LE LETTERE DI DON
ROBERTO
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La Parrocchia, due o tre volte l’anno, pubblica
un notiziario con lo stesso nome di questo sito web, Ali
d’Aquila. Il notiziario è disponibile per tutti quanti ne
vogliono fare richiesta. Con questo sito web e con il
notiziario pensiamo di poter avvicinare quelle persone che non possono, per qualche motivo, frequentare la nostra
Parrocchia e contiamo di poter essere vicini anche ai parrocchiani che, per i più svariati motivi,
sono lontani da Calenzano.
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Perché questo sito
web e perché questo nome
Sono
contento di poter scrivere due righe d’introduzione che servono a spiegare la
ragione di questo piccolo sito web e a giustificarne anche il suo titolo.
Riguardo al motivo di quest’iniziativa esso è molto semplice. Nasce dalla
buona volontà d’alcune persone che si sono assunte il compito di redigere,
questo “foglio” che vuole essere un brevissimo informatore parrocchiale. Lo
scopo di questo notiziario è di permettere un minimo contatto con tutti,
anche con coloro che sarebbero interessati alla vita della nostra comunità
ma che, per tante ragioni, non possono, specialmente quando ne sono impediti
dal proprio stato di salute. Certamente è una cosa piccola e familiare;
d’altra parte siamo coscienti di essere già bombardati da tante notizie
d’ogni tipo, per cui non volevamo anche noi aumentare questo carico; inoltre
siamo convinti che, spesso, le cose piccole e semplici sono le più gradite.
Riguardo al titolo è stato scelto in modo tale che esprimesse già in sé un
potenziale positivo in accordo con lo spirito del Vangelo, che è appunto
“buona notizia” (cfr Lc 4, 16-21). Così questa
scelta è stata suggerita dai passi biblici dove si parla di “ali” che danno
un vigore tanto potente simile, appunto, a quello di grandi forti “ali
d’aquila”, vigore che è come un dono dall’Alto e che permette di superare con
imprevedibile leggerezza e slancio ostacoli, difficoltà e sofferenze umane
anche grandi (cfr Es 19, 4; Dt
32, 11; Is 40, 31; Ap 12,
14). Non è difficile dunque riconoscere in queste “ali” il simbolo della
Speranza cristiana. A me sembra che, in questo mondo, specie proprio nel
nostro primo mondo, sia urgente il richiamo a riconsiderare la potenza delle
motivazioni che ci vengono da quella Fede che ci apre alla Verità
nell’Amore. Infatti, la nostra società appare pervasa, ora più che mai,
di pessimismo, delusione, sfiducia e anche disperazione. Il fatto è che ha
troppo sperato in cose di questo mondo e anche in cose spesso sbagliate.
Possiamo dire che molti mali se li è procurati da se
stessa. Se il buon Dio lo permetterà, e se questo piccolo informatore
parrocchiale circolerà, avremo modo di tornare sull’argomento. Intanto
vogliate accettare i miei migliori saluti ed auguri.
don Roberto Carpini, parroco. (Dicembre
2001) |
La Speranza
L’avvicinarsi della più
grande festa cristiana, cioè della Pasqua dei Signore, mi da
l'occasione per riprendere il tema della Speranza già introdotto nel primo
numero di questo piccolo informatore parrocchiale intitolato "ali
d'aquila”, immagine biblica questa che richiama appunto proprio la potenza
della Speranza cristiana. Sappiamo
bene che il vigore di questa virtù opera soprattutto nei momenti più
difficili dove possiamo essere tentati di sconforto e di disperazione sul
senso e il valore della vita. Ma opera
anche nel determinare energia, generosità e fermezza sia nei passaggi
importanti e impegnativi della nostra esistenza, come pure nell'aiuto a
superare con slancio il "grigio" quotidiano. Leggiamo nel Librò del Profeta Isaia:
"anche i giovani faticano e si stancano, gli adulti inciampano e cadono;
ma quanti sperano nel Signore riacquistano forza, mettono ali come aquile,
corrono senza appannarsi, camminano senza stancarsi" (40,30-31). Forse
questo significa che quanti speriamo in Lui siamo esenti dalle difficoltà, i
travagli e le sofferenze della vita? E
sono forse i cristiani dispensati dal lasciare un giorno l'abitazione del
proprio corpo in questo mondo? Certo
che no! Che cos'è dunque questo Speranza vigore della
Speranza cristiana? Ascoltiamo Gesù: "Venite a Me, voi tutti, che siete
affaticati e oppressi, e lo vi ristorerò" (Mt 11,28). Nelle sofferenze e nelle difficoltà, se ci
fidiamo e affidiamo veramente a Cristo, Egli stesso ci solleva interiormente
con la Sua Misericordia motivando tutto ciò che viviamo compreso -
soprattutto- quello che è più riluttante alla nostra natura umana. Ora il fondamento di tutto ciò risplende
massimamente proprio nella Pasqua di Gesù.
Infatti con la Sua Passione e Morte Egli ha vinto il peccato e la
morte e con essi ogni ragione di disperazione perché,con la Sua
Resurrezione, ci ha restituito al vero senso e significato della
nostra esistenza eterna. Dunque il
Crocifisso, cioè l'Uomo dei dolori schiacciato dal peccato del mondo, non è
un segno di sconfitta, di disperazione o di depressione, bensì il segno
dell'Amore Divino che, proprio sulla Croce, ha vinto il mondo del male e del
la morte. Il mio augurio per ciascuno
di noi o dunque che la potenza rinnovatrice della S. Pasqua pervada mediante
la Fede, la preghiera e i Sacramenti tutto il nostro essere rigenerandolo
nel più profondo ad una Speranza piena di Verità e Immortalità. don Roberto
(Marzo
2002) |
Una festa per un
lieto evento
Ho creduto opportuno richiamare con questo
articoletto l’ attenzione di tutti noi su una realtà
di fede molto bella professata ogni volta che recitiamo il credo, ma che
penso passi quasi sempre inosservata: mi riferisco alla "Comunione dei
Santi". L'opportunità è almeno in parte dettata dal lieto evento della
santificazione di Padre Pio che avverrà domenica 16 giugno, evento questo che
sentiamo particolarmente importante per la nostra comunità, la quale può
considerarsi benedetta in modo speciale dall'intercessione di questo santo.
Infatti, come ben sappiamo, la nostra Chiesa è stata voluta da lui e
beneficata da alcune sue promesse. Ecco dunque l'opportunità di approfondire
un po' meglio, alla luce della dottrina cattolica, questo misterioso fatto
della Comunione dei Santi di cui noi tutti siamo partecipi
. Insegna infatti il "Catechismo della Chiesa Cattolica" che
la Comunione dei Santi indica sia la comunione alle "Cose Sante", cioè tutte quelle
realtà celesti di cui per Grazia siamo arricchiti (Sacramenti, carismi,....), sia la comunione nell'Amore di Cristo con
le persone Sante della terra e soprattutto del Cielo. E così nel medesimo
catechismo al n° 956 leggiamo: "A causa infatti della loro più intima
unione con Cristo i beati rinsaldano tutta la Chiesa nella Santità... non
cessano di intercedere per noi presso il Padre, offrendo i meriti acquistati
in terra mediante Gesù Cristo, unico Mediatore fra Dio e gli uomini... La
nostra debolezza quindi è molto aiutata dalla loro fraterna
sollecitudine". Alle parole di S. Domenico: "Non piangete. Io vi
sarò più utile dopo la mia morte e vi aiuterò più efficacemente di quando ero
in vita" e di S. Teresina: "Passerò il mio cielo a fare del bene
sulla terra", fanno eco le parole di Padre Pio: "Molto più chiasso
dopo la mia morte farò... e chi salirà questo colle (S. Giovanni Rotondo) non
tornerà a mani vuote". E così è. Questo
uomo, forgiato direttamente alla scuola del Signore in una fedeltà fortemente
provata da ogni forma di sofferenza, è stato un magnifico segno della
grandezza a cui eleva il Signore le Sue anime elette. Questo Santo è stato ad
un tempo elemento di crisi e pietra d’inciampo per l’ orgoglio e l’ autosufficienza atea , caratteristiche del
nostro secolo, ma stesso momento strumento docile di grande attenzione e
delicatezza per il valore della vita umana, specialmente quella segnata dalla
sofferenza (si pensi solo alla realizzazione della Casa Sollievo della
Sofferenza)., Inoltre, come tutti i Santi, ha invitato gli uomini ad alzare
gli occhi al Cielo con la preghiera per comprendere e comprendersi nel vero
senso dell'esistenza. La creazione degli stessi gruppi di preghiera
testimonia la sua predilezione per questa “arma” con cui combattere lo insidie del nemico e collaborare alla pienezza della
vita della Chiesa. Ho sentito dunque come un dolce dovere di gratitudine al
Signore e a questo santo, oltre che motivo di edificazione comune, accennare
alle grazie che si connettono con la vita di quest’uomo di Dio. Colgo infine l'occasione per esprimere
grata memoria anche ai suoi fedeli collaboratori che ne hanno prolungata
l'azione e in particolare al caro Giovanni Bardazzi il quale, come ben
sappiamo, ha edificato con l'aiuto di altre persone generose, proprio questa
nostra Chiesa. don
Roberto (Maggio 2002) |
NATALE :
rinnovarsi per l’accoglienza di Gesù Cristo Ad un anno di distanza dalla prima edizione
di questo “foglio” parrocchiale sono lieto di poter rinnovare a tutte le famiglie
della Parrocchia i miei migliori auguri di buon Natale e di ogni benedizione
per il nuovo anno 2003. E’ vero che è un po’ presto
per fare questi auguri dal momento che siamo all’inizio dell’Avvento, cioè
del periodo di preparazione alla festa che celebra la nascita di Gesù, ma
questo foglio doveva uscire per informare sulle diverse iniziative del
momento e non volevo perdere questa occasione per comunicarvi alcune semplici
considerazioni come piccolo contributo a viver meglio questa preparazione. Premetto
che so benissimo di essere solo un povero prete senza alcuna pretesa di
competenza storica, ne tanto meno sociale e
politica, ma dal momento che vivo come ognuno di voi in questa parte del
mondo e in questo tempo cerco, come tanti, di fare una lettura di alcuni dei
drammi, che credo siano di maggior travaglio nella nostra società attuale,
riferendoli alla luce della mia tenue fede.
A questo proposito penso che possiamo considerare veramente profetico
l’appello che il Santo Padre, Giovanni Paolo II, fece circa venticinque anni
fa, all’inizio del suo pontificato, di “Aprire le porte a Cristo” e non solo
all’esperienza della vita personale, ma anche ad ogni forma strutturata della
vita sociale (famiglia, lavoro, scienza, arte,...). Infatti penso che sia
sotto gli occhi di tutti una certa crisi di valori, non solo religiosi e
morali, crisi che sembra investire soprattutto, anche se non solo, proprio la
nostra cultura europea. Certo sarebbe veramente presuntuoso il pensare di
saperne elencarne le cause, ma credo di non sbagliare troppo se vedo fra di
esse sia la presa di coscienza dell’ennesimo fallimento delle eccessive
speranze riposte negli assoluti ideologici umani, sia la crescita della
capacità di indagine critica anche dell’essere e dell’agire dell’uomo.
Quest’ultimo fatto ha messo ancor più a nudo i limiti umani e di conseguenza
anche l’ingenuità di ogni forma di esaltazione enfatica, sia essa riferita a
persone o ad ideologie. Le stesse manifestazioni, più o meno eclatanti e
dolorose, del fanatismo fondamentalista ed integralista hanno pur esse
contribuito, nella loro intransigenza, ad aumentare la diffidenza in tutto
ciò che si propone come ricerca di assoluto. In questa situazione si insinua
facilmente nella mente e nel cuore di chi non è vigilante non solo la
convinzione di una religione e di una morale “fai da te”, ma anche l’ombra di
un relativismo che tende a coprire ogni forma di valore. La storia ci insegna
che la crisi, come momento di crescita, è importante purché si arrivi ad una
rifondazione basilare, altrimenti il suo perdurare rischia di ingenerare
forme di involuzione culturale. Credo che questo sia uno dei contenuti
dell’appello che il Papa ha di nuovo ultimamente lanciato nel discorso al
Parlamento italiano. Le radici della cultura europea affondano nel Vangelo il
quale ci parla, si, della Verità una e assoluta (Cristo), ma di una Verità
che, pur essendo tale, si rivela con amore e per amore alla nostra misura
facendosi appunto il “Piccolo” fra i piccoli (cf
Is9,5). Questo è il Suo Natale. don Roberto
(dicembre 2002) |
MA CHE COS’E’ LA PARROCCHIA
? Una
decina di anni fa, poco dopo il mio arrivo in questa Parrocchia, decidemmo di
fare una piccola inchiesta attraverso un semplice questionario per
interrogarci su cosa si pensava e su cosa ci si aspettava dalla Parrocchia.
Oggi viviamo in un clima dove la ricerca e l’approfondimento della nostra
identità cristiana diventa sempre più necessario. Per questo credo che non
sia fuori luogo cercare di rispondere alla domanda su che cos’è questa realtà
della Parrocchia, che direttamente o indirettamente è sempre un riferimento
per la maggior parte delle persone. Premetto che non sono certo un erudito, e
che quindi non intendo entrare in problemi teologici, storici o sociali, ma
che desidero dare ugualmente il mio piccolo contributo per una risposta
semplice e immediata, vicina al vissuto quotidiano. E’ normale che per
tradizione storica, specialmente nel nostro mondo europeo, il concetto di
Parrocchia richiami in noi prima di tutto l’immagine di una realtà in parte
religiosa e in parte almeno burocratica, posta in un determinato territorio
con al centro delle precise strutture: (la chiesa e gli ambienti
annessi) dove operano persone facenti riferimento ad un
responsabile (parroco) e dove si va normalmente per certi “servizi”
religiosi: matrimoni, funerali, sacramenti, ecc. . Certamente questa è più o
meno la struttura visibile della Parrocchia, ma il fermarsi a questo è come
ridurre la persona al suo corpo, anzi, ancor più, ridurre il mistero della
vita alla mobilità degli arti. In effetti la Parrocchia è prima di tutto una
Comunità di persone che credono in Cristo e che si sforzano di vivere il
Vangelo. E siccome il Vangelo rinvia all’attenzione agli altri, l’obbedienza
alla Carità sprona a servire Dio anche attraverso la trasmissione
dell’insegnamento di Gesù e l’attuazione di ciò che di più prezioso - insieme
alla sua Parola - ci ha lasciato, cioè i Sacramenti. Ecco dunque che la
Comunità si organizza per fare tutto questo massimamente nella celebrazione
Eucaristica (Messa) e in tutte le altre espressioni religiose, di
insegnamento e caritative. E’ chiaro poi che per far questo ha bisogno anche
delle strutture materiali, così come ha bisogno prima di tutto delle persone
che si rendano disponibili ai vari servizi, organizzandosi in modo coordinato
intorno al responsabile, il quale riceve l’autorità di servire non dagli
uomini ma da Dio stesso per mezzo dell’intera Comunità dei credenti, che è la
Chiesa, per mano di coloro che ne sono
le guide responsabili: i Vescovi uniti al Capo visibile che è il Papa. Ecco
dunque che la Parrocchia è uno degli strumenti mediante il quale il Signore
può raggiungere ogni uomo per esprimergli il suo Amore e donargli la
salvezza. In questo senso credo che sia pertanto evidente come non ci si
debba fermare a considerare solamente la struttura visibile della Parrocchia,
né tanto meno la sua più o meno marcata inadeguatezza di realtà umana nei
confronti della missione affidatale dal Signore, ma vederla per quello che è
cioè uno strumento di incontro dell’uomo con l’Amore salvifico di Dio. Come
già accennato, il funzionamento organico di questa realtà necessità si delle
strutture materiali ma l’attenzione va soprattutto posta sul suo essere
comunità di fede formata da famiglie la quale, in rapporto alla Famiglia più
grande che è la Chiesa, fa si che questa fede, come
sorgente di luce e sommo bene, si trasmetta di generazione in generazione.
Premesso tutto ciò credo non sia male fare chiarezza anche sul funzionamento
della Parrocchia nella sua realtà visibile, ma di questo ci occuperemo nel
prossimo numero. don Roberto
(febbraio 2003) |
Dopo il pallido tentativo di raccontare che
cos’è la Parrocchia, nel precedente numero di “Ali d’aquila”, provo - con
ancor meno pretese - a dire come funziona una Parrocchia. Insisto sulla
limitazione dell’informazione che vorrei dare anche perché non è certo mia
intenzione voler annoiare il lettore, bensì assolvere ad un dovere di
trasparenza informando sommariamente le persone su come funziona e si
sostiene la Comunità parrocchiale.
Nell’articoletto su accennato avevo cercato di delineare i compiti
spirituali preminenti
che la Parrocchia come comunità di fede è chiamata a svolgere
per essere fedele al suo mandato. Possiamo riassumere questi impegni in tre
funzioni: insegnamento, liturgia e carità. Nell’insegnamento c’è racchiusa
tutta l’attività di evangelizzazione, formazione e informazione religiosa che
si esplica in tante forme ( omelie, gruppi biblici,
catechesi, ...), ma che ha nella collaborazione interna alla famiglia
cristiana il punto di forza fondamentale. La liturgia si occupa di rendere
favorevole ed massimamente espressiva l’attività religiosa ( S. Messa e gli altri atti di culto
comunitario ). La carità si occupa di sovvenire, per quanto possibile, alle
necessità più urgenti materiali - e non - dei vicini ( in
particolare con i centri di ascolto ) e dei lontani: opere missionarie.
