Non bisogna, però, confondere il nome Punico con Fenicio!
Fenicio è tutto ciò che ha espresso la civiltà promanante dalle coste della Siria, Libano ed Israele. Per Punico si intende tutto ciò che emanò da Cartagine, quale integrazione tra civiltà fenicia e quella locale. Oltre a questo bisogna distinguere tutto ciò che è Cartaginese vero e proprio da quello che è promanazione di Cartagine e quindi punico e rientrante nella sua sfera imperiale.
Queste manifestazioni vanno dall'ottavo secolo a.c. sino al 146 a.c. data della distruzione di Cartagine ad opera dei Romani.
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Osservando una carta geografica del mediterraneo risulta difficile dire che i Fenici si fossero disinteressati della Sicilia, infatti si può asserire che vi fu in Sicilia una fase di colonizzazione fenicia, prima di quella punica e che quella non poté lasciare traccia, perché limitata soltanto a scali, uffici commerciali e rappresentanze. In questa ottica è meglio interpretabile il passo di Tucicide già citato, anzi da esso si possono desumere le caratteristiche principali dei Fenici e cioè che preferivano abitare sui promontori ed isole prospicienti la costa, ovunque questo fosse possibile (fig.3). "I Fenici abitavano qua e là per tutta la Sicilia, dopo aver occupato i promontori sul mare e le isolette adiacenti, per favorire i loro commerci con i Siculi. Quando poi i Greci arrivarono al mare in gran numero, lasciata la maggior parte del territorio, si concentrarono a Mozia, Solunto e Palermo, presso gli Elimi, fiduciosi della loro alleanza e del fatto che quel punto della Sicilia distava pochissimo da Cartagine (Tucidide VI,2,6).
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Gli storici antichi distinguevano nell'isola di Sicilia al momento della colonizzazione greca, due grandi regioni: quella orientale abitata dai Siculi e quella occidentale dai Sicani. Il confine, se pur si può parlare di confine, era costituito dalla parte meridionale del fiume Imera (Salso).
L'ultimo lembo occidentale, corrispondente alla provincia di Trapani ed una parte di Palermo, costituiva il territorio degli Elimi.
L'origine dei Siculi e dei Sicani, al momento attuale degli studi, è italica, mentre quella degli Elimi non è precisamente individuabile.
La tripartizione suddetta, se si prescinde dalle origine assegnate dalle fonti, trova riscontro in tre aspetti culturali diversi (fig.4).
I base allo studio del materiale archeologico si nota una cultura sud orientale, una centro occidentale ed una nord occidentale.
Riguardo agli Elimi, la tradizione risalente ad Ellanico di Metilene, tramandataci da Diogene di Alicarnasso, li diceva provenienti dall'Italia pochi anni prima dei Siculi, cacciati dagli enotri.
Un'altra tradizione seguita da Tucidide li considerava un gruppo etnico formatosi localmente e risultante dall'incrocio di un gruppo di Troiani, fuggiti agli Achei dopo la distruzione di Troia, con le popolazioni sicane.
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Ad essi si sarebbe poi aggiunto, un gruppo di Focesi, anch'essi reduci da Troia.
I più recenti scavi dimostrano che gli Elimi abitavano la costa occidentale della Sicilia e che verosimilmente avevano in comune con i Fenici un'origine orientale, fatto che giustificherebbe la loro amicizia.
Che i Fenici abitassero tutta la Sicilia è sembrato impossibile a molti studiosi, ma riprendendo il testo greco (Tucidide) e studiando le parole originali:" eklipontes ta pleio", avendo abbandonato quello che era di più, si può capire come non vi siano ricordi o tracce di battaglie.
Infatti gli stanziamenti fenici avevano caratteristiche assai diverse da quelle dei Greci. Recenti reperti soprattutto a Tapsos ( costa orientale della Sicilia), sembrano confermare quanto precede.
Nel passo tucidideo si dice chiaramente come i Fenici, sotto l'incalzare dei Greci, provenienti d'oltre mare, si concentrassero a Mozia, stabilendo in essa un forte stanziamento di popolazione e munendola di una cerchia continua di poderose mura.
Quest'isola ha attualmente un'ampiezza di circa 45 ettari e fa parte di un sistema insulare collocato davanti alla costa occidentale della Sicilia.
Una di queste isole, denominata Isola grande, circoscrive una laguna ad ovest di Mozia, lasciando due bracci di mare libero, uno a Nord, l'altro a Sud (fig.5).
Nell'alto medioevo prese il nome di isola di S.Pantaleo, a causa dello stabilirsi in essa di una comunità di Monaci. Dalla fine del secolo scorso è proprietà privata di Whitaker.
Gli scavi portati nell'isola non hanno recato alla luce tutta la cerchia di mura all'interno della quale si trovano i reperti più importanti.
A titolo di curiosità si ricorda, come alla fine del secolo scorso, Schlieman vi scavasse per qualche giorno.
In passato chi vi lavorò per lungo tempo fu il proprietario stesso.
Dal 1964 una missione italiana vi effettua degli scavi coerenti.
