LA PAROLA DI DIO

in tempo di Corona virus

don Roberto ci consola con la Parola di Dio in questo periodo di quarantena

 

 

ANNUNCIAZIONE DEL SIGNORE - 25 MARZO 2020

Sempre nello spirito di condivisione che ci unisce nella fede vi propongo una piccola (e molto, molto ristretta) riflessione sulla solennità di oggi. Appena una premessa per evidenziare, se ce ne fosse bisogno, la grandezza dell’evento che stiamo celebrando. Parafrasando la relazione Adamo / Cristo di S. Paolo (Rm5) riconosciamo che sono due donne che hanno condizionato in modo forte la storia dell’umanità. Se la vergine Eva l’ha condizionata con la sfiducia nella disobbedienza concupiscente in modo negativo, molto più l’obbedienza fiduciosa e totale della S. Vergine Maria l’ha beneficata di sovrabbondanza di grazia. Per entrare di più nel vivo del mistero, alfine anche di una ricaduta personale, mi soffermo su una frase dell’Angelo: “Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo di coprirà con la sua ombra”. La Santissima Vergine Immacolata è entrata nella nube misteriosa dell’abbraccio dello Spirito Santo, che è la Carità divina increata, e che procede dal Padre e dal Figlio unendoLi in una relazione di Amore infinito. Maria ne è divenuta misteriosamente singolarmente partecipe per il grande evento unico e irripetibile della concezione per la generazione umana del Figlio. Questo evento, che avviene in un abisso di Amore spirituale purissimo, segna per sempre non solo la storia della redenzione, ma anche della stessa creazione; a noi non è dato di poterlo conoscere se non in qualche riflesso delle parole stesse della S. Vergine (grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente). Pure la divina Rivelazione ce ne dà indirettamente in qualche modo ragione, perché l’elezione singolare della Madonna diventi per noi un segno della grandezza della nostra vocazione e quindi motivo di incoraggiamento e di speranza. Appena un accenno sull’esperienza di Mosè che gli permise di stare 40 giorni e 40 notti senza nutrimento sulla cima del Sinai e gli creò una nostalgia ardente del fascino di Dio (anelito del Volto…). Ma più chiaro e più comprensibile è quello che ci giunge dal Vangelo nell’episodio della Trasfigurazione. Infatti sappiamo che Gesù vuol preparare i tre Apostoli prescelti a superare l’asprezza della prova che stanno per attraversare nel modo più forte possibile: “convincendoli” del fascino dell’Amore di Dio e lo fa  proprio attraverso l’esperienza dell’immersione nella nube misteriosa di questo Amore nella presenza trinitaria di Dio. L’esperienza è fortissima (è bello per noi stare qui) che li fa uscire fuori di testa. Il fatto che S. Pietro ne parli nella sua seconda lettera, depone a favore della permanenza della nostalgia del fascino di questa bellezza anche dopo la risurrezione di Gesù. Tornando all’Annunciazione, questa diventa un richiamo a cercare - attraverso l’impegno a vivere specialmente le virtù che risplendono in perfezione in Maria, in particolare nell’ Annunciazione: l’umiltà, l’immacolatezza e il fiducioso abbandono alla volontà divina, - sempre, e prima di tutto, la forza e la motivazione ad agire nell’Amore di Dio, secondo le stesse parole di Gesù: “Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena”. (Il termine greco tradotto con “osservare” non ha solo valore giuridico, ma anche contemplativo: un contemplare per trovare la ragione e la forza per osservare con serenità). Nella speranza che lo Spirito vi conceda una lettura meno ristretta dell’esposizione, vi rinnovo un caro saluto nell’affetto del Signore. 

