LE LETTERE DI DON ROBERTO

 

La Parrocchia, due o tre volte l’anno, pubblica un notiziario con lo stesso nome di questo sito web,

 Ali d’Aquila.

Il notiziario è disponibile per tutti quanti ne vogliono fare richiesta.

Con questo sito web e con il notiziario pensiamo di poter avvicinare quelle persone che non possono,

 per qualche motivo, frequentare la nostra Parrocchia e contiamo di poter essere vicini anche ai parrocchiani che,

per i più svariati motivi, sono lontani da Calenzano.

 

 

 

 

 

 

          LA PAROLA DI DIO IN TEMPO DI CORONA VIRUS

DON ROBERTO CI SCRIVE

don Roberto

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Perché questo sito web e perché questo nome (dic. 2001)

La Speranza ( mar. 2002)

Una festa per un lieto evento (mag.2002)

“ Le parole che vi ho detto sono spirito e vita”  (Gv 6,63) (set. 2002)

NATALE : rinnovarsi per l’accoglienza di Gesù Cristo (dic. 2002)

Ma che cos’è la Parrocchia? (feb.2003)

Come funziona la parrocchia ( mag.2003)

La forza del pregiudizio ( set. 2003)

NATALE: la Discesa divina per l’Ascesa umana ( dic.2003)    

Il “ moderato “ ottimismo cristiano (feb.2004)

Pregare Maria e con Maria ( mag.2004)

Il Vangelo nella Storia per opera dei Santi (set.2004)

Il bisogno di essere Chiesa (dic.2004)

Eucaristia e Vita (feb.2005)

Maria vicino alla Famiglia (mag.2005)

IL NATALE NEL REALISMO DI DIO (dic.2005)

Il Dono della Vita ( feb.2006)

Le radici della nostra identità (ott.2006)

IL NATALE DI GESU’ E L’INTEGRALISMO DELL’AMORE (dic.2006)

Nel Segno della Vita (feb.2007)

UN CARO RICORDO DI GIOVANNI (ott.2007)

NATALE: Dio che si fa “concreto” (dic.2007)

 

CHIAMATI PER NOME (feb.2008)

UNA SCIA DI LUCE… (dic.2008)

IL DIO DELLA PACE (feb.2009)

LUCE DI VERITA’ (dic.2009)

MARIA MADRE DELLA SPERANZA (feb.2010)

IDENTITA’ CRISTIANA: un tesoro geloso da custodire e approfondire (feb.2011)

LA PREMURA DELLA BEATA VERGINE MARIA PER I SUOI FIGLI (dic.2011)

LA RISURREZIONE DI GESU’ CRISTO POTENZA RINNOVATRICE DELLA CRISTIANITA’ (feb.2012)

NATALE  2012  ANNO «0» DELLA FEDE

“ Il giusto vivrò mediante la fede” (Rm1,17) (feb.2013)

NATALE: FESTA DELLA “LUCE” ( dic.2013)

PASQUA: UNA PACE CARICA DI SPERANZA (feb.2014)

“Il Signore ha visitato e redento il suo Popolo” (Lc1,68) (dic.2014)

LA VISITA PASTORALE: EVENTO DI GRAZIA (feb.2015)

NATALE: AURORA DELLA GRANDE MISERICORDIA (nov.2015)

La Misericordia di Dio: mistero di gaudio (feb.2016)

NATALE: un inno alla speranza (dic.2016)

MARIA MADRE DELLA SPERANZA (feb.2017)

PASQUA 2018 (feb.2018)

PASQUA 2019 (feb.2019)

PASQUA 2020 (feb.2020)

 

 

 

 

Perché questo sito web e perché questo nome

Sono contento di poter scrivere due righe d’introduzione che servono a spiegare la ragione di questo piccolo sito web e a giustificarne anche il suo titolo. Riguardo al motivo di quest’iniziativa esso è molto semplice. Nasce dalla buona volontà d’alcune persone che si sono assunte il compito di redigere, questo “foglio” che vuole essere un brevissimo informatore parrocchiale. Lo scopo di questo notiziario è di permettere un minimo contatto con tutti, anche con coloro che sarebbero interessati alla vita della nostra comunità ma che, per tante ragioni, non possono, specialmente quando ne sono impediti dal proprio stato di salute. Certamente è una cosa piccola e familiare; d’altra parte siamo coscienti di essere già bombardati da tante notizie d’ogni tipo, per cui non volevamo anche noi aumentare questo carico; inoltre siamo convinti che, spesso, le cose piccole e semplici sono le più gradite. Riguardo al titolo è stato scelto in modo tale che esprimesse già in sé un potenziale positivo in accordo con lo spirito del Vangelo, che è appunto “buona notizia” (cfr Lc 4, 16-21). Così questa scelta è stata suggerita dai passi biblici dove si parla di “ali” che danno un vigore tanto potente simile, appunto, a quello di grandi forti “ali d’aquila”, vigore che è come un dono dall’Alto e che permette di superare con imprevedibile leggerezza e slancio ostacoli, difficoltà e sofferenze umane anche grandi (cfr Es 19, 4; Dt 32, 11; Is 40, 31; Ap 12, 14). Non è difficile dunque riconoscere in queste “ali” il simbolo della Speranza cristiana. A me sembra che, in questo mondo, specie proprio nel nostro primo mondo, sia urgente il richiamo a riconsiderare la potenza delle motivazioni che ci vengono da quella Fede che ci apre alla Verità nell’Amore. Infatti, la nostra società appare pervasa, ora più che mai, di pessimismo, delusione, sfiducia e anche disperazione. Il fatto è che ha troppo sperato in cose di questo mondo e anche in cose spesso sbagliate. Possiamo dire che molti mali se li è procurati da se stessa. Se il buon Dio lo permetterà, e se questo piccolo informatore parrocchiale circolerà, avremo modo di tornare sull’argomento. Intanto vogliate accettare i miei migliori saluti ed auguri.

don Roberto Carpini, parroco.

(Dicembre 2001)

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La Speranza

 

L’avvicinarsi della più grande festa cristiana, cioè della Pasqua dei Signore, mi da l'occasione per riprendere il tema della Speranza già introdotto nel primo numero di questo piccolo informatore parrocchiale intitolato "ali d'aquila”, immagine biblica questa che richiama appunto proprio la potenza della Speranza cristiana.  Sappiamo bene che il vigore di questa virtù opera soprattutto nei momenti più difficili dove possiamo essere tentati di sconforto e di disperazione sul senso e il valore della vita.  Ma opera anche nel determinare energia, gene­rosità e fermezza sia nei passaggi importanti e impegnativi della nostra esistenza, come pure nell'aiuto a superare con slancio il "grigio" quotidiano.  Leggiamo nel Librò del Profeta Isaia: "anche i giovani faticano e si stancano, gli adulti inciampano e cadono; ma quanti sperano nel Signore riacquistano forza, mettono ali come aquile, corrono senza appannarsi, camminano senza stancarsi" (40,30-31). Forse questo significa che quanti speriamo in Lui siamo esenti dalle difficoltà, i travagli e le sofferenze della vita?  E sono forse i cristiani dispensati dal lasciare un giorno l'abitazione del proprio corpo in questo mondo?  Certo che no!  Che cos'è dunque  questo Speranza vigore della Speranza cristiana? Ascol­tiamo Gesù: "Venite a Me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e lo vi ristorerò" (Mt 11,28).  Nelle sofferenze e nelle difficoltà, se ci fidiamo e affidiamo veramente a Cristo, Egli stesso ci solleva interiormente con la Sua Misericordia motivando tutto ciò che viviamo compreso - soprattutto- quello che è più riluttante alla nostra natura umana.  Ora il fondamento di tutto ciò risplende massimamente proprio nella Pasqua di Gesù.  Infatti con la Sua Passione e Morte Egli ha vinto il peccato e la morte e con essi ogni ragione di disperazio­ne perché,con la Sua  Resurrezione, ci ha restituito al vero senso e significato della nostra esistenza eterna.  Dunque il Crocifisso, cioè l'Uomo dei dolori schiacciato dal peccato del mondo, non è un segno di sconfitta, di disperazione o di depressione, bensì il segno dell'Amore Divino che, proprio sulla Croce, ha vinto il mondo del male e del la morte.  Il mio augurio per ciascuno di noi o dunque che la potenza rinnovatrice della S. Pasqua pervada mediante la Fede, la preghiera e i Sacramenti  tutto il nostro essere rigenerandolo nel più profondo ad una Speranza piena di Verità e Immortalità.

 

don Roberto

(Marzo 2002)

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Una festa per un lieto evento

 

Ho creduto opportuno richiamare con questo articoletto l’ attenzione di tutti noi su una realtà di fede molto bella professata ogni volta che recitiamo il credo, ma che penso passi quasi sempre inosservata: mi riferisco alla "Comunione dei Santi". L'opportunità è almeno in parte dettata dal lieto evento della santificazione di Padre Pio che avverrà domenica 16 giugno, evento questo che sentiamo particolarmente importante per la nostra comunità, la quale può considerarsi benedetta in modo speciale dall'intercessione di questo santo. Infatti, come ben sappiamo, la nostra Chiesa è stata voluta da lui e beneficata da alcune sue promesse. Ecco dunque l'opportunità di approfondire un po' meglio, alla luce della dottrina cattolica, questo misterioso fatto della Comunione dei Santi di cui noi tutti siamo partecipi . Insegna infatti il "Catechismo della Chiesa Cattolica" che la Comunione dei Santi indica sia la comunione alle

"Cose Sante", cioè tutte quelle realtà celesti di cui per Grazia siamo arricchiti (Sacramenti, carismi,....), sia la comunione nell'Amore di Cristo con le persone Sante della terra e soprattutto del Cielo. E così nel medesimo catechismo al n° 956 leggiamo: "A causa infatti della loro più intima unione con Cristo i beati rinsaldano tutta la Chiesa nella Santità... non cessano di intercedere per noi presso il Padre, offrendo i meriti acquistati in terra mediante Gesù Cristo, unico Mediatore fra Dio e gli uomini... La nostra debolezza quindi è molto aiutata dalla loro fraterna sollecitudine". Alle parole di S. Domenico: "Non piangete. Io vi sarò più utile dopo la mia morte e vi aiuterò più efficacemente di quando ero in vita" e di S. Teresina: "Passerò il mio cielo a fare del bene sulla terra", fanno eco le parole di Padre Pio: "Molto più chiasso dopo la mia morte farò... e chi salirà questo colle (S. Giovanni Rotondo) non tornerà a

mani vuote". E così è.

Questo uomo, forgiato direttamente alla scuola del Signore in una fedeltà fortemente provata da ogni forma di sofferenza, è stato un magnifico segno della grandezza a cui eleva il Signore le Sue anime elette. Questo Santo è stato ad un tempo elemento di crisi e pietra d’inciampo per l’ orgoglio e l’  autosufficienza atea , caratteristiche del nostro secolo, ma stesso momento strumento docile di grande attenzione e delicatezza per il valore della vita umana, specialmente quella segnata dalla sofferenza (si pensi solo alla realizzazione della Casa Sollievo della Sofferenza)., Inoltre, come tutti i Santi, ha invitato gli uomini ad alzare gli occhi al Cielo con la preghiera per comprendere e comprendersi nel vero senso dell'esistenza. La creazione degli stessi gruppi di preghiera testimonia la sua predilezione per questa “arma” con cui combattere lo insidie del nemico e collaborare alla pienezza della vita della Chiesa. Ho sentito dunque come un dolce dovere di gratitudine al Signore e a questo santo, oltre che motivo di edificazione comune, accennare alle grazie che si connettono con la vita di quest’uomo di Dio.

Colgo infine l'occasione per esprimere grata memoria anche ai suoi fedeli collaboratori che ne hanno prolungata l'azione e in particolare al caro Giovanni Bardazzi il quale, come ben sappiamo, ha edificato con l'aiuto di altre persone generose, proprio questa nostra Chiesa.

don Roberto

(Maggio 2002)

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“ Le parole che vi ho detto sono spirito e vita”  (Gv 6,63)

 

Credo di non sbagliare pensando che uno degli aspetti del dramma religioso dell'uomo sia il fatto che da una parte egli sente il bisogno della presenza  di Dio non come un concetto astratto e impersonale, ma per Quello che veramente è e si è rivelato in Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, cioè un Dio che ama la sua creatura ed entra in modo delicatissimo in rapporto con !a sua storia personale e universale. D'altra parte un tantino che si applichi con saggezza a considerare la perfezioni del creato, non può non avvertire, come ci dice la Sacra Scrittura, la grandezza, la magnificenza, l'infinita perfezione e trascendenza del Creatore. Ora se quest'ultima considerazione è frutto di un sano e semplice criterio razionale, la percezione della Sua vicinanza e familiarità sono solamente e totalmente una Sua grazia di condiscendenza: grazia e verità che si sono manifestate pienamente in Cristo Gesù. A noi interessa però il "come" Dio si è reso familiare nella storia umana, perché, se ascoltiamo con sincerità il nostro cuore, sentiamo che di questa familiarità ne abbiamo davvero bisogno. Cosi guardando alla storia della salvezza, vediamo che il movimento di Dio verso l'umanità è simile a quello di un genitore che si china alla misura del figlio per stabilire con lui un dialogo il cui scopo principale, ancor prima che educativo, è quello di attuare una comunicazione affettiva cosi importante per la crescita psico-fìsica de! bambino. E' questo lo stile di Dio verso l'umanità e, perché ciò non fosse riservato solo a qualche uomo di un Popolo prediletto, ha voluto che questo dialogo amicale tra Dio e gli uomini rimanesse fissato per scritto: la Sacra Scrittura antica.

Le stesse parole di Gesù, ascoltando e vedendo il Quale si ascolta e si vede il Padre, sono state raccolte nei Vangeli e insieme ad altri scritti apostolici vanno a formare il Nuovo Testamento.

 

Fin dall'inizio i cristiani sentirono fortemente il bisogno di nutrirsi della Sacra Scrittura per crescere nella conoscenza di Dio la quale è alla base di quella familiarità confidente e rispettosa, di cui parlavamo all'inizio, che è propria della piena maturità di fede. Ho voluto ricordare brevemente queste cose all'inizio del nuovo anno di lavoro parrocchiale per stimolare ciascuno di noi ad inoltrarsi nella conoscenza della Parola di Dio, cosa questa che come sappiamo bene non può essere fatta esclusivamente da soli, bensì in riferimento alla Chiesa nella quale la Scrittura è nata e alla quale è data. Per questo da alcuni anni sono nati i gruppi di lettura del Vangelo nelle case e, sempre per lo stesso motivo, quest'anno ci sarà in Parrocchia un incontro ogni due settimane per la lettura proprio della prima parte della Bibbia. Lettura senza dubbio affascinante ma anche irta di difficoltà. Maggiori dettagli verranno comunicati negli avvisi domenicali e nel prossimo numero di Ali di Aquila, nel frattempo invito tutti coloro che possono ad accostarsi con fiducia a questa sorgente di Luce.

 

don Roberto

(settembre 2002)

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NATALE : rinnovarsi per l’accoglienza di Gesù Cristo

 

Ad un anno di distanza dalla prima edizione di questo “foglio” parrocchiale sono lieto di poter rinnovare a tutte le famiglie della Parrocchia i miei migliori auguri di buon Natale e di ogni benedizione per il nuovo anno 2003. E’ vero che è un po’ presto per fare questi auguri dal momento che siamo all’inizio dell’Avvento, cioè del periodo di preparazione alla festa che celebra la nascita di Gesù, ma questo foglio doveva uscire per informare sulle diverse iniziative del momento e non volevo perdere questa occasione per comunicarvi alcune semplici considerazioni come piccolo contributo a viver meglio questa preparazione. Premetto che so benissimo di essere solo un povero prete senza alcuna pretesa di competenza storica, ne tanto meno sociale e politica, ma dal momento che vivo come ognuno di voi in questa parte del mondo e in questo tempo cerco, come tanti, di fare una lettura di alcuni dei drammi, che credo siano di maggior travaglio nella nostra società attuale, riferendoli alla luce della mia tenue fede.  A questo proposito penso che possiamo considerare veramente profetico l’appello che il Santo Padre, Giovanni Paolo II, fece circa venticinque anni fa, all’inizio del suo pontificato, di “Aprire le porte a Cristo” e non solo all’esperienza della vita personale, ma anche ad ogni forma strutturata della vita sociale (famiglia, lavoro, scienza, arte,...). Infatti  penso che sia sotto gli occhi di tutti una certa crisi di valori, non solo religiosi e morali, crisi che sembra investire soprattutto, anche se non solo, proprio la nostra cultura europea. Certo sarebbe veramente presuntuoso il pensare di saperne elencarne le cause, ma credo di non sbagliare troppo se vedo fra di esse sia la presa di coscienza dell’ennesimo fallimento delle eccessive speranze riposte negli assoluti ideologici umani, sia la crescita della capacità di indagine critica anche dell’essere e dell’agire dell’uomo. Quest’ultimo fatto ha messo ancor più a nudo i limiti umani e di conseguenza anche l’ingenuità di ogni forma di esaltazione enfatica, sia essa riferita a persone o ad ideologie. Le stesse manifestazioni, più o meno eclatanti e dolorose, del fanatismo fondamentalista ed integralista hanno pur esse contribuito, nella loro intransigenza, ad aumentare la diffidenza in tutto ciò che si propone come ricerca di assoluto. In questa situazione si insinua facilmente nella mente e nel cuore di chi non è vigilante non solo la convinzione di una religione e di una morale “fai da te”, ma anche l’ombra di un relativismo che tende a coprire ogni forma di valore. La storia ci insegna che la crisi, come momento di crescita, è importante purché si arrivi ad una rifondazione basilare, altrimenti il suo perdurare rischia di ingenerare forme di involuzione culturale. Credo che questo sia uno dei contenuti dell’appello che il Papa ha di nuovo ultimamente lanciato nel discorso al Parlamento italiano. Le radici della cultura europea affondano nel Vangelo il quale ci parla, si, della Verità una e  assoluta (Cristo), ma di una Verità che, pur essendo tale, si rivela con amore e per amore alla nostra misura facendosi appunto il “Piccolo” fra i piccoli (cf Is9,5). Questo è il Suo Natale.  

 

don Roberto

(dicembre 2002)

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MA CHE COS’E’ LA PARROCCHIA ?