Fortunatamente per svolgere tutte queste attività il parroco non è lasciato
solo né a livello esecutivo, e questo è implicito nel tenore stesso
dell’impegno, né a livello “decisionale”, e anche questo è fondamentale per
mantenere una prossimità con le esigenze e il pensiero della gente. L’organo
fondamentale che aiuta a livello decisionale il parroco è il Consiglio
pastorale. Si riunisce periodicamente per discutere e decidere sulle cose più
importanti che via via si presentano nello sviluppo dell’attività
parrocchiale. E’ formato da un certo numero di
persone elette, o comunque approvate e riconosciute valide per questo scopo,
da coloro che partecipano più da vicino alla vita della Parrocchia. In
second’ordine, ma per certi versi altrettanto importante, c’è il problema
pratico del sostegno economico di tutta la suddetta attività. A proposito
sono contento di aver modo di poter chiarire che la partecipazione delle
persone si regge tutta sul volontariato: dal catechismo alla pulizia
della chiesa e dei locali annessi. L’unico che ha uno “stipendio” prelevato
dai fondi della Parrocchia è il parroco. A me personalmente spettano 110 € al
mese. Comunque anche nella gestione economica il parroco è aiutato da un
organo “ad hoc” : il Consiglio per gli affari economici, il quale, oltre
sollevare il parroco dagli impegni che non gli sono propri, contribuisce, con
un bilancio consuntivo che viene reso pubblico ogni anno, a dare ancor più
rilievo alla trasparenza della vita economica della Parrocchia, la quale si
regge esclusivamente – almeno nel nostro caso – sulle libere offerte
che le persone possono fare, e in genere fanno, in certe occasioni. Però
vorrei concludere questo articoletto con un pensiero più spirituale. E’ vero che non “viaggiamo nell’oro”, soprattutto in
considerazione dei futuri impegni di ristrutturazione degli ambienti, ma è
pur vero e vivo nella ripetuta esperienza dei santi, quello che Gesù proclama
nel Vangelo: “Cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia e tutte queste
cose vi saranno date in aggiunta”. ( Mt 6,33 ) don Roberto
(maggio 2003) |
Vorrei condurre con il lettore una piccola
riflessione che non pretende di avere alcunché di arguto o di originale, ma
solo lo scopo di evidenziare, in maniera peraltro abbastanza superficiale, il
gioco di alcuni limiti che portiamo nella nostra natura umana. Che ognuno nel suo relazionarsi con gli
altri, e il mondo in genere, sia condizionato dalle proprie idee, gusti,
cultura, ecc. è un fatto di cui tutti facciamo esperienza anche perché è un
dato intrinseco alla progressività dello stesso processo di apprendimento.
Infatti nell‘approssimarsi alla “novità”, di qualunque tipo essa sia, e che
quotidianamente ci attende nell’esperienza stessa della vita, portiamo con
noi tutto quel bagaglio di conoscenze, esperienze, idee e anche ideali che forma la
necessaria base del giudizio umano. Il problema è che certe volte nascono
degli indurimenti o rigidezze categoriali dovute ad ignoranza, errori,
prevenzioni e altre motivazioni magari anche inconsce e spesso irragionevoli.
Non si potrebbe spiegare altrimenti il continuo ripetersi di tutte quelle
devianze indotte da falsi valori o ideali utopici che tormentano
incessantemente e da sempre la storia umana, creando situazioni gravide di
penosissime conseguenze. Dobbiamo riconoscere che in una qualche misura il
pregiudizio fa “capolino” nella debolezza della condizione umana in genere e
non manca certamente anche nel mondo religioso. Basta aprire i Vangeli per
rendersi facilmente conto che uno dei motivi della condanna del Cristo è
stato il suo essere così diverso dall’immagine che gli Ebrei del tempo e i
loro capi si erano fatta del Messia. Ma questo è un argomento troppo
difficile e vasto per la mia misura. Vorrei solo far notare che queste
semplici e brevi considerazioni ci possono aiutare ad intravedere meglio
quante forme di ingiustificata diffidenza vivono all’ombra di stantii
pregiudizi. Accade facilmente, per esempio, che un cristiano che si sforza di
vivere al meglio la fedeltà al suo Signore e Maestro che è Cristo, venga
giudicato come minimo bigotto forse da chi nemmeno conosce pallidamente il
vero senso della vita cristiana e che magari, come non raramente accade, è
vittima di credenze e di paure superstiziose combattute con scaramanzie, portafortuna,
lettura di carte. maghi, ecc. . Tutte cose queste
che al di là dell’illecito morale, avviliscono davvero la dignità della
ragione umana e la paralizzano in forme devianti che le sono di forte
ostacolo nell’ aprirsi alla luce della Verità. Termino queste brevi e
sommarie considerazioni sul pregiudizio mentre mi scorre davanti alla mente
come un fiume di storie che si sentono di tante persone che sono andate a
conoscere Padre Pio con le motivazioni più svariate e pregiudiziali e che
pure, quando si sono trovati davanti a quest’uomo, nel quale viveva Cristo in
modo speciale, sono stati sconvolti cedendo il passo alla forza della
conversione. Si ripeteva in una qualche misura ciò che si era verificato in
modo mirabile e grandioso quando Cristo era in terra e che continua a
verificarsi, sempre in misura proporzionata, nella vita dei Santi - uomini
liberi - che hanno conosciuto e amato quella Verità che li ha resi liberi
davvero ( cf Gv 8,33-36
). don Roberto
( settembre 2003) |
NATALE : LA DISCESA DIVINA PER L’ASCESA UMANA Quando il cristiano si dimentica di Cristo
non solo perde la sua identità, ma dimentica anche il dono della grande
dignità che ha ricevuto già come creatura umana e per di più riscattata dal
sangue del Figlio di Dio. In effetti nessuna persona al mondo ha esaltato il
valore della vita dell’uomo come ha fatto Gesù. Proprio il Mistero del
Natale, che stiamo per celebrare, ci parla anche da solo sia del valore della
persona, sia della prospettiva di questo riscatto della condizione umana.
Infatti il Cristo è venuto in questo mondo per aprire gli orizzonti della
speranza alla dimensione nuova di una salvezza nella quale è vinta la morte e
le sue conseguenze mortificanti tutti gli aspetti, più o meno belli ovvero
dolorosi, dell’esistenza. Ma il Natale ci pone anche davanti agli occhi della
mente l’avverarsi in Maria del meraviglioso, quanto insondabile, mistero
dell’Incarnazione e quindi ci richiama a considerare con più attenzione
l’immenso valore della vita dell’uomo creato ad immagine di Dio. Quello che
appunto vediamo verificarsi in Maria, vergine immacolata e madre purissima,
cioè l’assunzione da parte del Verbo divino in Lei della natura umana, non
può che lasciarci davvero esterrefatti nel pensiero che tale evento sia
possibile e con tutto ciò che questo implica, ovvero che la natura umana sia
stata creata con una dignità tale da poter accogliere il suo Creatore. Ora,
questo solo la Rivelazione divina poteva svelarcelo. Certamente quella che ha assunto il Figlio
di Dio è la natura umana perfetta e
immacolata, precedente al peccato originale, ma grazie al Sangue di Gesù,
tutti quelli che sono rinati mediante la Fede in Lui e il Battesimo, nella
misura che si impegniamo nella fedeltà e nell’amore, possono accedere alla
grazia di poter accogliere in se stessi il proprio Creatore e Redentore! IL mio augurio è che l’immagine tenera, ma
anche forte, del Figlio di Dio che si è fatto Bambino per noi, risvegli in
tutti, a partire da me, la consapevolezza di quanto Egli ci abbia amati. Il
profeta Isaia molti secoli prima della nascita di Gesù diceva: “...un bambino
è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il segno della
sovranità ed è chiamato: Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre per
sempre, Principe della pace; grande sarà il suo dominio e la pace
non avrà mai fine” (Is 9,5-6). Che la pace di
Cristo, passando per i cuori della gente, entri dunque con abbondanza nel
mondo e infranga le trame dell’odio e della violenza.
don
Roberto (dicembre 2003) |
IL “MODERATO” OTTIMISMO
CRISTIANO In occasione della Quaresima, periodo di
preparazione alla S.Pasqua,
ho pensato di dedicare un breve articoletto ad una caratteristica che
dovrebbe essere propria del discepolo di Gesù Cristo ed è quella del cauto
ottimismo di chi è libero dalla schiavitù degli eccessi dell’assillo. Anche
se all’orizzonte, in questo momento, non sembrano levarsi funeste nubi di
grandi guerre, tuttavia esiste sempre la piccola o grande lotta del
quotidiano e mi sembra di poter rilevare segnali abbastanza forti di
inquietudine presenti in seno alla nostra società. Certo non è la fede in
Cristo che dà di per sé la dispensa dalle afflizioni della vita. Gesù ai suoi
discepoli non promise esenzioni speciali da prove e tribolazioni, cose queste
che fanno parte del retaggio più o meno grande di ogni creatura umana che
viene in questo mondo, ma tra le infinite cose importanti che il Signore ha
detto, mi sembra che ve ne sia una che risulta particolarmente incoraggiante:
“Voi avrete tribolazioni nel mondo, ma abbiate fiducia; Io ho vinto il mondo
( del male )!” ( Gv16,33 ). Di lì a poco il Cristo
fece la sua Pasqua e proprio dalla grande sofferenza della sua passione e
morte doveva spuntare l’alba del “nuovo giorno”: quello della sua
Risurrezione. Inaugurò così il tempo nuovo; il tempo che nessuna creatura può
cancellare o invertire, il tempo di una speranza grande più forte della
morte. I primi ad essere inondati da questa Luce furono i discepoli ed essi
ne mostrarono apertamente i suoi riflessi proprio nel fatto che la morte non
faceva loro più paura. Questo non perché fossero dei fanatici plagiati da
un‘ideologia, bensì perché, pur amando e rispettando la sacralità della vita,
questa ormai appariva loro, nella fede, quello che era: una piccola
anticipazione e partecipazione alla vera pienezza della Vita così come l’ avevano vista e toccata nel Risorto. E se il ritorno
nel mondo del Cristo glorioso sembrava tardare a manifestarsi, ciò non fece
alcun problema perché erano consapevoli che sulla Parola di Gesù non “toccava
a loro conoscere i tempi e i momenti”. Gran parte della frenesia della vita,
e dei mali della nostra società, viene proprio dalla pretesa di salvarla con
le proprie forze dalla sua evanescenza e dal fallimento della morte. Ma se
uno ha trovato il tesoro della vera fede viva, anche se potrà, come tutti,
essere sottoposto a prove e afflizioni, queste non possono travolgerlo
totalmente nella disperazione perché, come ci ricorda S.Paolo, “nella speranza siamo stati salvati”; cioè
nessuno può togliergli - se costui non vuole - questo tesoro e, come
insegnava S.Francesco, “nella Sua volontà è la
nostra pace”. Da qui quel cauto e sano ottimismo di fondo. Certo la fede non
è un rifugio per un disimpegno, bensì una motivazione in più per spendersi
per il bene di tutti nell’amore fraterno. Da qui l’esigenza di uno sforzo per
la coerenza anche esteriore che manifesti, non solo con le parole ma anche
con le opere, la bellezza e la forza del Regno di Dio già presente in noi. don Roberto (febbraio
2004) |
Ognuno che abbia esperienza della preghiera
semplice che sgorga dal cuore, sa quanto aiuto e conforto venga dal pregare
la Santa Madre del Signore e quanto il Suo delicato farsi prossima si
trasformi in un “pregare con Lei” e quindi in un più facile aprirsi a Dio. La
Sua presenza infatti ci aiuta ad aumentare la confidenza fiduciosa e
rispettosa verso la Trascendenza Divina. Così accade che, anche quando esaltiamo
le prerogative di Maria, lo facciamo con quello spirito di chi contempla in
Lei per un verso le perfezioni della creazione di Dio e per un altro la
perfetta e totale risposta alla missione affidataLe
dal Signore. Infatti nessuna creatura fu fatta ad immagine tanto somigliante
alla Santissima Trinità quanto la Madonna e nessun’altra creatura conservò
intatte e fece fruttare tali prerogative, per il servizio a Dio e agli
uomini, quanto Lei. E’ questo quello che ci lascia
intendere chiaramente l’Angelo salutandola con parole che la Sacra Scrittura
ci mostra come mai dette ad altra persona. Pertanto tutte le volte che le
ripetiamo: “Ti saluto ( ave ) Maria piena di grazia
il Signore è con te”, intendiamo come rievocare in qualche modo la grazia di
quell’evento destinato a cambiare la storia dell’umanità. D’altra parte se
queste sono - e lo sono - le parole con le quali l’Angelo Gabriele, che sta
al cospetto di Dio ( Lc1,19 ), L’ha salutata
annunciando tale evento, come potremo noi povere creature che, come ci
ricorda S. Paolo, “nemmeno sappiamo ciò che sia conveniente domandare” (
Rm8,26 ), trovarne di migliori? Con altrettanta dignità e insieme gioiosa
serenità, la preghiera prosegue con le parole che S. Elisabetta, ripiena di
Spirito Santo, disse in risposta al saluto di Maria: “Benedetta tu fra le
donne e benedetto il Frutto del tuo grembo”. Infatti grande era la commozione
che aveva pervaso Elisabetta quando il saluto di Maria le aveva fatto
esultare di gioia il bambino che portava in seno. Non è anche questo un segno
del grande dono che è affidato alla Santa Madre di poter lenire i dolori e le
angosce che stringono il cuore umano? Dunque l’Ave Maria è una preghiera
biblica semplice, suggerita dallo Spirito Santo e, anche quando viene
ripetuta più volte, con la sua grazia è come una pioggia che ha il potere di
irrigare l’arida terra di questo mondo. Certo l’Ave Maria non è l’umica
preghiera con la quale la Cristianità si è rivolta alla Santa Madre di Dio
nei secoli, ma tutte sono pervase da quel medesimo spirito di cui si parlava
all’inizio e tutte nascono dall’esperienza diretta della preziosità della Sua
intercessione. Valgano come esempio di particolare incisività le parole che
il sommo poeta Dante Alighieri nella sua “Divina commedia” fa dire di Lei a S.
Bernardo: “Donna, se’ tanto grande e tanto vali, che qual vuol grazia ed a te
non ricorre, sua disianza vuol volar senz’ali.” don
Roberto (maggio
2004) |
IL
VANGELO NELLA STORIA PER OPERA DEI SANTI Non credo che la storia di come è nata la
nostra chiesa parrocchiale così, come l’ha voluta e curata S. Pio attraverso
la collaborazione del suo figlio spirituale Giovanni Bardazzi, sia nota a
tutti e comunque ho pensato che valesse la pena ricordarla brevemente anche
se far questo non è facile e certamente mortificante la densità dei fatti
perché , come accade spesso nelle opere dove entrano i Santi e in particolare
P. Pio, naturale e soprannaturale, umano e Divino, limite umano e grazia si
intrecciano formando un tutt’uno nel quale vi si può anche penetrare, ma
spesso solo con gradualità, si da poter cogliere qualche tratto di quei
disegni con i quali la Divina Misericordia conforta e sostiene il Popolo di
Dio. Però, considerando il fatto che quando le opere partono dai Santi,
docili servi del Signore, queste acquistano una potenzialità positiva per la
vita spirituale, mi sono deciso a provare a scrivere qualcosa nella speranza
di riuscire ad offrire qualche briciola di conoscenza di quell’incessante
lavoro della grazia con il quale il Divino Maestro ci soccorre in questo
mondo. Se tutto ciò è vero per le opere dei Santi in generale, lo è ancor più
per S. Pio dove troviamo una magnifica sintesi di santità, carismi e
ministero. Perciò ho pensato di rileggere sullo sfondo del brano evangelico
della prima moltiplicazione dei pani questa storia, come l’ho appresa dalla
bocca di “Giovanni da Prato”- così lo chiamava il Padre - in sei anni che gli
sono stato vicino prima che morisse il sette dicembre del 1997, alle ore 16, stessa
ora e stesso giorno nel quale 37 anni prima, vale a dire nel 1960, veniva
consacrata quella che sarebbe stata l’attuale chiesa parrocchiale. Ho scelto
questo brano come riferimento perché credo che vi siano in esso esaltate due
preziose caratteristiche del modo di agire del Signore che, in una qualche
misura, mi sembra di poter cogliere anche in questa piccola ma significativa
opera che S. Pio ha voluto attuare per mezzo dei suoi fedeli collaboratori.
La prima è il sovrabbondare della grazia e della grandezza delle opere divine
là dove più forte è la debolezza e la pochezza delle risorse umane ( con 5 pani e due pesci Gesù sfamò una moltitudine di
persone ). La seconda è la premura del Signore di sfamare, per mezzo dei suoi
discepoli (Mt 14,16.19), coloro che per cercare il
Regno si erano dimenticati anche di mangiare. Quest’ultima caratteristica ci
rimanda immediatamente all’ansia di S. Pio, perfetto discepolo di Cristo, di
sfamare con il Pane della Parola e dell’Eucarestia il maggior numero di
persone attraverso anche la creazione dei Gruppi di Preghiera. Premesso
questo entriamo ora per rapidi flash nella storia della nostra chiesa. Siamo
alla metà degli anni cinquanta. Dopo la sua conversione, per altro molto
movimentata e condita di straordinario avvenuta nei primi anni del suddetto
decennio, Giovanni aveva iniziato a fare molti viaggi a S. Giovanni Rotondo
portandovi un gran numero di persone. Obbediente al Padre aveva aggiustato
molte cose della sua vita anche a caro prezzo e con non poche rinunce e
rischi, ma era in pace e contento di obbedire a P. Pio che per lui era come
Gesù in terra. Quella volta però fu messo a dura prova. Con una nuova
attività suggerita da P. Pio era riuscito a risparmiare un cifra
considerevole (circa 20 milioni ) e avrebbe voluto
il consenso del Padre per una sua certa idea di investimento, ma il Padre
imprevedibilmente gli disse “Figlio mio tu farai una chiesa e la casa (
per te )” . Era davvero dura per il povero Giovanni che per obbedire al
Padre non solo doveva rinunciare a tutti i suoi progetti, ma doveva
addossarsi anche tutti i tipi di grane che sarebbero venuti fuori,
soprattutto per la mancanza di denaro! Ed era dura anche per i suoi familiari
che oltre a doversi adattare ad abitare in un posto allora abbastanza ameno,
dovevano, per richiesta esplicita del Santo, tenere la loro casa
continuamente aperta all’accoglienza. Ma è proprio qui che noi leggiamo
quelle note tipiche delle cose divine di cui parlavamo all’inizio. Infatti,
chi spingeva il Santo a chiedere una cosa del genere, cosa che in fondo sapeva bene
che anche egli avrebbe dovuto pagare con la sua sofferenza, se non l’ansia di
sfamare al servizio di Gesù tanta gente sullo stile del Divino Maestro? Ed ecco delinearsi subito anche l’altra
nota: che cosa sono pochi milioni per costruire una chiesa e la casa?! E che
sono cinque pani e due pesci per sfamare tanta gente ?
