L’
ICONA RUSSA
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STORIA DELLA DONAZIONE DELL’ICONA ALLA NOSTRA CHIESA Appunti tratti dai ricordi della Signora Comelli
Rina ved. Pagnini. Siamo
in Russia nell'anno 1941. Un
soldato torinese, un certo Gobetti, sta per tornare in Italia dopo quattro
anni di prigionia in quel Paese dove ha alloggiato presso una famiglia del
posto. Prima
di partire il soldato si vede consegnare una icona
sacra, raffigurante il Crocifisso con la Madonna e S. Giovanni, che era stata
tenuta nascosta sotto il pavimento di casa per paura della polizia. |
Nel consegnargliela
quella famiglia gli mostrò che l'icona aveva sanguinato proprio durante una epidemia avvenuta a causa di quella terribile guerra.
In quella tremenda circostanza, visto il gran numero di morti e di malati,
molta gente si era raccolta a pregare attorno a questa immagine sacra. Ora,
mentre dalla situazione di grande sofferenza si levava questo grido di dolore
e di implorazione, l'icona aveva sanguinato e, nel contempo, l'epidemia era
cessata e molti malati erano guanti. Ma ora tenere questo oggetto sacro era
diventato pericoloso sia per la famiglia, che per l'icona stessa. |
Infatti se la polizia avesse
trovato l'icona avrebbe probabilmente ucciso quella gente e distrutta la
stessa immagine sacra. Dunque era necessario privarsene, ma con grande
rispetto. Ecco perché nel consegnarla al soldato italiano, la famiglia volle
essere rassicurata che questi l'avrebbe portata in una chiesa dove sarebbe
stata esposta alla giusta venerazione. Il Gobetti rimase piuttosto sorpreso
perché in quegli anni non si era neanche accorto di aver vissuto in una
famiglia cristiana. |
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Lui
stesso era poco credente; ad ogni modo avvolse l'icona in una coperta e la
pose fra la sua schiena e lo zaino e partì. Giunto in Italia però la
situazione non era certo delle migliori (era ancora in atto la guerra). Il
Gobetti mise l'icona in un baule e se ne dimenticò per ben otto anni. Intorno agli anni
cinquanta conobbe, per motivi di lavoro, i coniugi Pagnini,
molto credenti. In quell'occasione gli si risvegliò la memoria e raccontò la
storia dell'icona. Saputo che la famiglia Pagnini
disponeva di una Cappella privata in una fattoria nella località della
Romola, gliela consegnò perché fosse appunto collocata in un luogo sacro,
secondo l'impegno che si era assunto alla partenza dalla Russia.
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Fu dunque deciso di
destinare questa immagine sacra alla Cappella suddetta, cosicché il Gobetti
la consegnò ai Sigg.ri Pagnini che risiedevano a Prato. Questi la misero in auto
e, insieme ad altre persone, si avviarono verso la
loro fattoria. |
Era sera e giunti che
furono vicino alla località si accorsero di un fatto straordinario: benché
nessuno avesse accesso alla Cappella (infatti l'unica chiave della medesima
l'aveva in tasca la Signora Rina) la Chiesetta era tutta inspiegabilmente
illuminata. Giunti che furono sol posto una strana bestia, tipo cane nero, si
parò contro l'auto e si disperse nei campi distraendo l'attenzione degli
astanti. Intanto la Cappellina era ritornata normalmente al buio. La cosa si
riseppe e il parroco del luogo don Luigi Sguanci informò l'Arcivescovo di
Firenze il Card. Elia dalla Costa, che venne a visitare la Cappellina con
l'icona sacra e, nell'occasione, vi annesse anche un'indulgenza. Per
diversi anni la ricorrenza di questo evento fu celebrata con preghiere e
festa. Intanto il Sig. Gobetti. con l'aiuto di P.
Leonardo dei Cappuccini di Prato, aveva ritrovato la pienezza della fede.
All'inizio degli anni settanta purtroppo alcuni furti di oggetti sacri
avvenuti nella Chiesetta della fattoria costrinsero la Signora Rina, ormai
rimasta vedova, a ritirare per prudenza l'icona sacra dalla Cappellina e
conservarla, con grande rispetto e dignità, nella propria casa di Prato, con
il proposito di destinarla definitivamente alla Chiesa di S. Maria delle
Grazie in Calenzano. La Signora Pagnini infatti è stata legata a questo luogo di culto,
voluto da Padre Pio, da
una lunga storia di dedizione nonché da forte amicizia con il Sig. Bardazzi Giovanni che, come
noto, per volontà del padre, costruì insieme ad altri negli anni cinquanta la
suddetta Chiesa. |
ICONA - EIKON
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La parola icona deriva da una parola greca eikon
che significa immagine, in storia dell’arte designa una pittura spesso
portatile di genere sacro, eseguita su tavola di legno con una tecnica
particolare e secondo una tradizione tramandata nei secoli. L’oriente
bizantino è la patria dell’icona. Sulle icone sono rappresentati Gesù Cristo,
la Madre di Dio, gli Angeli, i Santi, le Feste, ma l’icona è molto di più di
una semplice raffigurazione e, solo l’evento della incarnazione, l’ ha resa
possibile. Nell’antico testamento Dio aveva proibito che si tentasse di fare
la sua immagine. Soltanto l’arte decorativa, prevalentemente con forme
geometriche esprimeva il senso dell’infinito, come vediamo ancora oggi presso
ebrei e musulmani. La nascita dell’icona coincide quindi con la nascita
terrena del figlio di Dio: Gesù Cristo infatti non è
soltanto il verbo di Dio ma anche la sua immagine: "Cristo è l’immagine
del Dio invisibile (Col. 1,15)". La prima e fondamentale icona perciò è
il volto di Cristo, l’icona della Madre di Dio sarà possibile in quanto la
Vergine porta il figlio Divino, le icone dei Santi saranno fattibili perché,
assumendo la natura umana Gesù ricrea l’immagine dell’uomo ad immagine di
Dio. E l’icona trasmette l’immagine di un uomo purificato, trasfigurato,
rivestito della bellezza incorruttibile del Regno di Dio. L’icona
rappresentando Gesù Cristo e i "suoi simili", li rende
misteriosamente presenti e questo la distingue da un quadro. Evidentemente il
luogo di questa presenza non è né la tavola né i colori ma la somiglianza al
prototipo, a colui che è rappresentato sull’icona, somiglianza che deve
essere riconosciuta dalla chiesa prima della benedizione dell’icona. |