Volendo ora percorrere il versante est di Santa Caterina, aggiriamo la punta della Montagna Grossa e, oltrepassata l'orrida
"Ciaccazza Niura", antro quasi verticale di cui non si conosce praticamente il fondo, si arriva alla non meglio denominata
"Purtedda"; ultimo passo prima di scivolare giù, di nuovo, verso il Faraglione.
Benché arida e pietrosa a "Purtedda" ci attira lo stesso, perché conserva nella sua rada flora, ancora qualche esemplare di
Mirto.
A "Murtidda" presso i Romani, era pianta consacrata a Venere. Essi, che erano usi alle solennità, cingevano gli eroi e le giovani spose delle sue foglie, perché consideravano questa pianta capace di dare l'immortalità e la bellezza. Caro ai poeti, questi facevano spesso menzione del mirto nelle loro odi, perché pare che infondesse agli uomini anche carica ed amore spirituale. Ai giorni nostri, più prosaicamente, si utilizzano le foglie nella preparazione di solette deodoranti delle scarpe o per la concia delle selle dei cavalli. Per preparazioni farmaceutiche si usano le foglie secche. Contro la tosse e le emorragie si faccia infusione di 1 gr. di esse in 100 cc. di acqua calda e se ne prendano 2-3 tazze al dì. Lo stesso liquido si può usare come disinfettante.
Come si può notare è come se fossimo tornati indietro sui nostri passi, ma era doveroso farlo, perché non ci sarà più possibile, una volta lasciate queste quote, dominare, con un solo sguardo, il selvaggio canale di Sicilia e le dolci coste della punta estrema della Trinacria Occidentale.
Adesso, però è proprio necessario puntare verso il lato che guarda il paese e per questo ci affacciamo su di una delle valli più scoscese di questa parte della montagna:
"U canali a petra".
In questo momento Favignana, paese e lato Piana, sono ai nostri piedi, ma non meno bella è la cornice che le circonda: Levanzo, Pizzo Monaco, Pizzo Cofano, Erice, la costa dello Stagnone, Mothia, Marsala, fanno bella mostra di sé, perché meglio non poteva disegnarli il Massimo
Autore. La vista è superba, ma veniamo distratti dall'ammirare perché le nostre narici si arricciano al forte quasi fastidioso odore della
Ruta.
"Aruta" è una di quelle piante che bisogna trattare con i guanti gialli, perché può dare qualche dispiacere se usata a vanvera.
Nonostante il consiglio che dà la Scuola Salernitana, nel suo "Reginem Sanitatis", cioè di utilizzarla per rendere acuta la vista, è opportuno cercare altre soluzioni al problema, perché essa può risultare tossica.
Meglio conservare qualche suo rametto a casa, perché potremo stare sicuri che non entreranno più topi.
Un consiglio da tenere in considerazione è quello di usare il decotto forte di ruta contro i pidocchi.
Anche i cacciatori che vogliono liberare i loro cani dalla piaga costituita da pulci o zecche, la possono adoperare a mò di bagno ed il residuo del lavaggio deve essere usato per irrorare la cuccia ed il terreno circostante: esso ucciderà o allontanerà gli insetti ancora presenti in zona. Si utilizzano le foglie secche in infusione. Come vermifugo, antispastico e per agevolare il ciclo mestruale si metta 1/2 gr. Di esse in una tazza di acqua calda e si prendono 2-3 tazze al dì.
Scendendo più in basso ci troviamo circondati da una intera tribù di Euforbie.
Anche "U Camarruni" fa parte del nostro paesaggio naturale più vero. E' pianta fortemente velenosa, quindi da non usare per via interna. Essa, però, coltivata in maniera intelligente, potrebbe diventare il carburante del 2000, perché recentissimi studi sulla produzione di biogas, attraverso l'uso di digestori, hanno dimostrato che le euforbie hanno una capacità bioenergetica di altissimo valore. Chissà che non ci si decida un giorno ad abbandonare le fonti energetiche inquinanti e non rinnovabili a favore dell'energia pulita e riproducibile.
E' molto bello costeggiare il tratto di montagna che va dal Faraglione, lato Nord-Est, fino a raggiungere il (se mi è concesso) "decadente" Stabilimento Florio.