 

RISURREZIONE DI LAZZARO

Sono ancora con voi per condividere una traccia di riflessione che non pretende di essere altro che uno spunto per l’approfondimento personale. Anche oggi il Vangelo, nella meravigliosa armonia della congruenza delle luci di verità che offre, ci dà molti spunti di contemplazione. Ne propongo uno, che mi sembra adatto anche per una buona “ricaduta” nella vita personale e che possiamo fare leggendo il brano di oggi alla luce di un’altra frase di Gesù, sempre del Vangelo di S. Giovanni. Mi riferisco all’affermazione che Gesù aveva fatto ai giudei qualche tempo prima: “Amen, amen vi dico che è giunto il momento, ed è questo in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio, e quelli che l’avranno ascoltata vivranno” Gv5,25. A questa frase fa seguito il discorso sulla risurrezione futura finale. Cioè, nella frase citata, Gesù aveva parlato di un’altra risurrezione, distinta da quella finale dei morti e che riguardava appunto i vivi nel corpo ma morti nello spirito perché la loro anima giace nel sepolcro tenebroso dell’ignoranza e della prigionia del peccato. Questi, se accolgono mediante la fede la sua parola, che è “Spirito e vita”, vengono risuscitati interiormente per entrare nella luce del Regno. Ora Gesù con la risurrezione fisica di Lazzaro vuol dare visibilità concreta all’evento invisibile, ma di una portata ancora più grande di quella visibile, perché riguarda la vita eterna. Perché si fissi questa luce di verità, come ultimo grande miracolo, richiama alla vita l’ “amico uomo”, ed esige la fede cooperatrice della sorella Marta: “credi tu questo?”. Forse non è un caso che proprio per questo miracolo scatterà la condanna a morte di Gesù. Qui si può innestare un punto di riflessione che ci tocca tutti. Infatti, finché siamo in questo mondo, abbiamo continuo bisogno di moti di risurrezione nella fede perché la nostra anima è sottoposta a numerosi assalti, a partire dalla debolezza della nostra natura ferita, gli assilli, le preoccupazioni a cui si aggiungono poi tutti i possibili condizionamenti interni personali ed esterni del mondo. Questi peraltro non raramente hanno un forte potere ipnotico, reso tale dal “principe di questo mondo”. Da qui il bisogno di “ricontattare” spesso l’Autore della nostra vita con l’atteggiamento interiore autentico di chi per fede sa che Lui è più veloce del proprio pensiero nell’ “esserci” (sta alla nostra porta e bussa), magari con l’umiltà di chi dice: credo Signore, aumenta la mia fede . In questo senso aiutano anche le regole personali da darci per la vita spirituale. Termino rimarcando l’importanza di questa presenza del Signore in noi, evidenziata  da S. Paolo: “Cristo abiti per la fede nei vostri cuori” (Ef3,17) e richiamata dallo stesso Pietro “adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori” (1Pt3,15). Questo anche per fare quel frutto di evangelizzazione che il Signore si aspetta da noi, “antivirus” di quello che vorrebbe ricacciare le anime nel sepolcro eterno.

 

 

