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PAG. 3 - MOZIA CITTA' FENICIO PUNICA

I dati desunti dalla Bibbia, fanno rientrare il rito in un tipo di offerta di primizie e di rigenerazione divinizzante, comunque non completamente isolato nell'ambito del vicino oriente.
Conviene ricordare che il rito funerario in Fenicia registra come regola l'inumazione, con la pratica parallela della cremazione, dallo scorcio del II millennio fino al VI secolo a.c. circa; in epoca Ellenistica i due riti coesistono largamente.
 

fig. 9

  

Diodoro nel XX libro, asserisce che presso questi ( Fenici o Cartaginesi), si trovasse una statua di bronzo dedicata a Cronos, che protendeva le mani aperte, cosi inclinate verso il basso, che il fanciullo là posto, rotolava e precipitava in una voragine di fuoco.
Giova ricordare che quando Gerone di Siracusa stipulò un trattato di pace con i Cartaginesi, dopo averli sconfitti nella battaglia di Himera nel 480 a.c. decretasse l'abolizione dei sacrifici umani.
Altra località interessante è il Cappidazzu. Questo è costituito da un muro di cinta quadrangolare di metri 27x35. Sul lato destro di questo sono incassate le fondamenta di un edificio a tre navate, che sembra posteriore. Degli altri edifici rimane assai poco, essendo stati utilizzati per altre costruzioni. 
Dagli scavi del centro abitato sono emerse due strade ad andamento nord-sud ed est-ovest. Sulla seconda sono state trovate le fondamenta di un edificio sacro in cui si possono distinguere spazi destinati ai sacrifici e sale adibite ad ospitare i fedeli.
Nel tardo V secolo, forse dopo che i Cartaginesi saccheggiarono la città greca di Selinunte, Mozia acquisì grande importanza sia come porto che come mercato, particolarmente per i tessuti tinti con la porpora.
Furono di nuovo ricostruite le mura della città, circa venti torri quadrate dai parapetti merlati, si alternavano ai bastioni, ai corpi di guardia, ai portoni e alle scale che conducevano alle mura (fig.7-8-9-10).
 

  

La porta nord che si apriva sulla strada rialzata per Birgi (fig11), fu ricostruita con due portoni, uno dietro l'altro; ognuno aveva due archi, quello interno con un doppio e quello esterno con un triplo sbarramento. Erano fiancheggiati da forti bastioni poligonali.
Queste sono le mura che ancora oggi si vedono ai margini dell'isola.
Ma Mozia aveva i giorni contati e, poco tempo dopo la loro costruzione, le nuove difese, si dimostrarono già inadeguate (fig.12).
Nel 397 a.c., infatti Dioniso il vecchio, nella guerra contro i Cartaginesi, si spinse fino ai limiti occidentali della Sicilia ed assediò Mozia, usando per la prima volta una nuova arma, la catapulta o balista.
 

fig. 10

  

