GIACOMO (figlio di Alfeo) GR. IAKOBOS;
EB. YAAQOB |
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Tra quanti sono conosciuti come fratelli di Gesù,
quello chiamato Giacomo diventò il più importante. I Vangeli parlano di
diversi fratelli di Gesù. Quando egli tornò nel suo villaggio a predicare
nella sinagoga, fu accolto con scetticismo: «Non è egli forse il figlio del
carpentiere? Sua madre non si chiama Maria e i suoi fratelli Giacomo,
Giuseppe [Joses in Marco 6,3], Simone e Giuda? E le
sue sorelle non sono tutte fra noi?» (Mt 13,55-56). Di questi membri della famiglia di Gesù, soltanto
Giacomo e Giuda sono citati per nome in altri passi del Nuovo Testamento;
Giacomo, in quanto capo della primitiva Chiesa di Gerusalemme e forse autore
della Lettera di Giacomo, e Giuda, forse come
autore della Lettera di Giuda. |
I
fratelli di Gesù, però, sono ricordati globalmente, come gruppo, in diversi
altri passi del Nuovo Testamento. Fin
dal sorgere della credenza nella verginità perpetua di Maria - proclamata
dogma della Chiesa nel 451 d.C. — il concetto di fratelli e sorelle di Gesù è
stato oggetto di discussioni tra gli studiosi cristiani. Sono state proposte
diverse interpretazioni alternative. Una è che costoro fossero
solo fratellastri e sorellastre, in base alla tradizione non biblica che
Giuseppe fosse vedovo con figli quando sposò Maria. Un'altra ipotesi è che il
termine comunemente tradotto con "fratello" volesse
significare "cugino". I sostenitori di
quest'ultima teoria osservano che un'altra Maria, «la madre di Giacomo il
minore e di Joses» (Mc
15,40), era presente alla crocifissione e fu tra quelle donne che trovarono
la tomba di Gesù vuota. Questa persona potrebbe essere identificata con Maria
moglie di Cleofa, che Giovanni ricorda tra coloro
che assisterono alla crocifissione, chiamandola sorella di Maria madre di
Gesù e giungendo così ad affermare che, in realtà, Giacomo era cugino di Gesù, ma veniva definito
"fratello" secondo il costume ebraico. Altri
interpreti semplicemente rilevano che, a quei tempi, era alquanto diffuso
l'uso metaforico dell'espressione "fratelli e sorelle" e suggeriscono
che si trattasse di compagni così vicini a Gesù da essere considerati suoi
familiari. Attualmente, però, molti studiosi protestanti considerano i
riferimenti ai fratelli di Gesù come veri alla lettera. I
Vangeli sottolineano che i familiari di Gesù erano
scettici nei confronti del suo ministero. Una volta sua madre e i suoi
fratelli si presentarono fuori della casa dove egli stava predicando e lo
mandarono a chiamare, forse preoccupati per la sua sicurezza o persino per la
sua sanità mentale. «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?», chiese
Gesù e poi rispose lui stesso alla domanda: «Chi compie la volontà di Dio,
costui è mio fratello, sorella e madre» (Mc 3,33;35). Così, per salvaguardare il suo ministero, Gesù
ridimensionò le esigenze familiari. E quando i suoi fratelli cercarono di
manipolarlo, inducendolo a parlare più apertamente di quanto stesse facendo,
egli respinse la loro proposta, dicendo: «II mio tempo non è ancora venuto» (Gv 7,6). La
presenza della madre di Gesù e dei suoi fratelli nella stanza al piano
superiore della casa in Gerusalemme con gli 11 apostoli (mancava Giuda
Iscariota), dopo la sua morte e risurrezione, significa che i suoi
familiari erano diventati credenti. Inoltre, Paolo
scrive che Gesù risorto «apparve a Giacomo e quindi a tutti gli apostoli» (1
Cor 15,7), includendolo tra coloro che avrebbero potuto
testimoniare il trionfo di Gesù sulla morte. E nella storia della Chiesa presentata dal libro degli Atti, Giacomo emerge come il più importante dei fratelli di
Gesù. Alcuni suggeriscono che, dal momento che è citato per primo nella
lista dei fratelli, Giacomo doveva essere il più
anziano. Ma sembra che la sua importanza derivasse
prevalentemente dalla sua vicinanza a Gesù, perché viene sempre indicato come
«il fratello del Signore» (Gal 1,19). Quando Paolo andò a Gerusalemme, tre anni dopo la sua
conversione, fece visita solo a due dei capi della Chiesa, Pietro
e Giacomo. Poi, a distanza di 14 anni, in occasione di un'altra visita a
Gerusalemme, Paolo disse che Giacomo, Pietro e Giovanni, il figlio di Zebedeo,
erano ritenuti «le colonne» (Gal 2,9) della Chiesa. Poiché Giacomo,
il figlio di Zebedeo, uno dei 12 apostoli, era già stato ucciso da Erode Agrippa I, quando Paolo fa questa
osservazione, risulta chiaro che si riferisce a Giacomo, il fratello di Gesù.