DOMENICA DELLE PALME - 5 APRILE 2020

L’intensità del mistero che siamo chiamati a vivere nella liturgia di questi giorni mi spinge ad uscire dalla solitudine per condividere con chi posso raggiungere alcuni spunti di riflessione, anche se in maniera molto stringata come del resto si addice allo scopo. Il primo tema che vi propongo è quello dell’inasprirsi della reattività delle tenebre contro la Luce tanto più forte quanto più questa entra nel mondo provocando una specie di vaglio: “È per un giudizio che sono venuto in questo mondo (Gv9,39). L’agone si fa tanto più forte quanto più si approssima             l’ “ora” della redenzione del mondo: “Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. Io quando sarò elevato da terra attirerò tutti a me” (Gv12,31). Vorrei evidenziare come di fatto l’acuirsi drammatico della lotta vede l’opera, sommersa ma efficace, del serpente antico che con il suo potere di suggestione ipnotica sembra prevalere sull’opera del Cristo. È chiaro che non voglio esaltarne la potenza e tanto meno diminuire la responsabilità umana; desidero semplicemente riconoscere (purtroppo) il mistero della presenza della sua forza malefica perché ne siamo premuniti. Del resto è Gesù stesso che nella sua grande preghiera ce ne dà avvertenza. Nel rileggere, come facciamo questi giorni, la passione di nostro Signore balza subito agli occhi il comportamento irragionevole dei soggetti coinvolti. È tipico del suggestionatore portare l’uomo ad agire in maniera perfino diabolica sfruttando le debolezze e le ferite del peccato, specie quelle più profonde, per togliere di lucidità anche al retto agire. Come giustificare il comportamento di Pilato che, pur non avendo trovato in Cristo nessuna colpa, lo fa flagellare a morte, non solo, ma che accettando la scusa ipocrita dei capi giudei, lo condanna alla morte atroce dei ribelli assassini? (Che non avessero il potere di mettere a morte fu chiaramente una ipocrisia, per coprire la doppiezza del loro cuore pervaso di odio e di invidia per il Cristo e la paura di fare qualcosa che avrebbe potuto far perdere il controllo del potere, perché di lì a poco metteranno a morte Stefano senza nessuna autorizzazione).Così la suggestione demoniaca agisce visibilmente anche su Pilato che per la paura di fare brutta figura con Roma nel perdere il clima di compromesso pacifico con il potere religioso, commette una grave ingiustizia. Tutti sanno che Gesù non è un sovvertitore ribelle a Roma, ma di fatto lo condannano a quella terribile morte riservata a costoro. Oggi una parte degli stessi ebrei riconoscono in quella condanna una ingiustizia. Lasciamo da parte la defezione apostolica, in particolare quella stessa di Giuda che, proprio il Vangelo di Giovanni, dichiara essere sotto l’effetto demoniaco: satana entrò in lui (13,27). Vediamo un altro punto debole del comportamento umano che nell’associarsi si dimostra incline a convenire sul piacevole naturalistico del visibile ed esperibile e parimenti ritroso al dissentire in favore dello spirituale. È il grosso problema della superficialità del convenire della folla anonima,  la storia ce ne dimostra la vulnerabilità fino alla follia. Anche su questa debolezza ha grande potere il nemico del genere umano. Qui lo vediamo bene nel cambiamento dello scenario tra l’ingresso in Gerusalemme - quasi una incoronazione – e la reazione rabbiosa nel preferire la libertà di Barabba e soprattutto nel “crocifiggilo”. Tutto ciò ci interroga profondamente per metterci in guardia. Purtroppo è facile la sua opera di suggestione sulla nostra natura malata nell’esasperare per esempio la nostra sensibilità nel ricercare il “gradevole” e rigettare ciò che ci appare “sgradevole”, specie nelle relazioni umane, ecc.. Per questo il Signore parla della necessità, per chi desidera accostarsi come discepolo a Lui, di “rinnegare se stesso”. Cosa questa che oggi a me sembra un po’ trascurata nella pedagogia formativa. Eppure l’esperienza della vita spirituale ci dice che più desideriamo entrare nella luce di Verità e più il nemico si oppone. Rincresce dirlo, ma dobbiamo accettare questo regime di lotta come ci ricorda S. Paolo “Rivestitevi dell’armatura di Dio, per poter resistere alle insidie del diavolo la nostra battaglia infatti non è contro creature fatte di sangue e carne, ma contro (…) gli spiriti del male”(Ef6,11). Non ci scoraggiamo però perché il nostro impegno non è mai disgiunto dall’azione  dello Spirito Consolatore il quale, essendo anche lo Spirito di Verità, apre sempre più alla luce e alla bellezza di nuovi meravigliosi orizzonti. “In Cristo siamo più che vincitori”.

 

