tessuti, di nome Pietro di Bernardone.

Un simpatico mercante

Bisogna anche dire che suo figlio Francesco lo aiutava bene nel suo lavoro; Francesco aveva dimostrato di essere abile negli affari.

Inquiete esperienze

Tuttavia Francesco aveva già cominciato da qualche tempo a provare dei turbamenti interiori, fin da quando era rimasto prigioniero per quasi un anno nelle carceri perugine, dopo aver partecipato, con l'ardore dei vent'anni, alla guerra della sua città e la vicina, potente Perugia. Certo di quella esperienza, e la malattia che la seguì, segnarono profondamente il giovane Francesco, ponendo nel suo cuore i semi di un misterioso desiderio e di una ricerca nuova.

Alla ricerca della Gloria

Francesco infatti cercava qualcosa, anche se non sapeva bene quale era l'oggetto della sua ricerca. In quegli anni egli si era rivolto verso gli ideali di gloria cavalleresca. Francesco si era detto: " Sarò cavaliere!". Armato ed equipaggiato, era partito dalla sua città per combattere nelle Puglie. Ma quella volta, per Francesco, non andò così: giunto a Spoleto, strani sentimenti lo avevano assalito e in particolare lo aveva colpito un sogno misterioso, dove una voce gli aveva chiesto: "Francesco, chi può giovarti di più? il padrone o il servo?": a lui, che ovviamente aveva risposto: " il padrone", la voce aveva lasciato una penetrante domanda: "E allora, perché abbandoni il padrone per seguire il servo!". Francesco non se la sentì più di seguire l'impresa, e così se ne tornò a casa, tra lo stupore dei concittadini.

Una domanda insistente

Nel frattempo aveva incominciato ad apprezzare i momenti di silenzio; si recava, ogni tanto, nelle campagne intorno ad Assisi per trovare la pace che il suo spirito cercava, si rivolgeva a Dio chiedendogli: " Signore, cosa vuoi che io faccia?".

La scoperta dell'Altro

Il Signore, finalmente, gli diede la sua risposta. Dio gli venne incontro nel fratello lebbroso. Francesco mentre un giorno era diretto verso le campagne, dopo una travolgente galoppata, disceso da cavallo improvvisamente udì alcuni rumori. Davanti a lui stava un lebbroso, ripugnante alla vista ma soprattutto disgustoso al suo olfatto. La prima, istintiva reazione di Francesco fu un moto di fuga. Poi, improvvisamente, si avvicinò a quell'uomo, vincendo il rifiuto della sua mente e del suo stomaco; e lo baciò. Oramai cominciava a intuire che il dono più grande lo aveva ricevuto lui; in quel bacio egli aveva incontrato Dio. Quel bacio cambiò la vita di Francesco.

La Preghiera

Francesco pregava, e imparava a incontrare nella preghiera quello stesso Signore Gesù che gli si era rivelato nel fratello lebbroso.

La Risposta del Crocefisso

Un giorno Francesco si trovava presso Assisi, ed entrò a pregare in una cappella diroccata, dedicata a San Damiano. Egli pregava volentieri in quel luogo, ed anche quella volta ripeté la sua preghiera, con intensità e attenzione; ed ecco che il Signore gli rispose: "Vai Francesco e ripara la mia casa , che cade in rovina!". Francesco, lieto della risposta del Signore, mise, a servizio di quel compito, tutto se stesso; le proprie braccia, il proprio cuore, i propri soldi.

Paure e Incertezze

Intanto, il padre, Pietro di Bernardone, tornato da viaggio e non avendo trovato a casa suo figlio, aveva mandato a cercarlo, rifiutandosi di credere a quanto si diceva sulla sua strana conversione. A questo punto, Francesco ebbe paura e non seppe far di meglio che nascondersi; piangeva e pregava con il cuore diviso tra il comando del Signore e l'affetto che nutriva per i suoi familiari.