Tali catapulte erano capaci di proiettare" proiettili a punta penetrante", a grandi distanze. Ne sono stati trovati molti nelle vicinanze della porta nord.
Soltanto una difesa in profondità, quale la fortezza di Eurialo a Siracusa, poteva resistere al loro assalto.
Come scrisse Diodoro: Dioniso dopo aver messo a ferro e fuoco tutto il territorio soggetto ai Cartaginesi, condusse le sue forze contro Mozia con la speranza che riuscendo ad impossessarsi di questa, tutte le altre città sarebbero cadute nelle sue mani. Durante la sua avanzata 
Egli ricevette di tanto in tanto, contingenti dalle città greche, ciascuna delle quali lo rifornì di armi, dal momento che erano tutti impazienti di unirsi alla sua campagna, detestando la durezza della dominazione fenicia e pregustando alla fine, la prospettiva della libertà.
Egli ricevette prima, il contingente da Kamarina, poi da Gela e Agrigento e in seguito, egli si fece inviare quello degli Imeresi, la cui patria era dall'altra parte della Sicilia ed infine, dopo avere aggiunto gli uomini di Selinunte durante il passaggio, Dioniso arrivò a Mozia con tutto il suo esercito.
Aveva 80.000 fanti, ben più di 3.000 cavalieri e poco meno di 200 navi da guerra ed era accompagnato da non meno di 500 navi mercantili cariche di un gran numero di macchine da guerra e tutti gli altri rifornimenti necessari.
Poiché l'armamento era così imponente come abbiamo descritto, gli abitanti di Erice furono intimoriti dalla grandezza della forza, e dal momento che odiavano tanto i Cartaginesi, passarono dalla parte di Dioniso.
Gli abitanti di Mozia, invece aspettando l'aiuto da Cartagine, non si spaventarono di fronte all'esercito di Dioniso, ma si prepararono a sostenere un assedio; infatti erano ben consapevoli che Mozia sarebbe stata la prima città ad essere saccheggiata dai Siracusani, perché era la più fedele ai Cartaginesi.
Questa città si trovava a sei stadi dalla Sicilia ed era ornata artisticamente al massimo grado con molti ed eleganti edifici grazie alla prosperità dei suoi abitanti. Aveva anche una strada rialzata artificiale che si estendeva fino alla spiaggia della Sicilia, che gli abitanti di Mozia avevano tagliato affinché il nemico non avesse modo di avvicinarsi loro (fig.11).
Dioniso dopo aver perlustrato la zona con i suoi soldati del genio, iniziò a costruire dei moli che portavano a Mozia, tirò le navi da guerra in secco all'ingresso del porto ed ormeggiò le navi mercantili lungo la spiaggia. Poi lasciò il suo ammiraglio Leptino al comando dei lavori, mentre egli stesso mosse con i suoi fanti contro le città alleate dei Cartaginesi.

I Sicani temendo la grandezza dell'esercito, passarono dalla parte dei Siracusani, mentre delle altre città soltanto cinque rimasero fedeli ai Cartaginesi e queste furono: Alicia, Solunte, Egesta , Palermo ed Entella.
Allora Dioniso saccheggiò il territorio di Solunte e Palermo ed anche quello di Alicia ed abbatté gli alberi che lì c'erano, invece assediò Egesta ed Entella con grandi forze e continuamente le attaccò cercando di ottenerne il controllo con la forza. Tale era la situazione di Dioniso.
Imilcone, il generale dei Cartaginesi, impegnato nel radunare l'armamento ed altri preparativi, inviò un suo ammiraglio con dieci triremi con l'ordine di salpare rapidamente in segreto contro Siracusa, entrare nel porto di notte e distruggere la flotta che vi era stata lasciata.
Questo egli fece, sperando di causare una diversione e di costringere Dioniso a rimandare parte della sua flotta a Siracusa.
L'ammiraglio che era stato inviato eseguì gli ordini con prontezza ed entrò nel porto dei Siracusani di notte, mentre tutti erano ignari di ciò che era successo. Attaccando di sorpresa, egli speronò i vascelli ormeggiati lungo la spiaggia, li affondò quasi tutti e tornò a Cartagine.
Nel frattempo Imilcone, l'ammiraglio dei Cartaginesi, avendo saputo che Dioniso aveva tirato le sue navi da guerra in secco, armò le sue migliori cento triremi, dal momento che pensava che se fosse apparso all'improvviso, facilmente si sarebbe impossessato delle navi che erano state tirate in secco nel porto, poiché sarebbe stato il padrone del mare.
 

fig. 11

  