 

Una decina di anni fa, poco dopo il mio arrivo in questa Parrocchia, decidemmo di fare una piccola inchiesta attraverso un semplice questionario per interrogarci su cosa si pensava e su cosa ci si aspettava dalla Parrocchia. Oggi viviamo in un clima dove la ricerca e l’approfondimento della nostra identità cristiana diventa sempre più necessario. Per questo credo che non sia fuori luogo cercare di rispondere alla domanda su che cos’è questa realtà della Parrocchia, che direttamente o indirettamente è sempre un riferimento per la maggior parte delle persone. Premetto che non sono certo un erudito, e che quindi non intendo entrare in problemi teologici, storici o sociali, ma che desidero dare ugualmente il mio piccolo contributo per una risposta semplice e immediata, vicina al vissuto quotidiano. E’ normale che per tradizione storica, specialmente nel nostro mondo europeo, il concetto di Parrocchia richiami in noi prima di tutto l’immagine di una realtà in parte religiosa e in parte almeno burocratica, posta in un determinato territorio con al centro delle precise strutture: (la chiesa e gli ambienti annessi)  dove operano  persone facenti riferimento ad un responsabile (parroco) e dove si va normalmente per certi “servizi” religiosi: matrimoni, funerali, sacramenti, ecc. . Certamente questa è più o meno la struttura visibile della Parrocchia, ma il fermarsi a questo è come ridurre la persona al suo corpo, anzi, ancor più, ridurre il mistero della vita alla mobilità degli arti. In effetti la Parrocchia è prima di tutto una Comunità di persone che credono in Cristo e che si sforzano di vivere il Vangelo. E siccome il Vangelo rinvia all’attenzione agli altri, l’obbedienza alla Carità sprona a servire Dio anche attraverso la trasmissione dell’insegnamento di Gesù e l’attuazione di ciò che di più prezioso - insieme alla sua Parola - ci ha lasciato, cioè i Sacramenti. Ecco dunque che la Comunità si organizza per fare tutto questo massimamente nella celebrazione Eucaristica (Messa) e in tutte le altre espressioni religiose, di insegnamento e caritative. E’ chiaro poi che per far questo ha bisogno anche delle strutture materiali, così come ha bisogno prima di tutto delle persone che si rendano disponibili ai vari servizi, organizzandosi in modo coordinato intorno al responsabile, il quale riceve l’autorità di servire non dagli uomini ma da Dio stesso per mezzo dell’intera Comunità dei credenti, che è la Chiesa,  per mano di coloro che ne sono le guide responsabili: i Vescovi uniti al Capo visibile che è il Papa. Ecco dunque che la Parrocchia è uno degli strumenti mediante il quale il Signore può raggiungere ogni uomo per esprimergli il suo Amore e donargli la salvezza. In questo senso credo che sia pertanto evidente come non ci si debba fermare a considerare solamente la struttura visibile della Parrocchia, né tanto meno la sua più o meno marcata inadeguatezza di realtà umana nei confronti della missione affidatale dal  Signore, ma vederla per quello che è cioè uno strumento di incontro dell’uomo con l’Amore salvifico di Dio. Come già accennato, il funzionamento organico di questa realtà necessità si delle strutture materiali ma l’attenzione va soprattutto posta sul suo essere comunità di fede formata da famiglie la quale, in rapporto alla Famiglia più grande che è la Chiesa, fa si che questa fede, come sorgente di luce e sommo bene, si trasmetta di generazione in generazione. Premesso tutto ciò credo non sia male fare chiarezza anche sul funzionamento della Parrocchia nella sua realtà visibile, ma di questo ci occuperemo nel prossimo numero.

 

don Roberto

(febbraio 2003)

 

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COME FUNZIONA LA PARROCCHIA

 

Dopo il pallido tentativo di raccontare che cos’è la Parrocchia, nel precedente numero di “Ali d’aquila”, provo - con ancor meno pretese - a dire come funziona una Parrocchia. Insisto sulla limitazione dell’informazione che vorrei dare anche perché non è certo mia intenzione voler annoiare il lettore, bensì assolvere ad un dovere di trasparenza informando sommariamente le persone su come funziona e si sostiene la Comunità parrocchiale.  Nell’articoletto su accennato avevo cercato di delineare i compiti spirituali preminenti  che la Parrocchia come comunità di fede è chiamata a svolgere per essere fedele al suo mandato. Possiamo riassumere questi impegni in tre funzioni: insegnamento, liturgia e carità. Nell’insegnamento c’è racchiusa tutta l’attività di evangelizzazione, formazione e informazione religiosa che si esplica in tante forme ( omelie, gruppi biblici, catechesi, ...), ma che ha nella collaborazione interna alla famiglia cristiana il punto di forza fondamentale. La liturgia si occupa di rendere favorevole ed massimamente espressiva l’attività religiosa  ( S. Messa e gli altri atti di culto comunitario ). La carità si occupa di sovvenire, per quanto possibile, alle necessità più urgenti materiali - e non - dei vicini ( in particolare con i centri di ascolto ) e dei lontani: opere missionarie. Fortunatamente per svolgere tutte queste attività il parroco non è lasciato solo né a livello esecutivo, e questo è implicito nel tenore stesso dell’impegno, né a livello “decisionale”, e anche questo è fondamentale per mantenere una prossimità con le esigenze e il pensiero della gente. L’organo fondamentale che aiuta a livello decisionale il parroco è il Consiglio pastorale. Si riunisce periodicamente per discutere e decidere sulle cose più importanti che via via si presentano nello sviluppo dell’attività parrocchiale. E’ formato da un certo numero di persone elette, o comunque approvate e riconosciute valide per questo scopo, da coloro che partecipano più da vicino alla vita della Parrocchia. In second’ordine, ma per certi versi altrettanto importante, c’è il problema pratico del sostegno economico di tutta la suddetta attività. A proposito sono contento di aver modo di poter chiarire che la partecipazione delle persone si regge tutta sul volontariato: dal catechismo alla pulizia della chiesa e dei locali annessi. L’unico che ha uno “stipendio” prelevato dai fondi della Parrocchia è il parroco. A me personalmente spettano 110 € al mese. Comunque anche nella gestione economica il parroco è aiutato da un organo “ad hoc” : il Consiglio per gli affari economici, il quale, oltre sollevare il parroco dagli impegni che non gli sono propri, contribuisce, con un bilancio consuntivo che viene reso pubblico ogni anno, a dare ancor più rilievo alla trasparenza della vita economica della Parrocchia, la quale si regge esclusivamente – almeno nel nostro caso – sulle libere offerte che le persone possono fare, e in genere fanno, in certe occasioni. Però vorrei concludere questo articoletto con un pensiero più spirituale. E’ vero che non “viaggiamo nell’oro”, soprattutto in considerazione dei futuri impegni di ristrutturazione degli ambienti, ma è pur vero e vivo nella ripetuta esperienza dei santi, quello che Gesù proclama nel Vangelo: “Cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta”.  ( Mt 6,33 )

 

don Roberto

(maggio 2003)

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LA FORZA DEL PREGIUDIZIO

 

Vorrei condurre con il lettore una piccola riflessione che non pretende di avere alcunché di arguto o di originale, ma solo lo scopo di evidenziare, in maniera peraltro abbastanza superficiale, il gioco di alcuni limiti che portiamo nella nostra natura umana.

Che ognuno nel suo relazionarsi con gli altri, e il mondo in genere, sia condizionato dalle proprie idee, gusti, cultura, ecc. è un fatto di cui tutti facciamo esperienza anche perché è un dato intrinseco alla progressività dello stesso processo di apprendimento. Infatti nell‘approssimarsi alla “novità”, di qualunque tipo essa sia, e che quotidianamente ci attende nell’esperienza stessa della vita, portiamo con noi tutto quel bagaglio di conoscenze, esperienze,  idee e anche ideali che forma la necessaria base del giudizio umano. Il problema è che certe volte nascono degli indurimenti o rigidezze categoriali dovute ad ignoranza, errori, prevenzioni e altre motivazioni magari anche inconsce e spesso irragionevoli. Non si potrebbe spiegare altrimenti il continuo ripetersi di tutte quelle devianze indotte da falsi valori o ideali utopici che tormentano incessantemente e da sempre la storia umana, creando situazioni gravide di penosissime conseguenze. Dobbiamo riconoscere che in una qualche misura il pregiudizio fa “capolino” nella debolezza della condizione umana in genere e non manca certamente anche nel mondo religioso. Basta aprire i Vangeli per rendersi facilmente conto che uno dei motivi della condanna del Cristo è stato il suo essere così diverso dall’immagine che gli Ebrei del tempo e i loro capi si erano fatta del Messia. Ma questo è un argomento troppo difficile e vasto per la mia misura. Vorrei solo far notare che queste semplici e brevi considerazioni ci possono aiutare ad intravedere meglio quante forme di ingiustificata diffidenza vivono all’ombra di stantii pregiudizi. Accade facilmente, per esempio, che un cristiano che si sforza di vivere al meglio la fedeltà al suo Signore e Maestro che è Cristo, venga giudicato come minimo bigotto forse da chi nemmeno conosce pallidamente il vero senso della vita cristiana e che magari, come non raramente accade, è vittima di credenze e di paure superstiziose combattute con scaramanzie,  portafortuna, lettura di carte. maghi, ecc. . Tutte cose queste che al di là dell’illecito morale, avviliscono davvero la dignità della ragione umana e la paralizzano in forme devianti che le sono di forte ostacolo nell’ aprirsi alla luce della Verità. Termino queste brevi e sommarie considerazioni sul pregiudizio mentre mi scorre davanti alla mente come un fiume di storie che si sentono di tante persone che sono andate a conoscere Padre Pio con le motivazioni più svariate e pregiudiziali e che pure, quando si sono trovati davanti a quest’uomo, nel quale viveva Cristo in modo speciale, sono stati sconvolti cedendo il passo alla forza della conversione. Si ripeteva in una qualche misura ciò che si era verificato in modo mirabile e grandioso quando Cristo era in terra e che continua a verificarsi, sempre in misura proporzionata, nella vita dei Santi - uomini liberi - che hanno conosciuto e amato  quella Verità che li ha resi liberi davvero ( cf Gv 8,33-36 ).    

 

don Roberto

( settembre 2003)

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NATALE : LA DISCESA DIVINA PER L’ASCESA UMANA

 

Quando il cristiano si dimentica di Cristo non solo perde la sua identità, ma dimentica anche il dono della grande dignità che ha ricevuto già come creatura umana e per di più riscattata dal sangue del Figlio di Dio. In effetti nessuna persona al mondo ha esaltato il valore della vita dell’uomo come ha fatto Gesù. Proprio il Mistero del Natale, che stiamo per celebrare, ci parla anche da solo sia del valore della persona, sia della prospettiva di questo riscatto della condizione umana. Infatti il Cristo è venuto in questo mondo per aprire gli orizzonti della speranza alla dimensione nuova di una salvezza nella quale è vinta la morte e le sue conseguenze mortificanti tutti gli aspetti, più o meno belli ovvero dolorosi, dell’esistenza. Ma il Natale ci pone anche davanti agli occhi della mente l’avverarsi in Maria del meraviglioso, quanto insondabile, mistero dell’Incarnazione e quindi ci richiama a considerare con più attenzione l’immenso valore della vita dell’uomo creato ad immagine di Dio. Quello che appunto vediamo verificarsi in Maria, vergine immacolata e madre purissima, cioè l’assunzione da parte del Verbo divino in Lei della natura umana, non può che lasciarci davvero esterrefatti nel pensiero che tale evento sia possibile e con tutto ciò che questo implica, ovvero che la natura umana sia stata creata con una dignità tale da poter accogliere il suo Creatore. Ora, questo solo la Rivelazione divina poteva svelarcelo. Certamente  quella che ha assunto il Figlio di  Dio è la natura umana perfetta e immacolata, precedente al peccato originale, ma grazie al Sangue di Gesù, tutti quelli che sono rinati mediante la Fede in Lui e il Battesimo, nella misura che si impegniamo nella fedeltà e nell’amore, possono accedere alla grazia di poter accogliere in se stessi il proprio Creatore e Redentore!  IL mio augurio è che l’immagine tenera, ma anche forte, del Figlio di Dio che si è fatto Bambino per noi, risvegli in tutti, a partire da me, la consapevolezza di quanto Egli ci abbia amati. Il profeta Isaia molti secoli prima della nascita di Gesù diceva: “...un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il segno della sovranità ed è chiamato: Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace; grande sarà il suo dominio e la pace non avrà mai fine” (Is 9,5-6). Che la pace di Cristo, passando per i cuori della gente, entri dunque con abbondanza nel mondo e infranga le trame dell’odio e della violenza. 

                                                                                                         

don Roberto

(dicembre 2003)

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IL “MODERATO” OTTIMISMO CRISTIANO

 

In occasione della Quaresima, periodo di preparazione alla S.Pasqua, ho pensato di dedicare un breve articoletto ad una caratteristica che dovrebbe essere propria del discepolo di Gesù Cristo ed è quella del cauto ottimismo di chi è libero dalla schiavitù degli eccessi dell’assillo. Anche se all’orizzonte, in questo momento, non sembrano levarsi funeste nubi di grandi guerre, tuttavia esiste sempre la piccola o grande lotta del quotidiano e mi sembra di poter rilevare segnali abbastanza forti di inquietudine presenti in seno alla nostra società. Certo non è la fede in Cristo che dà di per sé la dispensa dalle afflizioni della vita. Gesù ai suoi discepoli non promise esenzioni speciali da prove e tribolazioni, cose queste che fanno parte del retaggio più o meno grande di ogni creatura umana che viene in questo mondo, ma tra le infinite cose importanti che il Signore ha detto, mi sembra che ve ne sia una che risulta particolarmente incoraggiante: “Voi avrete tribolazioni nel mondo, ma abbiate fiducia; Io ho vinto il mondo ( del male )!” ( Gv16,33 ). Di lì a poco il Cristo fece la sua Pasqua e proprio dalla grande sofferenza della sua passione e morte doveva spuntare l’alba del “nuovo giorno”: quello della sua Risurrezione. Inaugurò così il tempo nuovo; il tempo che nessuna creatura può cancellare o invertire, il tempo di una speranza grande più forte della morte. I primi ad essere inondati da questa Luce furono i discepoli ed essi ne mostrarono apertamente i suoi riflessi proprio nel fatto che la morte non faceva loro più paura. Questo non perché fossero dei fanatici plagiati da un‘ideologia, bensì perché, pur amando e rispettando la sacralità della vita, questa ormai appariva loro, nella fede, quello che era: una piccola anticipazione e partecipazione alla vera pienezza della Vita così come l’ avevano vista e toccata nel Risorto. E se il ritorno nel mondo del Cristo glorioso sembrava tardare a manifestarsi, ciò non fece alcun problema perché erano consapevoli che sulla Parola di Gesù non “toccava a loro conoscere i tempi e i momenti”. Gran parte della frenesia della vita, e dei mali della nostra società, viene proprio dalla pretesa di salvarla con le proprie forze dalla sua evanescenza e dal fallimento della morte. Ma se uno ha trovato il tesoro della vera fede viva, anche se potrà, come tutti, essere sottoposto a prove e afflizioni, queste non possono travolgerlo totalmente nella disperazione perché, come ci ricorda S.Paolo, “nella speranza siamo stati salvati”; cioè nessuno può togliergli - se costui non vuole - questo tesoro e, come insegnava S.Francesco, “nella Sua volontà è la nostra pace”. Da qui quel cauto e sano ottimismo di fondo. Certo la fede non è un rifugio per un disimpegno, bensì una motivazione in più per spendersi per il bene di tutti nell’amore fraterno. Da qui l’esigenza di uno sforzo per la coerenza anche esteriore che manifesti, non solo con le parole ma anche con le opere, la bellezza e la forza del Regno di Dio già presente in noi.

 

don Roberto

(febbraio 2004)

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PREGARE MARIA E CON MARIA

 

Ognuno che abbia esperienza della preghiera semplice che sgorga dal cuore, sa quanto aiuto e conforto venga dal pregare la Santa Madre del Signore e quanto il Suo delicato farsi prossima si trasformi in un “pregare con Lei” e quindi in un più facile aprirsi a Dio. La Sua presenza infatti ci aiuta ad aumentare la confidenza fiduciosa e rispettosa verso la Trascendenza Divina. Così accade che, anche quando esaltiamo le prerogative di Maria, lo facciamo con quello spirito di chi contempla in Lei per un verso le perfezioni della creazione di Dio e per un altro la perfetta e totale risposta alla missione affidataLe dal Signore. Infatti nessuna creatura fu fatta ad immagine tanto somigliante alla Santissima Trinità quanto la Madonna e nessun’altra creatura conservò intatte e fece fruttare tali prerogative, per il servizio a Dio e agli uomini, quanto Lei. E’ questo quello che ci lascia intendere chiaramente l’Angelo salutandola con parole che la Sacra Scrittura ci mostra come mai dette ad altra persona. Pertanto tutte le volte che le ripetiamo: “Ti saluto ( ave ) Maria piena di grazia il Signore è con te”, intendiamo come rievocare in qualche modo la grazia di quell’evento destinato a cambiare la storia dell’umanità. D’altra parte se queste sono - e lo sono - le parole con le quali l’Angelo Gabriele, che sta al cospetto di Dio ( Lc1,19 ), L’ha salutata annunciando tale evento, come potremo noi povere creature che, come ci ricorda S. Paolo, “nemmeno sappiamo ciò che sia conveniente domandare” ( Rm8,26 ), trovarne di migliori? Con altrettanta dignità e insieme gioiosa serenità, la preghiera prosegue con le parole che S. Elisabetta, ripiena di Spirito Santo, disse in risposta al saluto di Maria: “Benedetta tu fra le donne e benedetto il Frutto del tuo grembo”. Infatti grande era la commozione che aveva pervaso Elisabetta quando il saluto di Maria le aveva fatto esultare di gioia il bambino che portava in seno. Non è anche questo un segno del grande dono che è affidato alla Santa Madre di poter lenire i dolori e le angosce che stringono il cuore umano? Dunque l’Ave Maria è una preghiera biblica semplice, suggerita dallo Spirito Santo e, anche quando viene ripetuta più volte, con la sua grazia è come una pioggia che ha il potere di irrigare l’arida terra di questo mondo. Certo l’Ave Maria non è l’umica preghiera con la quale la Cristianità si è rivolta alla Santa Madre di Dio nei secoli, ma tutte sono pervase da quel medesimo spirito di cui si parlava all’inizio e tutte nascono dall’esperienza diretta della preziosità della Sua intercessione. Valgano come esempio di particolare incisività le parole che il sommo poeta Dante Alighieri nella sua “Divina commedia” fa dire di Lei a S. Bernardo: “Donna, se’ tanto grande e tanto vali, che qual vuol grazia ed a te non ricorre, sua disianza vuol volar senz’ali.”