Il Coraggio di Scegliere

Francesco una mattina si decise, uscì finalmente dal suo nascondiglio e si avviò verso Assisi. Giunto a casa, il padre diede sfogo a tutta la sua ira. Dopo aver strapazzato Francesco con le parole e con le percosse, lo fece rinchiudere in una buia cantina della casa

Una nuova nascita, un nuovo Padre

Dopo alcuni giorni di prigionia, Francesco, con la complicità della madre, era riuscito a fuggire. Pietro di Bernardone, non intendeva rassegnarsi: avrebbe convocato il figlio in tribunale. Qualcuno doveva pur costringerlo a cambiare atteggiamento! Il tribunale civile di Assisi dichiarò la propria incompetenza, e il padre non si diede per vinto e si rivolse al vescovo, Giulio II d'Assisi. Francesco, quando si trovò dinanzi al Vescovo, capì che doveva restituire al padre ben più di quello che chiedeva. E con un gesto semplice si spogliò di tutti i suoi vestiti, dicendo: " Ecco, ti restituisco tutto ciò che è tuo. Finora ho chiamato te padre, Pietro di Bernardone; d'ora innanzi potrò dire: "Padre nostro che sei nei cieli". Il Vescovo rimase stupito, e in silenzio si avvicinò a Francesco e ne coprì la nudità con il suo mantello. Era il manto stesso della Chiesa che avvolgeva Francesco.

Una nuova Vita

Francesco per alcuni mesi stette come servitore in un monastero dalle parti di Gubbio, poi passò a servire in un lebbrosario, infine il ricordo del Crocefisso di San Damiano lo ricondusse ad Assisi. Voleva portare a termine la sua opera di restauro cominciata qualche tempo prima. Dopo aver ultimato i lavori in quella chiesetta, egli restaurò un'altra cappella diroccata nelle vicinanze. Infine mise mano a una chiesetta della pianura davanti ad Assisi, che era dedicata a Santa Maria degli Angeli.

Il Vangelo Chiama

Terminato il restauro della Porziuncola, Francesco aveva invitato un sacerdote a celebrarvi la messa. Al Vangelo, le parole lette dal sacerdote: "Non tenere né oro, né argento, né denaro nelle vostre borse; non abbiate bisaccia da viaggio, né tuniche, né calzari, né bastone", risuonarono fortemente nella mente e nel cuore di Francesco, tanto da rimanervi conquistato; era il Signore che gli stava parlando, gli stava indicando la direzione da prendere. Francesco subito esclamò: " Questo voglio con tutto il mio cuore". Da quel giorno, la vita di Francesco conobbe un altro cambiamento: vestito di una tunica, cominciò a girare per i paesi annunciando il Vangelo.

Il Dono dei Fratelli

Una tale predicazione, unita a quella semplicissima forma di vita, non passava inosservata. Tanto che un vecchio amico di Francesco, Bernardo da Quintavalle, rimasto impressionato dal cambiamento avvenuto in Francesco, decise di osservarlo meglio. Una sera lo invitò a cena a casa sua e gli offrì di restare a dormire da lui; parlarono di tante cose, e la semplice sicurezza con cui Francesco parlava del Signore e del suo Vangelo colpì profondamente Bernardo. Durante la notte, poi, mentre fingeva di dormire, lo vide alzarsi in silenzio a pregare. La mattina dopo, la decisione era presa: Bernardo avrebbe condiviso la vita di Francesco.

Il Consiglio di Cristo

Ma subito nacque una domanda: cosa fare per iniziare quella nuova vita? Francesco e Bernardo subito si misero in strada, verso la Chiesa di San Nicolò. Nella penombra della chiesetta, videro un libro dei vangeli, si inginocchiarono e pregarono, poi Francesco aprì il libro e lesse: "Se vuoi essere perfetto, và vendi tutti i tuoi beni e distribuiscili ai poveri, e avrai un tesoro in cielo". Con uguale fede, Francesco aprì il libro una seconda e una terza volta; di nuovo il Signore gli parlava e diceva: " Chi vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua", Francesco si voltò verso i suoi compagni e disse: " Fratelli, il Signore ci ha risposto e ci ha indicato la nostra vita e la nostra regola. Andate e fate quanto avete udito".

A Roma dal Papa

Quando il gruppo dei primi compagni raggiunse il numero di dodici, Francesco decise che era necessaria l'approvazione del Papa che nella Chiesa ha l'incarico di confermare i fratelli. E così, un giorno della primavera del 1209 si presentò alle porte del palazzo del Laterano, dove risiedeva il Papa Innocenzo III. Francesco gli presentò poche righe nelle quali era esposto il suo progetto di vita. Alla fine Innocenzo III diede la sua approvazione al progetto che proponeva di vivere alla lettera i consigli del Vangelo.