( cf Gv
6,9 ). E’ bastata a Gesù l’offerta di quel ragazzo per procedere... . L’impegno la fatica e soprattutto la fiducia
incondizionata di Giovanni, unita alla buona volontà di tanta altra gente,
sortirono l’ effetto e la piccola chiesa fu
consacrata l’11 novembre 1957 e dedicata a S. Maria delle Grazie La cappella
servì per riferimento al primo piccolo gruppo di persone che vi si
ritrovavano per pregare e anche di servizio pastorale alle persone del luogo
la cui chiesa parrocchiale era distante. Ma come il miracolo della moltiplicazioni dei pani non fu istantaneo bensì
progressivo: di passo con la distribuzione, così anche questa piccola opera
doveva svolgersi per tappe successive. La seconda tappa fu presto raggiunta
quando il Padre, di li a poco la consacrazione
prima detta, esortò di nuovo Giovanni ad ingrandire la chiesa utilizzando lo
spazio interposto tra questa e la casa, spazio che era stato utilizzato dalla
famiglia per ricavarvi un orto. Così Giovanni si sentì dire da P. Pio ( senza che alcuno avesse informato quest’ultimo sulla
topografia del luogo ):”Cosa ne fai di quei cavoli e pomodori!...
Ingrandisci la chiesa!”. Povero Giovanni, si era punto e daccapo... . La chiesa ingrandita fu consacrata come abbiamo
detto il 7 dicembre del 1960. Le tappe successive potremmo leggerle negli
abbellimenti, sistemazioni giuridiche (nel 1985 divenne chiesa parrocchiale),
ingrandimenti, ecc. Ma io credo che S. Pio abbia guardato piuttosto, come del
resto lui stesso ha dichiarato espressamente a Giovanni, al Gruppo di preghiera,
che si sarebbe sviluppato progressivamente fino a divenire uno dei più grossi
della Toscana, e al servizio pastorale che ormai questa chiesa offre alla
Parrocchia che ne ha preso il nome. Personalmente, e tante persone con me,
sentiamo di dover essere molto grati a questo Santo e a tutti i suoi fedeli
collaboratori, in particolare al nostro caro Giovanni e non solo per l’opera
materiale, già di per sé utile e pregevole, ma anche per la storia stessa di
una realtà che manifesta la premura di Dio per noi uomini.
don Roberto (settembre
2004) |
Nell’immaginario collettivo l’idea
di Chiesa è quella di un’entità astratta più o meno burocratica e, di
conseguenza, generalmente poco amata non tanto nella sua realtà concreta
quanto appunto come idea. Nei limiti di un articoletto e delle mie modeste
capacità, vorrei proporre una piccola riflessione che possa servire anche
minimamente ad approfondire questo fondamentale tema. E’
innata in ciascun uomo una tendenza a fare del fatto religioso un fatto
prevalentemente privato, cioè una relazione che tende ad impostarsi
facilmente, se non quasi esclusivamente, nell’ambito dello stretto rapporto
personale con Dio. Senza dubbio chiunque riconosce che questa è una
componente fondamentale dell’espressione religiosa, ma è anche vero che da
sola è facile preda dell’individualismo e del soggettivismo religioso, cosa
notoriamente molto diffusa oggi anche nei paesi di tradizione cristiana. Un
rapporto puramente soggettivo, qualora fosse anche avvalorato da
atteggiamenti concreti di fede fiduciale, è ben lontano dalla giusta
impostazione della vita cristiana. Infatti la Religione cristiana è prima di
tutto una Fede e una Fede non solo nell’esistenza di Dio, ma anche nella
rivelazione che Egli ha fatto di Sé a partire già dall’ispirazione profetica,
con la quale il Signore iniziò a parlare agli uomini per mezzo dei Profeti
molti secoli prima di Cristo. Rivelazione che ha poi trovato la sua pienezza
e compimento nel suo Figlio fatto uomo. Gesù infatti è l’”Amen” di Dio ovvero
la sua Parola definitiva. Dunque il cristiano non crede solo in Dio (che E’),
ma anche a Dio che si rivela. Ciò significa che per lui non esiste solo un
aspetto personale, soggettivo, della vita di Fede quasi scisso da ciò che di
Dio è manifesto e che come tale è oggetto di ammirazione e base dirimente
nella formazione della propria coscienza. Anzi proprio la coscienza religiosa
ben formata sente il dovere di porsi nel giusto atteggiamento di obbedienza
riverente al proprio Creatore e Salvatore. Come cattolici siamo poi convinti
che non solo Dio, ovviamente, non si inganna, ma anche che fornisce agli
uomini quelli strumenti adatti affinché essi stessi non si ingannino bensì,
al contrario, procedano come Popolo di Dio verso la pienezza della Verità.
Per cui accanto alla Sacra Scrittura, in ossequio a quanto predisposto da
Gesù stesso, poniamo fiducia nell’autorevole quanto prezioso insegnamento che
scaturisce dalla presenza dello Spirito nella vita della Chiesa. E’ infatti
lo Spirito Santo che la guida appunto nel tempo attraverso il suo stesso
necessario strutturarsi nel mondo in modo organico e coordinato ( Magistero ). In poche parole il “fai da te” nel campo
della fede non solo non è cristiano ma neanche ragionevole, perché l’aspetto
oggettivo della Fede ( dottrina, sacramenti, ... )
non sono una scoperta personale ma un dono che Dio ci fa attraverso proprio
la Chiesa. Del resto chi si abbandona al proprio soggettivismo fa più o meno
presto l’esperienza dell’incertezza, della labilità e dell’evanescenza del
suo presunto rapporto con Dio. Ecco perché nel cuore del vero credente c’è
sempre, in maniera più o meno esplicita, il senso positivo e la necessità di
sentirsi in cammino insieme con altri uniti da una medesima forte identità di
fede, in tensione verso una quanto mai preziosa unità nella carità e verità,
insomma c’è il bisogno di sentirsi “Chiesa”.
don Roberto (dicembre
2004) |
“Io
sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in
eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo” (Gv 6,51). Avevano ragione coloro che dicevano: mai nessun
uomo ha parlato come quest’uomo (Gv 7,46); benché
oppositori non poterono fare a meno di riconoscere l’assoluta novità e il
singolare fascino espresso dalle parole di Gesù. Ma ciò che è di maggior
stupore e conforto è che di lì a poco, lo stesso Gesù Cristo, mentre
celebrava la sua Ultima Cena nella cena pasquale ebraica, dopo avere preso
del pane e reso grazie , disse ancora: “Questo è il mio corpo che è per voi; fate
questo in memoria di me”. Analogamente per il calice del vino disse: “Questo calice è la nuova alleanza nel mio
sangue ... fate questo in memoria di me” (1Cor 11,24-25).Ormai il rituale
della Pasqua ebraica ordinato a far memoria viva (memoriale) dello evento
della liberazione del Popolo ebreo dalla schiavitù egiziana, attualizzandone
in qualche modo la potenza e la grazia, lasciava evidentemente il posto ad una
altro memoriale infinitamente più perfetto e potente stabilito dalla Pasqua
del Signore. Con il sacrificio totale di sé, Cristo operava un’altra ben più
grande liberazione dell’uomo, il quale dalla schiavitù del peccato ora poteva
passare alla libertà dei figli di Dio nella vera terra promessa, ultimo e più
profondo anelito di ogni cuore umano. Che dire dunque di questo grande
mistero? Non può certo la povera parola umana esprimere e - tanto meno -
pensare di racchiudere tale mistero. Tuttavia anche dal mio piccolo angolo
visuale penso sia bello poter
ricordare che l’Eucarestia, grazie alla mediazione del Cristo nella sua
Umanità sacrificata, secondo le stesse parole di Gesù, appare come il vertice
della discesa di Dio nel cuore dell’uomo e nel contempo il vertice della
possibilità di ascesa del cuore umano verso Dio: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in
lui” (Gv 6,56). Certo tutto ciò va inteso
sempre in linea con la responsabilità e la partecipazione umana, il che
significa consapevolezza ( per quanto possibile alla
nostra misura ) e adeguata preparazione interiore. Come certamente il lettore
saprà l’anno in corso è stato dedicato dal Santo Padre all’Eucarestia e mi è
sembrato giusto esprimere anche con questo breve articoletto un pensiero che
fosse di stimolo per tutti - a partire da me che scrivo naturalmente - a
riscoprire il valore grande di questo Sacramento. Per chi partecipa
all’Eucarestia domenicale vuol essere un piccolo incentivo a riconsiderare il
bene prezioso che riceve e a tutto ciò che implica poi come “ricaduta”
nell’impegno di vita personale. Per chi invece non partecipa, un invito a non
aver paura di “perdere” un’ora alla settimana dedicandola a Colui cui
appartiene il tempo e la vita e che tutto ha dato di Sé per noi.
don Roberto (febbraio
2005) |
Tra le tante lodi che la devozione del
Popolo cristiano ha tributato alla Beata Vergine Maria in questi venti secoli
di storia forse non abbondano quelle che fanno riferimento diretto al modo
semplice e umile con il quale la Madonna ha vissuto il suo ruolo di madre di
famiglia in un piccolo paese della Galilea ( Nazareth ). Sembra che ciò sia dovuto
all’apparente contrasto che avvertiamo nel nostro naturale modo di pensare
tra la singolarità dello stato di grazia, connesso con il ruolo stesso che la
S. Vergine ha avuto nell’Opera salvifica di Dio, e la semplice vita comune
che caratterizzò la sua esistenza. E’ normale e giusto che
contemplando quelle “grandi cose che ha fatto in Lei l’Onnipotente” ( cf. Lc 1,49
) l’animo sia trasportato ad esaltare ciò che riesce ad intravedere in
quell’umile “sua serva”. Il rischio, dovuto se non altro al limite
della mente e della espressività umana, è quello di trascurare però il luogo
privilegiato dell’esercizio della santità eroica di Maria, luogo che fu
proprio l’umile quotidiano, il quale - già per quello che ci è dato di
conoscere dai Vangeli – non fu certo esente da forti sofferenze e
contraddizioni. E’ infatti proprio così che la B. V.
Maria ha consumato, insieme al suo santo Sposo, la sua esistenza, nascondendo
agli occhi del mondo la grandezza del suo ruolo dietro la consuetudine
dell’irrilevante trascorrere della vita di una comune famiglia di operai, con
le fatiche, le sofferenze e le piccole rare gioie che questa comporta. Del
resto queste semplici e note considerazioni sono avallate dal Vangelo stesso.
Infatti quando l’Angelo Gabriele “entrò da Lei”, non solo la chiamò “Piena
di grazia” ,
ma le disse anche che aveva “trovato grazia presso Dio” ( cf Lc 1,28-30 ). Eppure che cosa poteva aver fatto di
straordinario questa donna ebrea poco più che fanciulla? L’annuncio angelico
ha colto la S. Vergine nella vita semplice ordinaria tipica della donna nella
cultura orientale di quel tempo. Ora se così L’ha trovata e approvata il
Messaggero celeste è più che normale che così Maria abbia continuato a
impostare il resto della sua vita in questo mondo. Vorrei solo concludere che
se il fissare gli occhi sulla magnificenza delle prerogative di grazia e
santità di Maria ci facesse dimenticare quanto ora detto, rischierebbe di
allontanarci la figura della Madonna e, io penso, non Le sarebbe nemmeno
gradito perché La staccherebbe dal suo ruolo di Madre nostra, cioè di persona
tutta dedita alla vicinanza ai suoi bisognosi figli. E’
invece proprio con la sua vita che Maria ci dà l’insegnamento più prezioso
per la nostra esistenza. Ed è appunto come Madre premurosa di quest’umanità,
rigenerata dal Sangue del suo Figlio, che parla in particolare al cuore delle
mamme e dei papà delle famiglie cristiane per far comprendere quanto è
prezioso il loro ruolo di genitori soprattutto nell’impegno, spesso faticoso
e apparentemente irrilevante, di far crescere ed educare i loro figli ai valori
evangelici come la modestia, l’obbedienza, la moderazione, la purezza,
l’accoglienza, l’ascolto, la pazienza, il rispetto, l’altruismo, il perdono,
l’onestà, l’amore alla verità, insieme al senso del sacro rispetto di Dio e
alla visione della vita che non si ferma solo ai contorni naturali ma che sa
cogliere, al di là di questi, la Presenza e la Provvidenza divina. Tutti
valori questi che come tali sono immutabili e che Lei ha vissuto in perfetta
simbiosi con il Suo Figlio divino e il suo amato Sposo, eppure spesso anche
tanto dimenticati contrastati dalla mentalità mondana.
don Roberto (maggio
2005) |
Il
Natale di Gesù, come la sua Pasqua, sono richiamo per la Cristianità perché
senta e viva la sua identità di comunità formata da figli di Dio rigenerati
dal Sangue di Gesù sulla Croce mediante la fede nella sua Risurrezione. In
questo senso il cristiano è chiamato già in questo mondo ad essere cittadino
del Regno di Dio che è Regno di amore, di pace di giustizia e a questo
proposito vorrei proporvi un brevissimo pensiero riguardo al realismo del
modo di agire di Dio nei confronti dell’umanità, realismo che peraltro si
manifesta in modo chiaro e sovrabbondante nei Vangeli. Se ci accostiamo al
mistero del Natale da questo angolo visuale, ci accorgiamo che questo modo
inusitato e del tutto inatteso con il quale Dio entra nella storia dell’uomo,
creando con l’Incarnazione un legame irreversibile con tutta l’umanità,
rispetta lo stile di quel realismo nei riguardi dell’uomo a cui accennavamo
prima. Infatti la grandezza incommensurabile dell’evento non concede nulla
alla fantasticheria fiabesca dell’immaginazione umana, così come sarebbe
certamente avvenuto se questa fosse alla sua origine. Di straordinario c’è
solo il brillio angelico a dei testimoni che per il mondo sono inattendibili ( i pastori ), per il resto sobrietà, difficoltà,
indifferenza e rigetto, se non ostilità: forse fu l’accento galileo che
procurò la non accoglienza alla locanda. Eppure entrava nel mondo l’Atteso
delle genti, il Principe della pace … . Ma proprio
qui sta l’ennesima riprova del realismo di Dio: quale spazio ha veramente il
Signore nel cuore umano? Non appare Egli troppo ingombrante alla superbia,
all’alterigia e alla ribellione umana? Eppure è proprio con la sua povertà e
“debolezza” che il Cristo è venuto ad abbattere questi bastioni per
instaurare un amore più forte dell’odio e della morte distruggendo in se stesso questo male, insieme all’inimicizia del peccato,
sul legno della Croce. Ed è proprio dal Sangue del Crocifisso che, come ci
dice S. Paolo, ha rappacificato il cielo e la terra, che si sprigiona quella
potenza riconciliatrice destinata a restituire all’uomo quella pace che
“supera ogni intelligenza”. Ecco dunque il mio augurio natalizio: che questa
pace, mediante la fede in Gesù, regni sempre nei vostri cuori.
don Roberto (dicembre
2005) |
Per noi credenti la Vita precede la
creazione stessa ( cf Gv1,1.4 ) ed è data in modo speciale
all’uomo ( Gen 2,7 ). Ci stiamo avvicinando alla
Pasqua che segna la vittoria di Cristo sulla morte, vittoria che egli
estenderà a tutti quelli che hanno confidato come veri discepoli in Lui, e mi
è sembrato positivo offrire un breve pensiero sul meraviglioso dono della
vita umana, visto alla luce della fede. Come sempre questo articoletto non
può né vuol essere uno scritto impegnativo, forbito di citazioni bibliche e
di altri autorevoli documenti, ma un semplice pensiero che scorra il più
possibile leggero, alla luce di quanto prima detto sul tema tanto
affascinante, quanto tremendamente importante, come quello della vita umana
intesa per quello che è e cioè chiamata divina ad esistere come persona per
sempre. La Fede cristiana ci dice che Dio crea “chiamando” le cose ad essere
dal nulla; nulla nel quale ripiomberebbero se Lui stesso non le volesse e
sostenesse. Tutto ciò vale per ogni realtà e dunque anche per la vita umana
per la quale il processo creativo diretto dell’anima ( o
spirito che dir si voglia ) da parte di Dio è associato all’evento biologico
corporeo della fecondazione, cosicché generazione umana e creazione divina
formano come un tutt’uno indissolubile. Dunque quando ciò avviene ha luogo un
processo umano-divino e un meraviglioso universo, unico e irripetibile che è
appunto una nuova creatura umana, è posto nell’esistenza eterna. Pertanto quella realtà, che l’occhio umano
percepisce come tanto piccola, fragile e dipendente, è vita umana destinata a
svilupparsi e ad arricchirsi di specificazioni e proprio per la sua origine -
che è come abbiamo visto mano-divina - non solo è irripetibile ma
anche sacra e irreversibile. Infatti come sappiamo in Dio non ci sono
né ci possono essere contraddizioni o cambiamenti in Sé e anche in tutto
quello che fa. E’ pur vero che data la condizione
dell’uomo in questo mondo la vita, fin nel suo sorgere, appare mortificata da
una natura imperfetta e quindi posta sotto il segno della fragilità e della
debolezza, per cui può accadere che il processo biologico di sussistenza nel
seno materno si interrompa o che infinite altre cause ne sviliscano lo
sviluppo e la pienezza. Ma questa precarietà, contro la quale dobbiamo
combattere con ogni diligenza, non ne autorizza assolutamente la soppressione.