 

 don Roberto

(maggio 2004)

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IL VANGELO NELLA STORIA PER OPERA DEI SANTI

 

Non credo che la storia di come è nata la nostra chiesa parrocchiale così, come l’ha voluta e curata S. Pio attraverso la collaborazione del suo figlio spirituale Giovanni Bardazzi, sia nota a tutti e comunque ho pensato che valesse la pena ricordarla brevemente anche se far questo non è facile e certamente mortificante la densità dei fatti perché , come accade spesso nelle opere dove entrano i Santi e in particolare P. Pio, naturale e soprannaturale, umano e Divino, limite umano e grazia si intrecciano formando un tutt’uno nel quale vi si può anche penetrare, ma spesso solo con gradualità, si da poter cogliere qualche tratto di quei disegni con i quali la Divina Misericordia conforta e sostiene il Popolo di Dio. Però, considerando il fatto che quando le opere partono dai Santi, docili servi del Signore, queste acquistano una potenzialità positiva per la vita spirituale, mi sono deciso a provare a scrivere qualcosa nella speranza di riuscire ad offrire qualche briciola di conoscenza di quell’incessante lavoro della grazia con il quale il Divino Maestro ci soccorre in questo mondo. Se tutto ciò è vero per le opere dei Santi in generale, lo è ancor più per S. Pio dove troviamo una magnifica sintesi di santità, carismi e ministero. Perciò ho pensato di rileggere sullo sfondo del brano evangelico della prima moltiplicazione dei pani questa storia, come l’ho appresa dalla bocca di “Giovanni da Prato”- così lo chiamava il Padre - in sei anni che gli sono stato vicino prima che morisse il sette dicembre del 1997, alle ore 16, stessa ora e stesso giorno nel quale 37 anni prima, vale a dire nel 1960, veniva consacrata quella che sarebbe stata l’attuale chiesa parrocchiale. Ho scelto questo brano come riferimento perché credo che vi siano in esso esaltate due preziose caratteristiche del modo di agire del Signore che, in una qualche misura, mi sembra di poter cogliere anche in questa piccola ma significativa opera che S. Pio ha voluto attuare per mezzo dei suoi fedeli collaboratori. La prima è il sovrabbondare della grazia e della grandezza delle opere divine là dove più forte è la debolezza e la pochezza delle risorse umane ( con 5 pani e due pesci Gesù sfamò una moltitudine di persone ). La seconda è la premura del Signore di sfamare, per mezzo dei suoi discepoli (Mt 14,16.19), coloro che per cercare il Regno si erano dimenticati anche di mangiare. Quest’ultima caratteristica ci rimanda immediatamente all’ansia di S. Pio, perfetto discepolo di Cristo, di sfamare con il Pane della Parola e dell’Eucarestia il maggior numero di persone attraverso anche la creazione dei Gruppi di Preghiera. Premesso questo entriamo ora per rapidi flash nella storia della nostra chiesa. Siamo alla metà degli anni cinquanta. Dopo la sua conversione, per altro molto movimentata e condita di straordinario avvenuta nei primi anni del suddetto decennio, Giovanni aveva iniziato a fare molti viaggi a S. Giovanni Rotondo portandovi un gran numero di persone. Obbediente al Padre aveva aggiustato molte cose della sua vita anche a caro prezzo e con non poche rinunce e rischi, ma era in pace e contento di obbedire a P. Pio che per lui era come Gesù in terra. Quella volta però fu messo a dura prova. Con una nuova attività suggerita da P. Pio era riuscito a risparmiare un cifra considerevole (circa 20 milioni ) e avrebbe voluto il consenso del Padre per una sua certa idea di investimento, ma il Padre imprevedibilmente gli disse “Figlio mio tu farai una chiesa e la casa ( per te )” . Era davvero dura per il povero Giovanni che per obbedire al Padre non solo doveva rinunciare a tutti i suoi progetti, ma doveva addossarsi anche tutti i tipi di grane che sarebbero venuti fuori, soprattutto per la mancanza di denaro! Ed era dura anche per i suoi familiari che oltre a doversi adattare ad abitare in un posto allora abbastanza ameno, dovevano, per richiesta esplicita del Santo, tenere la loro casa continuamente aperta all’accoglienza. Ma è proprio qui che noi leggiamo quelle note tipiche delle cose divine di cui parlavamo all’inizio. Infatti, chi spingeva il Santo a chiedere una cosa del genere, cosa che in fondo  sapeva bene che anche egli avrebbe dovuto pagare con la sua sofferenza, se non l’ansia di sfamare al servizio di Gesù tanta gente sullo stile del Divino Maestro?  Ed ecco delinearsi subito anche l’altra nota: che cosa sono pochi milioni per costruire una chiesa e la casa?! E che sono cinque pani e due pesci per sfamare tanta gente ? ( cf Gv 6,9 ). E’ bastata a Gesù l’offerta di quel ragazzo per procedere... . L’impegno la fatica e soprattutto la fiducia incondizionata di Giovanni, unita alla buona volontà di tanta altra gente, sortirono l’ effetto e la piccola chiesa fu consacrata l’11 novembre 1957 e dedicata a S. Maria delle Grazie La cappella servì per riferimento al primo piccolo gruppo di persone che vi si ritrovavano per pregare e anche di servizio pastorale alle persone del luogo la cui chiesa parrocchiale era distante. Ma come il miracolo della moltiplicazioni dei pani non fu istantaneo bensì progressivo: di passo con la distribuzione, così anche questa piccola opera doveva svolgersi per tappe successive. La seconda tappa fu presto raggiunta quando il Padre, di li a poco la consacrazione prima detta, esortò di nuovo Giovanni ad ingrandire la chiesa utilizzando lo spazio interposto tra questa e la casa, spazio che era stato utilizzato dalla famiglia per ricavarvi un orto. Così Giovanni si sentì dire da P. Pio ( senza che alcuno avesse informato quest’ultimo sulla topografia del luogo ):”Cosa ne fai di quei cavoli e pomodori!... Ingrandisci la chiesa!”. Povero Giovanni, si era punto e daccapo... . La chiesa ingrandita fu consacrata come abbiamo detto il 7 dicembre del 1960. Le tappe successive potremmo leggerle negli abbellimenti, sistemazioni giuridiche (nel 1985 divenne chiesa parrocchiale), ingrandimenti, ecc. Ma io credo che S. Pio abbia guardato piuttosto, come del resto lui stesso ha dichiarato espressamente a Giovanni, al Gruppo di preghiera, che si sarebbe sviluppato progressivamente fino a divenire uno dei più grossi della Toscana, e al servizio pastorale che ormai questa chiesa offre alla Parrocchia che ne ha preso il nome. Personalmente, e tante persone con me, sentiamo di dover essere molto grati a questo Santo e a tutti i suoi fedeli collaboratori, in particolare al nostro caro Giovanni e non solo per l’opera materiale, già di per sé utile e pregevole, ma anche per la storia stessa di una realtà che manifesta la premura di Dio per noi uomini.

 

                                                                                                          don Roberto

(settembre 2004)

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IL BISOGNO DI ESSERE CHIESA

 

Nell’immaginario collettivo l’idea di Chiesa è quella di un’entità astratta più o meno burocratica e, di conseguenza, generalmente poco amata non tanto nella sua realtà concreta quanto appunto come idea. Nei limiti di un articoletto e delle mie modeste capacità, vorrei proporre una piccola riflessione che possa servire anche minimamente ad approfondire questo fondamentale tema. E’ innata in ciascun uomo una tendenza a fare del fatto religioso un fatto prevalentemente privato, cioè una relazione che tende ad impostarsi facilmente, se non quasi esclusivamente, nell’ambito dello stretto rapporto personale con Dio. Senza dubbio chiunque riconosce che questa è una componente fondamentale dell’espressione religiosa, ma è anche vero che da sola è facile preda dell’individualismo e del soggettivismo religioso, cosa notoriamente molto diffusa oggi anche nei paesi di tradizione cristiana. Un rapporto puramente soggettivo, qualora fosse anche avvalorato da atteggiamenti concreti di fede fiduciale, è ben lontano dalla giusta impostazione della vita cristiana. Infatti la Religione cristiana è prima di tutto una Fede e una Fede non solo nell’esistenza di Dio, ma anche nella rivelazione che Egli ha fatto di Sé a partire già dall’ispirazione profetica, con la quale il Signore iniziò a parlare agli uomini per mezzo dei Profeti molti secoli prima di Cristo. Rivelazione che ha poi trovato la sua pienezza e compimento nel suo Figlio fatto uomo. Gesù infatti è l’”Amen” di Dio ovvero la sua Parola definitiva. Dunque il cristiano non crede solo in Dio (che E’), ma anche a Dio che si rivela. Ciò significa che per lui non esiste solo un aspetto personale, soggettivo, della vita di Fede quasi scisso da ciò che di Dio è manifesto e che come tale è oggetto di ammirazione e base dirimente nella formazione della propria coscienza. Anzi proprio la coscienza religiosa ben formata sente il dovere di porsi nel giusto atteggiamento di obbedienza riverente al proprio Creatore e Salvatore. Come cattolici siamo poi convinti che non solo Dio, ovviamente, non si inganna, ma anche che fornisce agli uomini quelli strumenti adatti affinché essi stessi non si ingannino bensì, al contrario, procedano come Popolo di Dio verso la pienezza della Verità. Per cui accanto alla Sacra Scrittura, in ossequio a quanto predisposto da Gesù stesso, poniamo fiducia nell’autorevole quanto prezioso insegnamento che scaturisce dalla presenza dello Spirito nella vita della Chiesa. E’ infatti lo Spirito Santo che la guida appunto nel tempo attraverso il suo stesso necessario strutturarsi nel mondo in modo organico e coordinato ( Magistero ). In poche parole il “fai da te” nel campo della fede non solo non è cristiano ma neanche ragionevole, perché l’aspetto oggettivo della Fede ( dottrina, sacramenti, ... ) non sono una scoperta personale ma un dono che Dio ci fa attraverso proprio la Chiesa. Del resto chi si abbandona al proprio soggettivismo fa più o meno presto l’esperienza dell’incertezza, della labilità e dell’evanescenza del suo presunto rapporto con Dio. Ecco perché nel cuore del vero credente c’è sempre, in maniera più o meno esplicita, il senso positivo e la necessità di sentirsi in cammino insieme con altri uniti da una medesima forte identità di fede, in tensione verso una quanto mai preziosa unità nella carità e verità, insomma c’è il bisogno di sentirsi “Chiesa”. 

don Roberto

(dicembre 2004)

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EUCARESTIA E VITA

 

“Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo” (Gv 6,51). Avevano ragione coloro che dicevano: mai nessun uomo ha parlato come quest’uomo (Gv 7,46); benché oppositori non poterono fare a meno di riconoscere l’assoluta novità e il singolare fascino espresso dalle parole di Gesù. Ma ciò che è di maggior stupore e conforto è che di lì a poco, lo stesso Gesù Cristo, mentre celebrava la sua Ultima Cena nella cena pasquale ebraica, dopo avere preso del pane e reso grazie , disse ancora: “Questo è il mio corpo che è per voi; fate questo in memoria di me”. Analogamente per il calice del vino disse: “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue ... fate questo in memoria di me” (1Cor 11,24-25).Ormai il rituale della Pasqua ebraica ordinato a far memoria viva (memoriale) dello evento della liberazione del Popolo ebreo dalla schiavitù egiziana, attualizzandone in qualche modo la potenza e la grazia, lasciava evidentemente il posto ad una altro memoriale infinitamente più perfetto e potente stabilito dalla Pasqua del Signore. Con il sacrificio totale di sé, Cristo operava un’altra ben più grande liberazione dell’uomo, il quale dalla schiavitù del peccato ora poteva passare alla libertà dei figli di Dio nella vera terra promessa, ultimo e più profondo anelito di ogni cuore umano. Che dire dunque di questo grande mistero? Non può certo la povera parola umana esprimere e - tanto meno - pensare di racchiudere tale mistero. Tuttavia anche dal mio piccolo angolo visuale penso sia bello  poter ricordare che l’Eucarestia, grazie alla mediazione del Cristo nella sua Umanità sacrificata, secondo le stesse parole di Gesù, appare come il vertice della discesa di Dio nel cuore dell’uomo e nel contempo il vertice della possibilità di ascesa del cuore umano verso Dio: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui” (Gv 6,56). Certo tutto ciò va inteso sempre in linea con la responsabilità e la partecipazione umana, il che significa consapevolezza ( per quanto possibile alla nostra misura ) e adeguata preparazione interiore. Come certamente il lettore saprà l’anno in corso è stato dedicato dal Santo Padre all’Eucarestia e mi è sembrato giusto esprimere anche con questo breve articoletto un pensiero che fosse di stimolo per tutti - a partire da me che scrivo naturalmente - a riscoprire il valore grande di questo Sacramento. Per chi partecipa all’Eucarestia domenicale vuol essere un piccolo incentivo a riconsiderare il bene prezioso che riceve e a tutto ciò che implica poi come “ricaduta” nell’impegno di vita personale. Per chi invece non partecipa, un invito a non aver paura di “perdere” un’ora alla settimana dedicandola a Colui cui appartiene il tempo e la vita e che tutto ha dato di Sé per noi.

                                                                                                         don Roberto

(febbraio 2005)

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MARIA VICINO ALLA LA FAMIGLIA

 

Tra le tante lodi che la devozione del Popolo cristiano ha tributato alla Beata Vergine Maria in questi venti secoli di storia forse non abbondano quelle che fanno riferimento diretto al modo semplice e umile con il quale la Madonna ha vissuto il suo ruolo di madre di famiglia in un piccolo paese  della Galilea ( Nazareth ). Sembra che  ciò sia dovuto all’apparente contrasto che avvertiamo nel nostro naturale modo di pensare tra la singolarità dello stato di grazia, connesso con il ruolo stesso che la S. Vergine ha avuto nell’Opera salvifica di Dio, e la semplice vita comune che caratterizzò la sua esistenza. E’ normale e giusto che contemplando quelle “grandi cose che ha fatto in Lei l’Onnipotente( cf. Lc 1,49 ) l’animo sia trasportato ad esaltare ciò che riesce ad intravedere in quell’umile “sua serva”. Il rischio, dovuto se non altro al limite della mente e della espressività umana, è quello di trascurare però il luogo privilegiato dell’esercizio della santità eroica di Maria, luogo che fu proprio l’umile quotidiano, il quale - già per quello che ci è dato di conoscere dai Vangeli – non fu certo esente da forti sofferenze e contraddizioni. E’ infatti proprio così che la B. V. Maria ha consumato, insieme al suo santo Sposo, la sua esistenza, nascondendo agli occhi del mondo la grandezza del suo ruolo dietro la consuetudine dell’irrilevante trascorrere della vita di una comune famiglia di operai, con le fatiche, le sofferenze e le piccole rare gioie che questa comporta. Del resto queste semplici e note considerazioni sono avallate dal Vangelo stesso. Infatti quando l’Angelo Gabriele “entrò da Lei”, non solo la chiamò “Piena di grazia , ma le disse anche che aveva “trovato grazia presso Dio” ( cf Lc 1,28-30 ). Eppure che cosa poteva aver fatto di straordinario questa donna ebrea poco più che fanciulla? L’annuncio angelico ha colto la S. Vergine nella vita semplice ordinaria tipica della donna nella cultura orientale di quel tempo. Ora se così L’ha trovata e approvata il Messaggero celeste è più che normale che così Maria abbia continuato a impostare il resto della sua vita in questo mondo. Vorrei solo concludere che se il fissare gli occhi sulla magnificenza delle prerogative di grazia e santità di Maria ci facesse dimenticare quanto ora detto, rischierebbe di allontanarci la figura della Madonna e, io penso, non Le sarebbe nemmeno gradito perché La staccherebbe dal suo ruolo di Madre nostra, cioè di persona tutta dedita alla vicinanza ai suoi bisognosi figli. E’ invece proprio con la sua vita che Maria ci dà l’insegnamento più prezioso per la nostra esistenza. Ed è appunto come Madre premurosa di quest’umanità, rigenerata dal Sangue del suo Figlio, che parla in particolare al cuore delle mamme e dei papà delle famiglie cristiane per far comprendere quanto è prezioso il loro ruolo di genitori soprattutto nell’impegno, spesso faticoso e apparentemente irrilevante, di far crescere ed educare i loro figli ai valori evangelici come la modestia, l’obbedienza, la moderazione, la purezza, l’accoglienza, l’ascolto, la pazienza, il rispetto, l’altruismo, il perdono, l’onestà, l’amore alla verità, insieme al senso del sacro rispetto di Dio e alla visione della vita che non si ferma solo ai contorni naturali ma che sa cogliere, al di là di questi, la Presenza e la Provvidenza divina. Tutti valori questi che come tali sono immutabili e che Lei ha vissuto in perfetta simbiosi con il Suo Figlio divino e il suo amato Sposo, eppure spesso anche tanto dimenticati contrastati dalla mentalità mondana.

 

                                                                                                        don Roberto

(maggio 2005)

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IL NATALE NEL REALISMO DI DIO

 

Il Natale di Gesù, come la sua Pasqua, sono richiamo per la Cristianità perché senta e viva la sua identità di comunità formata da figli di Dio rigenerati dal Sangue di Gesù sulla Croce mediante la fede nella sua Risurrezione. In questo senso il cristiano è chiamato già in questo mondo ad essere cittadino del Regno di Dio che è Regno di amore, di pace di giustizia e a questo proposito vorrei proporvi un brevissimo pensiero riguardo al realismo del modo di agire di Dio nei confronti dell’umanità, realismo che peraltro si manifesta in modo chiaro e sovrabbondante nei Vangeli. Se ci accostiamo al mistero del Natale da questo angolo visuale, ci accorgiamo che questo modo inusitato e del tutto inatteso con il quale Dio entra nella storia dell’uomo, creando con l’Incarnazione un legame irreversibile con tutta l’umanità, rispetta lo stile di quel realismo nei riguardi dell’uomo a cui accennavamo prima. Infatti la grandezza incommensurabile dell’evento non concede nulla alla fantasticheria fiabesca dell’immaginazione umana, così come sarebbe certamente avvenuto se questa fosse alla sua origine. Di straordinario c’è solo il brillio angelico a dei testimoni che per il mondo sono inattendibili ( i pastori ), per il resto sobrietà, difficoltà, indifferenza e rigetto, se non ostilità: forse fu l’accento galileo che procurò la non accoglienza alla locanda. Eppure entrava nel mondo l’Atteso delle genti, il Principe della pace … . Ma proprio qui sta l’ennesima riprova del realismo di Dio: quale spazio ha veramente il Signore nel cuore umano? Non appare Egli troppo ingombrante alla superbia, all’alterigia e alla ribellione umana? Eppure è proprio con la sua povertà e “debolezza” che il Cristo è venuto ad abbattere questi bastioni per instaurare un amore più forte dell’odio e della morte distruggendo in se stesso questo male, insieme all’inimicizia del peccato, sul legno della Croce. Ed è proprio dal Sangue del Crocifisso che, come ci dice S. Paolo, ha rappacificato il cielo e la terra, che si sprigiona quella potenza riconciliatrice destinata a restituire all’uomo quella pace che “supera ogni intelligenza”. Ecco dunque il mio augurio natalizio: che questa pace, mediante la fede in Gesù, regni sempre nei vostri cuori.    

                                                                                                  don Roberto

(dicembre 2005)

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IL DONO DELLA VITA

 

Per noi credenti la Vita precede la creazione stessa ( cf  Gv1,1.4 ) ed è data in modo speciale all’uomo ( Gen 2,7 ). Ci stiamo avvicinando alla Pasqua che segna la vittoria di Cristo sulla morte, vittoria che egli estenderà a tutti quelli che hanno confidato come veri discepoli in Lui, e mi è sembrato positivo offrire un breve pensiero sul meraviglioso dono della vita umana, visto alla luce della fede. Come sempre questo articoletto non può né vuol essere uno scritto impegnativo, forbito di citazioni bibliche e di altri autorevoli documenti, ma un semplice pensiero che scorra il più possibile leggero, alla luce di quanto prima detto sul tema tanto affascinante, quanto tremendamente importante, come quello della vita umana intesa per quello che è e cioè chiamata divina ad esistere come persona per sempre. La Fede cristiana ci dice che Dio crea “chiamando” le cose ad essere dal nulla; nulla nel quale ripiomberebbero se Lui stesso non le volesse e sostenesse. Tutto ciò vale per ogni realtà e dunque anche per la vita umana per la quale il processo creativo diretto dell’anima ( o spirito che dir si voglia ) da parte di Dio è associato all’evento biologico corporeo della fecondazione, cosicché generazione umana e creazione divina formano come un tutt’uno indissolubile. Dunque quando ciò avviene ha luogo un processo umano-divino e un meraviglioso universo, unico e irripetibile che è appunto una nuova creatura umana, è posto nell’esistenza eterna.  Pertanto quella realtà, che l’occhio umano percepisce come tanto piccola, fragile e dipendente, è vita umana  destinata a svilupparsi e ad arricchirsi di specificazioni e proprio per la sua origine - che è come abbiamo visto mano-divina - non solo è irripetibile ma anche sacra e irreversibile. Infatti come sappiamo in Dio non ci sono né ci possono essere contraddizioni o cambiamenti in Sé e anche in tutto quello che fa. E’ pur vero che data la condizione dell’uomo in questo mondo la vita, fin nel suo sorgere, appare mortificata da una natura imperfetta e quindi posta sotto il segno della fragilità e della debolezza, per cui può accadere che il processo biologico di sussistenza nel seno materno si interrompa o che infinite altre cause ne sviliscano lo sviluppo e la pienezza. Ma questa precarietà, contro la quale dobbiamo combattere con ogni diligenza, non ne autorizza assolutamente la soppressione. Basterebbe ricordare le parole di Gesù a proposito del matrimonio. Se già all’uomo non è lecito separare ciò che Dio ha unito, appunto per il carattere meravigliosamente grande dell’intervento di Dio nel fissare quell’unione, quanto meno sarà consentito all’uomo arrestare lo sviluppo e la crescita di quella vita che Dio ha posto in essere e chiamato ad una pienezza di sviluppo ed espressione di esistenza.