TRIDUO PASQUALE

In occasione della prossima celebrazione del Triduo, ecco ancora uno stimolo per condividere nella fede la grazia di questo evento unico e irripetibile sul piano storico, eppure misteriosamente vivo e presente sul piano metastorico grazie alla volontà divina che ci concede di riattualizzare nella celebrazione liturgica - e in modo singolare in quella eucaristica - la grazia di questi giorni. La piccola riflessione di oggi è indirizzata a stimolare la nostra riadesione per mezzo della fede all’Amore del Cristo, prendendo spunto proprio dalla contemplazione del modo (dello “stile”) con cui Egli ci ha amato. A tal proposito mi soffermo su una delle afflizioni di Gesù che i Vangeli evidenziano e che può apparirci marginale, ma, che secondo la sensibilità di certi Santi mistici, non lo è affatto. Si tratta della solitudine per incomprensione e disconoscimento che Gesù ha vissuto in modo misterioso nella redenzione. Mi rendo conto che siamo in un tema delicatissimo e che si può approfondire più con il cuore che con la mente (quindi ognuno si senta libero di dissociarsi). Questo dramma dell’incomprensione e rigetto del senso più profondo della sua opera salvifica, che ha accompagnato la Sua manifestazione pubblica fin dall’inizio, raggiunge il culmine nell’ “ora” tremenda. Eppure - purtroppo - possiamo leggerlo presente anche nella storia del nuovo Israele e, perché no, forse qualcosa possiamo trovare anche nella nostra storia personale. Il parossismo di fatto si attua nella sua massima espressione in quell’ora e, benché Gesù l’avesse annunciato proprio a quelli che lui aveva eletto ad “amici”, nel momento in cui essi dicono di aver compreso chi è. “Adesso credete? Ecco verrà l’ora in cui vi disperderete ciascuno per conto proprio e mi lascerete solo”. L’esperienza della Trasfigurazione avrebbe dovuto consolidare almeno quei tre per accompagnarlo nel momento nel quale avrebbe cominciato a versare sangue per fare la volontà del Padre, “vegliate e pregate per non entrare in tentazione; lo spirito è pronto ma la carne è debole”. Ma... E infine, nel momento dell’estremo sacrificio: “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato”. Prima di essere ferito nel corpo, Cristo fu ferito nell’anima. L’abbandono, l’incomprensione e il travisamento dei più cari recò molta afflizione al cuore del Signore. Però per esplorare questo mistero, più che con la mente, dobbiamo partire dall’esperienza della sofferenza che noi stessi possiamo avere provato o comunque veduta di riflesso in chi ama e, non solo non è corrisposto, ma rigettato. L’ afflizione è proporzionata all’amore. Gesù aveva detto ai suoi amici: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici”. Si tratta di quell’amore che il Cantico dei Cantici dice che “è forte come la morte” e che “le grandi acque non possono spengere” (8,6-7). Il punto fondamentale è che quello che il Cristo vive nell’ora estrema è il paradigma del dramma divino umano della salvezza: offerta, ma… . S. Giovanni è l’evangelista che meglio cerca nei suoi scritti di trasmettere questo messaggio.  Un amore immenso che Dio ha per la sua creatura prediletta. Ma l’amore non si può imporre, può solo proporsi e in uno stato – purtroppo – che esige misteriosamente la prova fiduciale da parte dell’uomo decaduto. È scontato che il fatto di scrivere queste cose possa farmi sentire affrancato dalla lotta, sarebbe una tentazione. Tutt’altro, confido solo in questo Amore misericordioso e nell’aiuto della vostra preghiera. Del resto l’avvertimento che non si debba mai abbassare la guardia ce lo richiama espressamente Gesù stesso nella sua reiterata preghiera quotidiana: non abbandonarci nella tentazione. Termino ribadendo che l’intento di queste poche e stringate righe è quello di darci uno spunto in più nel cercare di fare bene, mediante la fede, la Pasqua con Lui per risorgere convinti ancora di più di vigilare e adoperarsi perché: il “cuore” della riadesione a questo Amore misericordioso, è nel nostro cuore.