Basterebbe ricordare le parole di Gesù a proposito del matrimonio. Se già
all’uomo non è lecito separare ciò che Dio ha unito, appunto per il
carattere meravigliosamente grande dell’intervento di Dio nel fissare
quell’unione, quanto meno sarà consentito all’uomo arrestare lo sviluppo e la
crescita di quella vita che Dio ha posto in essere e chiamato ad una
pienezza di sviluppo ed espressione di esistenza. don Roberto (febbraio
2006) |
LE RADICI DELLA
NOSTRA IDENTITA’ Il fenomeno della immigrazione di tanta gente
da Paesi culturalmente e religiosamente lontani dalla nostra cultura ha
determinato nei paesi europei in genere, e particolarmente in Italia, una
situazione nuova che si può dire, almeno dal medioevo in poi, unica. E’ vero che i mezzi di comunicazione sviluppatisi in
maniera esponenziale negli ultimi cinquanta anni ci avevano un po’ preparato
a questo, ma una cosa è il contatto “virtuale” un’altra quello diretto. E’ sotto gli occhi di tutti come questa situazione abbia
creato e crei non pochi problemi. Ed è anche vero che ci sono certamente in
questo evento lati positivi, fra i quali la percezione più forte del senso
della mondialità della “famiglia umana”. Ad ogni modo è fuori dubbio che la
rapidità e la dimensione del fenomeno ha trovato anche coscienze non
opportunamente preparate a vivere con serenità questo rapporto interculturale
anche a livello religioso, rapporto che peraltro di per sé appartiene
all’intima coscienza della Chiesa nel suo essere cattolica (
universale ) e missionaria. In questa situazione si è parlato e si
parla dell’emergente bisogno, che nasce anche appunto dal confronto
culturale, di riscoprire e approfondire la nostra identità culturale e
religiosa, di tornare, come si dice, alle “radici cristiane”. Confermo da
parte mia questa necessità che del resto è implicita nel concetto stesso di
dialogo e rispetto reciproco. Non sono certo in grado di presentare un
problema così arduo e delicato come il dialogo interreligioso e quindi tanto
meno di trattarlo. Peraltro i principi del dialogo sono stati ribaditi dallo
stesso Pontefice ( rispetto reciproco, preparazione
adeguata, base comune di confronto sulla retta ragione, ... ). Ma nell’ambito
dell’auspicabile movimento di un sano ritorno alle radice
della nostra Fede, mi permetto di fare qualche considerazione generale e
generica forse non sempre del tutto scontata. Se è vero che questa ricerca
può e deve avvalersi sempre di tutti quegli strumenti che la Provvidenza
divina ci ha messo a disposizione, quali: la Sacra Scrittura, la tradizione
bimillenaria di una storia che, soprattutto nella vita di migliaia di Santi,
risplende per la carità eroica, ecc. , è pur vero che, se non vuol ripetere
l’errore lamentato da S. Agostino riguardo alla sua ricerca precedente la sua
conversione: “Tardi ti ho amato, bellezza tanto antica e tanto nuova,
tardi ti ho amato; ed ecco tu stavi dentro di me e io ero fuori e là ti
cercavo”, non può prescindere da un autentico e profondo sviluppo di vita
interiore. Insomma per conoscere veramente le radici della pianta non ci si
può limitare ad osservarle meglio dall’esterno, come si fa nelle scienze
empiriche, ma occorre soprattutto vivere più intensamente come parte viva
della pianta stessa, cogliendone l’essenza attraverso la linfa che da esse
fluisce. Così, e solo così, si acuisce il senso della sana ricerca senza
incorrere negli errori, tanto frequenti nella società odierna, del
soggettivismo religioso. Infatti proprio alle radici storiche dell’esperienza
cristiana troviamo il bisogno che i primi discepoli di Gesù avevano di
sentirsi in comunione tra di loro alla scuola degli Apostoli ( “erano un cuor solo e un’anima sola”At 5,32 ) per poter ricevere,
vivere e trasmettere la Verità che il Divino Maestro aveva loro annunziato ed
è questa un’esigenza di essere e formare Chiesa voluta da Dio, stampata nella
storia e intrinseca alla condizione umana.
don Roberto (ottobre
2006) |
IL NATALE DI GESU’
E L’INTEGRALISMO DELL’AMORE Siamo ormai a pochi giorni dalla solennità
del Natale del Signore, solennità tanto cara alla tradizione della nostra
Religione Cristiana, e nell’occasione dell’approssimarsi di questa
celebrazione mi permetto di parteciparvi una piccola riflessione. Si tratta
di un pensiero, come al solito molto semplice, che vorrebbe essere magari
anche di stimolo per un approfondimento personale, forse non del tutto
inutile in questo nostro tempo piuttosto travagliato, nel quale sembra che un
oscuro spirito del male voglia creare odi, divisioni, violenze e perfino
guerre in nome di Dio. In realtà l’incanto del Presepe, nella nostra Fede,
nasconde un abissale mistero di salvezza nel quale, a detta di S. Pietro,
“gli angeli stessi
desiderano fissare lo sguardo” ( 1Pt1,12 ). L’infinito ed eterno Iddio, Verbo
del Padre, ha preso dimora tra gli uomini nell’ umanità di Gesù di Nazareth
per vivere in mezzo a loro, nel tempo e in modo integrale, la stessa
esperienza umana. Lui, che è la Luce del mondo, adesso lo contempliamo venire
alla povera luce di questo mondo. Il contemplarLo
poi come neonato ci sconcerta ancor più a causa dell’assunzione addirittura
del pesante limite della progressività nello sviluppo della stessa natura
umana. Dobbiamo riconoscere che se è sconvolgente il mistero
dell’Incarnazione in sé, non lo è di meno il modo con cui Dio lo ha voluto e
attuato. Come non chiedersi il perché riguardo a questa via di annichilimento
radicale, via che in qualche modo è già preludio a quella della croce? Confesso
che non lo so, ma intuisco solo che nella famosa frase di Gesù: “Dio ha tanto
amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque
crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna” ( Gv3,16
), questo mistero è come collocato fra questi due verbi: amare – dare, dove
ognuno di essi trova espressione e profondità nel rinvio all’altro. Dio, per
dimostrare ad ogni uomo che lo ama sul serio, si è annichilito in una umiltà
e sofferenza infinita! Viceversa il dare di Dio, che è Amore, non può trovar
significato che come espressione dell’Amore, come appunto lo è l’Amore
salvante. Accade così che in Gesù si ha la piena manifestazione dello “stile”
dell’Amore divino uno stile che indubbiamente si è dimostrato radicale e
totalitario ( Gesù, apparendo piagato ad una Santa
toscana, la Beata Angela da Foligno, le diceva:”non
ti ho amato per scherzo” ) tanto che potremmo definirlo, secondo una
categoria attuale, “integralista”. E di fatto si tratta davvero di un
integralismo si, ma dell’Amore. Comprendiamo dunque
come quando dei grandi Santi, come Francesco d’Assisi, entrano nell’orbita di
questo amore, vadano gridando ai quattro venti: “l’Amore non è amato”. Auguro
a tutti un Natale pieno di serenità e di pace.
don Roberto (dicembre
2006) |
Stiamo per entrare nella Quaresima tempo di
preparazione alla più grande festa della Cristianità: la Pasqua, memoriale
della passione, morte e risurrezione di nostro Signore Gesù Cristo. Per
l’occasione desidero farvi partecipi di una piccola riflessione che, come di
consueto, cerca di avere un qualche riferimento a questo grande evento di
grazia. Nel periodo dell’ultimo Concilio, il Papa Beato Giovani XXIII ( il “Papa Buono” ), interpretando le parole di Gesù (
Lc12,54-57 ), in un momento che segnava per certi versi una svolta epocale
della nostra società, invitava la Chiesa a saper guardare ai “segni dei
tempi”. Quell’appello rimane sempre valido non solo a livello universale
ma anche a livello più piccolo, locale, e addirittura personale: di ogni
singolo fedele. Per questo mi permetto di condividere con voi una breve e
semplice considerazione, che peraltro non ha nessuna pretesa di particolare
acutezza e oggettività, ma vuol essere piuttosto un incoraggiamento a credere
fortemente nel valore e nella grandezza della vita di ogni persona. Non credo
di sbagliare nel percepire un segno significativo, purtroppo negativo, di
questo tempo nel fatto che l’uomo di oggi, distratto dai valori fondamentali
dell’esistenza umana, rischi di penetrare sempre più in una progressiva
eclissi del vero senso del proprio vivere. Tra le cause di questa crisi di
valori, che si manifesta anche nel relativismo etico e nel conseguente disagio
sociale, mi sembra di poterne cogliere una nella forte componente di quel
condizionamento culturale che induce ad un intenso agire, magari spesso anche solo per sopravvivere.
Dobbiamo però riconoscere che vi è pure tutto un meccanismo dispersivo che condiziona
a consumare di più e non per un reale bisogno di avere di più. Inoltre certe
volte, a parte gli effetti di questa arte di indurre falsi bisogni, tra le
cause che spingono nella frenesia di questa corsa, appare anche il desiderio
di un “essere di più”, ma non per gli altri bensì di fronte agli altri.
Una delle conseguenze di tutto ciò e che l’uomo rischia di vivere in una specie di
stordimento che gli impedisce di mantenere ferma la gerarchia dei valori
della vita e ne fanno le spese soprattutto quelli fondamentali, come la cura
della famiglia, che sono alla base dell’esistenza umana. Inoltre, se manca
una attenta vigilanza, dimentica facilmente il valore del suo rapporto
personale con Dio con la conseguenza della perdita del senso dell’Assoluto, fattore
questo essenziale nel riferimento della propria coscienza. Infatti l’uomo,
creato ad immagine e somiglianza di Dio, ritrova se stesso solo se si
“specchia” nell’Immagine perfetta di Lui: Gesù Cristo ( cf Col1,15 ) unico e vero fondamento della sua labile
esistenza. Ma quando l’individuo procede senza quei riferimenti che gli danno
la giusta “rotta” nell’attraversare l’oceano della vita, rischia di perdersi
e di fare disastrosi naufragi. Spesso sono proprio quelle eccessive attese
riposte nelle sole mète mondane che lo tradiscono
con le inevitabili delusioni, le quali poi facilmente ingenerano, come
conseguenza, amarezza e disprezzo per il significato stesso del vivere umano.
Questi semplici considerazioni però non sono, né vogliono essere, un messaggio
pessimista e negativo, tutt’altro vogliono essere semplicemente un appello
perché, là dove ce ne fosse bisogno, ognuno di noi vigili per mantenersi
saldamente ancorato al Vangelo della Vita. Ed è questo anche il mio
sincero augurio, perché il nostro Dio è il Dio della Vita e la vicinanza di
Lui non può essere che portatrice di pace. d. Roberto (febbraio
2007) |
UN CARO RICORDO DI GIOVANNI
A dieci anni dalla morte di Giovanni
Bardazzi ho pensato che fosse doveroso esprimere non solo la mia riconoscenza
personale di uomo e di parroco, ma anche quella della Comunità che se ha una
chiesa nella quale ritrovarsi, e per di più benedetta da S. Pio, lo deve
anche, e in gran parte, a lui. Per questo spero di riuscire nell’intento
offrendo un’ immagine ricordo di questa persona
semplice ma genuina, secondo appunto quel suo stile caratteristico che gli
era proprio. Del resto lo spazio a disposizione è ben esiguo e non voglio
certo tediare nessuno. Eccomi quindi a cercare di tracciare le linee
fondamentali di questa personalità secondo come io l’ho conosciuta senza
indulgere in forme di adulazione, ma dando a Dio ciò che è di Dio e all’uomo
ciò che dell’uomo. Già, perché se vogliamo penetrare un po’ nella storia
delle persone che si lasciano sconvolgere dal Signore, dobbiamo vedere sempre
sullo sfondo la Sua mano misericordiosa e provvidente. Ora penso che sia noto
a molti come ad un certo punto della vita personale di Giovanni questa mano
lo abbia scosso, in maniera a dir poco decisa, tramite S. Pio. Dall’uomo
nuovo rinato dalla conversione nacquero quei buoni frutti di cui parla il
Vangelo e Giovanni, proprio per la sua generosità, ne ha fatti molti. Ma nemmeno
di questo voglio parlare, anche perché non credo che potrei aggiungere
qualcosa a ciò che è stato detto e scritto. Per le ragioni cui accennavo
sopra, preferisco descrivere quei tratti della sua personalità che più mi
hanno colpito nell’essergli stato vicino per più di sei anni, in un rapporto
cordiale e franco da entrambe le parti. Ricordo ancora il primo incontro che
ebbi con lui nell’estate del 1991 alla presenza dell’allora Arcivescovo di
Firenze mons. Piovanelli. Per me fu, a dir poco, tanto promettente quanto
fuori dalle regole e dall’immagine che, per semplice congettura, mi ero fatta
di questa persona. Infatti prima di incontrarlo mi avevano parlato di lui
come un figlio spirituale di S. Pio molto conosciuto, quindi mi aspettavo di
incontrare una persona dagli atteggiamenti molto compiti e “seriosi”. Ebbene
mi trovai davanti un uomo che, sebbene ormai anziano, era pieno di vitalità,
pronto alla battuta nel contraddittorio scherzoso caratteristico del
linguaggio toscano. Man mano che imparai a conoscerlo meglio mi accorsi che
sotto quell’aspetto bonario, ma raramente anche, in certe situazioni,
inaspettatamente brusco, c’era un grosso bagaglio formatosi in una vasta
esperienza nel campo delle “cose dello spirito” che egli si era fatto alla
scuola di S. Pio come suo docile figlio. Certamente al di là del Santo era
Dio che gli aveva sconvolto la vita servendosi dello Strumento umano. Ma
Giovanni, da uomo semplice quale era, non si faceva troppe domande
teologiche. Come ebbi a dire nell’omelia della Messa delle esequie, per lui
ubbidire a Padre Pio era servire Dio. Al cambiamento radicale interiore,
vissuto come una rinascita - evento questo al quale faceva abbastanza spesso
riferimento nei suoi racconti -, aveva fatto seguito naturalmente quello della
vita esterna. Però, secondo lo stile proprio dell’azione Divina, il Buon Dio
gli aveva lasciato intatti i tratti caratteriali della sua personalità,
peraltro già matura al momento della conversione. E così attraverso questa
personalità semplice e schietta, nella freschezza di un linguaggio quanto mai
espressivo e dalla ricchezza di una memoria misteriosamente intatta e
precisa, io ebbi, come del resto tanti, la fortuna di accedere ad una
conoscenza inedita e viva di S. Pio, conoscenza difficilmente trasmissibile
con la sola scrittura. Del resto per me fu un passo importante perché - lo
confesso candidamente -, pur avendo avuto sempre stima di questo grande
Santo, ne avevo avuto anche un po’ di timore specialmente per quel cliché con
cui normalmente veniva presentato di uomo di Dio si, ma severo e
intransigente. Ebbene ora, grazie a Giovanni, conoscevo di S. Pio come un
nuovo volto: quello di un uomo stretto è vero dall’esigenza di perfezione
dell’Amore di Dio, ma animato anche da un cuore tenerissimo pronto a
sacrificarsi non solo - e prima di tutto - per il bene eterno di quelli che
il Signore gli affidava, ma anche per il sollievo delle loro sofferenze e
difficoltà temporali. Grazie dunque caro Giovanni: a te la ricompensa eterna
per tutto il bene che hai fatto, ma continua a vegliare su questa opera che
il buon Padre Pio ti affidò perché grande responsabilità sento pure nelle mie
povere mani!
don Roberto (ottobre
2007) |
CHIAMATI PER NOME Tra
le verità più belle rivelateci da Dio nella Sacra Scrittura, e che sono parte
viva della nostra Fede cristiana, c’è quella che riguarda la nostra personale
“vocazione”. S. Paolo ritorna diverse volte sul fatto che ogni credente è un
“vocato”, un chiamato alla salvezza per mezzo del Vangelo. Ed è proprio nei
Vangeli che si può osservare come questa vocazione è tutt’altro che anonima:
Gesù chiamò per nome coloro che aveva scelto, anzi cambiò addirittura il nome
a qualcuno di loro come a Simone, che chiamò Pietro. Del resto lo stesso S.
Paolo portava viva nel cuore l’esperienza della sua conversione, da
persecutore ad apostolo, quando il Signore, apparendogli sulla via di
Damasco, lo aveva chiamato per nome ( Saulo,
Saulo perché mi perseguiti... ). Più tardi riconobbe che quella
vocazione–elezione era una chiamata che lo aveva misteriosamente attraversato
nelle fibre più intime del suo essere fin dal seno materno. Sappiamo tutti,
ma in particolare lo sanno bene i maestri e in generale gli educatori, come i
bambini amino essere ricordati e chiamati per nome perché, giustamente, essi
riconoscono in questa attenzione di avere come uno spazio nel cuore di chi
deve avere premura per loro. Nel crescere poi l’essere chiamato per nome è un
fatto delicato e riservato a persone che entrano nella cerchia della discreta
confidenza fiduciale. Ebbene il Buon Dio, creatore e provvidente tutore della
nostra vita, rivelando il suo Amore per noi, ha voluto che avessimo coscienza
che non si trattava di un amore di massa anonimo, bensì di un delicatissimo
appello personale affinché ogni uomo, ma ancor più colui che vive nel torpore
di una vita assorbita dalla frenesia di una logica solo materiale, potesse
riscoprire il senso profondo del valore del proprio esistere. La storia dei
santi poi ci racconta che chi fa questa esperienza in modo singolare e forte
vive come un risveglio ad una realtà bella, incredibile quanto vera, di un
Amore che lo considera, lo rispetta ed attende solo di essere “compreso” per
quello che E’ e capace di fare: restituire ogni uomo
a se stesso e alla sua piena dignità regale. Tra le figure più belle che Gesù
dà di sé nel Vangelo di S. Giovanni, c’è quella del “buon pastore” che
conosce le sue pecorelle e di esse dice che questo buon pastore le chiama
una per una ( Gv10,3 ). Sembra quasi voglia rassicurarci che, nonostante
lo sterminato numero, non siamo affatto anonimi davanti a Dio. Tutt’altro, a
tal proposito, sempre con le sue parole nel Vangelo di S. Giovanni ( Gv14,2-3 ), Gesù ci fa capire che abbiamo un posto particolare
nell’infinito cuore di Dio, l’unico nel quale siamo veramente insostituibili.
Siamo così preziosi ai suoi occhi che Egli non si comporta come il pastore
mercenario, il quale davanti al lupo scappa, ma, al contrario, Egli dà la
vita per salvarci. Queste semplici e brevi considerazioni vorrebbero
stimolare ciascuno di noi, a partire da me, a fare ancora più nostra la
verità della Pasqua di Cristo. Al di là dell’evento storico che nella fede
celebriamo: la vittoria del Signore sul peccato e sulla morte in favore di
una speranza che nessuna disperazione può vincere, c’è pure un messaggio
esistenziale che raggiunge profondamente le attese più vere del cuore umano.