 

don Roberto

(febbraio 2006)

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LE RADICI DELLA NOSTRA IDENTITA’

 

Il fenomeno della immigrazione di tanta gente da Paesi culturalmente e religiosamente lontani dalla nostra cultura ha determinato nei paesi europei in genere, e particolarmente in Italia, una situazione nuova che si può dire, almeno dal medioevo in poi, unica. E’ vero che i mezzi di comunicazione sviluppatisi in maniera esponenziale negli ultimi cinquanta anni ci avevano un po’ preparato a questo, ma una cosa è il contatto “virtuale” un’altra quello diretto. E’ sotto gli occhi di tutti come questa situazione abbia creato e crei non pochi problemi. Ed è anche vero che ci sono certamente in questo evento lati positivi, fra i quali la percezione più forte del senso della mondialità della “famiglia umana”. Ad ogni modo è fuori dubbio che la rapidità e la dimensione del fenomeno ha trovato anche coscienze non opportunamente preparate a vivere con serenità questo rapporto interculturale anche a livello religioso, rapporto che peraltro di per sé appartiene all’intima coscienza della Chiesa nel suo essere cattolica ( universale ) e missionaria. In questa situazione si è parlato e si parla dell’emergente bisogno, che nasce anche appunto dal confronto culturale, di riscoprire e approfondire la nostra identità culturale e religiosa, di tornare, come si dice, alle “radici cristiane”. Confermo da parte mia questa necessità che del resto è implicita nel concetto stesso di dialogo e rispetto reciproco. Non sono certo in grado di presentare un problema così arduo e delicato come il dialogo interreligioso e quindi tanto meno di trattarlo. Peraltro i principi del dialogo sono stati ribaditi dallo stesso Pontefice ( rispetto reciproco, preparazione adeguata, base comune di confronto sulla retta ragione, ... ). Ma nell’ambito dell’auspicabile movimento di un sano ritorno alle radice della nostra Fede, mi permetto di fare qualche considerazione generale e generica forse non sempre del tutto scontata. Se è vero che questa ricerca può e deve avvalersi sempre di tutti quegli strumenti che la Provvidenza divina ci ha messo a disposizione, quali: la Sacra Scrittura, la tradizione bimillenaria di una storia che, soprattutto nella vita di migliaia di Santi, risplende per la carità eroica, ecc. , è pur vero che, se non vuol ripetere l’errore lamentato da S. Agostino riguardo alla sua ricerca precedente la sua conversione: “Tardi ti ho amato, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amato; ed ecco tu stavi dentro di me e io ero fuori e là ti cercavo”, non può prescindere da un autentico e profondo sviluppo di vita interiore. Insomma per conoscere veramente le radici della pianta non ci si può limitare ad osservarle meglio dall’esterno, come si fa nelle scienze empiriche, ma occorre soprattutto vivere più intensamente come parte viva della pianta stessa, cogliendone l’essenza attraverso la linfa che da esse fluisce. Così, e solo così, si acuisce il senso della sana ricerca senza incorrere negli errori, tanto frequenti nella società odierna, del soggettivismo religioso. Infatti proprio alle radici storiche dell’esperienza cristiana troviamo il bisogno che i primi discepoli di Gesù avevano di sentirsi in comunione tra di loro alla scuola degli Apostoli ( “erano un cuor solo e un’anima sola”At 5,32 ) per poter ricevere, vivere e trasmettere la Verità che il Divino Maestro aveva loro annunziato ed è questa un’esigenza di essere e formare Chiesa voluta da Dio, stampata nella storia e intrinseca alla condizione umana.  

 

don Roberto

(ottobre 2006)

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IL NATALE DI GESU’ E L’INTEGRALISMO DELL’AMORE

 

Siamo ormai a pochi giorni dalla solennità del Natale del Signore, solennità tanto cara alla tradizione della nostra Religione Cristiana, e nell’occasione dell’approssimarsi di questa celebrazione mi permetto di parteciparvi una piccola riflessione. Si tratta di un pensiero, come al solito molto semplice, che vorrebbe essere magari anche di stimolo per un approfondimento personale, forse non del tutto inutile in questo nostro tempo piuttosto travagliato, nel quale sembra che un oscuro spirito del male voglia creare odi, divisioni, violenze e perfino guerre in nome di Dio. In realtà l’incanto del Presepe, nella nostra Fede, nasconde un abissale mistero di salvezza nel quale, a detta di S. Pietro, “gli angeli  stessi desiderano fissare lo sguardo” ( 1Pt1,12 ). L’infinito ed eterno Iddio, Verbo del Padre, ha preso dimora tra gli uomini nell’ umanità di Gesù di Nazareth per vivere in mezzo a loro, nel tempo e in modo integrale, la stessa esperienza umana. Lui, che è la Luce del mondo, adesso lo contempliamo venire alla povera luce di questo mondo. Il contemplarLo poi come neonato ci sconcerta ancor più a causa dell’assunzione addirittura del pesante limite della progressività nello sviluppo della stessa natura umana. Dobbiamo riconoscere che se è sconvolgente il mistero dell’Incarnazione in sé, non lo è di meno il modo con cui Dio lo ha voluto e attuato. Come non chiedersi il perché riguardo a questa via di annichilimento radicale, via che in qualche modo è già preludio a quella della croce? Confesso che non lo so, ma intuisco solo che nella famosa frase di Gesù: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna” ( Gv3,16 ), questo mistero è come collocato fra questi due verbi: amare – dare, dove ognuno di essi trova espressione e profondità nel rinvio all’altro. Dio, per dimostrare ad ogni uomo che lo ama sul serio, si è annichilito in una umiltà e sofferenza infinita! Viceversa il dare di Dio, che è Amore, non può trovar significato che come espressione dell’Amore, come appunto lo è l’Amore salvante. Accade così che in Gesù si ha la piena manifestazione dello “stile” dell’Amore divino uno stile che indubbiamente si è dimostrato radicale e totalitario ( Gesù, apparendo piagato ad una Santa toscana, la Beata Angela da Foligno, le diceva:”non ti ho amato per scherzo” ) tanto che potremmo definirlo, secondo una categoria attuale, “integralista”. E di fatto si tratta davvero di un integralismo si, ma dell’Amore. Comprendiamo dunque come quando dei grandi Santi, come Francesco d’Assisi, entrano nell’orbita di questo amore, vadano gridando ai quattro venti: “l’Amore non è amato”. Auguro a tutti un Natale pieno di serenità e di pace.

                                                                                                don Roberto

(dicembre 2006)

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NEL SEGNO DELLA VITA

 

Stiamo per entrare nella Quaresima tempo di preparazione alla più grande festa della Cristianità: la Pasqua, memoriale della passione, morte e risurrezione di nostro Signore Gesù Cristo. Per l’occasione desidero farvi partecipi di una piccola riflessione che, come di consueto, cerca di avere un qualche riferimento a questo grande evento di grazia. Nel periodo dell’ultimo Concilio, il Papa Beato Giovani XXIII ( il “Papa Buono” ), interpretando le parole di Gesù ( Lc12,54-57 ), in un momento che segnava per certi versi una svolta epocale della nostra società, invitava la Chiesa a saper guardare ai “segni dei tempi”. Quell’appello rimane sempre valido non solo a livello universale ma anche a livello più piccolo, locale, e addirittura personale: di ogni singolo fedele. Per questo mi permetto di condividere con voi una breve e semplice considerazione, che peraltro non ha nessuna pretesa di particolare acutezza e oggettività, ma vuol essere piuttosto un incoraggiamento a credere fortemente nel valore e nella grandezza della vita di ogni persona. Non credo di sbagliare nel percepire un segno significativo, purtroppo negativo, di questo tempo nel fatto che l’uomo di oggi, distratto dai valori fondamentali dell’esistenza umana, rischi di penetrare  sempre più in una progressiva eclissi del vero senso del proprio vivere. Tra le cause di questa crisi di valori, che si manifesta anche nel relativismo etico e nel conseguente disagio sociale, mi sembra di poterne cogliere una nella forte componente di quel condizionamento culturale che induce ad un intenso agire, magari  spesso anche solo per sopravvivere. Dobbiamo però riconoscere che vi è pure tutto un meccanismo dispersivo che condiziona a consumare di più e non per un reale bisogno di avere di più. Inoltre certe volte, a parte gli effetti di questa arte di indurre falsi bisogni, tra le cause che spingono nella frenesia di questa corsa, appare anche il desiderio di un “essere di più”, ma non per gli altri  bensì di fronte agli altri. Una delle conseguenze di tutto ciò e che l’uomo  rischia di vivere in una specie di stordimento che gli impedisce di mantenere ferma la gerarchia dei valori della vita e ne fanno le spese soprattutto quelli fondamentali, come la cura della famiglia, che sono alla base dell’esistenza umana. Inoltre, se manca una attenta vigilanza, dimentica facilmente il valore del suo rapporto personale con Dio con la conseguenza della perdita del senso dell’Assoluto, fattore questo essenziale nel riferimento della propria coscienza. Infatti l’uomo, creato ad immagine e somiglianza di Dio, ritrova se stesso solo se si “specchia” nell’Immagine perfetta di Lui: Gesù Cristo ( cf Col1,15 ) unico e vero fondamento della sua labile esistenza. Ma quando l’individuo procede senza quei riferimenti che gli danno la giusta “rotta” nell’attraversare l’oceano della vita, rischia di perdersi e di fare disastrosi naufragi. Spesso sono proprio quelle eccessive attese riposte nelle sole mète mondane che lo tradiscono con le inevitabili delusioni, le quali poi facilmente ingenerano, come conseguenza, amarezza e disprezzo per il significato stesso del vivere umano. Questi semplici considerazioni però non sono, né vogliono essere, un messaggio pessimista e negativo, tutt’altro vogliono essere semplicemente un appello perché, là dove ce ne fosse bisogno, ognuno di noi vigili per mantenersi saldamente ancorato al Vangelo della Vita. Ed è questo anche il mio sincero augurio, perché il nostro Dio è il Dio della Vita e la vicinanza di Lui non può essere che portatrice di pace.

d. Roberto

(febbraio 2007)

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UN CARO RICORDO DI GIOVANNI

 

A dieci anni dalla morte di Giovanni Bardazzi ho pensato che fosse doveroso esprimere non solo la mia riconoscenza personale di uomo e di parroco, ma anche quella della Comunità che se ha una chiesa nella quale ritrovarsi, e per di più benedetta da S. Pio, lo deve anche, e in gran parte, a lui. Per questo spero di riuscire nell’intento offrendo un’ immagine ricordo di questa persona semplice ma genuina, secondo appunto quel suo stile caratteristico che gli era proprio. Del resto lo spazio a disposizione è ben esiguo e non voglio certo tediare nessuno. Eccomi quindi a cercare di tracciare le linee fondamentali di questa personalità secondo come io l’ho conosciuta senza indulgere in forme di adulazione, ma dando a Dio ciò che è di Dio e all’uomo ciò che dell’uomo. Già, perché se vogliamo penetrare un po’ nella storia delle persone che si lasciano sconvolgere dal Signore, dobbiamo vedere sempre sullo sfondo la Sua mano misericordiosa e provvidente. Ora penso che sia noto a molti come ad un certo punto della vita personale di Giovanni questa mano lo abbia scosso, in maniera a dir poco decisa, tramite S. Pio. Dall’uomo nuovo rinato dalla conversione nacquero quei buoni frutti di cui parla il Vangelo e Giovanni, proprio per la sua generosità, ne ha fatti molti. Ma nemmeno di questo voglio parlare, anche perché non credo che potrei aggiungere qualcosa a ciò che è stato detto e scritto. Per le ragioni cui accennavo sopra, preferisco descrivere quei tratti della sua personalità che più mi hanno colpito nell’essergli stato vicino per più di sei anni, in un rapporto cordiale e franco da entrambe le parti. Ricordo ancora il primo incontro che ebbi con lui nell’estate del 1991 alla presenza dell’allora Arcivescovo di Firenze mons. Piovanelli. Per me fu, a dir poco, tanto promettente quanto fuori dalle regole e dall’immagine che, per semplice congettura, mi ero fatta di questa persona. Infatti prima di incontrarlo mi avevano parlato di lui come un figlio spirituale di S. Pio molto conosciuto, quindi mi aspettavo di incontrare una persona dagli atteggiamenti molto compiti e “seriosi”. Ebbene mi trovai davanti un uomo che, sebbene ormai anziano, era pieno di vitalità, pronto alla battuta nel contraddittorio scherzoso caratteristico del linguaggio toscano. Man mano che imparai a conoscerlo meglio mi accorsi che sotto quell’aspetto bonario, ma raramente anche, in certe situazioni, inaspettatamente brusco, c’era un grosso bagaglio formatosi in una vasta esperienza nel campo delle “cose dello spirito” che egli si era fatto alla scuola di S. Pio come suo docile figlio. Certamente al di là del Santo era Dio che gli aveva sconvolto la vita servendosi dello Strumento umano. Ma Giovanni, da uomo semplice quale era, non si faceva troppe domande teologiche. Come ebbi a dire nell’omelia della Messa delle esequie, per lui ubbidire a Padre Pio era servire Dio. Al cambiamento radicale interiore, vissuto come una rinascita - evento questo al quale faceva abbastanza spesso riferimento nei suoi racconti -, aveva fatto seguito naturalmente quello della vita esterna. Però, secondo lo stile proprio dell’azione Divina, il Buon Dio gli aveva lasciato intatti i tratti caratteriali della sua personalità, peraltro già matura al momento della conversione. E così attraverso questa personalità semplice e schietta, nella freschezza di un linguaggio quanto mai espressivo e dalla ricchezza di una memoria misteriosamente intatta e precisa, io ebbi, come del resto tanti, la fortuna di accedere ad una conoscenza inedita e viva di S. Pio, conoscenza difficilmente trasmissibile con la sola scrittura. Del resto per me fu un passo importante perché - lo confesso candidamente -, pur avendo avuto sempre stima di questo grande Santo, ne avevo avuto anche un po’ di timore specialmente per quel cliché con cui normalmente veniva presentato di uomo di Dio si, ma severo e intransigente. Ebbene ora, grazie a Giovanni, conoscevo di S. Pio come un nuovo volto: quello di un uomo stretto è vero dall’esigenza di perfezione dell’Amore di Dio, ma animato anche da un cuore tenerissimo pronto a sacrificarsi non solo - e prima di tutto - per il bene eterno di quelli che il Signore gli affidava, ma anche per il sollievo delle loro sofferenze e difficoltà temporali. Grazie dunque caro Giovanni: a te la ricompensa eterna per tutto il bene che hai fatto, ma continua a vegliare su questa opera che il buon Padre Pio ti affidò perché grande responsabilità sento pure nelle mie povere mani!

                                                                                                        don Roberto 

(ottobre 2007)

 

 

NATALE:   Dio che si fa “concreto”

 

Una caratteristica del nostro tempo è senza dubbio la forte valorizzazione del pragmatico. Non sono certo un esperto che può esprimere giudizi sulla nostra cultura occidentale, ma mi permetto di fare solo qualche considerazione elementare, che del resto è ben nota a tutti, al fine di trarre spunto per un semplice pensiero da condividere nella Fede cristiana,  in vista della grande festa del Natale. Questa caratteristica peculiare della nostra età, di cui dicevamo sopra, non ha in sé ovviamente niente di male se non sconfinasse di fatto spesso nel pragmatismo. Il confine tra queste due realtà è sottile e il pericolo incombe facilmente su tutti, ovviamente anche su me che scrivo. Infatti è normale che, in una vita sociale ripiena di tecnologia, tecnologia che peraltro è promotrice dello sviluppo economico e da cui dipende pure la “benedetta” qualità di vita, l’uomo, alfine di rimanere a passo con questo veloce movimento del mondo che gira attorno a lui, sia preso da un meccanismo che lo tiene come allertato e proteso verso l’esterno. Ma qui si può inserire pure la tentazione che è quella di rinunciare poi a ritrovare se stesso proprio perché preso eccessivamente da questo laccio evasivo e dispersivo, con la conseguenza di divenire sconosciuto e anonimo nel rapporto con gli altri e, infine, anche distratto da se medesimo. Non parliamo poi delle situazioni nelle quali questa mentalità inquina anche il giudizio di valore etico o sociale che regola la vita. Il caso estremo si ha quando una cosa diventa “valida” tanto quanto produce un bene e ciò indipendentemente dalla giustizia dei mezzi e dall’analisi degli effetti collaterali. Quanti errori si sono fatti nel passato! Basta guardare allo sfruttamento disordinato delle risorse naturali, ovvero alle “fughe ideologiche” della speranza verso il benessere come un fatto sostanzialmente economico... . Il Natale per noi cristiani risuona invece come un richiamo ad una certezza: o uomo, la tua salvezza, che sulla terra acquista il sapore della speranza, non te la costruisci ( fortunatamente ) con le tue mani, ma ti è donata  dall’Alto. A te accoglierla sempre più profondamente e concretamente nella tua vita. Eppure è bello considerare come il Buon Dio abbia tenuto anche in giusto conto questo nostro stare concretamente nel mondo assumendolo interamente, senza sconti per Sé. Possiamo nel Natale gustare questa concretezza di un Dio che scende a condividere il dramma dell’esistenza umana quasi a volerne sperimentare il peso. Nel Natale di Gesù infatti vi si legge la sconcertante assunzione del limite della misura umana, del disagio del povero, dell‘angoscia del profugo, della fatica del lavoro,... . Concretezza impervia al pensiero filosofico e sconosciuta alle altre Religioni monoteiste, eppure così bella perché reclama il realismo del vero Amore che, per essere creduto e accolto, non si avvicina in maniera “asettica” alla condizione umana, ma ne condivide in radice l’esperienza fino al dolore totale e alla morte di Croce. Mistero troppo alto, ma vero e affascinante che non finirà mai di stupire chi si pone senza pregiudizi in seria contemplazione. Il vero Dio non avvolge dunque di fatalismo la vita umana: se Lui stesso se ne è fatto carico a pieno, vuol dire che questa vita ha in tutte le sue espressioni, anche quelle meno gradevoli ( forse ancor più proprio in esse ), un potenziale positivo, potenziale che l’uomo, illuminato dalla “Luce vera che viene nel mondo”, può e deve sviluppare ed esprimere in un sereno impegno per il bene comune. Anche questo fa parte di quel frutto che Dio si aspetta da quegli uomini che, come dicono gli angeli nella Notte Santa, “Egli ama” e che per questo sono benedetti dalla sua pace.