RISURREZIONE - 12 APRILE 2020

Al termine di questo triduo non potevo mancare di condividere qualche piccola riflessione sulla gioia della Risurrezione. Infatti se abbiamo cercato di unirci empaticamente alla passione e morte del Cristo, ora non possiamo che esultare nel “risvegliarci” alla bellezza della luce della Sua risurrezione. Una Luce che si sprigiona, nello stupore di tutto il creato, come da punto focale della storia per darle un senso nuovo e compiuto, sia a livello di vita personale che collettivo. È una luce che rende nuova la bellezza delle cose buone e alimenta il coraggio e la speranza nell’affrontare quelle meno buone, perché Cristo è veramente risorto e con Lui tutta la vita risorge ad un significato nuovo che non tramonta nel breve, e più o meno sofferto, orizzonte di questo mondo. L’anelito più profondo dell’anima che attende, come dice il salmo, più che le sentinelle la luce del mattino, adesso trova nella fede la pace. Un antico sapiente biblico, giudicando la vita umana dal punto di vista terreno, lamenta il pessimismo di una ciclicità che vanifica tutte le cose a causa della morte (vanità delle vanità…). Ma questo lamento nasce appunto proprio da quell’anelito dell’anima che esige una ragione d’essere superiore della vita umana più forte della morte e che - a causa della incompletezza della Rivelazione - sembrava ancora mancare. Ecco ora con la sua risurrezione Gesù ha attestato la verità delle sue parole: “Io sono la risurrezione e la vita ; chi crede in me, anche se muore vivrà (…) in eterno” (Gv11,25-26). La nostalgia di un Bene infinito posta nel cuore umano trova ora la sua ragione d’essere e nel contempo la possibilità di essere esaudita. La vita umana sulla terra - pur rimanendo sommamente importante perché è il primo livello della chiamata ad esistere ed è “decisionale” nella sua determinazione eterna - rimane nella nuova prospettiva di fede, certificata dalla risurrezione di Cristo, solo embrionale. Così anche l’apparente vanità della fatica, dell’impegno e della stessa sofferenza umana non è affatto distrutta. In Cristo tutto ciò che si vive come espressione di amore evangelico a gloria di Dio e attenzione nella relazione con l’altro, esce dal tempo per essere accolto nei forzieri eterni del cielo. La nostra vita non è perduta nell’immensità del numero e nell’indifferenza del mondo. Siamo conosciuti e amati dal Signore personalmente, che ci ha eletto a suoi discepoli per formare un solo corpo in Lui. “Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me (…) esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno mai perdute e nessuno le rapirà dalla mia mano” (Gv10,14.27-28). Rafforziamoci dunque nella convinzione della preziosità di rimanere saldi alla sequela di Colui che è Verità che illumina la via che porta alla Vita e non permette che inciampiamo: “non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno non inciampa perché vede la luce di questo mondo”(Gv11,9) e Cristo è la Luce del mondo. Buon “risveglio” nella luce del Signore risorto.

Con affetto. Don Roberto.

DIVINA MISERICORDIA - 19 APRILE 2020

C’è come un appuntamento in un piccolo spazio nella grazia del Signore che penso possa aiutarci a rimanere uniti nel condividere anche questo tempo di prova e anche, più o meno, di sofferenza. Per questo vi invio queste riflessioni sul Vangelo che pure nella loro piccolezza possono dare un qualche spunto di incoraggiamento e di speranza nella fede. Con questa domenica, che S. Giovanni  P.II - in perfetta armonia con il Vangelo del giorno -ha intitolato alla Misericordia Divina, finisce il “gran giorno” di Pasqua. In realtà con la Pasqua del Signore e l’invio dello Spirito Santo è iniziato un tempo nuovo che durerà fino al ritorno del Cristo, nella Parusia finale. La missione che Gesù affida agli undici, oltre che reale e specifica, è anche simbolica nel senso che racchiude anche la nostra di discepoli ed è quella di cooperare alla riconciliazione del mondo nella fede con Dio – Amore. Un amore che si è manifestato non solo con l’annuncio della Parola di salvezza da parte del Signore, ma anche nella testimonianza della Verità che Egli ha dato morendo di una morte atroce in croce, come “Agnello di Dio” immolato, per “togliere” il peccato del mondo. È la sua risurrezione poi che pone il sigillo di autenticità e, nel contempo però, evidenzia anche il dramma del peccato in tutte le sue forme e le sue conseguenze non solo terrene, bensì anche quelle della separazione eterna per rigetto di questo Amore misericordioso. Per avere una percezione più profonda di questa Misericordia Divina non possiamo prescindere da questo dramma umano, nella convinzione che siamo di fronte ad un grande mistero di cui però ne sperimentiamo i “contorni”. Nel clima di dissoluzione dei riferimenti fondamentali della nostra fede, forse non è fuori luogo rivederne i capisaldi. La Divina Rivelazione ci mostra questa Misericordia Divina come volontà salvifica appassionata di Dio per la salvezza di ogni uomo (Dio ha tanto amato il mondo da dare…); ma non nasconde nemmeno l’evidenza che questi vive in questo mondo nella contraddizione della croce e della presenza del mistero del male in tutte le forme, comprese quelle che si auto infligge. Al centro c’è la grande dignità della creatura umana, creata ad immagine di Dio, ma anche ferita profondamente nella dimensione relazionale con Dio e fraterna, pertanto bisognosa di una salvezza che non può venire dal mondo ma solo dal suo Creatore del quale porta una nostalgia profonda al centro del suo cuore. Come pure però porta in sé anche i germi del sospetto e della insubordinazione inoculati dal “serpente antico”, i quali inclinano alle “auto-salvezze” e alla cecità sull’alto significato della vita umana. Ebbene, in questo dramma si svela l’azione misericordiosa dell’Amore divino, che trova la sua espressione più alta appunto nella Croce del Cristo, e che cerca la sua creatura per richiamarla  al suo fine altissimo che è la partecipazione, nella comunione gioiosa, alla stessa Vita divina! Le forze in gioco sono molto forti e la buona battaglia della fede non è cosa affatto scontata. Occorre tenere alta la speranza della nostra vocazione facendo spazio sempre più a questa Misericordia che chiede solo di essere riconosciuta nella sua azione di liberazione come “la Luce vera, quella che illumina ogni uomo” cosicché possa accedere sempre più alla Vita ed essere vero testimone, incarnandola nell’amore fraterno, della bellezza e bontà della riconciliazione con l’Amore di Dio.