L’accoglienza di questo messaggio ha certamente dei risvolti positivi per la
vita comunitaria della Famiglia umana, ma il livello prioritario e
fondamentale è, e rimane, quello personale individuale. Il
mio più sincero augurio dunque è che ognuno di noi sia toccato nel suo intimo
ancor più profondamente dalla Verità che celebreremo nella Pasqua del
Signore. don
Roberto (febbraio
2008) |
A quaranta anni dalla morte di S. Pio e a
quarantotto dalla consacrazione della nostra chiesa parrocchiale, chiesa che
come certamente vi è noto è stata espressamente voluta da questo Santo, mi è
sembrato quantomeno opportuno proporre una breve riflessione sulle parole di
Gesù da Lui dette in merito ai suoi discepoli veramente fedeli: “Chi opera la verità viene alla luce,
perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio”(
Gv3,21 ). Questa manifestazione, di cui parla il Signore, naturalmente non è
un “moto proprio”, ma viene dall’Alto e solo Dio sa come e quando far
apparire la verità e la bontà delle opere fatte per amore dal suo servo
fedele. Spesso la grandezza di queste persone si rivela massimamente dopo la
morte. Ma per Padre Pio, grazie anche ai suoi numerosi carismi, ciò è
avvenuto in parte anche durante la sua vita terrena, magari sotto una fitta
pioggia di sofferenze di ogni tipo e di cui quelle morali non ebbero
sicuramente l’ultimo posto. Questo fluire di grazie speciali, che il Padre
impiegò a gloria di Dio e per la salvezza delle anime, spiega in qualche
misura la grande risonanza della sua figura quando era ancora in vita, ma con
la sua morte questa forte devozione non si è affatto spenta anzi si è
purificata e accresciuta. Qualche giorno prima della morte Giovanni Bardazzi ( il figlio spirituale al quale P. Pio affidò la
costruzione della nostra chiesa parrocchiale ) vedendo il Padre
particolarmente prostrato: era a sedere come sempre ma ancor più ricurvo e
sofferente, gli chiese come stava. P. Pio gli rispose: “E me lo domandi?
Prega la Madonnina che mi prenda perché non ne posso proprio più !” Giovanni, con il nodo alla gola, gli disse:”No Padre, questo no! Che
ne sarà di noi?” A queste parole il Padre riprese vigore si raddrizzò e
puntando l’indice contro Giovanni gli disse: “Tu dirai a tutti che dopo morto sarò più vivo di prima; e a tutti
quelli che verranno a chiedere nulla mi costerà dare. Nessuno di coloro che
saliranno questo monte tornerà a mani vuote”. In vita S. Pio, come tutti i fedeli
servitori del Signore, forse proprio a causa del suo spirito profetico, ebbe
molti avversari anche fra gli stessi uomini di Chiesa. Ora, dopo morto, tutti
si rallegrano nel vedere questa scia di luce lasciata da una esistenza
consumata nel dono di sé per gli altri come “sacrificio di soave odore”, per la salvezza delle anime e per
lenire le sofferenze portate dalla presenza del male nel mondo. Anche la
nostra “chiesetta”, come la chiamava lui, è un frammento di questa scia
luminosa e noi, fiduciosi nella promessa che il Padre ha fatto riguardo ad
una sua particolare cura per le persone che l’avrebbero frequentata, ci
rallegriamo di averla come chiesa parrocchiale nella quale appunto la
Comunità si raduna per le celebrazioni. Anzi, in omaggio a questo carisma
spirituale, è nata l’idea di dedicare a S. Pio la cappella laterale
attualmente in progetto, necessaria per la Messa feriale, come segno di
devozione e di riconoscenza ma soprattutto – il Buon Dio ci scuserà l’atto
interessato – per avere se possibile ancor più grazie per intercessione di
questo grande Santo. don
Roberto (dicembre
2008) |
La festa più grande della Cristianità, la
Pasqua, si sta avvicinando e stiamo appunto per iniziare la Quaresima che ne
è il periodo di preparazione. Siccome il frutto più bello di quell’Evento,
destinato a cambiare la storia del mondo, fu per i primi discepoli la pace
serena e gioiosa di chi ricupera la speranza della propria vita, mi sono
proposto di offrire un pensiero, come al solito molto semplice, sul valore della
pace e delle sue componenti essenziali. Il saluto francescano: “Pace e bene”
credo che esprima, in maniera efficace e concisa, l’augurio più bello che gli
uomini possano scambiarsi perché, come tutti sanno, senza la pace del cuore
non è possibile percepire pienamente alcun bene della vita. Dunque la pace è
di per sé un valore universale in quanto riguarda il bene di ogni uomo e per
noi cristiani, che vogliamo lasciarci guidare dal Vangelo, lo è in modo
speciale. Allo scopo basta ricordare, fra le tante citazioni, quella
evangelica nella quale Gesù pone la priorità del ricupero della concordia a
qualsiasi altra offerta da presentare all’altare (cfr
Mt5,23-24). In questi ultimi tempi diverse e autorevoli voci hanno ricordato
ciò che la storia stessa ci insegna, e cioè il profondo legame tra pace e
giustizia. Sappiamo bene infatti quanto l’ingiustizia sia all’origine di
molte divisioni a tutti i livelli della vita associata, da quello personale a
quello internazionale, e dei conseguenti conflitti e guerre di ogni tipo che
da essa scaturiscono. Per questo, in armonia con lo stesso Vangelo, che
proclama “Beati gli operatori di pace”,
una lode grande va intessuta per tutti coloro che si adoperano con ogni
sforzo per facilitare o riguadagnare la pace combattendo per l’eliminazione,
per quanto possibile, di ogni forma di ingiustizia. Certamente non sfugge
però a nessuno come questo dramma sia ben profondo, non fosse altro che per
il condizionamento soggettivo del senso della giustizia. Basta vedere quello
che normalmente accade tra due contendenti, cioè come ognuno rivendichi la
sua giustizia. Inoltre questa sensibilità è facilmente vittima di ignoranza,
errore, ideologizzazione, ecc. E questo ci appare chiaro specialmente nei
conflitti più grandi come quelli etnici, nazionali interni ed esterni. Sono
cosciente che la questione è molto delicata e supera di molto sia le mie
capacità, sia l’interesse di questo piccolo articolo. Vorrei tuttavia
chiarire che queste ultime considerazioni non vogliono assolutamente sminuire
lo slancio e il valore della lotta contro l’ingiustizia, bensì evidenziare
come sia prezioso per noi cristiani rinnovare, anche in questo campo, il
riferimento al “solo Giusto” che, come ci ricorda S. Paolo, per riconciliare
il Cielo e la terra e gli uomini fra di loro ha “distrutto in Sé
l’inimicizia” nel Sacrificio della Croce (cfr
Col1,20; Ef2,14-18) realizzando così la promessa angelica del Natale “pace in terra agli uomini amati da Dio”.
In realtà si può dire che nessuna vera pacificazione è gratuita. Si richiede
spesso superamento di sé nel perdono, lungimiranza e disinteresse in vista
del bene prezioso della concordia. Termino queste brevi considerazioni
ricordando che vi è anche un altro tipo di pace molto più semplice, ma pur
esso necessario e da auspicare di fronte agli “attacchi” delle preoccupazioni
e della frenesia della vita quotidiana in questo mondo. Infatti una esistenza
più calma e più serena permette di apprezzare e vivere meglio anche la
dimensione della relazione familiare e sociale. Nella visione cristiana, al
di là degli sforzi umani, la pace è prima di tutto dono di Dio, per questo il
mio augurio pasquale è: che il Dio
della pace, il Signore nostro Gesù Cristo, vi ricolmi di ogni pace e bene nel
suo Amore. don
Roberto (febbraio
2009) |
Anche se le feste natalizie non sono
vicinissime, abbiamo pensato di anticipare il recapito del giornalino
parrocchiale per un aggiornamento sulla vita parrocchiale e, in
particolare, in merito ai lavori di ampliamento della chiesa con la
costruzione di una cappellina, laterale alla chiesa stessa, dedicata a S. Pio, il Santo che come, certamente
sapete, ha voluto fosse costruita quella che ora è la nostra chiesa parrocchiale.
Questi lavori finalmente, tra non poche difficoltà e con molta carenza
economica, sono iniziati e, confidando nella Divina Provvidenza e nella
vostra generosità, speriamo di portarli a termine nel duemiladieci,
anno nel quale ricorre il cinquantesimo anniversario della dedicazione della
chiesa parrocchiale. Colgo l’occasione anche per proporre come al solito un
semplice pensiero di fede sullo splendore della Verità religiosa che, se è
tale, deve ricondurre l’uomo non solo a Dio, ma anche a se
stesso, cioè deve fargli ritrovare il vero e pieno senso della propria vita e
della propria dignità, soprattutto nella relazione con agli altri e con Dio,
del quale ne porta l’immagine. Nella lettura della Sacra Scrittura troviamo
appunto tutto un movimento di segni e di indizi convergente in questo
grandioso fine. Naturalmente la massima visibilità di questo misterioso
disegno si ha nella pienezza dell’autotrasparenza
che Dio da di sé in Cristo Gesù. La vastità del tema da un lato e la
ristrettezza dello spazio, unita l’autocoscienza della mia piccola misura,
dall’altro, mi inducono a soffermarmi solo su quei momenti e atteggiamenti
della vita di Gesù che i Vangeli ci riferiscono come più critici; situazioni
nelle quali però emerge chiaramente il contrasto tra la logica del “potere” e
la logica dell’”Amore”, insomma, tra la spontaneità del comportamento umano
di chi desidera imporsi e quello invece di chi desidera solo, come buon
samaritano, curare le ferite dell’uomo incappato nei molti “briganti”
detrattori della sua vita. Mi riferisco a quei momenti di incredulità e di
rigetto di coloro che paradossalmente con più facilità avrebbero dovuto
accogliere il Cristo, anche nella novità del suo insegnamento (cfr ad es. Lc4,20-30; Mt12,9-14; Gv6,22-66;…). La reazione di Gesù, non senza scandalo degli
stessi discepoli (cf Lc9,51-56), non è stata quella
di imporsi, magari con la potenza del miracolo o con quella della potenza
distruttrice, bensì quella della semplice “debolezza” chi non vuol ledere la
libertà responsabile della coscienza umana, rispettandone fino in fondo il
mistero della sua dignità e alterità. Il trionfo di Dio è convincere l’uomo
dell’Amore che Egli ha per lui al di là e al di sopra delle contraddizioni e
della “ruvidità”, spesso anche marcata, della vita in questo mondo. Il passo
della Fede cristiana è sostanzialmente questo: aprirsi e credere a questo
Amore. Allora una grazia divina subentra a sostenere il cammino della vita
nella via del Signore e il vero discepolo di Gesù ritrova progressivamente se
stesso, anche come uomo, nelle intuizioni delle ragioni della sua esistenza e della speranza
che motiva il suo amare, agire, soffrire e gioire. Avviene allora come a
quell’escursionista che impaurito e angosciato perché perdutosi,
ritrova le tracce del sentiero sicuro che lo guida alla mèta; il vigore e la
serenità ritornano in lui ancorché il cammino non sia finito. A me sembra che
il messaggio del Natale di Gesù, Luce di Verità, messaggio che si rinnova
ogni anno per questa umanità, come minimo distratta da tanti disvalori, possa
essere ancora più compreso se letto nella luce di questo modo di amare
divino. Questo, insieme alla serenità e la pace che solo il Signore sa dare,
è l’augurio che faccio a me e a ciascuno di voi come frutto di questo Santo
Natale.
don
Roberto (dicembre
2009 |
Forse può sembrare
improprio proporre un pensiero sulla Madonna in prossimità della preparazione
alla Pasqua del Signore; il fatto è che si ricorre volentieri a Lei nei
momenti più delicati e difficili della vita. E proprio nella preparazione
alla festa, che è la sorgente della letizia cristiana, non possiamo non
pensare che una fetta consistente di umanità geme non solo sotto il peso
delle catastrofi naturali ma anche – e soprattutto - sotto le ferite che si
autoinfligge con tutte la varie forme di ingiustizia e di violenza, forme che
sembrano come perpetuarsi a causa di un ciclo malefico chiuso perché tendono
a generare povertà e ignoranza (specie
quella etica), che a loro volta formano quel triste focolaio destinato a
sviluppare, mantenere e accrescere appunto violenza e ingiustizia. Viene da
chiedersi: non c’è dunque speranza per un mondo migliore? Il cristiano non
solo può, ma deve, sperare in positivo e impegnarsi anche per questo.
Dobbiamo sempre avere presente le parole di Gesù: “Non temete io ho vinto il
mondo (del male)”. Fra non molto celebreremo la Pasqua di Cristo segno,
inizio e potenza realizzatrice di un’era nuova inaugurata dalla vittoria di Cristo
sul più grande dei fallimenti che incombe sulla vita di ciascun uomo che è la
morte. Questo fa si che la Pasqua oltre ad essere
il fondamento della nostra Fede sia, nel contempo, anche quello della
speranza, perfino nella sua piccola ma importante dimensione terrena. Infatti
dalla vittoria nella fede sul principale dei mali dell’uomo scaturisce la
possibilità di vincere, in una qualche misura, anche i mali terreni in una
lotta che, se vogliamo essere autentici discepoli di Cristo, dobbiamo
combattere a tutti i livelli con le armi della carità illuminata dalla
Sapienza Divina e al servizio del bene comune. Mi sembra bello notare che ad
avvalorare questa fiducia ci viene in soccorso proprio il pensiero di Colei
che è la “prima” tra tutti i credenti; prima non solo in ordine di tempo ma
soprattutto nell’ordine della grandezza e importanza nel piano salvifico di
Dio. Proprio Lei, che alla croce del Figlio ha saputo “sperare contro ogni speranza”, ce ne dà garanzia. Infatti i
Vangeli, benché estremamente parchi delle parole dette dalla S. Vergine, ne
riportano quelle sufficienti a farci capire cose importanti sulla sua visione
del mondo con i suoi mali e della via della sua salvezza. A tale scopo è
opportuno considerare le parole ispirate e piene di speranza, dette da Maria
in occasione della visita all’anziana parente Elisabetta, riguardanti
l’intervento misericordioso di Dio in favore dell’umanità mediante l’invio
del Figlio nel mondo: “…ha disperso i
superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha
innalzato gli umili, ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi
a mani vuote…” (Lc1,51-53), associandole a quelle dette sempre dalla S.
Vergine a Cana, in occasione della sua intercessione perché Gesù facesse un
miracolo in favore degli sposi rimasti senza vino (coefficiente importante
per la festa di quel tempo). Maria disse ai servi: “Fate quello che vi dirà”. Queste parole si rivestono di
particolare solennità quando pensiamo che lo Spirito Santo, ispiratore della
Sacre Scritture, ha voluto che rimanessero le ultime parole dette dalla S.
Vergine. Senza forzature possiamo leggerle come invito e, nello stesso
momento, espressione della condizione perché si possano realizzare anche
quelle speranze, da Lei stessa profetizzate ad Elisabetta. Possiamo ritenerle
come un appello accorato in favore di questa povera umanità, di cui Ella si
sente appassionata madre, che attraverso la storia invita a fidarsi del
Figlio perché Egli possa agire come salvatore di tutto l’uomo: prima di tutto
nella dimensione spirituale eterna, ma anche a sollievo della sofferenza
portata da molti dei mali che affliggono la sua vita. Termino con l’augurio che la Pasqua di
Cristo segni anche per ciascuno di noi una maggiore consapevolezza del dono
della fede e della speranza cristiana, cosicché, nell’impegno nella coerenza
della vita, l’abbondanza delle Benedizioni Divine riempia le vostre
famiglie. don
Roberto (febbraio
2010) |
IDENTITA’
CRISTIANA: un tesoro geloso da custodire e approfondire In occasione della S. Pasqua vorrei offrire
un piccolo e semplice spunto di riflessione sulla bellezza e il valore delle
radici della nostra identità cristiana. Abbiamo imparato a conoscerci per
nome quando abbiamo iniziato a sentire e a comprendere la voce dei genitori
che amorevolmente ci chiamavano, così pian piano ci siamo in qualche modo
“identificati” con il nostro nome. Questa esperienza elementare, eppure
fondamentale, ci aiuta ad avere nozione di un’altra altrettanto intima, ma
ancor più profonda, che riguarda il nostro essere cristiani. In un documento
molto importante dell’ultimo Concilio leggiamo: “Cristo (…) rivelando il
mistero del Padre e del Suo Amore svela anche l’uomo all’uomo e gli fa nota
la su altissima vocazione”. Si,
Colui che riunisce in Sé infinita maestà e infinito Amore, ci ha chiamati per
nome fin dal seno materno, e l’accoglienza di ciò dischiude ai nostri stessi
occhi la consapevolezza di quanto sia importante la nostra personale esistenza
proprio perché così è stata da Lui voluta e costituita tale. Chi non è più
tanto giovane, e guarda con realismo la vita umana, credo che possa dire che,
se è vero che vi sono momenti di gioia e di speranza, è pur vero che sono
molti più quelli di fatica e anche di delusione, senza contare che compaiono
anche quelli di tribolazione e, purtroppo avvolte, neanche troppo raramente.
Dico questo non per gettare un’ombra di pessimismo sul valore della vita in
questo mondo, ma per evidenziare semplicemente come la consapevolezza di cui
si parlava all’inizio sia capace di completare a pieno il senso
dell’esistenza umana, integrandone armonicamente la dimensione trascendente
ed eterna con quella immanente e responsabile dell’impegno nel mondo, senza
naturalmente escludere quelle piccole e semplici gioie che la vita può dare.