Una volta che egli fosse riuscito in questo, egli credeva, non soltanto avrebbe posto fine all'assedio di Mozia, ma avrebbe anche spostato la guerra nella città dei Siracusani.
Salpando quindi con cento navi, giunse di notte nel territorio di Selinunte, navigò attorno al promontorio di Lilibeo e all'alba arrivò a Mozia.
Dal momento che la sua venuta colse di sorpresa il nemico, egli distrusse alcune navi ormeggiate lungo la spiaggia e ne bruciò altre, poiché Dioniso non poté giungere in loro difesa. In seguito entrò nel porto e dispose le sue navi come per attaccare quelle che il nemico aveva tirato in secco.
Dioniso radunò il suo esercito all'entrata del porto, ma quando vide che il nemico era pronto ad attaccare non appena le navi avessero lasciato il porto, si rifiutò di correre il rischio di far salpare le navi, poiché si rese conto che lo stretto ingresso avrebbe costretto poche navi a confrontarsi con un nemico molte volte più numeroso. Di conseguenza impiegando i suoi numerosi soldati, egli senza difficoltà fece tirare in secco le sue navi e le mise in mare fuori dal porto.
Imilcone attaccò le prime navi, ma fu fermato dal gran numero di dardi, dal momento che Dioniso aveva munito le navi con molti arcieri e frombolieri e i Siracusani uccisero molti nemici usando, da terra, catapulte che lanciavano corti dardi appuntiti. Il risultato fu che Imilcone non poté portare a termine il suo piano e se ne ritornò in Libia, credendo che una battaglia per mare sarebbe servita a ben poco, dal momento che le navi del nemico erano il doppio delle sue.
Dopo che Dioniso ebbe completato il molo, utilizzando un gran numero di lavoratori, egli fece avanzare ogni sorta di macchine da guerra contro le mura e continuò a colpire le torri con i suoi arieti, mentre con le catapulte teneva a bada i soldati sugli spalti. Fece anche avanzare contro le mura le sue torri dotate di ruote, alte sei piani, che aveva fatto costruire per uguagliare l'altezza degli edifici. Gli abitanti di Mozia, neppure ora che il pericolo era ben vicino, si spaventarono di fronte all'armamento di Dioniso, sebbene non avessero per il momento alleati che li potessero aiutare.
Superando in sete di gloria gli assedianti, in primo luogo collocarono alcuni uomini in gabbie appoggiate in cima a pennoni alti il più possibile e costoro dalla loro posizione elevata, scagliavano tizzoni accesi e stoppa e pece ardente sulle macchine da guerra del nemico.
Il fuoco rapidamente divampò nel bosco ma i Sicilioti, lanciandosi in soccorso, prontamente lo spensero. Nel frattempo i colpi continui degli arieti, distrussero una parte delle mura.
Da questo momento entrambe le parti si precipitarono allo stesso tempo in quel luogo e la battaglia che ne seguì divenne furiosa. Infatti i Sicilioti, credendo che la città fosse già in loro mani, non risparmiarono gli sforzi nel vendicarsi contro i Fenici per le precedenti ingiustizie che avevano subito per mano loro, mentre gli abitanti della città, presagendo il terribile fato di una vita di prigionia e non vedendo alcuna possibilità di fuga né per terra né per mare, affrontarono la morte risolutamente. E trovandosi privati della difesa delle mura, barricarono le strette vie e fecero in modo che gli ultimi edifici offrissero una difesa la più valida possibile. Da ciò derivarono difficoltà maggiori per le truppe di Dioniso. Infatti dopo che ebbero sfondato le mura e sembrava che già fossero padroni della città, furono colpiti dai dardi lanciati dagli uomini appostati in posizioni elevate. Tuttavia fecero avanzare le torri di legno fino ai primi edifici e li fornirono di passerelle (queste erano piccoli ponti che potevano essere fatti scendere dalle torri fino alle mura di fronte ed in questo caso sino agli edifici); e dal momento che le macchine per l'assedio avevano la stessa altezza degli edifici, il resto della lotta fu corpo a corpo. Infatti i Sicilioti lanciarono le passerelle e per mezzo di queste si aprirono un varco sino agli edifici.
 

fig. 12