Questo è anche il mio sincero augurio ad ogni persona, famiglia e quant’altro operi il bene nella nostra Comunità parrocchiale.

 

                                                                            don Roberto  

(dicembre 2007)

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CHIAMATI PER NOME

 

Tra le verità più belle rivelateci da Dio nella Sacra Scrittura, e che sono parte viva della nostra Fede cristiana, c’è quella che riguarda la nostra personale “vocazione”. S. Paolo ritorna diverse volte sul fatto che ogni credente è un “vocato”, un chiamato alla salvezza per mezzo del Vangelo. Ed è proprio nei Vangeli che si può osservare come questa vocazione è tutt’altro che anonima: Gesù chiamò per nome coloro che aveva scelto, anzi cambiò addirittura il nome a qualcuno di loro come a Simone, che chiamò Pietro. Del resto lo stesso S. Paolo portava viva nel cuore l’esperienza della sua conversione, da persecutore ad apostolo, quando il Signore, apparendogli sulla via di Damasco, lo aveva chiamato per nome ( Saulo, Saulo perché mi perseguiti... ). Più tardi riconobbe che quella vocazione–elezione era una chiamata che lo aveva misteriosamente attraversato nelle fibre più intime del suo essere fin dal seno materno. Sappiamo tutti, ma in particolare lo sanno bene i maestri e in generale gli educatori, come i bambini amino essere ricordati e chiamati per nome perché, giustamente, essi riconoscono in questa attenzione di avere come uno spazio nel cuore di chi deve avere premura per loro. Nel crescere poi l’essere chiamato per nome è un fatto delicato e riservato a persone che entrano nella cerchia della discreta confidenza fiduciale. Ebbene il Buon Dio, creatore e provvidente tutore della nostra vita, rivelando il suo Amore per noi, ha voluto che avessimo coscienza che non si trattava di un amore di massa anonimo, bensì di un delicatissimo appello personale affinché ogni uomo, ma ancor più colui che vive nel torpore di una vita assorbita dalla frenesia di una logica solo materiale, potesse riscoprire il senso profondo del valore del proprio esistere. La storia dei santi poi ci racconta che chi fa questa esperienza in modo singolare e forte vive come un risveglio ad una realtà bella, incredibile quanto vera, di un Amore che lo considera, lo rispetta ed attende solo di essere “compreso” per quello che E’ e capace di fare: restituire ogni uomo a se stesso e alla sua piena dignità regale. Tra le figure più belle che Gesù dà di sé nel Vangelo di S. Giovanni,  c’è quella del “buon pastore” che conosce le sue pecorelle e di esse dice che questo buon pastore le chiama una per una ( Gv10,3 ). Sembra quasi voglia rassicurarci che, nonostante lo sterminato numero, non siamo affatto anonimi davanti a Dio. Tutt’altro, a tal proposito, sempre con le sue parole nel Vangelo di S. Giovanni ( Gv14,2-3 ), Gesù ci fa capire che abbiamo un posto particolare nell’infinito cuore di Dio, l’unico nel quale siamo veramente insostituibili. Siamo così preziosi ai suoi occhi che Egli non si comporta come il pastore mercenario, il quale davanti al lupo scappa, ma, al contrario, Egli dà la vita per salvarci. Queste semplici e brevi considerazioni vorrebbero stimolare ciascuno di noi, a partire da me, a fare ancora più nostra la verità della Pasqua di Cristo. Al di là dell’evento storico che nella fede celebriamo: la vittoria del Signore sul peccato e sulla morte in favore di una speranza che nessuna disperazione può vincere, c’è pure un messaggio esistenziale che raggiunge profondamente le attese più vere del cuore umano. L’accoglienza di questo messaggio ha certamente dei risvolti positivi per la vita comunitaria della Famiglia umana, ma il livello prioritario e fondamentale è, e rimane, quello personale individuale.

Il mio più sincero augurio dunque è che ognuno di noi sia toccato nel suo intimo ancor più profondamente dalla Verità che celebreremo nella Pasqua del Signore.

                                                                                              don Roberto

(febbraio 2008)

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UNA SCIA DI LUCE…

 

A quaranta anni dalla morte di S. Pio e a quarantotto dalla consacrazione della nostra chiesa parrocchiale, chiesa che come certamente vi è noto è stata espressamente voluta da questo Santo, mi è sembrato quantomeno opportuno proporre una breve riflessione sulle parole di Gesù da Lui dette in merito ai suoi discepoli veramente fedeli: “Chi opera la verità viene alla luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio”( Gv3,21 ). Questa manifestazione, di cui parla il Signore, naturalmente non è un “moto proprio”, ma viene dall’Alto e solo Dio sa come e quando far apparire la verità e la bontà delle opere fatte per amore dal suo servo fedele. Spesso la grandezza di queste persone si rivela massimamente dopo la morte. Ma per Padre Pio, grazie anche ai suoi numerosi carismi, ciò è avvenuto in parte anche durante la sua vita terrena, magari sotto una fitta pioggia di sofferenze di ogni tipo e di cui quelle morali non ebbero sicuramente l’ultimo posto. Questo fluire di grazie speciali, che il Padre impiegò a gloria di Dio e per la salvezza delle anime, spiega in qualche misura la grande risonanza della sua figura quando era ancora in vita, ma con la sua morte questa forte devozione non si è affatto spenta anzi si è purificata e accresciuta. Qualche giorno prima della morte Giovanni Bardazzi ( il figlio spirituale al quale P. Pio affidò la costruzione della nostra chiesa parrocchiale ) vedendo il Padre particolarmente prostrato: era a sedere come sempre ma ancor più ricurvo e sofferente, gli chiese come stava. P. Pio gli rispose: “E me lo domandi? Prega la Madonnina che mi prenda perché non ne posso proprio più !” Giovanni, con il nodo alla gola, gli disse:”No Padre, questo no! Che ne sarà di noi?” A queste parole il Padre riprese vigore si raddrizzò e puntando l’indice contro Giovanni gli disse: “Tu dirai a tutti che dopo morto sarò più vivo di prima; e a tutti quelli che verranno a chiedere nulla mi costerà dare. Nessuno di coloro che saliranno questo monte tornerà a mani vuote”.

In vita S. Pio, come tutti i fedeli servitori del Signore, forse proprio a causa del suo spirito profetico, ebbe molti avversari anche fra gli stessi uomini di Chiesa. Ora, dopo morto, tutti si rallegrano nel vedere questa scia di luce lasciata da una esistenza consumata nel dono di sé per gli altri come “sacrificio di soave odore”, per la salvezza delle anime e per lenire le sofferenze portate dalla presenza del male nel mondo. Anche la nostra “chiesetta”, come la chiamava lui, è un frammento di questa scia luminosa e noi, fiduciosi nella promessa che il Padre ha fatto riguardo ad una sua particolare cura per le persone che l’avrebbero frequentata, ci rallegriamo di averla come chiesa parrocchiale nella quale appunto la Comunità si raduna per le celebrazioni. Anzi, in omaggio a questo carisma spirituale, è nata l’idea di dedicare a S. Pio la cappella laterale attualmente in progetto, necessaria per la Messa feriale, come segno di devozione e di riconoscenza ma soprattutto – il Buon Dio ci scuserà l’atto interessato – per avere se possibile ancor più grazie per intercessione di questo grande Santo.

don Roberto

(dicembre 2008)

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IL DIO DELLA PACE

 

La festa più grande della Cristianità, la Pasqua, si sta avvicinando e stiamo appunto per iniziare la Quaresima che ne è il periodo di preparazione. Siccome il frutto più bello di quell’Evento, destinato a cambiare la storia del mondo, fu per i primi discepoli la pace serena e gioiosa di chi ricupera la speranza della propria vita, mi sono proposto di offrire un pensiero, come al solito molto semplice, sul valore della pace e delle sue componenti essenziali. Il saluto francescano: “Pace e bene” credo che esprima, in maniera efficace e concisa, l’augurio più bello che gli uomini possano scambiarsi perché, come tutti sanno, senza la pace del cuore non è possibile percepire pienamente alcun bene della vita. Dunque la pace è di per sé un valore universale in quanto riguarda il bene di ogni uomo e per noi cristiani, che vogliamo lasciarci guidare dal Vangelo, lo è in modo speciale. Allo scopo basta ricordare, fra le tante citazioni, quella evangelica nella quale Gesù pone la priorità del ricupero della concordia a qualsiasi altra offerta da presentare all’altare (cfr Mt5,23-24). In questi ultimi tempi diverse e autorevoli voci hanno ricordato ciò che la storia stessa ci insegna, e cioè il profondo legame tra pace e giustizia. Sappiamo bene infatti quanto l’ingiustizia sia all’origine di molte divisioni a tutti i livelli della vita associata, da quello personale a quello internazionale, e dei conseguenti conflitti e guerre di ogni tipo che da essa scaturiscono. Per questo, in armonia con lo stesso Vangelo, che proclama “Beati gli operatori di pace”, una lode grande va intessuta per tutti coloro che si adoperano con ogni sforzo per facilitare o riguadagnare la pace combattendo per l’eliminazione, per quanto possibile, di ogni forma di ingiustizia. Certamente non sfugge però a nessuno come questo dramma sia ben profondo, non fosse altro che per il condizionamento soggettivo del senso della giustizia. Basta vedere quello che normalmente accade tra due contendenti, cioè come ognuno rivendichi la sua giustizia. Inoltre questa sensibilità è facilmente vittima di ignoranza, errore, ideologizzazione, ecc. E questo ci appare chiaro specialmente nei conflitti più grandi come quelli etnici, nazionali interni ed esterni. Sono cosciente che la questione è molto delicata e supera di molto sia le mie capacità, sia l’interesse di questo piccolo articolo. Vorrei tuttavia chiarire che queste ultime considerazioni non vogliono assolutamente sminuire lo slancio e il valore della lotta contro l’ingiustizia, bensì evidenziare come sia prezioso per noi cristiani rinnovare, anche in questo campo, il riferimento al “solo Giusto” che, come ci ricorda S. Paolo, per riconciliare il Cielo e la terra e gli uomini fra di loro ha “distrutto in Sé l’inimicizia” nel Sacrificio della Croce (cfr Col1,20; Ef2,14-18) realizzando così la promessa angelica del Natale “pace in terra agli uomini amati da Dio”. In realtà si può dire che nessuna vera pacificazione è gratuita. Si richiede spesso superamento di sé nel perdono, lungimiranza e disinteresse in vista del bene prezioso della concordia. Termino queste brevi considerazioni ricordando che vi è anche un altro tipo di pace molto più semplice, ma pur esso necessario e da auspicare di fronte agli “attacchi” delle preoccupazioni e della frenesia della vita quotidiana in questo mondo. Infatti una esistenza più calma e più serena permette di apprezzare e vivere meglio anche la dimensione della relazione familiare e sociale. Nella visione cristiana, al di là degli sforzi umani, la pace è prima di tutto dono di Dio, per questo il mio augurio pasquale è: che il Dio della pace, il Signore nostro Gesù Cristo, vi ricolmi di ogni pace e bene nel suo Amore.

don Roberto

(febbraio 2009)

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LUCE DI VERITA’

 

Anche se le feste natalizie non sono vicinissime, abbiamo pensato di anticipare il recapito del giornalino parrocchiale per un aggiornamento  sulla vita parrocchiale e, in particolare, in merito ai lavori di ampliamento della chiesa con la costruzione di una cappellina, laterale alla chiesa stessa, dedicata  a S. Pio, il Santo che come, certamente sapete, ha voluto fosse costruita quella che ora è la nostra chiesa parrocchiale. Questi lavori finalmente, tra non poche difficoltà e con molta carenza economica, sono iniziati e, confidando nella Divina Provvidenza e nella vostra generosità, speriamo di portarli a termine nel duemiladieci, anno nel quale ricorre il cinquantesimo anniversario della dedicazione della chiesa parrocchiale. Colgo l’occasione anche per proporre come al solito un semplice pensiero di fede sullo splendore della Verità religiosa che, se è tale, deve ricondurre l’uomo non solo a Dio, ma anche a se stesso, cioè deve fargli ritrovare il vero e pieno senso della propria vita e della propria dignità, soprattutto nella relazione con agli altri e con Dio, del quale ne porta l’immagine. Nella lettura della Sacra Scrittura troviamo appunto tutto un movimento di segni e di indizi convergente in questo grandioso fine. Naturalmente la massima visibilità di questo misterioso disegno si ha nella pienezza dell’autotrasparenza che Dio da di sé in Cristo Gesù. La vastità del tema da un lato e la ristrettezza dello spazio, unita l’autocoscienza della mia piccola misura, dall’altro, mi inducono a soffermarmi solo su quei momenti e atteggiamenti della vita di Gesù che i Vangeli ci riferiscono come più critici; situazioni nelle quali però emerge chiaramente il contrasto tra la logica del “potere” e la logica dell’”Amore”, insomma, tra la spontaneità del comportamento umano di chi desidera imporsi e quello invece di chi desidera solo, come buon samaritano, curare le ferite dell’uomo incappato nei molti “briganti” detrattori della sua vita. Mi riferisco a quei momenti di incredulità e di rigetto di coloro che paradossalmente con più facilità avrebbero dovuto accogliere il Cristo, anche nella novità del suo insegnamento (cfr ad es. Lc4,20-30; Mt12,9-14; Gv6,22-66;…). La reazione di Gesù, non senza scandalo degli stessi discepoli (cf Lc9,51-56), non è stata quella di imporsi, magari con la potenza del miracolo o con quella della potenza distruttrice, bensì quella della semplice “debolezza” chi non vuol ledere la libertà responsabile della coscienza umana, rispettandone fino in fondo il mistero della sua dignità e alterità. Il trionfo di Dio è convincere l’uomo dell’Amore che Egli ha per lui al di là e al di sopra delle contraddizioni e della “ruvidità”, spesso anche marcata, della vita in questo mondo. Il passo della Fede cristiana è sostanzialmente questo: aprirsi e credere a questo Amore. Allora una grazia divina subentra a sostenere il cammino della vita nella via del Signore e il vero discepolo di Gesù ritrova progressivamente se stesso, anche come uomo, nelle intuizioni delle ragioni  della sua esistenza e della speranza che motiva il suo amare, agire, soffrire e gioire. Avviene allora come a quell’escursionista che impaurito e angosciato perché perdutosi, ritrova le tracce del sentiero sicuro che lo guida alla mèta; il vigore e la serenità ritornano in lui ancorché il cammino non sia finito. A me sembra che il messaggio del Natale di Gesù, Luce di Verità, messaggio che si rinnova ogni anno per questa umanità, come minimo distratta da tanti disvalori, possa essere ancora più compreso se letto nella luce di questo modo di amare divino. Questo, insieme alla serenità e la pace che solo il Signore sa dare, è l’augurio che faccio a me e a ciascuno di voi come frutto di questo Santo Natale.

                                                                                                                     

don Roberto

(dicembre 2009

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MARIA MADRE DELLA SPERANZA

 

Forse può sembrare improprio proporre un pensiero sulla Madonna in prossimità della preparazione alla Pasqua del Signore; il fatto è che si ricorre volentieri a Lei nei momenti più delicati e difficili della vita. E proprio nella preparazione alla festa, che è la sorgente della letizia cristiana, non possiamo non pensare che una fetta consistente di umanità geme non solo sotto il peso delle catastrofi naturali ma anche – e soprattutto - sotto le ferite che si autoinfligge con tutte la varie forme di ingiustizia e di violenza, forme che sembrano come perpetuarsi a causa di un ciclo malefico chiuso perché tendono a  generare povertà e ignoranza (specie quella etica), che a loro volta formano quel triste focolaio destinato a sviluppare, mantenere e accrescere appunto violenza e ingiustizia. Viene da chiedersi: non c’è dunque speranza per un mondo migliore? Il cristiano non solo può, ma deve, sperare in positivo e impegnarsi anche per questo. Dobbiamo sempre avere presente le parole di Gesù: “Non temete io ho vinto il mondo (del male)”. Fra non molto celebreremo la Pasqua di Cristo segno, inizio e potenza realizzatrice di un’era nuova inaugurata dalla vittoria di Cristo sul più grande dei fallimenti che incombe sulla vita di ciascun uomo che è la morte. Questo fa si che la Pasqua oltre ad essere il fondamento della nostra Fede sia, nel contempo, anche quello della speranza, perfino nella sua piccola ma importante dimensione terrena. Infatti dalla vittoria nella fede sul principale dei mali dell’uomo scaturisce la possibilità di vincere, in una qualche misura, anche i mali terreni in una lotta che, se vogliamo essere autentici discepoli di Cristo, dobbiamo combattere a tutti i livelli con le armi della carità illuminata dalla Sapienza Divina e al servizio del bene comune. Mi sembra bello notare che ad avvalorare questa fiducia ci viene in soccorso proprio il pensiero di Colei che è la “prima” tra tutti i credenti; prima non solo in ordine di tempo ma soprattutto nell’ordine della grandezza e importanza nel piano salvifico di Dio. Proprio Lei, che alla croce del Figlio ha saputo “sperare contro ogni speranza”, ce ne dà garanzia. Infatti i Vangeli, benché estremamente parchi delle parole dette dalla S. Vergine, ne riportano quelle sufficienti a farci capire cose importanti sulla sua visione del mondo con i suoi mali e della via della sua salvezza. A tale scopo è opportuno considerare le parole ispirate e piene di speranza, dette da Maria in occasione della visita all’anziana parente Elisabetta, riguardanti l’intervento misericordioso di Dio in favore dell’umanità mediante l’invio del Figlio nel mondo: “…ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili, ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote…” (Lc1,51-53), associandole a quelle dette sempre dalla S. Vergine a Cana, in occasione della sua intercessione perché Gesù facesse un miracolo in favore degli sposi rimasti senza vino (coefficiente importante per la festa di quel tempo). Maria disse ai servi: “Fate quello che vi dirà”. Queste parole si rivestono di particolare solennità quando pensiamo che lo Spirito Santo, ispiratore della Sacre Scritture, ha voluto che rimanessero le ultime parole dette dalla S. Vergine. Senza forzature possiamo leggerle come invito e, nello stesso momento, espressione della condizione perché si possano realizzare anche quelle speranze, da Lei stessa profetizzate ad Elisabetta. Possiamo ritenerle come un appello accorato in favore di questa povera umanità, di cui Ella si sente appassionata madre, che attraverso la storia invita a fidarsi del Figlio perché Egli possa agire come salvatore di tutto l’uomo: prima di tutto nella dimensione spirituale eterna, ma anche a sollievo della sofferenza portata da molti dei mali che affliggono la sua vita.

Termino con l’augurio che la Pasqua di Cristo segni anche per ciascuno di noi una maggiore consapevolezza del dono della fede e della speranza cristiana, cosicché, nell’impegno nella coerenza della vita, l’abbondanza delle  Benedizioni Divine riempia le vostre famiglie.