Quel nome pronunciato dall’eternità, che mi invita - unica tra tutte le
creature corporee – ad entrare in una pienezza di Vita eterna, mentre da un
lato mi dà una speranza più forte di tutte le disperazioni, compresa la
morte, dall’altra non mi distrae, anzi vincola l’autenticità della mia
risposta all’impegno molto serio e responsabile a spendermi nella via della
carità fraterna per il bene comune e in modo ordinato, partendo proprio dal
bene della vita familiare. Certo dobbiamo riconoscere che il Vangelo, con il
suo crudo realismo e la perentoria determinazione alla conversione per lo
sradicamento del male dal cuore umano, sembra
non rispondere alle esigenze di questa povera natura umana malata, debole e
fragile e che in questo senso appare, come ci dice S. Paolo, “non modellato
sull’uomo”. Ma questa impressione non è reale perché la Parola Divina,
insieme alla scossa di severità, necessaria per raddrizzare ciò che è storto
e richiamare a si grande consapevolezza del bisogno di salvezza dal pericolo
di un fallimento eterno, rende noto - e operante per chi vi aderisce – anche
l’azione positiva di un grande Amore misericordioso, capace di curare in modo
appropriato, come nessun altro medico può fare, le ferite del cuore umano
purificandolo e rendendolo capace di quel Infinito di cui ha insaziabile
nostalgia (“beati i puri di cuore perché vedranno Dio”) e senza del Quale,
come ci insegna S. Agostino, è perennemente inquieto. Per questo Dio ha mandato
nel mondo il Suo Figlio; per questo Gesù Cristo è morto e risorto per noi.
Nell’occasione della rinnovata celebrazione della S. Pasqua, l’augurio che
faccio a me, e al benevolo lettore di questo piccolo pensiero, è che teniamo
sempre alto il senso della grandezza del dono della Verità rivelataci da
Cristo e per la quale è morto sulla croce, essenza appunto della nostra
identità cristiana. don
Roberto (febbraio 2011) |
LA PREMURA
DELLA BEATA VERGINE MARIA PER I SUOI FIGLI Nel “raggio” della Croce, per usare un’espressione
cara al Beato Giovanni Paolo II, tutto si riveste di significato e di potenza
grande perché siamo nel cuore della Redenzione. Così a nostro conforto
possiamo sondare la grandezza della Misericordia Divina per chi, anche
all’ultimo minuto – pur nella contraddizione della sofferenza -, si sa
rinnegare e trova la forza di riconoscersi ingiusto per chiedere perdono e
aiuto al Salvatore, come appunto ha fatto il “buon” ladrone crocifisso
accanto a Gesù sul Calvario. In questa prospettiva acquistano particolare
grandezza di significato le ultime parole di Gesù riguardanti il suo
testamento. Infatti il Cristo, nudo sulla Croce, non aveva altro da lasciare
se non la Madre ed Egli la consegna al suo discepolo prediletto, ma consegna
anche a Lei questo suo discepolo. Per le ragioni che dicevamo prima, da
sempre la fede della Chiesa ha visto nell’intenzione del Redentore morente
una disposizione benedetta che va ben al di là della protezione di Giovanni,
giovane apostolo di Gesù, per estendersi a beneficio della vita dell’intero
Popolo di Dio. Questa disposizione per la S. Vergine è stata come un nuova missione, datale con solennità dal Figlio,
missione che ha caratterizzato per sempre la sua singolarissima esistenza di
“benedetta fra tutte le donne”. Sulla scia di queste considerazioni, non
appare certo un caso che il Nuovo Testamento citi, subito dopo la
risurrezione di Gesù, la sua presenza – certamente particolarmente viva,
desiderata e gradita - nella prima Comunità come la “Madre del Signore”. Con
l’assunzione al Cielo, questa missione della Beata Vergine Maria prende una
dimensione cosmica: entrando nella gloria di Dio, Ella è in grado di
prendersi cura di ogni creatura umana che, concepita sulla terra, è chiamata
ad essere - per i meriti di Cristo - partorita al Regno della Vita eterna. E
così avviene che la Madonna riversa una premura tutta speciale sulla Chiesa
di cui Ella stessa è madre. La traccia storica di questo fatto ce l’abbiamo
nella devozione che tutte le generazioni cristiane, per quanto è accertato a
partire dal secondo secolo, hanno riservato alla S. Vergine. In tempi
relativamente più recenti questa visibilità è attestata anche dalla
moltitudine di santuari mariani che punteggiano la geografia di questo mondo.
Alcuni di essi sono grandi e noti perché la Madre Celeste ha dato, e dà,
segni di questa sua particolare premura con miracoli, prodigi e anche
messaggi. Molti altri sono meno noti e anche meno “certi”, ma anche essi
conservano, insieme ai primi, tracce di questa premura materna per i suoi
figli rigenerati dal Sangue di Cristo, eppure in pericolo di morte eterna o
comunque di astenia spirituale e di sbandamento portato dalle suggestioni dei
venti di questo mondo. Una cosa è certa: in sintonia con un Cuore Immacolato
e pieno di misericordia materna qual è il suo, questa premura si fa più
intensa nei tempi storici più pericolosi e difficili per la cristianità e per
il mondo intero, mediante accorati inviti a ritrovare e a mantenere la via
tracciata dal suo Figlio Gesù. E’ la via della Parola
Divina che risuona nella Chiesa, arricchita della grazia dei Sacramenti,
specie della Riconciliazione e dell’Eucaristia. La nostra Parrocchia ha avuto
il buon auspicio di avere la sua chiesa intitolata, per volere di S. Pio,
proprio a Lei come per contare su una sua particolare cura e protezione.
Nell’occasione dell’Anno Santo del 2000 abbiamo avuto la possibilità – grazie
anche ad una gentile concessione del Comune di Calenzano – di poter
realizzare un
tabernacolo, a Lei dedicato come Regina della Pace, ubicato in
una posizione più centrale, rispetto alla zona abitata, di quanto lo sia la
chiesa. Ora sentiamo il bisogno di approfondire il tema di questa presenza
premurosa della S. Vergine allo scopo di sentirci più incoraggiati nel
credere alla Persona di Gesù e a vivere in riferimento al suo insegnamento
evangelico. Tutto ciò ci aiuterà anche a tenere alti e fermi i conseguenti
valori fondamentali che ne scaturiscono riguardo alla vita umana, familiare e
sociale. Per questo ogni primo giovedì
del mese alle ore 21.15 ci troviamo in Parrocchia per iniziative che
verranno via, via comunicate aventi di mira lo scopo detto. don Roberto (dicembre 2011) |
LA
RISURREZIONE DI GESU’ CRISTO POTENZA RINNOVATRICE DELLA CRISTIANITA’ Sta per iniziare la Quaresima, tempo propizio
per la preparazione alla grande festa della Cristianità che è la Pasqua, e se
è vero che questa festa è abbastanza cronologicamente distante (8 Aprile) è
pur vero che il mistero pasquale della passione, morte e risurrezione di
Cristo pervade l’intera vita del credente. Per questo ho pensato che non
fosse fuori luogo motivare i miei auguri pasquali alla Comunità parrocchiale
con due semplici righe sul grande tema della risurrezione di Gesù, evento
unico e traboccante di una grazia rinnovatrice della Cristianità e,
attraverso di questa, dell’intera umanità. Premetto che nella coscienza della
mia limitata erudizione, e della ben ristretta brevità di spazio, non presumo
altro se non di esporre alcune considerazioni molto semplici, dettate più dal
cuore che dalla speculazione intellettuale. Credo che sia sotto gli occhi di
tutti la presenza nella storia dell’umanità di due tendenze contrapposte,
tendenze che se estremizzate inducono processi involutivi nel suo sviluppo
quanto mai dannosi alla convivenza umana. Mi riferisco a quegli
atteggiamenti, che come sempre hanno radice nell’animo umano, e che
corrispondono da una parte alla tendenza a volgersi in dietro, per guardare
con predilezione nostalgica al passato come luogo di attuazione del “meglio”;
dall’altra alla tendenza alla fuga in avanti con la presunzione di attuare
questo “meglio” solo perché rivoluzionario e frutto del “nuovo”, a
prescindere dalla esperienza del passato, anzi non raramente anche in
contrapposizione con essa. Ora si capisce bene che la prima via, con la sua
illusione nostalgica porta a stazionare su un ideale immaginario, tende ad
impedire l’evoluzione positiva del pensiero. E la seconda, con la presunzione
di una ottimistica novità sorgiva, finisce per ripetere, magari in forme diverse,
gli stessi errori del passato. Per cui alla fine questi atteggiamenti presi
come categorici risultano essere evasioni idealiste e dispersive dal reale.
Reale invece, che per essere vissuto in modo costruttivo, richiede il
quotidiano farsi carico della responsabilità più o meno gravosa del presente.
Per noi cristiani il Maestro è – e deve continuare sempre ad essere in tutto
- il Cristo. Egli venendo nel mondo non ha enfatizzato il valore del passato,
ma non lo ha nemmeno annullato in quanto ne ha mostrato il significato
attraverso l’importanza di una storia
di salvezza. Storia alla quale Egli stesso ha dato compimento e
perfezione, proprio in quanto trova in Lui la sua pienezza e la sua chiave di
lettura. Altresì non ha enfatizzato il futuro - proprio a causa della
debolezza umana che accompagna la storia della Chiesa e dell’Umanità, storia
nella quale si prolunga l’eterna lotta tra la luce del bene e le tenebre del
male - ma lo ha sottratto al pessimismo del vano non senso di una inutile
ciclicità, riempiendolo della speranza della mèta alla quale questo futuro,
sotto la Regalità Divina, tende. Penso di poter dire che da un punto di vista
cristiano il credente deve dunque superare sia la tentazione della vuota
nostalgia tradizionalista, che non sa accogliere l’azione rinnovatrice dello
Spirito Santo nel laborioso e sofferto travaglio della storia; sia la
tentazione avventuriera che presume di poter fare a meno dell’intelligenza e
dell’esperienza di fede del passato, quasi negando nella medesima la presenza
operante dello Spirito. Termino osservando che quanto ora detto confluisce in
modo mirabile nel grande Mistero pasquale, dove il passato è presente come
base propedeutica fondamentalmente alla Pasqua di Cristo. E il futuro è
presente nel frutto della risurrezione del “Seme che muore” per dare vita ad un’era nuova. Infatti se la
passione e morte dell’Uomo-Dio ha un valore infinito, ed è in qualche modo
uscita dal tempo per entrare nell’eternità, pure la sua risurrezione, evento
unico e trascendente, sta al di sopra della storia e la trascina motivandola
per mezzo della Speranza cristiana, Speranza che essendo fondata sulla
vittoria della morte, è più forte di qualunque disperazione. Ecco dunque il
mio augurio: che questa medesima Speranza sia lampada sempre accesa nel cuore
di tutti noi, credenti in Cristo. don Roberto (febbraio 2012) |
NATALE 2012 ANNO «0» DELLA FEDE Ho dato questo titolo dal sapore un po’
provocatorio a questo articoletto con lo scopo di evidenziare la circostanza
particolarmente significativa che questo prossimo Natale viene a cadere nell’
“Anno della Fede”, indetto dal santo Padre Benedetto XVI, e che ciò significa
che celebreremo la nascita di Gesù in un contesto di particolare grazia.
Nella visione cristiana, la storia non è un vano ripetersi ciclico di eventi
aleatori, ma il luogo dove è sceso il Creatore del mondo per richiamare a Sé
quell’uomo che senza di Lui non può trovare il significato vero e profondo
della sua esistenza individuale e collettiva. Gesù Cristo, con la sua vita,
passione, morte e risurrezione, chiamando alla salvezza ogni uomo, gli
restituisce il senso della sua dignità e della sua regalità sull’intero
Cosmo, valorizzando a pieno anche la sua esistenza in questo mondo. Ora se
ciò vale per lo sviluppo della storia “profana”, tanto più questo vale per il
ripetersi ogni anno della celebrazione religiosa degli eventi fondamentali della
nostra salvezza, come appunto il Natale. Per noi credenti celebrare ogni anno
la nascita di Cristo non è il monotono ripetersi di una memoria di un fatto
passato, ma il rinnovato misterioso avverarsi della grazia che accompagnò
l’attuazione storica dell’inconcepibile, quanto sublime, evento della
Incarnazione e nascita del Salvatore del mondo, fatto questo che, come
abbiamo detto prima, contiene in sé la capacità di rinnovare tutte le cose e
ridare significato alla storia umana. Questo evento fu talmente avvertito
agli albori della nascente cultura cristiana che si sentì il bisogno di
datare il tempo a partire appunto (prescindendo dagli errori di datazione)
dalla nascita del Cristo. Da qui il senso provocatorio del titolo, cui
accennavo all’inizio, come invito a ciascuno di noi nella disponibilità,
proprio nell’occasione del Natale di questo anno dedicato alla fede, ad un
ripensamento e una riscoperta della propria fede cristiana a partire dalle
sue radici, perché – e questo è bene non dimenticarlo – la sua origine non è
un fatto storicamente evanescente o un mito, bensì una figura storica: Gesù
di Nazaret, vissuto in un contesto storico ben definito (nato a Betlemme di
Giudea quando era in atto il censimento voluto da Cesare Augusto ed era
governatore della Siria Quirinio…). Certo non è
questo l’aspetto che direttamente, o comunque principalmente, ci tocca,
quanto piuttosto ritornare alla purezza delle sorgenti della fede per
rinsaldare e approfondire, sia le motivazioni che ci spingono a credere, sia
il contenuto stesso della nostra fede. Se un tempo non troppo lontano, per lo
meno in diversi paesi dell’Europa, la cultura locale esercitava per così dire
un influsso positivo nei riguardi dell’accostamento alla fede cristiana,
adesso non è più così e ciascuno deve farsi carico, almeno a livello di
convincimento interiore, del perché si sente cristiano cattolico e ciò che
questo comporta nell’impostazione della propria vita. Stante l’enorme, per
non dire rivoluzionario, sviluppo dei mezzi di comunicazione oggi è facile
aver accesso, sia per via telematica, sia per mezzo della stampa, a strumenti
di informazione e formazione cristiana, ma la via privilegiata è naturalmente
la Comunità di fede di riferimento, specie quando questa si riunisce nel nome
del Signore per celebrare il mistero dell’evento fondamentale della nostra
salvezza: la Pasqua del Cristo, evento che si avvera per via soprannaturale
nella Santa Messa. Con l’alimento divino dell’Eucaristia e della Parola di
vita, la fede ne esce corroborata e capace di reggere gli urti del mondo.
L’augurio che faccio a me stesso e a ciascun credente è che questo Natale ci
aiuti a rinnovarci, ripartendo come da zero nel prendere sul serio la nostra
impostazione di fede, così come Dio ha preso sul serio la nostra salvezza che
“…ha tanto amato il mondo da dare il
suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la
vita eterna.”(Gv3,16) don Roberto (dicembre
2012) |
“Il
giusto vivrà mediante la fede”(Rm1,17) L’occasione della benedizione delle
famiglie, mi offre ogni anno l’opportunità di scrivere un articoletto,
articoletto che cerco sempre di collocare sullo sfondo dell’approssimarsi della
festa più importante della Cristianità che è la S. Pasqua. Per rimanere in
sintonia con l’evento di grazia della celebrazione dell’“anno della fede”, quest’anno ho pensato di dedicarlo - pur nella
consapevolezza della sua piccola misura - appunto a questo tema così
importante. In particolare ho creduto fosse positivo offrire uno spunto di
riflessione sul fatto che, oggi più che mai, ogni cristiano sia chiamato a vivere
una fede matura e adulta. Infatti il substrato culturale di una società che
in qualche modo
tramandava per tradizione i valori dottrinali ed etici
cristiani, per varie ragioni, viene sempre più a mancare e ognuno, che oggi
si pensi cristiano, non può non aver una coscienza che sia opportunamente
formata alla consapevolezza di ciò che questo significa. Una fede adulta e
matura poi non vuol dire affatto una fede incline all’integralismo o al
fondamentalismo irragionevole e aggressivo. La fede cristiana non è, né può
essere, dissociata dalla carità perché al suo centro e vertice c’è Dio – Amore;
un Dio che si è rivelato massimamente proprio nel gesto di amore supremo di
dare il proprio Figlio: Gesù Cristo, venuto nel mondo a donare la vita per la
salvezza di chi crede in Lui (1Gv4,10). Detto questo però va aggiunto subito
che la fede cristiana non è nemmeno una “canna
sbattuta al vento” (Mt11,7) che si corrompe sotto la spinta delle
ideologie e delle mode del tempo. Fin dall’inizio, i primi discepoli di Gesù erano
ben consapevoli della preziosità e della bellezza della “lieta notizia”
(Vangelo) che la loro fede portava in seno; una Verità capace di riscattare
l’uomo dalla condizione di oscurità e non senso esistenziale nella quale
normalmente vive nella situazione “naturale”. Dunque una fede adulta e matura
implica avere la consapevolezza della necessità che questa fede ha di rigenerarsi, si
può dire giorno per giorno, nella luce della certezza del Mistero pasquale,
cioè Cristo veramente morto, ma anche veramente risorto quindi vivo e
presente nella Chiesa e nell’esperienza concreta di ogni fedele. Infatti
Egli, come aveva promesso (Gv14,23), continua a manifestare la sua presenza
nell’intimo della coscienza personale dei suoi discepoli di tutti i luoghi e
di tutti i tempi attraverso la preghiera, i Sacramenti e strade solo a Lui
note. Ma una fede adulta e matura significa anche avere la consapevolezza di
dover sostenere una lotta continua contro tutte le derive che lo spirito del
male adombra nella vita di ogni uomo e in particolare di coloro che,
credendo, attraverso il Battesimo sono diventati stirpe eletta, sacerdozio regale, gente santa (1Pt2,9;Ap12,17). Ciò significa non solo un impegno forte per la
coerenza della propria vita in riferimento ai valori evangelici, ma anche un
necessario approfondimento dottrinale ed etico per la formazione appunto
della propria coscienza. Soprattutto significa che ogni discepolo del Cristo,
se vuol camminare nella luce della verità che porta alla salvezza, deve
camminare, come ci dice S. Giovanni, “in
comunione” con gli altri confratelli nella fede, cioè nella Chiesa.
L’esercizio e la crescita nella fede, poi, non è il luogo dove poter
manifestare la propria genialità e libera iniziativa creativa secondo le
categorie del mondo, perché è il luogo primario dell’accoglienza del dono di
grazia nell’obbedienza della fede.