La Fraternità Cresce

Con l'approvazione della Chiesa, il piccolo gruppo guidato da Francesco incominciò lentamente a crescere. Nacquero così dei momenti particolari, che vennero chiamati "capitoli", nei quali tutti i fratelli, almeno una volta all'anno, si ritrovavano insieme. In queste occasioni Francesco e i suoi fratelli si riunivano nella Porziuncola e passavano giorni di condivisione e di gioia.

Sorella Chiara

Un tale entusiasmo coinvolse anche una ragazza diciottenne, appartenente a una delle famiglie nobili di Assisi: Chiara. Ella era la testimone, come tutti gli abitanti di Assisi, del nascere di quella piccola fraternità di poveri. Un giorno, superando le esitazioni, aveva mandato un messaggio a Francesco: voleva parlargli, perché sentiva che quella forma di vita era fatta per lei. La domenica delle Palme del 1212 Chiara si decise al grande passo e quella stessa notte fuggì di casa per raggiungere la Porziuncola, dove Francesco l'attendeva con i suoi fratelli. Là depose le vesti sontuose e si rivestì di una tunica grezza e povera. La scelta non fu accettata pacificamente dalla famiglia che però, davanti alla fermezza della ragazza, dovette alla fine arrendersi.

Una vita di Lavoro e Povertà

Francesco chiamava il lavoro una "Grazia" da eseguire "con fedeltà e devozione", perché attraverso il lavoro noi possiamo restituire a Dio, trasformata, quella realtà da Lui creata con tanto amore. Possiamo partecipare così all'opera creatrice di Dio e, nella quotidianità, entrare in relazione con tanti fratelli ai quali dare il "buon esempio" anche attraverso il nostro modo di lavorare.

Le Prime Missioni

Proprio per coinvolgere tutti gli uomini nella lode di Dio, Francesco per ben tre volte tentò di mettersi in viaggio per andare tra i "Saraceni. Solo la terza volta, nel 1219, riuscì ad arrivare davanti al Sultano d'Egitto. Francesco raggiunse il cuore dell'uomo a quella profondità dove non arrivano le divise militari, le contrapposizioni sociali o la differenza delle razze e delle lingue.

Beati gli Operatori di Pace

Questa stessa opera di pace Francesco la compì anche nel mondo cristiano, in quelle città medievali che erano spesso lacerate da discordie e divisioni che conducevano al sangue e alla morte.

I Laici e Francesco

L'entusiasmo suscitato da Francesco non si limitò solo ai giovani che volevano diventare frati, o alle ragazze che accorrevano da Chiara e negli altri monasteri, ma molti erano laici sposati e viventi nelle occupazioni del mondo; chiedevano di vivere da laici secondo il modello da Lui indicato. Nacque così il Terz'Ordine Francescano, che oggi è conosciuto come Ordine Francescano Secolare. Francesco scrisse una lettera nella quale, rivolgendosi a loro, diede le linee maestre per la loro vita

Fratello di ogni Creatura

La pace che Francesco predicava agli uomini, gli era diventata talmente familiare che egli la viveva anche con gli animali e con il creato intero.

Laudato sì, mio Signore

Quello che muoveva Francesco a un tale amore e rispetto per il creato era il continuo pensiero del Creatore di tutte le cose. E per questo motivo, che alla fine della sua vita, compose il suo famoso Cantico delle creature, dove sole, acqua, luna, vento, terra e fuoco, sono coinvolti nella lode all'Altissimo.

Il Misterioso incontro della Verna

Verso il 14 Settembre, festa dell'Esaltazione della Santa Croce, al mattino, prima dell'alba, Francesco stava pregando nel folto della foresta; improvvisamente un bagliore di luce illuminò la notte e comparve a Francesco un Angelo dalle grandi ali, che volava verso di lui: contemplando quello splendore di fuoco, Francesco vide che in realtà esso recava in sé l'immagine di un uomo crocefisso, che lo guardava con amore. Durante la visione, il Crocefisso rivolse a Francesco parole misteriose. Quando esso disparve, il corpo di Francesco ne portava i segni alle mani, ai piedi, al costato. Le piaghe di Gesù, i segni del suo dolore e del suo amore per noi, erano ormai condivise totalmente da Francesco, che portava nel corpo l'immagine del suo Amato.

"Incominciamo Fratelli"

Francesco trascorse gli ultimi due anni della sua vita portando nel corpo quelle stimmate, che egli cercava di nascondere a tutti.