 

EMMAUS

L’invito che mi viene da questa pagina molto bella del Vangelo è quello di operare come un transfert sostituendoci a quei due discepoli. Si, il contatto vivo con il Risorto ha una potenza singolare; eppure per Gesù si tratta ancora di una pedagogia propedeutica rivolta alla pienezza del rapporto che tutti i credenti - quindi anche di noi che, pur non avendolo visto, crediamo - sono chiamati ad avere in Lui nel cammino della vita terrena. È proprio per questa completa formazione dei suoi Undici che il Risorto si prenderà cura di loro istruendoli ancora per quaranta giorni prima di ritirare la sua presenza visibile. In questo senso il cammino insieme a Gesù risorto di questi due discepoli diventa anche un cammino simbolico, cioè è espressione della riscoperta, fatta alla luce della risurrezione del Cristo, nella rilettura delle antiche Scritture fino allo “spezzare il pane”, del loro più alto significato. Per questi due discepoli ebrei si tratta della gioiosa presa di coscienza dei prodromi che l’antica Rivelazione divina porta in sé sul Cristo fino alla stipulazione della nuova Alleanza, che egli istituirà nel suo Sangue con il grande Sacrificio. Non solo di questo ma, di conseguenza, anche della grandezza trascendente del Cristo e della sua missione alla luce della sua Pasqua di risurrezione. Ebbene tutto ciò, come accennavo prima, specie per coloro che dovranno essere le guide, occorre che questa esperienza dell’incontro con il Signore risorto prosegua attraverso un cammino di ritorno in Galilea: “là lo vedrete (con occhi nuovi)”. Di fatto quel “ritorno in Galilea” significava rivivere la loro esperienza di discepoli fin dall’inizio alla luce del grande evento della Risurrezione. Quello che volevo mettere in evidenza, perché mi sembra abbia importanza anche per noi, oltre alla necessità della crescita spirituale attraverso la rilettura della nostra vocazione alla luce del Cristo, è la considerazione sulla mutazione della speranza di queste persone. Gesù non si mette a contrastare con i loro ideali, se siano o no più o meno giusti. No, va alla radice della novità del valore dell’esistenza di credenti. La rivoluzione che opera è nel cuore che si scalda al calore di quel “fuoco” che è venuto ad accendere sulla terra con il suo “Battesimo” di sangue. Dove sono finiti gli ideali bellici di questi due discepoli? Certamente li hanno dimenticati. La discesa dello Spirito Santo completerà l’Opera rendendoli una comunità unita in un cuor solo e un’anima sola, mite e umile secondo il desiderio del Fondatore. Forse anche povera, anche se non misera, ma di una potenza grande perché dall’uomo nuovo nasce un mondo nuovo. Possiamo avere anche ideali belli e giusti, urgenze importanti…ovvero paure, sofferenze, anche acute. Certo il Signore non è indifferente al nostro stato, specie quello emotivo, ma desidera affiancarsi al nostro camminare in questo mondo se non altro per moderare le attese e lenire le sofferenze, anche con delle grazie specifiche, ma soprattutto per darci esperienza nella grazia dello Spirito Santo del valore della nostra esistenza non solo terrena.

Un caro saluto. Don Roberto.