                                                                                             

don Roberto

(febbraio 2010)

 

 

IDENTITA’ CRISTIANA: un tesoro geloso da custodire e approfondire

 

In occasione della S. Pasqua vorrei offrire un piccolo e semplice spunto di riflessione sulla bellezza e il valore delle radici della nostra identità cristiana. Abbiamo imparato a conoscerci per nome quando abbiamo iniziato a sentire e a comprendere la voce dei genitori che amorevolmente ci chiamavano, così pian piano ci siamo in qualche modo “identificati” con il nostro nome. Questa esperienza elementare, eppure fondamentale, ci aiuta ad avere nozione di un’altra altrettanto intima, ma ancor più profonda, che riguarda il nostro essere cristiani. In un documento molto importante dell’ultimo Concilio leggiamo: “Cristo (…) rivelando il mistero del Padre e del Suo Amore svela anche l’uomo all’uomo e gli fa nota la su altissima vocazione”. Si, Colui che riunisce in Sé infinita maestà e infinito Amore, ci ha chiamati per nome fin dal seno materno, e l’accoglienza di ciò dischiude ai nostri stessi occhi la consapevolezza di quanto sia importante la nostra personale esistenza proprio perché così è stata da Lui voluta e costituita tale. Chi non è più tanto giovane, e guarda con realismo la vita umana, credo che possa dire che, se è vero che vi sono momenti di gioia e di speranza, è pur vero che sono molti più quelli di fatica e anche di delusione, senza contare che compaiono anche quelli di tribolazione e, purtroppo avvolte, neanche troppo raramente. Dico questo non per gettare un’ombra di pessimismo sul valore della vita in questo mondo, ma per evidenziare semplicemente come la consapevolezza di cui si parlava all’inizio sia capace di completare a pieno il senso dell’esistenza umana, integrandone armonicamente la dimensione trascendente ed eterna con quella immanente e responsabile dell’impegno nel mondo, senza naturalmente escludere quelle piccole e semplici gioie che la vita può dare. Quel nome pronunciato dall’eternità, che mi invita - unica tra tutte le creature corporee – ad entrare in una pienezza di Vita eterna, mentre da un lato mi dà una speranza più forte di tutte le disperazioni, compresa la morte, dall’altra non mi distrae, anzi vincola l’autenticità della mia risposta all’impegno molto serio e responsabile a spendermi nella via della carità fraterna per il bene comune e in modo ordinato, partendo proprio dal bene della vita familiare. Certo dobbiamo riconoscere che il Vangelo, con il suo crudo realismo e la perentoria determinazione alla conversione per lo sradicamento del male dal cuore umano, sembra non rispondere alle esigenze di questa povera natura umana malata, debole e fragile e che in questo senso appare, come ci dice S. Paolo, “non modellato sull’uomo”. Ma questa impressione non è reale perché la Parola Divina, insieme alla scossa di severità, necessaria per raddrizzare ciò che è storto e richiamare a si grande consapevolezza del bisogno di salvezza dal pericolo di un fallimento eterno, rende noto - e operante per chi vi aderisce – anche l’azione positiva di un grande Amore misericordioso, capace di curare in modo appropriato, come nessun altro medico può fare, le ferite del cuore umano purificandolo e rendendolo capace di quel Infinito di cui ha insaziabile nostalgia (“beati i puri di cuore perché vedranno Dio”) e senza del Quale, come ci insegna S. Agostino, è perennemente inquieto. Per questo Dio ha mandato nel mondo il Suo Figlio; per questo Gesù Cristo è morto e risorto per noi. Nell’occasione della rinnovata celebrazione della S. Pasqua, l’augurio che faccio a me, e al benevolo lettore di questo piccolo pensiero, è che teniamo sempre alto il senso della grandezza del dono della Verità rivelataci da Cristo e per la quale è morto sulla croce, essenza appunto della nostra identità cristiana.

                                                                                     don Roberto

(febbraio 2011)

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LA PREMURA DELLA BEATA VERGINE MARIA PER I SUOI FIGLI

 

Nel “raggio” della Croce, per usare un’espressione cara al Beato Giovanni Paolo II, tutto si riveste di significato e di potenza grande perché siamo nel cuore della Redenzione. Così a nostro conforto possiamo sondare la grandezza della Misericordia Divina per chi, anche all’ultimo minuto – pur nella contraddizione della sofferenza -, si sa rinnegare e trova la forza di riconoscersi ingiusto per chiedere perdono e aiuto al Salvatore, come appunto ha fatto il “buon” ladrone crocifisso accanto a Gesù sul Calvario. In questa prospettiva acquistano particolare grandezza di significato le ultime parole di Gesù riguardanti il suo testamento. Infatti il Cristo, nudo sulla Croce, non aveva altro da lasciare se non la Madre ed Egli la consegna al suo discepolo prediletto, ma consegna anche a Lei questo suo discepolo. Per le ragioni che dicevamo prima, da sempre la fede della Chiesa ha visto nell’intenzione del Redentore morente una disposizione benedetta che va ben al di là della protezione di Giovanni, giovane apostolo di Gesù, per estendersi a beneficio della vita dell’intero Popolo di Dio. Questa disposizione per la S. Vergine è stata come un nuova missione, datale con solennità dal Figlio, missione che ha caratterizzato per sempre la sua singolarissima esistenza di “benedetta fra tutte le donne”. Sulla scia di queste considerazioni, non appare certo un caso che il Nuovo Testamento citi, subito dopo la risurrezione di Gesù, la sua presenza – certamente particolarmente viva, desiderata e gradita - nella prima Comunità come la “Madre del Signore”. Con l’assunzione al Cielo, questa missione della Beata Vergine Maria prende una dimensione cosmica: entrando nella gloria di Dio, Ella è in grado di prendersi cura di ogni creatura umana che, concepita sulla terra, è chiamata ad essere - per i meriti di Cristo - partorita al Regno della Vita eterna. E così avviene che la Madonna riversa una premura tutta speciale sulla Chiesa di cui Ella stessa è madre. La traccia storica di questo fatto ce l’abbiamo nella devozione che tutte le generazioni cristiane, per quanto è accertato a partire dal secondo secolo, hanno riservato alla S. Vergine. In tempi relativamente più recenti questa visibilità è attestata anche dalla moltitudine di santuari mariani che punteggiano la geografia di questo mondo. Alcuni di essi sono grandi e noti perché la Madre Celeste ha dato, e dà, segni di questa sua particolare premura con miracoli, prodigi e anche messaggi. Molti altri sono meno noti e anche meno “certi”, ma anche essi conservano, insieme ai primi, tracce di questa premura materna per i suoi figli rigenerati dal Sangue di Cristo, eppure in pericolo di morte eterna o comunque di astenia spirituale e di sbandamento portato dalle suggestioni dei venti di questo mondo. Una cosa è certa: in sintonia con un Cuore Immacolato e pieno di misericordia materna qual è il suo, questa premura si fa più intensa nei tempi storici più pericolosi e difficili per la cristianità e per il mondo intero, mediante accorati inviti a ritrovare e a mantenere la via tracciata dal suo Figlio Gesù. E’ la via della Parola Divina che risuona nella Chiesa, arricchita della grazia dei Sacramenti, specie della Riconciliazione e dell’Eucaristia. La nostra Parrocchia ha avuto il buon auspicio di avere la sua chiesa intitolata, per volere di S. Pio, proprio a Lei come per contare su una sua particolare cura e protezione. Nell’occasione dell’Anno Santo del 2000 abbiamo avuto la possibilità – grazie anche ad una gentile concessione del Comune di Calenzano – di poter realizzare un  tabernacolo, a Lei dedicato come Regina della Pace, ubicato in una posizione più centrale, rispetto alla zona abitata, di quanto lo sia la chiesa. Ora sentiamo il bisogno di approfondire il tema di questa presenza premurosa della S. Vergine allo scopo di sentirci più incoraggiati nel credere alla Persona di Gesù e a vivere in riferimento al suo insegnamento evangelico. Tutto ciò ci aiuterà anche a tenere alti e fermi i conseguenti valori fondamentali che ne scaturiscono riguardo alla vita umana, familiare e sociale. Per questo ogni primo giovedì del mese alle ore 21.15 ci troviamo in Parrocchia per iniziative che verranno via, via comunicate aventi di mira lo scopo detto.                                           

 don Roberto

(dicembre 2011)

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LA RISURREZIONE DI GESU’ CRISTO POTENZA RINNOVATRICE DELLA CRISTIANITA’

 

Sta per iniziare la Quaresima, tempo propizio per la preparazione alla grande festa della Cristianità che è la Pasqua, e se è vero che questa festa è abbastanza cronologicamente distante (8 Aprile) è pur vero che il mistero pasquale della passione, morte e risurrezione di Cristo pervade l’intera vita del credente. Per questo ho pensato che non fosse fuori luogo motivare i miei auguri pasquali alla Comunità parrocchiale con due semplici righe sul grande tema della risurrezione di Gesù, evento unico e traboccante di una grazia rinnovatrice della Cristianità e, attraverso di questa, dell’intera umanità. Premetto che nella coscienza della mia limitata erudizione, e della ben ristretta brevità di spazio, non presumo altro se non di esporre alcune considerazioni molto semplici, dettate più dal cuore che dalla speculazione intellettuale. Credo che sia sotto gli occhi di tutti la presenza nella storia dell’umanità di due tendenze contrapposte, tendenze che se estremizzate inducono processi involutivi nel suo sviluppo quanto mai dannosi alla convivenza umana. Mi riferisco a quegli atteggiamenti, che come sempre hanno radice nell’animo umano, e che corrispondono da una parte alla tendenza a volgersi in dietro, per guardare con predilezione nostalgica al passato come luogo di attuazione del “meglio”; dall’altra alla tendenza alla fuga in avanti con la presunzione di attuare questo “meglio” solo perché rivoluzionario e frutto del “nuovo”, a prescindere dalla esperienza del passato, anzi non raramente anche in contrapposizione con essa. Ora si capisce bene che la prima via, con la sua illusione nostalgica porta a stazionare su un ideale immaginario, tende ad impedire l’evoluzione positiva del pensiero. E la seconda, con la presunzione di una ottimistica novità sorgiva, finisce per ripetere, magari in forme diverse, gli stessi errori del passato. Per cui alla fine questi atteggiamenti presi come categorici risultano essere evasioni idealiste e dispersive dal reale. Reale invece, che per essere vissuto in modo costruttivo, richiede il quotidiano farsi carico della responsabilità più o meno gravosa del presente. Per noi cristiani il Maestro è – e deve continuare sempre ad essere in tutto - il Cristo. Egli venendo nel mondo non ha enfatizzato il valore del passato, ma non lo ha nemmeno annullato in quanto ne ha mostrato il significato attraverso l’importanza di una storia di salvezza. Storia alla quale Egli stesso ha dato compimento e perfezione, proprio in quanto trova in Lui la sua pienezza e la sua chiave di lettura. Altresì non ha enfatizzato il futuro - proprio a causa della debolezza umana che accompagna la storia della Chiesa e dell’Umanità, storia nella quale si prolunga l’eterna lotta tra la luce del bene e le tenebre del male - ma lo ha sottratto al pessimismo del vano non senso di una inutile ciclicità, riempiendolo della speranza della mèta alla quale questo futuro, sotto la Regalità Divina, tende. Penso di poter dire che da un punto di vista cristiano il credente deve dunque superare sia la tentazione della vuota nostalgia tradizionalista, che non sa accogliere l’azione rinnovatrice dello Spirito Santo nel laborioso e sofferto travaglio della storia; sia la tentazione avventuriera che presume di poter fare a meno dell’intelligenza e dell’esperienza di fede del passato, quasi negando nella medesima la presenza operante dello Spirito. Termino osservando che quanto ora detto confluisce in modo mirabile nel grande Mistero pasquale, dove il passato è presente come base propedeutica fondamentalmente alla Pasqua di Cristo. E il futuro è presente nel frutto della risurrezione del “Seme che muore” per dare vita ad un’era nuova. Infatti se la passione e morte dell’Uomo-Dio ha un valore infinito, ed è in qualche modo uscita dal tempo per entrare nell’eternità, pure la sua risurrezione, evento unico e trascendente, sta al di sopra della storia e la trascina motivandola per mezzo della Speranza cristiana, Speranza che essendo fondata sulla vittoria della morte, è più forte di qualunque disperazione. Ecco dunque il mio augurio: che questa medesima Speranza sia lampada sempre accesa nel cuore di tutti noi, credenti in Cristo.                                             

don Roberto

(febbraio 2012)

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NATALE  2012  ANNO «0» DELLA FEDE

 

Ho dato questo titolo dal sapore un po’ provocatorio a questo articoletto con lo scopo di evidenziare la circostanza particolarmente significativa che questo prossimo Natale viene a cadere nell’ “Anno della Fede”, indetto dal santo Padre Benedetto XVI, e che ciò significa che celebreremo la nascita di Gesù in un contesto di particolare grazia. Nella visione cristiana, la storia non è un vano ripetersi ciclico di eventi aleatori, ma il luogo dove è sceso il Creatore del mondo per richiamare a Sé quell’uomo che senza di Lui non può trovare il significato vero e profondo della sua esistenza individuale e collettiva. Gesù Cristo, con la sua vita, passione, morte e risurrezione, chiamando alla salvezza ogni uomo, gli restituisce il senso della sua dignità e della sua regalità sull’intero Cosmo, valorizzando a pieno anche la sua esistenza in questo mondo. Ora se ciò vale per lo sviluppo della storia “profana”, tanto più questo vale per il ripetersi ogni anno della celebrazione religiosa degli eventi fondamentali della nostra salvezza, come appunto il Natale. Per noi credenti celebrare ogni anno la nascita di Cristo non è il monotono ripetersi di una memoria di un fatto passato, ma il rinnovato misterioso avverarsi della grazia che accompagnò l’attuazione storica dell’inconcepibile, quanto sublime, evento della Incarnazione e nascita del Salvatore del mondo, fatto questo che, come abbiamo detto prima, contiene in sé la capacità di rinnovare tutte le cose e ridare significato alla storia umana. Questo evento fu talmente avvertito agli albori della nascente cultura cristiana che si sentì il bisogno di datare il tempo a partire appunto (prescindendo dagli errori di datazione) dalla nascita del Cristo. Da qui il senso provocatorio del titolo, cui accennavo all’inizio, come invito a ciascuno di noi nella disponibilità, proprio nell’occasione del Natale di questo anno dedicato alla fede, ad un ripensamento e una riscoperta della propria fede cristiana a partire dalle sue radici, perché – e questo è bene non dimenticarlo – la sua origine non è un fatto storicamente evanescente o un mito, bensì una figura storica: Gesù di Nazaret, vissuto in un contesto storico ben definito (nato a Betlemme di Giudea quando era in atto il censimento voluto da Cesare Augusto ed era governatore della Siria Quirinio…). Certo non è questo l’aspetto che direttamente, o comunque principalmente, ci tocca, quanto piuttosto ritornare alla purezza delle sorgenti della fede per rinsaldare e approfondire, sia le motivazioni che ci spingono a credere, sia il contenuto stesso della nostra fede. Se un tempo non troppo lontano, per lo meno in diversi paesi dell’Europa, la cultura locale esercitava per così dire un influsso positivo nei riguardi dell’accostamento alla fede cristiana, adesso non è più così e ciascuno deve farsi carico, almeno a livello di convincimento interiore, del perché si sente cristiano cattolico e ciò che questo comporta nell’impostazione della propria vita. Stante l’enorme, per non dire rivoluzionario, sviluppo dei mezzi di comunicazione oggi è facile aver accesso, sia per via telematica, sia per mezzo della stampa, a strumenti di informazione e formazione cristiana, ma la via privilegiata è naturalmente la Comunità di fede di riferimento, specie quando questa si riunisce nel nome del Signore per celebrare il mistero dell’evento fondamentale della nostra salvezza: la Pasqua del Cristo, evento che si avvera per via soprannaturale nella Santa Messa. Con l’alimento divino dell’Eucaristia e della Parola di vita, la fede ne esce corroborata e capace di reggere gli urti del mondo. L’augurio che faccio a me stesso e a ciascun credente è che questo Natale ci aiuti a rinnovarci, ripartendo come da zero nel prendere sul serio la nostra impostazione di fede, così come Dio ha preso sul serio la nostra salvezza che “…ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna.”(Gv3,16)  

don Roberto

(dicembre 2012)

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Il giusto vivrà mediante la fede(Rm1,17)

 

L’occasione della benedizione delle famiglie, mi offre ogni anno l’opportunità di scrivere un articoletto, articoletto che cerco sempre di collocare sullo sfondo dell’approssimarsi della festa più importante della Cristianità che è la S. Pasqua. Per rimanere in sintonia con l’evento di grazia della celebrazione dell’“anno della fede”, quest’anno ho pensato di dedicarlo - pur nella consapevolezza della sua piccola misura - appunto a questo tema così importante. In particolare ho creduto fosse positivo offrire uno spunto di riflessione sul fatto che, oggi più che mai,  ogni cristiano sia chiamato a vivere una fede matura e adulta. Infatti il substrato culturale di una società che in qualche modo  tramandava per tradizione i valori dottrinali ed etici cristiani, per varie ragioni, viene sempre più a mancare e ognuno, che oggi si pensi cristiano, non può non aver una coscienza che sia opportunamente formata alla consapevolezza di ciò che questo significa. Una fede adulta e matura poi non vuol dire affatto una fede incline all’integralismo o al fondamentalismo irragionevole e aggressivo. La fede cristiana non è, né può essere, dissociata dalla carità perché al suo centro e vertice c’è Dio – Amore; un Dio che si è rivelato massimamente proprio nel gesto di amore supremo di dare il proprio Figlio: Gesù Cristo, venuto nel mondo a donare la vita per la salvezza di chi crede in Lui (1Gv4,10). Detto questo però va aggiunto subito che la fede cristiana non è nemmeno una “canna sbattuta al vento” (Mt11,7) che si corrompe sotto la spinta delle ideologie e delle mode del tempo. Fin dall’inizio, i primi discepoli di Gesù erano ben consapevoli della preziosità e della bellezza della “lieta notizia” (Vangelo) che la loro fede portava in seno; una Verità capace di riscattare l’uomo dalla condizione di oscurità e non senso esistenziale nella quale normalmente vive nella situazione “naturale”. Dunque una fede adulta e matura implica avere la consapevolezza della necessità che questa fede ha di  rigenerarsi, si può dire giorno per giorno, nella luce della certezza del Mistero pasquale, cioè Cristo veramente morto, ma anche veramente risorto quindi vivo e presente nella Chiesa e nell’esperienza concreta di ogni fedele. Infatti Egli, come aveva promesso (Gv14,23), continua a manifestare la sua presenza nell’intimo della coscienza personale dei suoi discepoli di tutti i luoghi e di tutti i tempi attraverso la preghiera, i Sacramenti e strade solo a Lui note. Ma una fede adulta e matura significa anche avere la consapevolezza di dover sostenere una lotta continua contro tutte le derive che lo spirito del male adombra nella vita di ogni uomo e in particolare di coloro che, credendo, attraverso il Battesimo sono diventati stirpe eletta, sacerdozio regale, gente santa (1Pt2,9;Ap12,17). Ciò significa non solo un impegno forte per la coerenza della propria vita in riferimento ai valori evangelici, ma anche un necessario approfondimento dottrinale ed etico per la formazione appunto della propria coscienza. Soprattutto significa che ogni discepolo del Cristo, se vuol camminare nella luce della verità che porta alla salvezza, deve camminare, come ci dice S. Giovanni, “in comunione” con gli altri confratelli nella fede, cioè nella Chiesa. L’esercizio e la crescita nella fede, poi, non è il luogo dove poter manifestare la propria genialità e libera iniziativa creativa secondo le categorie del mondo, perché è il luogo primario dell’accoglienza del dono di grazia nell’obbedienza della fede. Ciò non vuol dire affatto, come si dimostra nella vita dei grandi Santi, la rinuncia alle prerogative e alle attitudini umane, bensì vivere nell’umile riconoscimento della propria piccolezza il proprio servizio a Dio e ai fratelli. E’ lo Spirito che dà la vita a far si che sia coniugata, in maniera misteriosa, la sua azione graziosa con l’intera e integra qualità dell’impegno umano attivo e responsabile. Credo che questo criterio già di per sé basti a bandire ogni spazio al soggettivismo dall’idea  della fede cristiana e a dare un criterio di sicuro discernimento per saper distinguere la vera voce del Pastore grande delle pecore, che è Cristo Signore, risuonante nella guida della Chiesa, dai falsi profeti. Termino con l’augurio pasquale di una rinnovata fede che ci faccia tutti avanzare nel cammino della luce per il bene individuale, della famiglia e del mondo.