Anche una missione inglese vi conduce a partire dal 1955 una
campagna discontinua.
Dall'insieme di questi scavi si può dedurre come l'isola fosse
abitata già prima dell'arrivo dei Fenici da popolazioni
autoctone. Alcuni scavi effettuati al centro dell'isola hanno
portato alla luce resti di capanne preistoriche e ad ovest
dell'isola una necropoli arcaica.
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In
questa vi sono resti di persone cremate, all'interno di vasi o
brocche. Insieme al materiale indigeno si trovano dei vasi
importati, per i quali si può prospettare una datazione prossima
alla fine dell'VIII secolo a.c.
La data di fondazione di Mozia fenicia non può essere tenuta
lontana da questa datazione(VIII secolo).
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La vicenda storica di questa città ci è del tutto sconosciuta, a
parte la data di nascita, di certo anteriore al brano di Tucidide
sopra riportato, che ci richiama all'ottavo secolo; un'altra data
certa è quella della sua distruzione.
Diodoro siculo ( XIV-47,53), infatti descrive con molti
particolari la distruzione di questa città, da parte di Dionigi
di Siracusa, avvenuta nel 397 a.c.
Che la città fosse importante si può derivare dal fatto che
Dionigi puntasse tutte le sue forze per espugnarla, convinto che,
caduta Mozia, tutte le città puniche si sarebbero arrese.
Prima di raccontare la fine di Mozia, Diodoro ne descrive
l'opulenza: case costruite su molti piani per ragioni di spazio,
erano abbellite artisticamente grazie alla "prosperità degli
abitanti".
L'esplorazione archeologica sta confermando tutte le testimonianze
storiche: infatti le basi delle mura mostrano ancora i segni
dell'incendio che incenerì la città. Queste ancora oggi cingono
per intero l'isola, in alcuni punti lambendo il mare. Sono
costituite da massi talora irregolari, in pietra locale, talora in
pietra tufacea assai regolarmente squadrata.
Le mura erano rafforzate da torri squadrate poste ad intervalli
non regolari e, delle numerose porte rimangono quella a nord e
quella a sud.
La datazione dell'opera è piuttosto difficile, ad ogni modo viene fatta risalire al VI secolo a.C.(fig.6).
La porta nord è costituita da due torri sbieche che danno accesso ad una strada che entra nella città, sbarrata a sua volta da un complesso di porte (tre per due) che ricorda le porte Scee.
Da alcuni elementi architettonici di edifici più antichi, riadoperati nella costruzione dei torrioni, si può asserire che questi fossero stati costruiti in epoca più tarda, forse all'approssimarsi di Dionigi di Siracusa. I torrioni della porta sud sono invece ben integrati nelle mura. Essi sono costruiti in scaglie di pietra a differenza di quelli di porta nord. Immettono nella città, anche se la strada sembra sbarrata da un muro semicircolare. Forse questo serviva a rendere più difficoltoso l'ingresso ai nemici. Ad ovest di questa porta si apre una piccola rada, "kothon", che è stata considerata come il porto, ma alla luce dell'importanza cui assurse Mozia, sembra debba essere considerato come un bacino di carenaggio (fig.7-8).
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Porto dovette essere tutta la laguna attorno l'isola (fig.5).
Gli scavi attuali si sono polarizzati in tre località: il Tophet, il Santuario in località Cappidazzu ed il centro abitato.
Tophet, in aramaico significa luogo di arsione.
Quando i coloni sbarcavano in una nuova terra, facevano un sacrificio: uccidevano e bruciavano, in onore delle divinità, il loro primo figlio. Raccoglievano il materiale combusto, lo mettevano in alcuni vasi, li sotterravano e sulla superficie della terra di copertura conficcavano una stele.
Consacravano così una località con il nome di Tophet. Quello di Mozia è consacrato al dio Ba'al Hammon, come si può vedere in numerosissime stele.
Le deposizioni nel Tophet di Mozia vanno dal VII al III secolo a.C. come si può vedere dal diverso tipo di vasi urna. Sono state rinvenute almeno 700 stele e nei pressi di una rudimentale ara, delle maschere di terra cotta in cui sono resi in modo tipicamente punico, il taglio degli occhi e della bocca; una di queste sembra avere avuto significato apotropaico.
Per quanto riguarda il culto basterà ricordare l'incidenza che nel mondo fenicio ha il sacrificio: il rito acquista ulteriore pregnanza simbolica quando si consideri che l'oggetto primo è l'uomo.
Il libro dei Re e di Geremia sono espliciti sulla natura del sacrificio e sulla ambientazione fenicia, che ben si deduce dalla dichiarazione di estraneità che i testi biblici ripetutamente sottolineano rispetto al culto israelitico:
"E costruirono un altare di tophet nella valle del figlio di Ennon per bruciarvi i figli e le figlie loro nel fuoco; ciò che io non ho prescritto mai, ne mai mi venne in mente. Perciò verrà il tempo, dice il Signore, che non si chiamerà più tophet, né valle del figlio di Ennon, bensì valle dell'eccidio e seppelliranno in tophet per mancanza di posto".
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