 

 

GESU’ BUON PASTORE

La liturgia della Messa di questa Domenica, come si vede anche dalle stesse letture, è dedicata alla figura di Gesù buon pastore. Ma il piccolo, e forzatamente sintetico, commento che vi propongo non riguarda direttamente la Figura del Signore, quanto la sua azione concreta nei riguardi proprio del primo tra i suoi Apostoli perché questo mi dà l’impressione di accostarmi di più al quotidiano della nostra vita. L’ultimo versetto della seconda lettura (eravate erranti come pecore, ma ora siete stati ricondotti al Pastore e custode delle vostre anime), insieme a quello che leggiamo nell’altra lettera di Pietro: “Esorto gli anziani che sono tra voi, quale anziano come loro (…) pascete il gregge di Dio, che vi è affidato, sorvegliandolo non per forza ma volentieri secondo Dio; non per vile interesse, ma di buon animo; non spadroneggiando sulle persone a voi affidate, ma facendovi modelli del gregge”(1Pt5,1-2), ci mostra un Pietro ben diverso da quello che appare nei Vangeli, un po’ baldanzoso e troppo sicuro di sé. Ora ci appare, si, fermo e compreso del suo ruolo, ma anche dolce e mite come vero Apostolo del Cristo. Tra queste due immagini c’è di mezzo la caduta rovinosa del disconoscimento del Cristo nella passione e la terapia misericordiosa del Signore che lo ha ristabilito - di fronte agli Apostoli - come colui che dovrà pascere il suo gregge. Il Signore ha il potere di ribaltare in bene la defezione dell’apostolo, amaramente pentito, trasformandola in motivo di formazione e di progresso spirituale. Come dicevo, questo lo si vede bene da quelle piccole, ma significative, tracce storiche menzionate all’inizio; si può dire che l’ammaestramento è penetrato ormai nelle fibre del cuore del buon Pietro. Ecco dunque emergere concretamente un esempio della delicata cura pastorale del Cristo che diventa poi anche un insegnamento per tutti. Infatti tutti, in un modo o in un altro, abbiamo nelle relazioni con gli altri da esercitare questo tipo di cura pastorale. Vuoi nell’aspetto positivo che, là dove c’è responsabilità formativa ed educativa, deve configurarsi sull’esempio di Cristo con pazienza, lungimiranza e “comprensione” dei limiti e difetti umani. Vuoi in quello di correzione che, a causa della caducità della condizione umana, accompagna pur esso la nostra vita nel mondo. Infine anche nella dimensione personale di auto- correzione. Il Cristo, buon pastore, può ribaltare in bene anche le defezioni (certamente, specie se di rilievo, accompagnate da sincero pentimento). Infatti l’esperienza della propria debolezza e fragilità creaturale vissuta non come un rilassamento quietista, bensì come impegno a migliorarsi nella prossimità dell’amore misericordioso di Dio, inclina ad una “giusta cognizione di sé”, che, come insegna S. Paolo (cfr. Rm12,3) e abbiamo visto ben riflesso in Pietro, è bene prezioso per l’umiltà. Un caro e affettuoso saluto. Don Roberto.

