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PAG. 4 - MOZIA CITTA' FENICIO PUNICA

I Moziani appena si resero conto della grandezza del pericolo e con le loro mogli e d i loro figli avanti agli occhi, combatterono ancora più ferocemente per paura del loro destino. Alcuni, i cui genitori stavano al loro fianco supplicandoli di non lasciarli in balia al volere spietato dei vincitori, furono portati a tal punto da non attribuire alcun valore alla vita; altri quando udirono i lamenti delle loro mogli e dei figli indifesi, cercarono di morire da uomini piuttosto che vedere i loro cari ridotti in cattività.
La fuga dalla città, naturalmente era impossibile, dal momento che era completamente circondata dal mare, che era controllato dal nemico.
 

fig. 13

 

La cosa più spaventosa per i Fenici ed il motivo più grande di disperazione era il pensiero di come avevano trattato crudelmente i loro prigionieri greci e la prospettiva di subire lo stesso trattamento. In verità non rimaneva loro nient'altro che combattere coraggiosamente per vincere o morire. Quando una tale ostinazione riempì gli animi degli assediati, i Sicilioti si trovarono in una posizione molto difficile. Infatti combattendo da ponti di legno sospesi, essi soffrivano gravemente sia a causa degli stretti posti di combattimento che per la disperata resistenza dei loro avversari che avevano abbandonato ogni speranza di vita.
Il risultato fu che alcuni morirono nello scontro corpo a corpo mentre davano e ricevevano colpi e altri, respinti dai Moziani, cadendo dai ponti di legno, trovarono la loro morte in terra.
Infine, mentre questo tipo di assedio che abbiamo descritto era durato per alcuni giorni, Dioniso prese l'abitudine di far suonare la tromba sempre verso sera, per richiamare i combattenti e far cessare l'assedio. Quando ebbe abituato i Moziani ad una tale pratica, ritirandosi i combattenti da entrambe le parti, egli inviò Archilo di Turio con alcune truppe scelte che, quando scese la notte, piazzarono le scale contro le case crollate e salendoci sopra conquistarono una posizione vantaggiosa da dove far entrare le truppe di Dioniso.
I Moziani quando si resero conto di ciò che era successo, subito si precipitarono in soccorso con ardore e sebbene fosse troppo tardi, tuttavia affrontarono la lotta. La battaglia divenne feroce e numerosi rinforzi salirono le scale finché alla fine i Sicilioti ebbero la meglio sui loro avversari, per numero. Immediatamente l'intero esercito di Dioniso irruppe nella città arrivando anche dal molo ed ora ogni luogo era teatro di un massacro.
Infatti i Sicilioti, desiderosi di ricambiare crudeltà con crudeltà, massacrarono tutti quelli che incontravano senza risparmiare né bambini né donne né vecchi.
Dioniso desiderando di vendere gli abitanti come schiavi per il denaro che ne avrebbe tratto, prima cercò di trattenere i soldati dal trucidare i prigionieri ma, quando vide che nessuno gli prestava attenzione e che la furia dei Sicilioti non si poteva controllare, piazzò dei messaggeri che gridassero ai Moziani di rifugiarsi nei templi che erano rispettati dai Greci. Fatto questo, i soldati cessarono il loro massacro e si diedero a saccheggiare le proprietà. 
Il saccheggio fruttò molto argento e non poco oro, costose vesti ed abbondanza di ogni altro prodotto di felicità.
La città fu consegnata da Dioniso ai soldati per saccheggiarla poiché desiderava stimolare i loro appetiti per le future battaglie.
Dopo questo successo ricompensò Archilo che era stato il primo a scalare le mura, con 100 mine e onorò secondo i loro meriti, tutti gli altri che avevano compiuto gesti eroici.
Vendette anche come bottino i Moziani che erano sopravvissuti, ma fece crocifiggere Daimene e gli altri Greci che avevano combattuto dalla parte dei Cartaginesi ed erano stati fatti prigionieri.
 

 Dopo di ciò Dioniso appostò in città delle guardie che mise sotto il comando di Bitone di Siracusa; la guarnigione era composta in gran parte di Siculi.
Ordinò al suo ammiraglio Leptino con 120 navi, di rimanere in attesa, nel caso i Cartaginesi tentassero di arrivare in Sicilia e gli affidò anche l'assedio di Egesta ed Entella, secondo il piano originale di saccheggiarle.
Poi dal momento che l'estate stava già terminando, egli ritornò a Siracusa con il suo esercito (Diodoro Siculo, libro XIV, 46-53).
 

 

Si è asserito che dopo la distruzione del 397 Mozia non riprese più l'aspetto di nucleo abitato; ma di recente molte sono le testimonianze emerse da cui si può desumere che dovette risorgere ad un certo splendore.
Appartengono al periodo ellenistico ( IV sec. a.c.) i mosaici di una casa già messi in luce da Whitaker.
Questa presenta nel suo peristilio un mosaico in ciottoli di fiume, neri e bianchi di chiara influenza greca, rappresentanti lotte tra animali (fig.13).
Questo tema figurativo è noto come tipico del repertorio artistico del vicino Oriente.
Nell'isola c'è un museo dove sono stati raccolti tutti i reperti degli scavi antichi e recenti della zona, compresa Lilibeo. Insieme al museo di Cartagine costituisce la più notevole raccolta di reperti punici. 
I Punici, per delle ragioni commerciali a noi ignote, non importavano marmo. Forse la domanda non giustificava il costo del trasporto; un fatto è certo: i Punici preferivano acquistare le loro statue già scolpite, il che spiega il numero limitato di questi monumenti a Cartagine e la loro scomparsa in occasione del saccheggio della città.
 

fig. 14

 

L'impianto evoluto della città di Mozia, dovette conoscere, anche in rapporto con il cospicuo influsso greco, numerosi esempi di statuaria e di rilievo monumentale. Purtroppo allo stato attuale delle ricerche, solamente due reperti attestano la presenza di tale produzione nell'isola, che pure conobbe un artigianato lapideo dei più originali e fiorenti. Il primo è un gruppo che riproduce due leoni nell'atto di azzannare un toro, il secondo rinvenuto nelle acque dello Stagnone, è una statua acefala in roccia vulcanica. La figura virile della statua, vista di prospetto indossa un gonnellino di tipo egiziano, ha il braccio destro disteso lungo il fianco ed il sinistro ripiegato ad angolo, sul petto.
Il ritrovamento che ha destato più stupore, è però quello del cosiddetto "giovane in tunica". Questo, costruito in marmo pario è quasi certamente di autore greco, il quale, nello scolpire la statua, ha tenuto presenti i particolarissimi gusti punici. La cultura punica, infatti, ha sempre rifiutato il nudo atletico greco; la scultura rappresenta un giovane rivestito da una lunga tunica stretta alla vita da una larga fascia. La stoffa a mò di panneggio bagnato, lascia intravedere un corpo armonico e flessuoso, dotato di ampie masse muscolari. 
Questo ritrovamento, databile tra il V ed il IV sec. a.c., ha dato più stimolo agli Archeologi, i quali si attendono forse altri capolavori, come il giovane in tunica (v.fig.14).