Per inciso, Paolo asserisce anche che gli altri fratelli di Gesù avevano una
qualche funzione di guida nella Chiesa primitiva, quando li cita come esempi
di coloro che servivano il Signore ed erano sposati: «Non abbiamo il diritto
di portare con noi una donna credente, come fanno anche gli altri apostoli e
i fratelli del Signore e Cefa? [Pietro]»
(1 Cor 9,5). |
CONSERVATORI CONTRO PROGRESSISTI In
quanto capo della Chiesa di Gerusalemme, Giacomo diventò il rappresentante della posizione conservatrice dei convertiti al cristianesimo
che mantenevano ancora tradizioni ebraiche. Spesso si trovarono a
contrastare l'influsso liberalizzante dei cristiani provenienti dal giudaismo
ma che, come Paolo, predicavano il Vangelo ai pagani. La controversia portò
alla conferenza di Gerusalemme, un evento descritto con diversa ottica in
Atti 15 e in un resoconto in prima persona di Paolo, che vi prese parte, in Galati 2,1-10. I responsabili della Chiesa di Gerusalemme
avevano sentito che i missionari in Antiochia stavano riscuotendo grande
successo tra i pagani, ma non esigevano che gli uomini convertiti si
facessero circoncidere. Fino ad allora, il
cristianesimo era stato quasi una corrente del giudaismo e conservava la
circoncisione, come era avvenuto per ogni ebreo dopo l'alleanza. Il
cristianesimo senza circoncisione era un fatto nuovo e uno di coloro che lo
sostenevano, Paolo, si recò a Gerusalemme per consultarsi con i capi della
Chiesa, compreso Giacomo. In quell'occasione,
questi assunse una posizione moderata, affermando che sebbene i pagani dovessero
essere circoncisi per potere diventare cristiani, riconosceva il diritto dei
pagani di essere membri della Chiesa senza convertirsi prima al giudaismo.
Ma ben presto sorse un altro problema. Paolo
racconta che, subito dopo la conferenza di Gerusalemme, Pietro si trovava ad Antiochia e
condivideva la vita dei cristiani provenienti dal paganesimo, che non osservavano
restrizioni alimentari. Ma «alcuni giunsero da parte di Giacomo» (Gal 2,12), evidentemente rappresentanti della Chiesa di
Gerusalemme, convinti che la Legge mosaica dovesse
essere ancora seguita integralmente dagli ebrei cristiani, soprattutto per
quanto riguardava la circoncisione e le restrizioni alimentari. I Giudei non
avrebbero perciò dovuto mangiare alla stessa mensa con i Gentili, a meno che
questi ultimi non avessero accettato le norme legali sui cibi; e Pietro,
come pare, chiese ai cristiani provenienti dal paganesimo di accettare le
imposizioni dei nuovi venuti. Giacomo continuava a
essere identificato chiaramente con un gruppo di giudei cristiani che osservavano
integralmente la Legge mosaica. I membri di quel
gruppo senza dubbio ritenevano l'adesione alla Legge compatibile con la
missione di Gesù, che si era rivolta quasi in assoluto ai Giudei della
Palestina e soltanto in rari casi, e a volte
accidentalmente, aveva raggiunto i pagani del mondo esterno. Secondo
lo storico ebreo Flavio Giuseppe, Giacomo subì il martirio in Gerusalemme pochi
anni prima del 70 d.C.,
l'anno della distruzione del tempio. Gli altri membri della comunità
cristiana furono cacciati da Gerusalemme, ma continuarono a esistere come
movimento minoritario all'interno della Chiesa primitiva per diverse
generazioni. L'autore della Lettera di Giacomo si
presenta come «servo di Dio e del Signore Gesù Cristo» che si rivolge «alle
dodici tribù disperse nel mondo» (Gc 1,1). Una
tradizione antica identifica l'autore come il fratello di Gesù. Ma oggi molti
studiosi ne dubitano, perché la lettera dimostra un'eccezionale padronanza
del greco, superiore a quella di altri scrittori del Nuovo Testamento, e ciò
non sembra compatibile con il filogiudaismo di
Giacomo. Nondimeno, il tono dell'epistola si addice alla linea di Giacomo,
perché è un testo in cui sono fortemente sostenute le tradizioni ebraiche
contro una forma di predicazione che assomiglia molto al messaggio radicale
di Paolo. |