PICCOLA RIFLESSIONE

Con la prospettiva che questa sia, se non l’ultima, per lo meno la penultima situazione di emergenza nella quale siete privati della grazia della Celebrazione Eucaristica - grazia nella quale il Signore rinnova con noi la sua Alleanza nel suo Sangue, donandosi come Pane del cielo nell’Eucaristia e nella “Parola spezzata” - eccomi con il “pannicello caldo” della piccola riflessione che condivido con voi ormai da diverso tempo con la speranza che possa essere un piccolo motivo per sentirci uniti nel cammino di fede. Il tema evangelico predominante è quello del ruolo dell’umanità del Cristo come mediatrice della visione del Padre. All’uomo è vietato farsi una immagine di Dio, ma Dio è libero di donarci l’immagine di Se stesso. A noi però spetta saperla guardare come tale, ovvero con il giusto senso dell’alterità grandiosa e nello stesso momento della condiscendenza misericordiosa di questo dono. È condiscendenza in quanto risponde ad una esigenza profonda del cuore umano, ferito da una nostalgia di “Infinito”, di accedere a questa sorgente del Vero, del Bello e del Buono che solo può dissetarlo. E, “Dio (che) nessuno l’ha mai visto, proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, Lui lo ha rivelato”.  Però nonostante tutto ciò non si può prescindere dalla condizione creaturale ricordata dallo stesso Signore: “nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio voglia rivelarlo”. Quello che è certo è che, grazie all’umanità assunta dal Figlio con l’Incarnazione, questa rivelazione che di per sé non è mai esaustiva, ci viene dato di averne un misteriosissimo accesso e questo fatto è di grande importanza, perché ci introduce nella conoscenza del Dio uno e trino. Ecco tracciata la via da percorrere nella dimensione preziosa della Speranza, sia come mèta che è quella di giungere a “vederlo così come egli è” (cosa questa che ci viene rivelato corrispondere alla partecipazione alla stessa Vita di Dio), sia perché ci è concesso, attraverso la grazia dello Spirito Santo che porta nei nostri cuori lo stesso Amore divino, di potere percepire i prodromi di questa mèta. Però è Gesù stesso che ci avverte che, a causa della nostra condizione umana in questo mondo, si tratta di una via ardua da percorrere nella quale dobbiamo affrontare mille contraddizioni e lotte contro tutte le forze antagoniste. Ci consola la visione del Figlio che, assumendo un volto umano, si è fatto “via” attraverso la concretezza della semplice vita terrena. Il Signore poi, conoscendo la nostra debolezza, ci ha dato se stesso come nutrimento soprannaturale e come presenza continua reale, divina e corporea, nella santissima Eucaristia. Dunque una via che di per sé è erta, ma, se vissuta con generosità e fede, di fatto diventa affascinante e bella, assomiglia ai sentieri di montagna che spesso, proprio quando sono faticosi, aprono a visioni sempre nuove che, nel caso specifico, sono le ragioni del nostro essere in questo mondo secondo il fine a cui Dio ci chiama.

 

LUCE DI VERITA’

Il Vangelo di questa Domenica ci introduce nel contesto nel quale Gesù rivela le ultime verità, quelle verità che hanno un carattere precipuo nella formazione della coscienza, cioè i valori che maggiormente ne determinano l’assetto interiore e come tali sono dirimenti anche nelle scelte operative della vita cristiana. Davvero “lampada ai miei passi è la tua Parola”. Ma questa luce non ha i semplici contorni delle logiche di questo mondo. Anzi a volte appare follia per il mondo. Eppure non è affatto in contrasto con la ragione umana, solo che la supera come il cielo è alto sulla terra. Essa non penetra semplicemente con lo studio cognitivo arido “a tavolino”, bensì con il fare prima di tutto spazio all’Amore divino nel cuore, cioè all’accoglienza dello Spirito Santo, Consolatore e Ospite dolce dell’anima. È Lui, lo Spirito di Verità, che ci permette di “osservare” cioè di contemplare quelle realtà che la Rivelazione divina, massimamente nel “sommo Rivelatore”, ci rende note. Esse per loro natura, cioè per la loro origine, hanno il carattere di comandamenti in quanto non sono negoziabili né, tanto meno, “aggiustabili” per fare spazio e trovare consenso nel gusto umano, magari con la giustificazione di rendere più facile l’evangelizzazione. Più volte i contemporanei di Gesù, compresi gli stessi discepoli, lo hanno tentato in questo senso di scendere a compromessi. Ma la reazione è stata ferma e incisiva. Egli è la Verità e non può contraddirsi. Siamo noi uomini che coniamo idee, mete e speranze alle quali attribuiamo il ruolo di “salvezze” costruite dalle nostre mani. In realtà non solo non sono tali, e quindi deludono, ma nel loro inganno polarizzano interessi ed energie e, essendo menzognere, dividono creando conflitti a tutti i livelli di vita associata. Ciò non significa affatto che non sia doveroso per il cristiano dare tutto l’impegno umano nel cooperare a che il genere umano possa vivere al meglio anche in questo mondo. Ma questo, per essere veramente positivo e fruttuoso, non può prescindere dalla consapevolezza della necessità di rimanere nel suo Amore. Da qui dunque la necessità di dare il dovuto rilievo alla nostra vita interiore con la preghiera, non solo labiale, ma, come prima ho accennato, che abbia anche un carattere riflessivo – contemplativo. Questo anche per reggere meglio l’urto particolarmente aggressivo della cultura laicista moderna.

Un caro saluto. Don Roberto