Sorella Morte

Pur tra le difficoltà e tra i dolori delle malattie, Francesco era pervaso da una vera perfetta letizia e poteva pensare alla stessa morte esclamando " Ben venga sorella morte!" Consapevole delle sue condizioni, Francesco chiese di essere trasportato ad Assisi, alla Porziuncola, voleva finire là i suoi giorni. Qualche giorno prima di morire, chiamò i suoi frati, si spogliò della sua povera tunica e si stese, nudo, sulla nuda terra, e disse ai frati: " Io ho fatto la mia parte; la vostra ve la insegni Cristo". Ancora una volta prima di morire, fece chiamare i frati e li esortò all'amore di Dio, raccomandando in particolar modo l'amore fraterno, l'obbedienza alla Chiesa e la fedeltà alla santa povertà. Francesco morì al tramonto del sabato 3 ottobre 1226, presso la Porziuncola.

Il Segreto del Santo

Il segreto del suo fascino, che dura ancor oggi, sta forse nel suo presentarsi ad ogni uomo come un fratello minore; di lui nessuno ha paura, perché è il minore, cioè il più piccolo, ma tutti lo sentono vicino, perché è fratello. E' proprio questo il nome che Francesco ha scelto per sé e per i suoi compagni, chiamandoli "frati minori": fratelli di ogni uomo e minori di fronte a tutti.

 

 

Il Testamento
di San Francesco

(1226)


Il Signore dette a me, frate Francesco, d'incominciare a fare penitenza così: quando ero nei peccati, mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi; e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da essi, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza d'animo e di corpo. E di poi, stetti un poco e uscii dal mondo.

E il Signore mi dette tale fede nelle chiese, che io così semplicemente pregavo e dicevo: Ti adoriamo, Signore Gesù Cristo, anche in tutte le tue chiese che sono nel mondo intero e ti benediciamo, perché con la tua santa croce hai redento il mondo.

Poi il Signore mi dette e mi dà una così grande fede nei sacerdoti che vivono secondo la forma della santa Chiesa Romana, a motivo del loro ordine, che anche se mi facessero persecuzione, voglio ricorrere proprio a loro. E se io avessi tanta sapienza, quanta ne ebbe Salomone, e mi incontrassi in sacerdoti poverelli di questo mondo, nelle parrocchie in cui dimorano, non voglio predicare contro la loro volontà.

E questi e tutti gli altri voglio temere, amare e onorare come i miei signori. E non voglio considerare in loro il peccato, poiché in essi io riconosco il Figlio di Dio e sono miei signori. E faccio questo perché, dello stesso altissimo Figlio di Dio nient'altro vedo corporalmente, in questo mondo, se non il santissimo corpo e il santissimo sangue che essi ricevono ed essi soli amministrano agli altri.
E voglio che questi santissimi misteri sopra tutte le altre cose siano onorati, venerati e collocati in luoghi preziosi.
E dovunque troverò manoscritti con i nomi santissimi e le parole di lui in luoghi indecenti, voglio raccoglierli, e prego che siano raccolti e collocati in luogo decoroso.
E dobbiamo onorare e venerare tutti i teologi e coloro che amministrano le santissime parole divine, così come coloro che ci amministrano lo spirito e la vita.

E dopo che il Signore mi dette dei frati, nessuno mi mostrava che cosa dovessi fare, ma lo stesso Altissimo mi rivelò che dovevo vivere secondo la forma del santo Vangelo. Ed io la feci scrivere con poche parole e con semplicità, e il signor Papa me la confermò.

E quelli che venivano per abbracciare questa vita, distribuivano ai poveri tutto quello che potevano avere, ed erano contenti di una sola tonaca, rappezzata dentro e fuori, del cingolo e delle brache. E non volevano avere di più.
Noi chierici dicevamo l'ufficio, conforme agli altri chierici; i laici dicevano i Pater noster; e assai volentieri ci fermavamo nelle chiese. Ed eravamo illetterati e sottomessi a tutti.
Ed io lavoravo con le mie mani e voglio lavorare; e voglio fermamente che tutti gli altri frati lavorino di un lavoro quale si conviene all'onestà. Coloro che non sanno, imparino, non per la cupidigia di ricevere la ricompensa del lavoro, ma per dare l'esempio e tener lontano l'ozio.