 

don Roberto

(febbraio 2013)

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NATALE: FESTA DELLA “LUCE”

“In Lui era la Vita e la Vita era  la luce degli uomini” (Gv1,4)

 

Eccomi con la mia piccola riflessione annuale su una delle feste più care non tanto alla semplice “tradizione” cristiana, quanto al cuore della nostra Fede: il Natale. Nello scrivere queste righe mi piacerebbe riuscire a suscitare in me e nel lettore il senso dello stupore e della bellezza del grande evento destinato a cambiare, nolente o volente, la storia dell’umanità, ma questa è cosa che riguarda non le nostre povere forze bensì la grazia dello Spirito. Già Zaccaria, il padre di Giovanni Battista, aveva profetato riguardo all’imminente venuta nel mondo della Messia indicandolo come il “Sole che sorge dall’Alto”. E il vecchio Simeone nel Tempio, prendendo tra le braccia il bambino Gesù, lo aveva definito “Luce per illuminare le genti”.  Di fatto con l’Incarnazione - avvenuta grazie al dono totale che Maria ha fatto di sé nella fede a Dio - si è avverato qualcosa di immensamente grande e inconcepibile, qualcosa che non era mai successo prima e né mai più succederà, destinato a segnare un’era nuova nella storia dell’umanità: “Il Verbo (cioè la Sapienza Divina espressa del Padre, la sua Parola) si è fatta carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi”Gv1,14). Gesù stesso dirà di sé: “Io come luce sono venuto nel mondo perché chi crede in me non rimanga nelle tenebre”(Gv12,46). Ogni uomo, toccato dalla grazia, può scoprire questa meravigliosa luce capace di dare un senso nuovo alla sua vita. E’ questo il lieto annunzio (vangelo) dato dagli angeli ai pastori. E non poteva essere che così: il vangelo superlativo, portatore di una grande gioia (Lc2,10) non poteva venire dagli uomini, ma da Dio per mezzo dei suoi messaggeri, così come è avvenuto appunto per la stessa annunciazione a Maria. Dunque con la nascita di Gesù è apparsa nel mondo la luce vera quella che illumina ogni uomo; ma questa luce non è simile alle luci della sapienza di questo mondo. S. Agostino la descrive bene nelle sue “Confessioni”: “Entrai e vidi con l’occhio dell’anima mia, qualunque esso possa essere, una luce inalterabile sopra il mio stesso sguardo interiore e sopra la mia intelligenza. Non era una luce terrena e visibile che splende dinanzi allo sguardo di ogni uomo(…) era un’altra luce, assai diversa da tutte le luci del mondo creato. Non stava al di sopra della mia intelligenza quasi come l’olio che galleggia sull’acqua, né come il cielo che si stende sulla terra, ma una luce superiore. Era la luce che mi ha creato. E se mi trovavo sotto di essa, era perché ero stato creato da essa. Chi conosce la verità conosce questa luce”. Il Padre in Cristo ha pronunciato il suo Amen di misericordia, ma anche di Verità. La sua parola è incorruttibile e non è soggetta ai condizionamenti culturali né alle mode del tempo (“il cielo e la terra passeranno ma le mie parole non passeranno” Lc21,33). Per questo il Signore mette in guardia gli uomini dalla indifferenza alla sua parola: “..Io non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo. Chi mi respinge e non accoglie le mie parole, ha chi lo condanna: la parola che ho annunziato lo condannerà nell’ultimo giorno” (Gv12,47-48). Dunque in Cristo è vinta ogni debolezza dell’uomo di buona volontà, quando costui si apre alla potenza giustificante della sua grazia e la salvezza rimane preclusa solo alla ostinata durezza di cuore che si chiude come tenebra alla luce dell’Amore divino, Amore misericordioso che vuole salvare ogni uomo. Termino con l’augurio che ciascuno di noi trovi nel Natale del Cristo quella luce di speranza capace di mutare in meglio la propria vita aderendo ancor più alla grazia del Vangelo di salvezza.

                                                                                                                                  don Roberto 

(dicembre 2013)

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PASQUA: UNA PACE CARICA DI SPERANZA

 

Il primo dono che il Cristo risorto ha fatto ai suoi discepoli è stato una pace ripiena di speranza e in occasione dell’approssimarsi della S. Pasqua, vorrei proporre una riflessione, come sempre molto semplice, sul tema importantissimo della pace. Sulla base dell’esperienza storica degli equilibri sociali nazionali e internazionali, è stato detto - e più volte riaffermato - che senza giustizia non vi può essere pace. Questa verità empirica ci interroga tutti, ma per questo piccolo articolo è troppo ardua. Per questo mi sono proposto uno spunto di riflessione più accessibile ma, a mio avviso, non meno incisivo. Credo di poter affermare con certezza, perché è sotto gli occhi di tutti, la constatazione di come la pace personale serena e duratura  richieda, oltre ad un “clima” di giustizia, che vi sia nell’animo speranza. Infatti è proprio la speranza, come anelito verso uno o più beni desiderati, che attiva e sostiene il nostro operare a tutti i livelli. La speranza poi normalmente si compone appunto di diverse motivazioni, come: migliorie delle condizioni di vita, mete ed eventi importanti, traguardi da raggiungere ovvero difficoltà da superare, ecc.. Mi rendo conto che il tema è delicatissimo, tanto quanto è forte l’incidenza della speranza sulla vita dell’individuo e dell’intera comunità umana. La storia è lì a dimostrare come i grandi “manipolatori” delle masse hanno sempre giocato con particolare carisma e abilità su questo punto fondamentale dell’animo umano. Ma non vuol essere certo questo il tema di questo articoletto. Piuttosto, proprio come dicevo, in occasione della Pasqua, vorrei invece evidenziare come il realismo del Vangelo sia di grande aiuto e riferimento per il giusto modo di “comporre” questa realtà essenziale alla vita umana, che è appunto la speranza.  In proposito penso che molti abbiano notato come una specie di contrasto tra l’esigenza esatta dal Cristo nei Vangeli - esigenza che sembra quasi scarnificare mediante la fede la vita terrena dell’uomo – e l’esperienza concreta della vita della Chiesa, specialmente quella della prima Chiesa (esperienza della quale abbiamo notizia storica diretta e indiretta dagli scritti del Nuovo Testamento). Ebbene, dalle notizie che abbiamo vediamo come, specie nella prima comunità dei credenti, nonostante le numerose tribolazioni, brilli una vitalità serena e lieta. La spiegazione non si può trovare se non nel fatto che essa  è “commossa” da una grande speranza. Inoltre l’impatto storico testimonia anche che evidentemente si tratta di una speranza che non è di fatto “deludente”. Il motivo di questa reale e incisiva forza per noi credenti è semplice: non ha una radice ideologico-terrena, ma è fondata sulla fede e l’esperienza della verità del Cristo vivo e attivo nella vita personale e comunitaria dei fedeli. In questa vita non vi è traccia di fanatismo integralista, né di fuga dalla realtà riguardo alle responsabilità civili e, tanto meno, di attese rivoluzionarie. Al contrario al credente viene raccomandato di farsi carico di una vita socialmente e politicamente corretta, anche quando il regime lo perseguita. Una cosa sola deve testimoniare, oltre naturalmente la coerenza evangelica, ed è proprio il dono della speranza. Non si tratta però di una testimonianza artefatta o enfatica, bensì di una semplice dichiarazione di verità - a chi ne fa domanda - sullo stato del proprio cuore e questo specialmente nelle situazioni di sofferenza (cf 1Pt3,14-16). La fede in Colui che vincendo la morte ha dato il sicuro motivo di credibilità nella sua Identità e nella sua Parola, unita al dono del Consolatore, lo Spirito Santo, apre ad un senso nuovo della vita nel quale domina una Speranza più forte di tutte le disperazioni. Termino con l’augurio che la luce della Pasqua, così bene interpretata nella sequenza pasquale dal grido di gioia di Maria Maddalena: “Cristo, mia speranza, è risorto”, ci consoli e ci aiuti a ricomporre sempre meglio il quadro della nostra speranza per affrontare più serenamente l’impegno e le difficoltà della vita in questo mondo. 

don Roberto

(febbraio 2014)

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“Il Signore ha visitato e redento il suo Popolo” (Lc1,68)

 

Ho scelto questo titolo, prendendolo da una frase evangelica che preannunciava il Natale del Cristo, e quindi in tono con il tempo che stiamo vivendo, ma soprattutto perché simile al titolo della lettera di indizione della Visita Pastorale, visita che riceveremo con gioia nella nostra Parrocchia ai primi del mese di Giugno e che inizierà per tutte le Parrocchie di Sesto e Calenzano, in modo ufficiale, con una celebrazione liturgica il 18 Gennaio alle ore 16 nella Parrocchia di S. Giuseppe Artigiano a Sesto Fiorentino. Sulla grazia di questo evento ritornerò sul prossimo giornalino che precede la Benedizione delle Famiglie. Adesso, proprio in vista della grande festa cristiana del Natale, festa che ha al suo centro la Sacra Famiglia, prevale la premura di annunciare e riannunciare il valore grande della famiglia, secondo lo stesso spirito del Santo Padre, Papa Francesco, il quale, nella linea costante dell’insegnamento della Chiesa, ne ha più volte riaffermato con forza, la sua bellezza e la sua essenziale necessità per la vita della Chiesa e della società. La sovrabbondanza della Misericordia di Dio per l’umanità viene a rinnovare nella celebrazione del Natale, in maniera misteriosa ma vera, la sua occasione di grazia purificatrice e rinnovatrice del mondo. Ancora una volta, nel suo ripetersi nell’accadimento celebrativo, il Natale si ripropone secondo il medesimo stile del suo verificarsi storico. Infatti il Salvatore del mondo non chiede molto spazio nell’intrigo delle vicende, delle relazioni e delle costruzioni umane più o meno giuste; chiede solo che l’uomo gli apra le porte del suo cuore perché egli (uomo) possa ritrovare pienamente se stesso nella sua dignità e nella grandezza della propria vocazione. Fu questo l’appello con il quale il grande Papa S. Giovanni Paolo II iniziò il suo ministero: “Aprite le porte a Cristo…non abbiate paura di Cristo”: La Misericordia di Dio si è manifestata pienamente nella Croce di nostro Signore, ma dopo la sua Pasqua ha rivelato il suo fulgore anche nell’immenso e inconcepibile mistero dell’Incarnazione. Nel Natale contempliamo questa Misericordia che viene a risanarci dall’errore, dal peccato e dalle ferite più profonde della vita sociale. Tra le ferite più letali vi sono appunto quelle inferte alla famiglia attaccata a livello mondiale e in modo singolare in molte culture. La famiglia cristiana si costituisce come tale nel vincolo sacro del matrimonio tra l’uomo e la donna ed essendo questo legame un patto d’amore davanti a Dio, è per sua natura irreversibile. Con tutto il rispetto per le coppie che convivono in situazione di irregolarità matrimoniale più o meno sofferta, come minimo ministro del Signore, tengo a precisare che, là dove sia possibile, sono tenute a regolarizzare la loro posizione pena l’aver scelto la via dell’indifferenza rispetto all’azione misericordiosa di Dio. La Misericordia Divina è prontissima a risanare e sostenere ogni più piccolo passo verso la giustizia, ma si ritira di fronte all’opposizione del libero arbitrio dell’uomo. La grazia di Dio, che non manca di visitarci in modo speciale nella solennità del Natale del Cristo, ci spinga a rinnovarci in questo lavacro di Amore misericordioso per farci risplendere di quella luce di amore e verità che non si compiace delle approvazioni del mondo, ma neanche si deprime per le incomprensioni.

Buon Natale nel Signore. Don Roberto.    

(dicembre 2014)

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LA VISITA PASTORALE :  EVENTO DI GRAZIA

 

Tra qualche mese, esattamente mercoledì 3 e sabato 6 giugno, l’Arcivescovo di Firenze, il Cardinale Giuseppe Betori, come nostro pastore e guida, verrà a visitare la nostra Parrocchia. E’ questo un momento privilegiato che la nostra comunità è chiamata a vivere a vent’anni dalla precedente Visita pastorale del Cardinale Piovanelli, ed è una grazia, che in qualche modo già si sta vivendo in unione con le altre Parrocchie del Vicariato, dal momento dell’apertura della visita stessa il 18 gennaio. Nel suo protrarsi fino alla chiusura, prevista per il 21 giugno, sono programmati diversi importanti incontri specifici che il Vescovo avrà con i vari settori della vita del vicariato (lavoro, scuola,..), ma che per noi diventerà particolarmente partecipata nella sua presenza in Parrocchia. Non ho certo la presunzione di poter racchiudere nelle poche righe di questo articoletto il significato di questo evento di grazia per la vita di fede della nostra comunità che considera come inviato stesso del Signore il suo Pastore che viene a visitarci. Tuttavia cercherò di presentarne alcuni aspetti fondamentali, con l’intento di rimanere nello spirito stesso della Lettera di Indizione con la quale il Vescovo ha annunciato la Visita. In questa lettera il Vescovo ricorda che fin dall’inizio, cioè fin dal tempo della prima Chiesa, gli Apostoli stessi hanno sentito il bisogno di visitare le prime comunità da loro stesse fondate. E’ quindi con questa medesima premura che anch’egli, nella scia dei suoi predecessori, sarà in visita nelle nostre parrocchie. La sua presenza in mezzo a noi è dunque segno vivo della presenza di Gesù Cristo, sommo e unico Pastore della Chiesa, che viene a visitarci. Lo scopo  principale della visita è quello di ravvivare e rinsaldare nelle nostre comunità la fede in Cristo, unico rivelatore del Padre e unico salvatore del mondo, consolidando in esse la consapevolezza dell’infinito Amore misericordioso di Dio per ogni uomo. Rafforzati così nell’autocoscienza della capacità intrinseca che il Vangelo ha di rinnovare l’uomo, guarendolo dalle sue fragilità – e di rinnovare di conseguenza anche la società -, siamo chiamati a testimoniare con la parola, ma soprattutto con l’impegno nella nostra vita, questa premura che l’amore di Dio ha per ogni uomo; un amore che si manifesta nell’incontro con Cristo risorto e vivo presente nella Chiesa. Tutto ciò ci deve rendere maggiormente consapevoli del valore della testimonianza della fede, non tanto in semplici formulazioni astratte, quanto nel farsi sensibili e nel farsi carico dei problemi concreti dell’esistenza umana in tutte le sue dimensioni, a partire dalla famiglia, dal lavoro, ecc. Questo non solo a livello personale, ma anche come comunità unita e compatta al servizio del Signore che testimonia appunto con il suo impegno, particolarmente attento ai più deboli e bisognosi, la speranza del rinnovamento dell’uomo e della società per mezzo di Cristo e del suo Vangelo. Infine il Vescovo ci ricorda che questo rinnovato slancio missionario di ogni Comunità deve sempre partire dall’autocoscienza che la forza della sua coerenza e la luce del suo agire hanno la sorgente nella Parola Divina e nell’Eucaristia, centro motore della vita della Chiesa. Termino ricordando che siamo ormai prossimi alla Quaresima, tempo prezioso per riflettere su come il Signore ci offre una sempre rinnovata possibilità di valorizzare al massimo la nostra vita con l’amore verso di Lui e i fratelli. Il mio augurio è dunque che la Pasqua del Cristo, con la luce della sua Risurrezione, ravvivi in noi il vigore della speranza e ci renda più consapevoli della altezza e della bellezza della nostra vocazione cristiana.

Santa Pasqua a tutti. Don Roberto.    

(febbraio 2015)

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NATALE: AURORA DELLA GRANDE MISERICORDIA

 

Anche quest’anno, in sintonia con l’anno giubilare indetto da Papa Francesco, desidero dedicare due righe per un piccolo contributo di pensiero nella direzione della speranza. Credo che sia opinione quasi comune che non sono né le tecnologie, né le scienze in quanto tali a “salvarci”; nel senso che queste attività umane, pur nella loro importanza e bellezza, non hanno in sé la capacità di rispondere alle domande più profonde del cuore umano. E nemmeno da sole possono migliorare la “qualità” delle relazioni umane, che pure sono elementi preziosi e fondamentali della costituzione dell’edificio familiare, sociale, nazionale e internazionale, edificio quest’ultimo che è alla base dello stesso equilibrio mondiale. Infatti non si può pensare di realizzare una costruzione piccola o grande che sia con del materiale incoerente (che non sta insieme). Il Natale ci ripropone il microcosmo del Presepe allargato all’infanzia di Gesù; in questo microcosmo ritroviamo in nuce tutte quelle ferite che da sempre segnano l’umanità: povertà, emarginazione, oppressione-terrorismo (Erode), disagio, trasmigrazione, ferite che hanno segnato lo stesso Cristo fin dal suo ingresso nel mondo. Però la garanzia che ci viene dalla nostra Fede Cristiana sull’identità di quel Bambino, ci apre ad una grande speranza perché proprio quelle ferite diventano espressione visibile dell’immenso Amore misericordioso di Dio. Infatti il Padre, mandando suo Figlio nel mondo, ha voluto consegnarci una icona vivente di questo Amore, icona che si esprime con tutta l’esistenza del Cristo: dalla sua nascita alla sua morte in croce. Su questo sfondo prende singolare valore l’affermazione evangelica “l’avete fatto a Me” come centro di unità dell’Amore divino e fraterno. Infatti, fin dall’inizio è come se il Signore ci dicesse: Io, che ho il potere di dare e togliere la vita, mi lascio crocifiggere con voi, in voi e per voi e lascio che queste stigmate si ingigantiscano a misura divina sulla croce fino a togliermi la vita per darvi la vita. Perché, come Lui stesso ci dice:  E’ lo Spirito che dà la vita”, e se Gesù con la sua vita e il suo insegnamento è stato il Maestro, con la sua morte ci ha donato lo Spirito il quale, mediante la Fede, ci rende capaci di ascoltare e mettere in pratica il suo insegnamento, ovvero ci riabilita alla dignità di figli e cittadini del Regno; di quel Regno che attraverso i suoi discepoli è già presente nel mondo come lievito di giustizia, di pace e di Amore. Questo è il progetto di Dio per attirare a se i cuori e risanarli dalle ferite del peccato e dell’ignoranza. Siccome questa opera è voluta e sostenuta da Lui, il male della crudeltà, dell’ingiustizia e della violenza, farà paura, ma non prevarrà. Concludo dicendo che, se la croce del Cristo ci incute timore, perché denuncia in modo cruento e doloroso il grande dramma della salvezza umana,  la tenerezza del Presepe operi in noi il convincimento che quella croce, che pure è già presente nel Presepe, è espressione di tutta la tenerezza dell’Amore misericordioso di Dio, il quale per donarci la salvezza, altro non chiede che il nostro amore fiducioso e fedele. Auguro a tutti un buon Natale, come rinascita con Cristo nel suo Amore.             

Buon Natale nel Signore. Don Roberto.    