Ciò non vuol dire affatto, come si dimostra nella vita dei grandi Santi, la
rinuncia alle prerogative e alle attitudini umane, bensì vivere nell’umile
riconoscimento della propria piccolezza il proprio servizio a Dio e ai
fratelli. E’ lo Spirito che dà la vita a far si che sia coniugata, in maniera misteriosa, la sua
azione graziosa con l’intera e integra qualità dell’impegno umano attivo e
responsabile. Credo che questo criterio già di per sé basti a bandire ogni
spazio al soggettivismo dall’idea della fede cristiana e a dare un
criterio di sicuro discernimento per saper distinguere la vera voce del Pastore grande delle pecore, che è
Cristo Signore, risuonante nella guida della Chiesa, dai falsi profeti.
Termino con l’augurio pasquale di una rinnovata fede che ci faccia tutti
avanzare nel cammino della luce per il bene individuale, della famiglia e del
mondo. don Roberto (febbraio 2013) |
“In Lui
era la Vita e la Vita era
la luce degli uomini” (Gv1,4) Eccomi con la mia piccola riflessione
annuale su una delle feste più care non tanto alla semplice “tradizione”
cristiana, quanto al cuore della nostra Fede: il Natale. Nello scrivere
queste righe mi piacerebbe riuscire a suscitare in me e nel lettore il senso
dello stupore e della bellezza del grande evento destinato a cambiare,
nolente o volente, la storia dell’umanità, ma questa è cosa che riguarda non
le nostre povere forze bensì la grazia dello Spirito. Già Zaccaria, il padre
di Giovanni Battista, aveva profetato riguardo all’imminente venuta nel mondo
della Messia indicandolo come il “Sole che sorge dall’Alto”. E il vecchio
Simeone nel Tempio, prendendo tra le braccia il bambino Gesù, lo aveva
definito “Luce per illuminare le genti”.
Di fatto con l’Incarnazione - avvenuta grazie al dono totale che Maria
ha fatto di sé nella fede a Dio - si è avverato qualcosa di immensamente
grande e inconcepibile, qualcosa che non era mai successo prima e né mai più
succederà, destinato a segnare un’era nuova nella storia dell’umanità: “Il Verbo (cioè la Sapienza Divina
espressa del Padre, la sua Parola) si è
fatta carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi”Gv1,14). Gesù stesso
dirà di sé: “Io come luce sono venuto
nel mondo perché chi crede in me non rimanga nelle tenebre”(Gv12,46). Ogni uomo, toccato
dalla grazia, può scoprire questa meravigliosa luce capace di dare un senso
nuovo alla sua vita. E’ questo il lieto annunzio
(vangelo) dato dagli angeli ai pastori. E non poteva essere che così: il
vangelo superlativo, portatore di una grande gioia (Lc2,10) non poteva venire
dagli uomini, ma da Dio per mezzo dei suoi messaggeri, così come è avvenuto
appunto per la stessa annunciazione a Maria. Dunque con la nascita di Gesù è
apparsa nel mondo la luce vera quella
che illumina ogni uomo; ma questa luce non è simile alle luci della
sapienza di questo mondo. S. Agostino la descrive bene nelle sue
“Confessioni”: “Entrai e vidi con
l’occhio dell’anima mia, qualunque esso possa essere, una luce inalterabile
sopra il mio stesso sguardo interiore e sopra la mia intelligenza. Non era
una luce terrena e visibile che splende dinanzi allo sguardo di ogni uomo(…) era un’altra luce, assai diversa da tutte le luci
del mondo creato. Non stava al di sopra della mia intelligenza quasi come
l’olio che galleggia sull’acqua, né come il cielo che si stende sulla terra,
ma una luce superiore. Era la luce che mi ha creato. E se mi trovavo sotto di
essa, era perché ero stato creato da essa. Chi conosce la verità conosce
questa luce”. Il Padre in Cristo ha pronunciato il suo Amen di
misericordia, ma anche di Verità. La sua parola è incorruttibile e non è
soggetta ai condizionamenti culturali né alle mode del tempo (“il cielo e la terra passeranno ma le mie
parole non passeranno” Lc21,33). Per questo il Signore mette in guardia
gli uomini dalla indifferenza alla sua parola: “..Io non sono venuto per condannare il
mondo, ma per salvare il mondo. Chi mi respinge e non accoglie le mie parole,
ha chi lo condanna: la parola che ho annunziato lo condannerà nell’ultimo
giorno” (Gv12,47-48). Dunque in Cristo è vinta ogni debolezza dell’uomo
di buona volontà, quando costui si apre alla potenza giustificante della sua
grazia e la salvezza rimane preclusa solo alla ostinata durezza di cuore che
si chiude come tenebra alla luce dell’Amore divino, Amore misericordioso che
vuole salvare ogni uomo. Termino con l’augurio che ciascuno di noi trovi nel
Natale del Cristo quella luce di speranza capace di mutare in meglio la
propria vita aderendo ancor più alla grazia del Vangelo di salvezza. don Roberto (dicembre 2013) |
PASQUA: UNA PACE CARICA DI SPERANZA Il primo dono che il Cristo risorto ha
fatto ai suoi discepoli è stato una pace ripiena di speranza e in occasione
dell’approssimarsi della S. Pasqua, vorrei proporre una riflessione, come
sempre molto semplice, sul tema importantissimo della pace. Sulla base
dell’esperienza storica degli equilibri sociali nazionali e internazionali, è
stato detto - e più volte riaffermato - che senza giustizia non vi può essere pace. Questa verità empirica ci
interroga tutti, ma per questo piccolo articolo è troppo ardua. Per questo mi
sono proposto uno spunto di riflessione più accessibile ma, a mio avviso, non
meno incisivo. Credo di poter affermare con certezza, perché è sotto gli
occhi di tutti, la constatazione di come la pace personale serena e duratura richieda,
oltre ad un “clima” di giustizia, che vi sia nell’animo speranza. Infatti è proprio la speranza, come anelito verso uno
o più beni desiderati, che attiva e sostiene il nostro operare a tutti i
livelli. La speranza poi normalmente si compone appunto di diverse
motivazioni, come: migliorie delle condizioni di vita, mete ed eventi
importanti, traguardi da raggiungere ovvero difficoltà da superare, ecc.. Mi rendo conto che il tema è delicatissimo, tanto
quanto è forte l’incidenza della speranza sulla vita dell’individuo e
dell’intera comunità umana. La storia è lì a dimostrare come i grandi
“manipolatori” delle masse hanno sempre giocato con particolare carisma e
abilità su questo punto fondamentale dell’animo umano. Ma non vuol essere
certo questo il tema di questo articoletto. Piuttosto, proprio come dicevo,
in occasione della Pasqua, vorrei invece evidenziare come il realismo del
Vangelo sia di grande aiuto e riferimento per il giusto modo di “comporre”
questa realtà essenziale alla vita umana, che è appunto la speranza. In proposito penso che molti abbiano notato
come una specie di contrasto tra l’esigenza esatta dal Cristo nei Vangeli -
esigenza che sembra quasi scarnificare mediante la fede la vita terrena
dell’uomo – e l’esperienza concreta della vita della Chiesa, specialmente
quella della prima Chiesa (esperienza della quale abbiamo notizia storica
diretta e indiretta dagli scritti del Nuovo Testamento). Ebbene, dalle
notizie che abbiamo vediamo come, specie nella prima comunità dei credenti,
nonostante le numerose tribolazioni, brilli una vitalità serena e lieta. La
spiegazione non si può trovare se non nel fatto che essa è “commossa” da una grande speranza.
Inoltre l’impatto storico testimonia anche che evidentemente si tratta di una
speranza che non è di fatto “deludente”. Il motivo di questa reale e incisiva
forza per noi credenti è semplice: non ha una radice ideologico-terrena, ma è
fondata sulla fede e l’esperienza della verità del Cristo vivo e attivo nella
vita personale e comunitaria dei fedeli. In questa vita non vi è traccia di
fanatismo integralista, né di fuga dalla realtà riguardo alle responsabilità
civili e, tanto meno, di attese rivoluzionarie. Al contrario al credente
viene raccomandato di farsi carico di una vita socialmente e politicamente
corretta, anche quando il regime lo perseguita. Una cosa sola deve
testimoniare, oltre naturalmente la coerenza evangelica, ed è proprio il dono della speranza. Non si tratta
però di una testimonianza artefatta o enfatica, bensì di una semplice
dichiarazione di verità - a chi ne fa domanda - sullo stato del proprio cuore
e questo specialmente nelle situazioni di sofferenza (cf
1Pt3,14-16). La fede in Colui che vincendo la morte ha dato il sicuro motivo
di credibilità nella sua Identità e nella sua Parola, unita al dono del
Consolatore, lo Spirito Santo, apre ad un senso nuovo della vita nel quale
domina una Speranza più forte di tutte le disperazioni. Termino con l’augurio
che la luce della Pasqua, così bene interpretata nella sequenza pasquale dal
grido di gioia di Maria Maddalena: “Cristo, mia speranza, è risorto”, ci
consoli e ci aiuti a ricomporre sempre meglio il quadro della nostra speranza
per affrontare più serenamente l’impegno e le difficoltà della vita in questo
mondo. don Roberto (febbraio 2014) |
“Il
Signore ha visitato e redento il suo Popolo” (Lc1,68) Ho scelto questo titolo, prendendolo da una
frase evangelica che preannunciava il Natale del Cristo, e quindi in tono con
il tempo che stiamo vivendo, ma soprattutto perché simile al titolo della
lettera di indizione della Visita Pastorale, visita che riceveremo con gioia
nella nostra Parrocchia ai primi del mese di Giugno e che inizierà per tutte
le Parrocchie di Sesto e Calenzano, in modo ufficiale, con una celebrazione
liturgica il 18 Gennaio alle ore 16 nella Parrocchia di S. Giuseppe Artigiano
a Sesto Fiorentino. Sulla grazia di questo evento ritornerò sul prossimo
giornalino che precede la Benedizione delle Famiglie. Adesso, proprio in
vista della grande festa cristiana del Natale, festa che ha al suo centro la
Sacra Famiglia, prevale la premura di annunciare e riannunciare il valore
grande della famiglia, secondo lo stesso spirito del Santo Padre, Papa
Francesco, il quale, nella linea costante dell’insegnamento della Chiesa, ne
ha più volte riaffermato con forza, la sua bellezza e la sua essenziale
necessità per la vita della Chiesa e della società. La sovrabbondanza della
Misericordia di Dio per l’umanità viene a rinnovare nella celebrazione del
Natale, in maniera misteriosa ma vera, la sua occasione di grazia
purificatrice e rinnovatrice del mondo. Ancora una volta, nel suo ripetersi
nell’accadimento celebrativo, il Natale si ripropone secondo il medesimo
stile del suo verificarsi storico. Infatti il Salvatore del mondo non chiede
molto spazio nell’intrigo delle vicende, delle relazioni e delle costruzioni
umane più o meno giuste; chiede solo che l’uomo gli apra le porte del suo
cuore perché egli (uomo) possa ritrovare pienamente se
stesso nella sua dignità e nella grandezza della propria vocazione. Fu questo
l’appello con il quale il grande Papa S. Giovanni Paolo II iniziò il suo
ministero: “Aprite le porte a Cristo…non abbiate paura di Cristo”: La
Misericordia di Dio si è manifestata pienamente nella Croce di nostro
Signore, ma dopo la sua Pasqua ha rivelato il suo fulgore anche nell’immenso
e inconcepibile mistero dell’Incarnazione. Nel Natale contempliamo questa
Misericordia che viene a risanarci dall’errore, dal peccato e dalle ferite
più profonde della vita sociale. Tra le ferite più letali vi sono appunto
quelle inferte alla famiglia attaccata a livello mondiale e in modo singolare
in molte culture. La famiglia cristiana si costituisce come tale nel vincolo
sacro del matrimonio tra l’uomo e la donna ed essendo questo legame un patto
d’amore davanti a Dio, è per sua natura irreversibile. Con tutto il rispetto
per le coppie che convivono in situazione di irregolarità matrimoniale più o
meno sofferta, come minimo ministro del Signore, tengo a precisare che, là
dove sia possibile, sono tenute a regolarizzare la loro posizione pena l’aver
scelto la via dell’indifferenza rispetto all’azione misericordiosa di Dio. La
Misericordia Divina è prontissima a risanare e sostenere ogni più piccolo
passo verso la giustizia, ma si ritira di fronte all’opposizione del libero
arbitrio dell’uomo. La grazia di Dio, che non manca di visitarci in modo speciale nella solennità del Natale del Cristo, ci
spinga a rinnovarci in questo lavacro di Amore misericordioso per farci
risplendere di quella luce di amore e verità che non si compiace delle
approvazioni del mondo, ma neanche si deprime per le incomprensioni. Buon Natale nel
Signore. Don Roberto. (dicembre 2014) |
LA VISITA PASTORALE : EVENTO DI
GRAZIA Tra qualche mese, esattamente mercoledì 3 e
sabato 6 giugno, l’Arcivescovo di Firenze, il Cardinale Giuseppe Betori, come
nostro pastore e guida, verrà a visitare la nostra Parrocchia. E’ questo un momento privilegiato che la nostra comunità è
chiamata a vivere a vent’anni dalla precedente Visita pastorale del Cardinale
Piovanelli, ed è una grazia, che in qualche modo già si sta vivendo in unione
con le altre Parrocchie del Vicariato, dal momento dell’apertura della visita
stessa il 18 gennaio. Nel suo protrarsi fino alla chiusura, prevista per il 21
giugno, sono programmati diversi importanti incontri specifici che il Vescovo
avrà con i vari settori della vita del vicariato (lavoro, scuola,..),
ma che per noi diventerà particolarmente partecipata nella sua presenza in
Parrocchia. Non ho certo la presunzione di poter racchiudere nelle poche
righe di questo articoletto il significato di questo evento di grazia per la
vita di fede della nostra comunità che considera come inviato stesso del
Signore il suo Pastore che viene a visitarci. Tuttavia cercherò di
presentarne alcuni aspetti fondamentali, con l’intento di rimanere nello
spirito stesso della Lettera di Indizione con la quale il Vescovo ha
annunciato la Visita. In questa lettera il Vescovo ricorda che fin
dall’inizio, cioè fin dal tempo della prima Chiesa, gli Apostoli stessi hanno
sentito il bisogno di visitare le prime comunità da loro stesse fondate. E’ quindi con questa medesima premura che anch’egli, nella
scia dei suoi predecessori, sarà in visita nelle nostre parrocchie. La sua
presenza in mezzo a noi è dunque segno vivo della presenza di Gesù Cristo,
sommo e unico Pastore della Chiesa, che viene a visitarci. Lo scopo principale
della visita è quello di ravvivare e rinsaldare nelle nostre comunità la fede
in Cristo, unico rivelatore del Padre e unico salvatore del mondo,
consolidando in esse la consapevolezza dell’infinito Amore misericordioso di
Dio per ogni uomo. Rafforzati così nell’autocoscienza della capacità
intrinseca che il Vangelo ha di rinnovare l’uomo, guarendolo dalle sue
fragilità – e di rinnovare di conseguenza anche la società -, siamo chiamati
a testimoniare con la parola, ma soprattutto con l’impegno nella nostra vita,
questa premura che l’amore di Dio ha per ogni uomo; un amore che si manifesta
nell’incontro con Cristo risorto e vivo presente nella Chiesa. Tutto ciò ci
deve rendere maggiormente consapevoli del valore della testimonianza della
fede, non tanto in semplici formulazioni astratte, quanto nel farsi sensibili
e nel farsi carico dei problemi concreti dell’esistenza umana in tutte le sue
dimensioni, a partire dalla famiglia, dal lavoro, ecc. Questo non solo a
livello personale, ma anche come comunità unita e compatta al servizio del
Signore che testimonia appunto con il suo impegno, particolarmente attento ai
più deboli e bisognosi, la speranza del rinnovamento dell’uomo e della
società per mezzo di Cristo e del suo Vangelo. Infine il Vescovo ci ricorda
che questo rinnovato slancio missionario di ogni Comunità deve sempre partire
dall’autocoscienza che la forza della sua coerenza e la luce del suo agire
hanno la sorgente nella Parola Divina e nell’Eucaristia, centro motore della
vita della Chiesa. Termino ricordando che siamo ormai prossimi alla
Quaresima, tempo prezioso per riflettere su come il Signore ci offre una
sempre rinnovata possibilità di valorizzare al massimo la nostra vita con
l’amore verso di Lui e i fratelli. Il mio augurio è dunque che la Pasqua del
Cristo, con la luce della sua Risurrezione, ravvivi in noi il vigore della
speranza e ci renda più consapevoli della altezza e della bellezza della
nostra vocazione cristiana. Santa Pasqua a
tutti. Don Roberto. (febbraio 2015) |
NATALE: AURORA DELLA GRANDE MISERICORDIA Anche quest’anno, in sintonia con l’anno
giubilare indetto da Papa Francesco, desidero dedicare due righe per un piccolo
contributo di pensiero nella direzione della speranza. Credo che sia opinione
quasi comune che non sono né le tecnologie, né le scienze in quanto tali a
“salvarci”; nel senso che queste attività umane, pur nella loro importanza e
bellezza, non hanno in sé la capacità di rispondere alle domande più profonde
del cuore umano. E nemmeno da sole possono migliorare la “qualità” delle
relazioni umane, che pure sono elementi preziosi e fondamentali della
costituzione dell’edificio familiare, sociale, nazionale e internazionale,
edificio quest’ultimo che è alla base dello stesso equilibrio mondiale.