Quando poi non ci fosse data la ricompensa del lavoro, ricorriamo alla mensa del Signore, chiedendo l'elemosina di porta in porta.

Il Signore mi rivelò che dicessimo questo saluto: «Il Signore ti dia la pace!».

Si guardino bene i frati di non accettare assolutamente chiese, povere abitazioni e quanto altro viene costruito per loro, se non fossero come si addice alla santa povertà, che abbiamo promesso nella Regola, sempre ospitandovi come forestieri e pellegrini.

Comando fermamente per obbedienza a tutti i frati che, dovunque si trovino, non osino chiedere lettera alcuna [di privilegio] nella curia romana, né personalmente né per interposta persona, né per una chiesa né per altro luogo, né per motivo della predicazione, né per la persecuzione dei loro corpi; ma, dovunque non saranno accolti, fuggano in altra terra a fare penitenza con la benedizione di Dio.
E fermamente voglio obbedire al ministro generale di questa fraternità e a quel guardiano che gli piacerà di assegnarmi. E così voglio essere prigioniero nelle sue mani, che io non possa andare o fare oltre l'obbedienza e la sua volontà, perché egli è mio signore.

E sebbene sia semplice e infermo, tuttavia voglio sempre avere un chierico, che mi reciti l'ufficio, così come è prescritto nella Regola.

E tutti gli altri frati siano tenuti a obbedire così ai loro guardiani e a recitare l'ufficio secondo la Regola. E se si trovassero dei frati che non recitassero l'ufficio secondo la Regola, e volessero comunque variarlo, o non fossero cattolici, tutti i frati, ovunque sono, siano tenuti, per obbedienza, ovunque trovassero uno di essi, a consegnarlo al custode più vicino al luogo ove l'avranno trovato. E il custode sia fermamente tenuto, per obbedienza, a custodirlo severamente, come un uomo in prigione, giorno e notte, così che non possa essergli tolto di mano, finché non lo consegni di persona nelle mani del suo ministro. E il ministro sia fermamente tenuto, per obbedienza, a farlo scortare per mezzo di tali frati che lo custodiscano giorno e notte come un prigioniero, finché non lo consegnino al signore di Ostia, che è signore, protettore e correttore di tutta la fraternità.


E non dicano i frati: «Questa e un'altra Regola», perché questa è un ricordo, un'ammonizione, un'esortazione e il mio testamento, che io, frate Francesco piccolino, faccio a voi, miei fratelli benedetti, perché osserviamo più cattolicamente la Regola che abbiamo promesso al Signore.
E il ministro generale e tutti gli altri ministri custodi siano tenuti, per obbedienza, a non aggiungere e a non togliere niente da queste parole.

E sempre tengano con sé questo scritto assieme alla Regola. E in tutti i capitoli che fanno, quando leggono la Regola, leggano anche queste parole.

E a tutti i miei frati, chierici e laici, comando fermamente, per obbedienza, che non inseriscano spiegazioni nella Regola e in queste parole dicendo: «Cosi si devono intendere»; ma, come il Signore mi ha dato di dire e di scrivere con semplicità e purezza la Regola e queste parole, cosi cercate di comprenderle con semplicità e senza commento e di osservarle con sante opere sino alla fine.

E chiunque osserverà queste cose, sia ricolmo in cielo della benedizione dell'altissimo Padre, e in terra sia ricolmo della benedizione del suo Figlio diletto col santissimo Spirito Paraclito e con tutte le potenze dei cieli e con tutti i santi. Ed io frate Francesco piccolino, vostro servo, per quel poco che io posso, confermo a voi dentro e fuori questa santissima benedizione. [Amen].

Esortazione
del Nostro Padre San Francesco

Fratelli dilettissimi e figli in eterno benedetti,
ascoltatemi, ascoltate la parola del vostro Padre:
Grandi cose abbiamo promesso,
cose maggiori ci sono state promesse.
Osserviamo le une, aspiriamo alle altre.
Momentaneo è il piacere, eterna la pena.
Piccola la sofferenza, infinita la gloria.
Molti i chiamati, pochi gli eletti:
per tutti ci sarà la retribuzione.
Amen
.



Laudi e Preghiere ( dagli scritti di San Francesco)

 Tau - il simbolo di San Francesco

 

Fra’ Pace e Bene

Le Sacre stimmate di S. Francesco

Le Celle di Cortona

 Vai a :I Frati più amati dal popolo