(novembre 2015)

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La Misericordia di Dio: mistero di gaudio

Grazie all’Anno Giubilare indetto da Papa Francesco, la parola divina che più risuona quest’anno nella vita della Chiesa è la parola misericordia. Sicuramente quello che possiamo sperimentare tutti è che la Parola di Dio, specie quella evangelica, nel contatto con la semplice vita di fede del credente - ma anche con la stessa storia umana –ha il potere di rispondere alle esigenze sempre nuove, sia personali, sia delle culture dove si incarna, per guidare e sorreggere il cammino del Popolo di Dio fino alla sua mèta. Senza ovviamente pretendere di aggiungere nulla a quanto hanno detto nel loro magistero i Papi S. Giovanni Paolo II e Francesco, è bello riflettere su questa “incarnazione” variegata della realtà della misericordia divina nella Chiesa vista attraverso la vita dei Santi. Anche con un semplice flash in riferimento ai Santi più recenti, appare subito la multiforme espressione dell’attuarsi storico di questa realtà. Lo vediamo bene nella vita della B. Madre Teresa, che sarà canonizzata quest’anno a Settembre; donna di estrema donazione nel servizio caritatevole agli ultimi e pure anche donna di grande preghiera e sacrificio. Nelle claustrali, come S. Teresina di Lisieux e S. Benedetta della Croce (Edith Stein). Nei martiri della carità, come Padre S. Massimiliano Kolbe, morto nel campo di sterminio di Auschwitz al posto di un padre di famiglia. Nei mistici, come S. Faustina Kowalska “profetessa” del volto misericordioso di Dio ed eletta dal Papa per l’anno giubilare proprio tra il numero dei testimoni della misericordia di Dio. E, sempre tra questi, vogliamo ricordare in modo speciale S. Pio da Pietrelcina, al quale ci sentiamo particolarmente legati a causa del forte vincolo di grazia che unisce questo grande Santo alla nostra Comunità parrocchiale. Infatti, non solo perché si deve a lui, e ai suoi collaboratori, la realizzazione della nostra chiesa parrocchiale, ma anche al fatto che ha voluto espressamente e deliberatamente associarsi all’intercessione della Madonna per la cura provvidente della nostra Comunità. In lui la misericordia di Dio si configura come luce di verità sulla realtà della condizione umana nella “nudità” della propria coscienza da una parte e nell’abbraccio paterno e amoroso di Dio dall’altra. Tutto ciò specialmente nel sacramento della confessione, come sacramento della guarigione, ma anche nella direzione spirituale delle anime. Inoltre il volto misericordioso di Dio traspare in questo Santo in modo singolare nella generosa partecipazione alle sofferenze del Cristo per la redenzione del mondo. Grandi conversioni a non finire, a volte anche con non piccoli drammi di cammini faticosi per uscire dalla schiavitù del peccato, ma che sempre si sono conclusi nell’esultanza gioiosa di una vita nuova ritrovata. Questi alcuni dei tanti volti impensati, e mai propriamente intesi e conosciuti, della medesima e unica Misericordia divina che cerca ogni uomo per renderlo amorevolmente consapevole del bisogno di essere salvato. Fatto questo purtroppo tanto ostico alla mentalità moderna, che non si sente bisognosa di salvezza, o lo sente solo quando sperimenta l’amarezza e la delusione della corsa verso mete effimere, mete che finiscono per superficializzare e deteriorare completamente o quasi la propria vita. E’ questo a mio avviso il pericolo più forte della cultura moderna: il rischio di cancellare, con l’assenza di una adeguata vita interiore, lo sviluppo della dimensione spirituale dell’uomo, dimensione che pure è il costitutivo essenziale e specifico della stessa natura umana. Con cuore sincero e riconoscente per la vostra accoglienza, auguro a tutti una serena Pasqua di risurrezione nella luce del Cristo, nostra speranza per un mondo nuovo.

Santa Pasqua a tutti. Don Roberto.    

                                                                                                        (febbraio 2016)

 

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NATALE : un inno alla speranza

 

Siamo in Avvento, il tempo che per lunga tradizione noi Cristiani viviamo come tempo dell’ “attesa”, attesa di un evento destinato a ravvivare in noi la speranza: l’affiorare della Luce Divina nel mondo. Propongo come sempre un piccolo pensiero prendendo spunto dalla narrazione evangelica riguardo ai primi personaggi che, dopo la B.V. Maria e il suo Santo sposo Giuseppe, hanno vissuto in modo singolare, immediato ma anche intenso, l’avvento, cioè i pastori. Per loro si aprì il cielo e a loro, che erano disposti ad accoglierlo con semplicità, fu dato l’annuncio angelico: “vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: (…) è nato per voi un Salvatore che è Cristo Signore”. Un annuncio quanto mai unico e inatteso per il suo contenuto e anche per la sua forma, forma che destò in loro stupore e incanto per la bellezza. Essi credettero e si mossero con solerzia secondo le indicazioni angeliche, trovarono, videro e si accese in loro la fiamma più bella ed essenziale per la vita: la speranza. Sperarono che stesse nascendo quell’era nuova, l’era messianica profetizzata dagli antichi Profeti come era di giustizia, di pace e di fratellanza. Non è certo un caso che il Cristo, entrando nel mondo, abbia voluto fin dal suo ingresso contrassegnare così ciò che era venuto a portare, cioè proprio quello che era stato detto dai medesimi angeli: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che Egli ama”. Come non considerare bene questo fatto, cioè che Dio, mandando il suo Figlio nel mondo, abbia aperto i cieli per infondere nel cuore umano la speranza?! Infatti la speranza è un costitutivo essenziale all’esistenza umana. Senza la speranza manca la spinta motrice per vivere e la vita diventa flebile per astenia della motivazione. Del resto si può constatare in modo indiretto quanto sia importante la speranza per ogni uomo, guardando come manipolandola si sono potute creare devianze ideologiche che hanno prodotto perfino milioni di morti. E purtroppo anche oggi non mancano queste realtà che portano tribolazione e morte. Una delle frasi “ad effetto” che papa Francesco ha detto ai giovani è: “Non lasciatevi rubare la speranza”. Le nuove generazioni hanno diritto di sperare. Questo significa vivere un sano ottimismo e con il nostro impegno dobbiamo aprir loro prospettive di un mondo migliore, più giusto e più fraterno; ma certamente vanno anche formate a sperare bene. Il sano realismo di chi ha la maturità dell’esperienza della vita sa quanto sono deboli e incerte le attuazioni e quanto grandi possono essere le delusioni di chi spera troppo nelle realtà terrene. Non è un caso che quella speranza dei pastori venga dall’Alto e non dagli uomini. Non è annuncio di successi, di vittorie, di conquiste, di domini, di ricchezze, ecc. , no, è poter rendere Gloria a Dio per la sua misericordia,  e  godere della pace del cuore perché fin dall’ingresso nel mondo Egli ci ha mostrato quanto ci ama. Questo annuncio doveva essere un segno appunto di quella speranza che nasce dalla fede nel Dio - Amore che è più forte del mondo del male. Con la pace nel cuore che il buon Dio ci dona mediante la fede dobbiamo impegnarci e pregare perché venga il suo Regno di amore di pace e di giustizia. E’ Questo l’inno alla speranza che dal cielo si rispecchia nei volti della Sacra famiglia e da quell’angolo scomodo, buio e freddo della grotta di Betlemme, si irradia come luce di speranza viva per il mondo. Termino con l’augurio per tutti noi che quella luce raggiunga ovunque e sempre i nostri cuori. 

Buon Natale nel Signore. Don Roberto.

(dicembre 2016)

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MARIA MADRE DELLA SPERANZA

 

La speranza cristiana si radica in Cristo, anzi è Cristo. L’antica sequenza pasquale che recitiamo per Pasqua, fa dire a Maria Maddalena, dopo l’incontro con Cristo risorto al sepolcro: “Cristo mia speranza è risorto”. La vittoria di Gesù sulla morte oltre al valore per sé immenso diventa anche il segno della vittoria mediante la fede in Lui su tutte le forme di disperazione. Ciò non toglie che la fede del Popolo di Dio nei secoli abbia sempre goduto del conforto, e quindi anche della speranza, in Colei che più da vicino ha cooperato alla redenzione del Figlio e che sempre si è presa premura di far sentire la sua vicinanza alla nostra condizione terrena. Così possiamo contemplarla doppiamente come Madre della speranza: in quanto madre del Figlio (nostra speranza) e madre, per volontà di Lui, di noi figli rigenerati dal suo Sangue. E quale figlio non può non contare sulla cura materna di una madre così attenta e premurosa del nostro bene vero e pieno? Anche se lo spazio è molto ridotto mi soffermo volentieri a parlare di Lei in modo particolare quest’anno, nel quale ricorre il centenario della prima apparizione ai tre pastorelli avvenuta a Fatima il 13 Maggio 1917. Premesso che queste apparizioni non sono oggetto di fede, credo però che sarebbe oltremodo difficile annullare la testimonianza eroica di questi tre bambini di cui due, Francesco e la sorellina Giacinta, già beatificati da S. Giovanni Paolo II il 13 Maggio del 2000. All’epoca delle apparizioni Lucia, la più grande, aveva 10 anni; Francesco 9 e Giacinta 8. Resero testimonianza non solo non cedendo alle intimidazioni molto grandi, specie per la loro età, ma anche su come affrontarono serenamente la morte poco dopo le apparizioni, come del resto la S. Vergine li aveva preavvertiti. Infatti alla fine dell’anno dopo, cioè nel dicembre del ʹ18 si ammalarono entrambi di influenza spagnola e Francesco morì nell’Aprile del ʹ19 dopo aver fatto la prima Comunione. Giacinta invece morì nel dicembre del ʹ20. Anche Lucia, che doveva rimanere in vita per un preciso fine “celeste”, ha reso ottima testimonianza con la sua vita passata quasi tutta in clausura dove è morta novantottenne nel 2005, dopo aver avuto colloqui privati con vescovi e papi tra cui, l’ultimo S. Giovanni Paolo II. Lontana da me è l’idea di commentare il contenuto del messaggio dato ai veggenti, anche perché penso – ma non sono certo solo a pensarlo – essere almeno in parte, “sotto sigillo”, cioè non interamente comprensibile se non dopo che gli eventi sono tutti accaduti. Però ciò che è certo, come ognuno che lo voglia leggere ( sul Web digitare : Vaticano - messaggio Fatima) potrà constatare, è che si tratta di un appello accorato della S. Vergine perché il mondo non continui a camminare come se Dio non ci fosse o fosse indifferente alla sorte umana. Dio c’è ed è onnisciente; nella sua  misericordia  è pronto a riconciliare sempre a Sé il singolo come la nazione e l’intera umanità, solo che l’uomo desista dal male e senta il bisogno di questa riconciliazione e si decida per il bene. Infatti da questo messaggio emerge anche la drammatica capacità che ha l’uomo, proprio paradossalmente per la sua grandezza, di resistere fino in fondo alla misericordia di Dio, procurando danno al bene comune e rischiando il male eterno a se stesso. Il nostro tempo è migliore o peggiore di quello  delle apparizioni? Io non lo so, so soltanto quello che vediamo tutti, molta gente ha dimenticato i valori cristiani di riferimento e non sa - o non vuole - distinguere il bene dal male e forse un senso di freddezza rischia di permeare la vita di tutti noi. Facciamo tesoro di questa premura materna per camminare rettamente e speditamente nella via tracciata da Cristo Luce del mondo. E il mio augurio è proprio questo, cioè che la luce della Pasqua, che è luce di speranza e di gioia nello Spirito Santo, sia con tutti voi.

                                                                                     Santa Pasqua a tutti. Don Roberto

( febbraio 2017)

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PASQUA 2018

 

Anche quest’anno, in preparazione alla visita delle famiglie per la benedizione pasquale, mi permetto di esprimere un breve pensiero su un tema penso caro a tutti che è quello della pace; naturalmente nel fare questo mi attengo al mio punto divista di parroco e senza grandi pretese di autorevolezza riguardo a competenza socio politica. Siamo ancora spesso turbati da continui rumori di guerre e violenze che flagellano l’umanità, addirittura si riaprono scenari apocalittici di guerre nucleari che sembravano essersi affievoliti da quarant’anni! Il primo pensiero naturalmente va a quella che è la corresponsabilità umana nel gestire al meglio le conflittualità cercando di eliminarne le cause. Del resto il progresso della sensibilità sociale e la tecnologia avanzata della comunicazione ci portano a guardare all’umanità stessa come ad una intera grande famiglia. Forse è l’ingiustizia quella che appare come la prima tra le cause dei conflitti, ma di fatto scorgiamo bene che le ragioni conflittuali sono tante, non ultime quelle di natura etnica e ideologica. A chi come me che crede che la pace non sia solo frutto della giustizia e degli sforzi umani – sebbene pur essi necessari per superare le varie cause di divisione -, ma che sia anche dono di Colui che solo regge le sorti della storia, è un invito a pregare, magari ricorrendo anche all’intercessione di Colei che invochiamo come Regina della pace, perché questo dono ci sia elargito con abbondanza. Premesso questo, mi permetto anche di sottolineare ciò che è sotto gli occhi di tutti ed è la crescita del livello di tensione e di violenza perfino nel mondo giovanile. È necessario che tutti, a partire da coloro che hanno più responsabilità educative - compreso il sottoscritto –, ci prendiamo cura, come più volte richiamato da Papa Francesco, ad educare al rispetto della diversità, ma anche al contenimento delle pulsioni  di violenza attiva e reattiva, di sopraffazione e di dominio, di autoesaltazione e di umiliazione, che in forma proporzionata, magari anche velata, possono manifestarsi fin dalla più giovane età. In questo senso penso sia quanto mai opportuno e bello, sempre citando Papa Francesco, educare alla “vita buona del Vangelo”.  Sappiamo tutti quanto questo impegno di educatori richieda discrezione, pazienza e lungimiranza, ma ci aiuta in questo il pensiero che ciò produce frutti buoni non solo direttamente per gli interessati, bensì anche per la crescita della coscienza civile nel rispetto e produzione del bene comune alleviando le stesse tensioni sociali. Termino con il semplice ma toccante saluto francescano augurando a tutti “pace e bene”.

Santa Pasqua a tutti. Don Roberto.

(febbraio 2018)

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PASQUA 2019   LA LUCE DELLA SPERANZA CRISTIANA

 

La luce della speranza dei discepoli della “prima ora” del Signore era, ma anche oggi è, più forte del buio della morte perché Cristo ha vinto non solo la regina-madre della disperazione, che è la morte, ma anche tutto ciò che mortifica e svilisce la vita umana. Sappiamo infatti che secondo il Vangelo e la dottrina consolidata dell’intera cristianità, Gesù con la sua passione e morte ha preso su di Sé il peccato del mondo. È questa l’identità propria di Salvatore del mondo riconosciuta e proclamata dal suo precursore, S. Giovanni Battista, che quando l’ha visto venirgli incontro, ha detto: “Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo”. Ma ciò che mi premeva evidenziare, in questa piccola riflessione, è che il Cristo con quel tipo di morte ha voluto sperimentare, mediante l’abbandono totale alla completa solitudine da parte del Padre, degli stessi discepoli e l’angoscia mortale dell’incomprensione del mondo, tutta quella disperazione da cui viene assalito l’uomo in preda alle acute prove della vita. Tutto ciò per prendere su di Sé anche la disperazione del mondo e  vincerla con il “segno dei segni”: la sua risurrezione. Infatti la risurrezione di Gesù, oltreché dare credibilità alla sua Persona e al suo insegnamento, ha inondato di speranza la vita di coloro che gli hanno creduto fin dal principio e rimane ancora attuale come invito per ogni uomo. È come se la potenza della risurrezione, ribaltando la pesante pietra tombale, avesse permesso alla luce di questo evento di irraggiarsi dal sepolcro vuoto a tutta la storia umana come luce di speranza, cioè di sostegno e di conforto contro tutti i moti di delusione, sconforto e disperazione che in maniera più o meno marcata, prima o poi inevitabilmente attraversano l’esperienza della nostra vita terrena. Questo conforto della speranza cristiana ce lo annuncia, oltre la reiterata testimonianza umana, Colui che “tutto può”: “Sono venuto nel mondo perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza”. So bene che queste parole possono sembrare utopiche per chi non crede, ma so anche quanta efficacia di fatto hanno nella vita dei veri credenti.  Auguro a ciascuno di noi – proprio nell’occasione della S. Pasqua - che questa luce si irradi sempre più nei nostri cuori. 

Don Roberto.

(febbraio 2019)

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PASQUA 2020   UNA GRANDE SPERANZA: L’AMORE È PIÙ FORTE DELLA MORTE

 

Ho scelto questo titolo al piccolo pensiero con cui puntualmente, ogni anno, trasmetto il programma della benedizione delle famiglie in vista della Pasqua. Credo infatti che questo sia uno dei messaggi più belli che ci provengono dalla grande festa che per noi, credenti in Colui che ha vinto la morte, si sprigiona dalla luce della sua Pasqua per illuminare ogni uomo. Se il culmine dell’Amore di Dio si è rivelato nel Crocifisso che effonde il suo Sangue divino per cancellare il peccato del mondo, nella sua risurrezione Egli manifesta chiaramente la vittoria sulla morte e le cose che le appartengono: divisioni, fazioni, odi, guerre, violenze, ingiustizie, fame, degrado…, queste non hanno l’ultima parola. L’ultima Parola è il Verbo divino, che entrato con l’Incarnazione nello spazio e nel tempo, ora risorgendo, li “permea” anche con la sua Umanità per essere l’Emmanuele, il “Dio con noi”, annunciato dai Profeti. Nella misura che noi suoi fedeli gli facciamo spazio nel nostro cuore e ci impegniamo nello sforzo della coerenza all’annuncio evangelico, diventiamo portatori dei frutti dello Spirito: “amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, dominio di sé” (Gal5,22), lievito del Regno di pace, amore e giustizia voluto da Dio e necessario antidoto al male, che pure esce dal cuore umano malato. Infatti il Figlio di Dio è venuto nel mondo, come Egli stesso dichiara, perché abbiamo la vita e l’abbiamo in abbondanza. Termino con un argomento delicatissimo che non si può certo esaurire in due righe, ma che sento il dovere di farne breve cenno. Ogni epoca ha presentato e presenta scenari anche di inquietudine e di lotta e per ogni tempo il Vangelo chiede di essere incarnato, specie nella dimensione della carità, in queste realtà mutevoli e spesso imprevedibili dove, insieme a dei valori, serpeggiano anche disvalori che ipnotizzano con la seduzione, ovvero polarizzano in tensioni opposte. Cose queste che deprimono e mortificano la vita già in questo mondo. Tante concause, anche positive, hanno fatto sì che la nostra cultura sia diventata composita e multiforme quanto anche all’aspetto religioso. Un motivo questo di invito semplice, ma necessario, a tenere saldo il proprio credo, non certo per alterigia e, tanto meno, di mancanza di rispetto o incompatibilità di vita civica per altre fedi, ma per il semplice fatto che il venir meno per compromessi di relativismo o sincretismo religioso svilisce il proprio atto di fede nelle stesse singole Religioni. Positivo invece è il dialogo sulla convivenza civica nazionale e internazionale onde nessuno discrimini o faccia guerra in nome di Dio. Concludo con l’augurio più caro al mio animo che ognuno di noi trovi in Cristo Gesù, morto e risorto unico salvatore del mondo, la sorgente più grande della speranza.

Don Roberto

(febbraio 2020)

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