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Il sentiero spesso scompare, ma lo stimolo è troppo forte per desistere. Ci sono da vedere le belle insenature, che nascondono gli ingressi delle grotte a mare di Favignana e molte piante medicinali. Riconoscibile dai suoi fiori bianchi e dai frutti disposti ad ombrello, trovare ancora qualche esemplare di
Carota è cosa fortuita.
"A Vustunaca" si può distinguere dalle altre sorelle della famiglia delle ombrellifere, perché una macchia rossa al centro del fiore bianco rende evidente la differenza. E' una pianta commestibile; la sua radice a fittone costituisce un elemento di contorno culinario fra i più gustosi, ma è anche apprezzata per le sue qualità medicamentose. Le porzioni di pianta utilizzate sono le radici, i semi e le foglie secche. La carota è un vero toccasana; il suo succo serve come diuretico, antidiarroico, vermifugo, per gli abbassamenti di voce,
contro le ustioni, nelle ulcere gastriche e come ipoglicemizzante. Berne a
volontà.
Percorriamo ancora un breve tratto ed arriviamo sotto la vergognosa cava di pietra che ha sventrato una parte della montagna e che nessuno si è mai preoccupato di risanare.
Non raggiungiamo lo stabilimento Florio, perché, più in alto, ci
aspettano personaggi semplici e importanti e poi il grosso fantasma di quella struttura mi riporta alla mente ricordi piacevoli, ma troppo lontani e pertanto tristi. Immagini di mattanze ricche, ma rispettose dell'equilibrio naturale, in quella che è la lotta per
la sopravvivenza, suoni di canti di ringraziamento dei tonnaroti, antichi quanto il mare ed il vociare festoso per la pesca effettuata, fonte sicura di lavoro e di benessere per tutti. Adesso il silenzio, che circonda tutto ciò che era vivo un giorno, fa paura e la tanta agognata quiete è rumore fastidioso per orecchie piene di suoni nostalgici. Saliamo quindi verso la pace vera ed anneghiamo i dispiaceri nel verde sottobosco
"du canali du Adduni" (Valle della Beccaccia).
E' una grossa ferita naturale nel fianco della montagna, indolore però, perché ricchissima di vegetazione, ombra e frescura. Esso va
"du Chianu a Campagna" fino al mare, tagliata a metà da una vecchia strada militare.
Quest'ultima sale dal paese fino alla "Purtedda du Cervu" per scendere poi, con larghi tornanti, dal lato ovest della Montagna Grossa, terminando il suo tracciato
"o Canalazzu": è il reale collegamento, quindi tra le due valli più ricche di verde dell'Isola.
Lungo questa strada, fra evidenti irregolarità cresce la Neppetella. "A
Nippitedda" emana un profumo che si percepisce anche senza raccogliere la pianta, che è una varietà di timo. Esile e longilinea, con i suoi piccoli fiori bianco rosati, riesce a dare un tocco di delicatezza al posto aspro in cui cresce. Ad essere usata è tutta la pianta che si conserva dopo secca. Si preparano aromatici infusi con 1 gr. di essa in 100 cc. di acqua per bevande contro i crampi di stomaco, nell'insonnia, nel nervosismo e come digestivo.
Stanchi ma non paghi cerchiamo ristoro fra le frescure umide da
"Ficaredda". Qui, una volta, cresceva un esemplare di fico mastodontico che poteva essere portato ad esempio come degno rappresentante della sua specie. Esso, che era nascosto alla vista di alte acacie, pini marini e qualche cipresso (tutti coltivati però) non esiste più, perché non è scampato alla distruzione che di alberi e di ambiente è stato fatto nella zona, per far posto ad un acquedotto che non porterà mai acqua.
Non solo quando è stato realizzato non esistevano fonti di approvvigionamento in terra ferma, ma adesso le condutture obsolete, sono ormai inservibili. Tutto questo entrerà nel novero delle "cattedrali nel deserto" inutilizzate e quindi inutili. Del fico e delle sue qualità parleremo durante la prossima passeggiata; per ora diamo riposo alla nostra mente confusa e ferita dal pensiero dei troppi guasti che l'uomo cinicamente è capace di apportare all'ambiente in cui vive e quindi stupidamente contro se stesso.
(
segue )
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