Infatti non si può pensare di realizzare una costruzione piccola o grande che
sia con del materiale incoerente (che non sta insieme). Il Natale ci
ripropone il microcosmo del Presepe allargato all’infanzia di Gesù; in questo
microcosmo ritroviamo in nuce tutte quelle ferite
che da sempre segnano l’umanità: povertà, emarginazione,
oppressione-terrorismo (Erode), disagio, trasmigrazione, ferite che hanno
segnato lo stesso Cristo fin dal suo ingresso nel mondo. Però la garanzia che
ci viene dalla nostra Fede Cristiana sull’identità di quel Bambino, ci apre
ad una grande speranza perché proprio quelle ferite diventano espressione
visibile dell’immenso Amore misericordioso di Dio. Infatti il Padre, mandando
suo Figlio nel mondo, ha voluto consegnarci una icona vivente di questo
Amore, icona che si esprime con tutta l’esistenza del Cristo: dalla sua
nascita alla sua morte in croce. Su questo sfondo prende singolare valore l’affermazione
evangelica “l’avete fatto a Me”
come centro di unità dell’Amore divino e fraterno. Infatti, fin dall’inizio è
come se il Signore ci dicesse: Io, che ho il potere di dare e togliere la
vita, mi lascio crocifiggere con voi, in voi e per voi e lascio che
queste stigmate si ingigantiscano a misura divina sulla croce fino a
togliermi la vita per darvi la vita. Perché, come Lui stesso ci dice: “E’
lo Spirito che dà la vita”, e se Gesù con la sua vita e il suo
insegnamento è stato il Maestro, con la sua morte ci ha donato lo Spirito il
quale, mediante la Fede, ci rende capaci di ascoltare e mettere in pratica il
suo insegnamento, ovvero ci riabilita alla dignità di figli e cittadini del
Regno; di quel Regno che attraverso i suoi discepoli è già presente nel mondo
come lievito di giustizia, di pace e di Amore. Questo è il progetto di Dio
per attirare a se i cuori e risanarli dalle ferite
del peccato e dell’ignoranza. Siccome questa opera è voluta e sostenuta da
Lui, il male della crudeltà, dell’ingiustizia e della violenza, farà paura,
ma non prevarrà. Concludo dicendo che, se la croce del Cristo ci incute
timore, perché denuncia in modo cruento e doloroso il grande dramma della
salvezza umana, la
tenerezza del Presepe operi in noi il convincimento che quella croce, che
pure è già presente nel Presepe, è espressione di tutta la tenerezza
dell’Amore misericordioso di Dio, il quale per donarci la salvezza, altro non
chiede che il nostro amore fiducioso e fedele. Auguro a tutti un buon Natale,
come rinascita con Cristo nel suo Amore. Buon Natale nel
Signore. Don Roberto. (novembre 2015) |
La Misericordia di Dio: mistero di gaudio Grazie all’Anno Giubilare indetto da Papa Francesco, la parola divina
che più risuona quest’anno nella vita della Chiesa è la parola misericordia. Sicuramente quello che
possiamo sperimentare tutti è che la Parola di Dio, specie quella evangelica,
nel contatto con la semplice vita di fede del credente - ma anche con la
stessa storia umana –ha il potere di rispondere alle esigenze sempre nuove,
sia personali, sia delle culture dove si incarna, per guidare e sorreggere il
cammino del Popolo di Dio fino alla sua mèta. Senza ovviamente pretendere di
aggiungere nulla a quanto hanno detto nel loro magistero i Papi S. Giovanni
Paolo II e Francesco, è bello riflettere su questa “incarnazione” variegata
della realtà della misericordia divina nella Chiesa vista attraverso la vita
dei Santi. Anche con un semplice flash in riferimento ai Santi più recenti,
appare subito la multiforme espressione dell’attuarsi storico di questa
realtà. Lo vediamo bene nella vita della B. Madre Teresa, che sarà
canonizzata quest’anno a Settembre; donna di estrema
donazione nel servizio caritatevole agli ultimi e pure anche donna di grande
preghiera e sacrificio. Nelle claustrali, come S. Teresina di Lisieux e S.
Benedetta della Croce (Edith Stein). Nei martiri della carità, come Padre S.
Massimiliano Kolbe, morto nel campo di sterminio di Auschwitz al posto di un
padre di famiglia. Nei mistici, come S. Faustina Kowalska “profetessa” del
volto misericordioso di Dio ed eletta dal Papa per l’anno giubilare proprio
tra il numero dei testimoni della misericordia di Dio. E, sempre tra questi,
vogliamo ricordare in modo speciale S. Pio da Pietrelcina, al quale ci
sentiamo particolarmente legati a causa del forte vincolo di grazia che
unisce questo grande Santo alla nostra Comunità parrocchiale. Infatti, non
solo perché si deve a lui, e ai suoi collaboratori, la realizzazione della
nostra chiesa parrocchiale, ma anche al fatto che ha voluto espressamente e
deliberatamente associarsi all’intercessione della Madonna per la cura
provvidente della nostra Comunità. In lui la misericordia di Dio si configura
come luce di verità sulla realtà della condizione umana nella “nudità” della
propria coscienza da una parte e nell’abbraccio paterno e amoroso di Dio
dall’altra. Tutto ciò specialmente nel sacramento della confessione, come
sacramento della guarigione, ma anche nella direzione spirituale delle anime.
Inoltre il volto misericordioso di Dio traspare in questo Santo in modo
singolare nella generosa partecipazione alle sofferenze del Cristo per la
redenzione del mondo. Grandi conversioni a non finire, a volte anche con non
piccoli drammi di cammini faticosi per uscire dalla schiavitù del peccato, ma
che sempre si sono conclusi nell’esultanza gioiosa di una vita nuova ritrovata.
Questi alcuni dei tanti volti impensati, e mai propriamente intesi e
conosciuti, della medesima e unica Misericordia divina che cerca ogni uomo
per renderlo amorevolmente consapevole del bisogno di essere salvato. Fatto
questo purtroppo tanto ostico alla mentalità moderna, che non si sente
bisognosa di salvezza, o lo sente solo quando sperimenta l’amarezza e la
delusione della corsa verso mete effimere, mete che finiscono per
superficializzare e deteriorare completamente o quasi la propria vita. E’ questo a mio avviso il pericolo più forte della cultura
moderna: il rischio di cancellare, con l’assenza di una adeguata vita
interiore, lo sviluppo della dimensione spirituale dell’uomo, dimensione che
pure è il costitutivo essenziale e specifico della stessa natura umana. Con
cuore sincero e riconoscente per la vostra accoglienza, auguro a tutti una
serena Pasqua di risurrezione nella luce del Cristo, nostra speranza per un
mondo nuovo. Santa Pasqua a
tutti. Don Roberto. (febbraio
2016) |
La speranza
cristiana si radica in Cristo, anzi è Cristo. L’antica sequenza pasquale che
recitiamo per Pasqua, fa dire a Maria Maddalena, dopo l’incontro con Cristo
risorto al sepolcro: “Cristo mia speranza è risorto”. La vittoria di Gesù
sulla morte oltre al valore per sé immenso diventa anche il segno della
vittoria mediante la fede in Lui su tutte le forme di disperazione. Ciò non
toglie che la fede del Popolo di Dio nei secoli abbia sempre goduto del
conforto, e quindi anche della speranza, in Colei che più da vicino ha
cooperato alla redenzione del Figlio e che sempre si è presa premura di far
sentire la sua vicinanza alla nostra condizione terrena. Così possiamo
contemplarla doppiamente come Madre della speranza: in quanto madre del
Figlio (nostra speranza) e madre, per volontà di Lui, di noi figli rigenerati
dal suo Sangue. E quale figlio non può non contare sulla cura materna di una
madre così attenta e premurosa del nostro bene vero e pieno? Anche se lo
spazio è molto ridotto mi soffermo volentieri a parlare di Lei in modo
particolare quest’anno, nel quale ricorre il centenario della prima
apparizione ai tre pastorelli avvenuta a Fatima il 13 Maggio 1917. Premesso
che queste apparizioni non sono oggetto di fede, credo però che sarebbe
oltremodo difficile annullare la testimonianza eroica di questi tre
bambini di cui due, Francesco e la sorellina Giacinta, già beatificati da S.
Giovanni Paolo II il 13 Maggio del 2000. All’epoca delle apparizioni Lucia,
la più grande, aveva 10 anni; Francesco 9 e Giacinta 8. Resero testimonianza
non solo non cedendo alle intimidazioni molto grandi, specie per la loro età,
ma anche su come affrontarono serenamente la morte poco dopo le apparizioni,
come del resto la S. Vergine li aveva preavvertiti. Infatti alla fine
dell’anno dopo, cioè nel dicembre del ʹ18 si
ammalarono entrambi di influenza spagnola e Francesco morì nell’Aprile del ʹ19 dopo aver fatto la prima Comunione. Giacinta invece morì nel
dicembre del ʹ20. Anche Lucia, che doveva rimanere in vita per un preciso fine
“celeste”, ha reso ottima testimonianza con la sua vita passata quasi tutta
in clausura dove è morta novantottenne nel 2005, dopo aver avuto colloqui
privati con vescovi e papi tra cui, l’ultimo S. Giovanni Paolo II. Lontana da
me è l’idea di commentare il contenuto del messaggio dato ai veggenti, anche
perché penso – ma non sono certo solo a pensarlo – essere almeno in parte,
“sotto sigillo”, cioè non interamente comprensibile se non dopo che gli
eventi sono tutti accaduti. Però ciò che è certo, come ognuno che lo voglia
leggere ( sul Web digitare : Vaticano -
messaggio Fatima) potrà constatare, è che si tratta di un
appello accorato della S. Vergine perché il mondo non continui a camminare
come se Dio non ci fosse o fosse indifferente alla sorte umana. Dio c’è ed è
onnisciente; nella sua
misericordia è pronto a
riconciliare sempre a Sé il singolo come la nazione e l’intera umanità, solo
che l’uomo desista dal male e senta il bisogno di questa riconciliazione e si
decida per il bene. Infatti da questo messaggio emerge anche la drammatica
capacità che ha l’uomo, proprio paradossalmente per la sua grandezza, di
resistere fino in fondo alla misericordia di Dio, procurando danno al bene
comune e rischiando il male eterno a se stesso. Il
nostro tempo è migliore o peggiore di quello delle apparizioni? Io non lo so, so
soltanto quello che vediamo tutti, molta gente ha dimenticato i valori
cristiani di riferimento e non sa - o non vuole - distinguere il bene dal
male e forse un senso di freddezza rischia di permeare la vita di tutti noi.
Facciamo tesoro di questa premura materna per camminare rettamente e
speditamente nella via tracciata da Cristo Luce del mondo. E il mio augurio è
proprio questo, cioè che la luce della Pasqua, che è luce di speranza e di
gioia nello Spirito Santo, sia con tutti voi. Santa Pasqua a tutti. Don Roberto ( febbraio 2017) |
Anche
quest’anno, in preparazione alla visita delle famiglie per la benedizione
pasquale, mi permetto di esprimere un breve pensiero su un tema penso caro a
tutti che è quello della pace; naturalmente nel fare questo mi attengo al mio
punto divista di parroco e senza grandi pretese di autorevolezza riguardo a
competenza socio politica. Siamo ancora spesso turbati da continui rumori di
guerre e violenze che flagellano l’umanità, addirittura si riaprono scenari
apocalittici di guerre nucleari che sembravano essersi affievoliti da
quarant’anni! Il primo pensiero naturalmente va a quella che è la
corresponsabilità umana nel gestire al meglio le conflittualità cercando di
eliminarne le cause. Del resto il progresso della sensibilità sociale e la
tecnologia avanzata della comunicazione ci portano a guardare all’umanità
stessa come ad una intera grande famiglia. Forse è l’ingiustizia quella che
appare come la prima tra le cause dei conflitti, ma di fatto scorgiamo bene
che le ragioni conflittuali sono tante, non ultime quelle di natura etnica e
ideologica. A chi come me che crede che la pace non sia solo frutto della giustizia
e degli sforzi umani – sebbene pur essi necessari per superare le varie cause
di divisione -, ma che sia anche dono di Colui che solo regge le sorti della
storia, è un invito a pregare, magari ricorrendo anche all’intercessione di
Colei che invochiamo come Regina della pace, perché questo dono ci sia
elargito con abbondanza. Premesso questo, mi permetto anche di sottolineare
ciò che è sotto gli occhi di tutti ed è la crescita del livello di tensione e
di violenza perfino nel mondo giovanile. È necessario che tutti, a partire da
coloro che hanno più responsabilità educative - compreso il sottoscritto –,
ci prendiamo cura, come più volte richiamato da Papa Francesco, ad educare al
rispetto della diversità, ma anche al contenimento delle pulsioni di violenza attiva e reattiva, di
sopraffazione e di dominio, di autoesaltazione e di umiliazione, che in forma
proporzionata, magari anche velata, possono manifestarsi fin dalla più
giovane età. In questo senso penso sia quanto mai opportuno e bello, sempre
citando Papa Francesco, educare alla “vita buona del Vangelo”. Sappiamo tutti quanto questo impegno di
educatori richieda discrezione, pazienza e lungimiranza, ma ci aiuta in
questo il pensiero che ciò produce frutti buoni non solo direttamente per gli
interessati, bensì anche per la crescita della coscienza civile nel rispetto
e produzione del bene comune alleviando le stesse tensioni sociali. Termino
con il semplice ma toccante saluto francescano augurando a tutti “pace e
bene”. Santa Pasqua a
tutti. Don Roberto. (febbraio 2018) |
PASQUA 2019 LA LUCE DELLA SPERANZA CRISTIANA La luce
della speranza dei discepoli della “prima ora” del Signore era, ma anche oggi
è, più forte del buio della morte perché Cristo ha vinto non solo la
regina-madre della disperazione, che è la morte, ma anche tutto ciò che
mortifica e svilisce la vita umana. Sappiamo infatti che secondo il Vangelo e
la dottrina consolidata dell’intera cristianità, Gesù con la sua passione e
morte ha preso su di Sé il peccato del mondo. È questa l’identità propria di
Salvatore del mondo riconosciuta e proclamata dal suo precursore, S. Giovanni
Battista, che quando l’ha visto venirgli incontro, ha detto: “Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che
toglie il peccato del mondo”. Ma ciò che mi premeva evidenziare, in
questa piccola riflessione, è che il Cristo con quel tipo di morte ha voluto
sperimentare, mediante l’abbandono totale alla completa solitudine da parte
del Padre, degli stessi discepoli e l’angoscia mortale dell’incomprensione
del mondo, tutta quella disperazione da cui viene assalito l’uomo in preda
alle acute prove della vita. Tutto ciò per prendere su di Sé anche la
disperazione del mondo e
vincerla con il “segno dei segni”: la sua risurrezione. Infatti la risurrezione di Gesù, oltreché dare
credibilità alla sua Persona e al suo insegnamento, ha inondato di speranza
la vita di coloro che gli hanno creduto fin dal principio e rimane ancora
attuale come invito per ogni uomo. È come se la potenza della risurrezione,
ribaltando la pesante pietra tombale, avesse permesso alla luce di questo
evento di irraggiarsi dal sepolcro vuoto a tutta la storia umana come luce di
speranza, cioè di sostegno e di conforto contro tutti i moti di delusione,
sconforto e disperazione che in maniera più o meno marcata, prima o poi
inevitabilmente attraversano l’esperienza della nostra vita terrena. Questo
conforto della speranza cristiana ce lo annuncia, oltre la reiterata
testimonianza umana, Colui che “tutto può”: “Sono venuto nel mondo perché abbiano la vita e l’abbiano in
abbondanza”. So bene che queste parole possono sembrare utopiche per chi
non crede, ma so anche quanta efficacia di fatto hanno nella vita dei veri
credenti. Auguro a ciascuno di noi –
proprio nell’occasione della S. Pasqua - che questa luce si irradi sempre più
nei nostri cuori. Don Roberto. (febbraio 2019) |
PASQUA 2020
UNA GRANDE SPERANZA: L’AMORE
È PIÙ FORTE DELLA MORTE
Ho scelto questo titolo al piccolo pensiero
con cui puntualmente, ogni anno, trasmetto il programma della benedizione delle
famiglie in vista della Pasqua. Credo infatti che questo sia uno dei messaggi
più belli che ci provengono dalla grande festa che per noi, credenti in Colui
che ha vinto la morte, si sprigiona dalla luce della sua Pasqua per illuminare
ogni uomo. Se il culmine dell’Amore di Dio si è rivelato nel Crocifisso che
effonde il suo Sangue divino per cancellare il peccato del mondo, nella sua
risurrezione Egli manifesta chiaramente la vittoria sulla morte e le cose che
le appartengono: divisioni, fazioni, odi, guerre, violenze, ingiustizie, fame,
degrado…, queste non hanno l’ultima parola. L’ultima Parola è il Verbo divino,
che entrato con l’Incarnazione nello spazio e nel tempo, ora risorgendo, li
“permea” anche con la sua Umanità per essere l’Emmanuele, il “Dio con noi”,
annunciato dai Profeti. Nella misura che noi suoi fedeli gli facciamo spazio
nel nostro cuore e ci impegniamo nello sforzo della coerenza all’annuncio
evangelico, diventiamo portatori dei frutti dello Spirito: “amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza,
bontà, fedeltà, dominio di sé” (Gal5,22), lievito del Regno di pace, amore
e giustizia voluto da Dio e necessario antidoto al male, che pure esce dal
cuore umano malato. Infatti il Figlio di Dio è venuto nel mondo, come Egli stesso
dichiara, perché abbiamo la vita e
l’abbiamo in abbondanza. Termino con un argomento delicatissimo che non si
può certo esaurire in due righe, ma che sento il dovere di farne breve cenno.
Ogni epoca ha presentato e presenta scenari anche di inquietudine e di lotta e
per ogni tempo il Vangelo chiede di essere incarnato, specie nella dimensione
della carità, in queste realtà mutevoli e spesso imprevedibili dove, insieme a
dei valori, serpeggiano anche disvalori che ipnotizzano con la seduzione,
ovvero polarizzano in tensioni opposte. Cose queste che deprimono e mortificano
la vita già in questo mondo. Tante concause, anche positive, hanno fatto sì che
la nostra cultura sia diventata composita e multiforme quanto anche all’aspetto
religioso. Un motivo questo di invito semplice, ma necessario, a tenere saldo
il proprio credo, non certo per alterigia e, tanto meno, di mancanza di
rispetto o incompatibilità di vita civica per altre fedi, ma per il semplice
fatto che il venir meno per compromessi di relativismo o sincretismo religioso
svilisce il proprio atto di fede nelle stesse singole Religioni. Positivo
invece è il dialogo sulla convivenza civica nazionale e internazionale onde
nessuno discrimini o faccia guerra in nome di Dio. Concludo con l’augurio più caro
al mio animo che ognuno di noi trovi in Cristo Gesù, morto e risorto unico
salvatore del mondo, la sorgente più grande della speranza.
Don Roberto
(febbraio
2020)