"Volontari per liberare"
La Chiesa è presente nel carcere, non con la singola persona del Cappellano:
bensì con una comunità di persone.
Molti sono i motivi che ci spingono a formare questa comunità di volontari.
Le indicazioni di fondo ci vengono dalla Parola di Dio: Mt 25...
"Allora il re dirà... venite benedetti dal Padre Mio, ricevete in eredità
il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo.
Perché ero ...carcerato e siete venuti a trovarmi...".
Mt. 18... "Allora Pietro gli si avvicinò e gli disse: "Signore quante volte
devo perdonare al mio fratello se pecca contro di me?... "Gesù gli rispose:
"Non ti dico fino a sette volte ma fino a settanta volte sette..."".
Mt. 6... "Perché se voi perdonerete agli altri le loro colpe, il Padre vostro
che è in cielo perdonerà anche a voi.
Ma se non perdonerete agli altri il male che hanno fatto,
neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe...".
"La carità evangelica, poiché si apre alla persona intera e non soltanto
ai suo bisogni, coinvolge la nostra stessa persona ed esige la conversione
del cuore. Può essere facile aiutare qualcuno senza accoglierlo pienamente.
Accogliere il povero, il malato, lo straniero, il carcerato è infatti fargli spazio
nel proprio tempo, nella propria casa, nelle proprie amicizie, nella propria città,
nelle proprie leggi" (Evangelizzazione e Testimonianza della carità).
Ci rivolgiamo a ciascuno di voi nel nome dello stesso Signore in cui crediamo:
Sentite come vostri fratelli e figli coloro che vivono in carcere!
I volontari del Gruppo Carità Parrocchiale attendono adesioni per
poter offrire nel rispetto delle leggi, solidarietà fattiva in collaborazione
con l'ente pubblico.
Il ruolo del volontariato nell'area penitenziaria è quello di una presenza
come formatrice di cultura e di prassi di solidarietà.
Il volontariato come lievito, come coscienza critica nei confronti
della società e come stimolo della realizzazione della giustizia.
L'intervento del volontariato all'interno del carcere non solo come appoggio
a situazioni di emergenza iniziale, ma anche azione di ascolto:
lettura delle singole situazioni con studio di eventuali, possibili progetti
di reinserimento o di riaggancio familiare e sociale...
Il Cappellano |
Spezziamo la catena del silenzio
Mai come oggi le problematiche delle carceri d'Italia sono state in modo così diretto al centro dell'attenzione. Infatti, esse sono state maggiormente considerate solo quando i più illustri personaggi di Tangentopoli sono comparsi sulla scena giudiziaria e costretti a percorrere
l'impervio sentiero della umiliazione che di per sé stesso il carcere comporta.
E dire che molte volte i detenuti avevano levato in coro le loro voci per denunciare la disumana condizione carceraria, là dove molti di loro con fatica cercano anche di conservare integro quell'unico valore che solo se si è al di là delle mura nessun progresso né alcuna calamità naturale potranno mai distruggere: quello che fa trionfare l'amore all'insegna del rispetto per la famiglia e per la società civile.
Purtroppo, i nostri sapienti ed illustri rappresentanti dello Stato - nel loro operare - spesso hanno dimenticato di prendere coscienza della crudeltà dello stato detentivo e delle annesse problematiche esistenziali. Tuttavia, molti detenuti credono fermamente che debba esserci l'esistenza di un anello che li leghi alla società esterna e, motivati da questo, continuano a perseverare nella loro iniziativa di spezzare la barriera inframuraria e cercare di raggiungere fiduciosi la comunicazione con i loro simili, anche se spesso questi sembrano irraggiungibili.
E' vero che i detenuti si sono macchiati di colpe, e per questo stanno pagando con il bene più inestimabile: la libertà.
Ma è anche vero che una parte di essi si portano dietro l'amara esperienza di essersi trovati da ragazzini a girovagare per le strade, e questo perché il loro genitori, per le disagiate condizioni economiche in cui riversavano, non hanno potuto dar loro una adeguata educazione scolastica.
L'esplorazione del mondo circostante in giovane età e senza controllo affascina ed è facile essere plagiati dal benessere materiale. Altri sono stati costretti a commetter reato perché la disoccupazione rendeva loro impossibile garantire il sostentamento alla famiglia o perché, nei panni di ex detenuti, non hanno avuto la fortuna di sensibilizzare il prossimo a cui si sono rivolti.
Alla luce di questa esperienza - della quale palesemente emerge molta indifferenza della società civile (e credo che per questa mia affermazione nessuno potrà gridare allo scandalo) - è opportuno che ognuno si assuma le proprie responsabilità e provi ad avvicinarsi al mondo carcerario, perché è solo toccando con mano i reali problemi che affliggono i detenuti che si riesce a debellare questa sorta di diffidenza che si frappone tra la società civile e i loro fratelli umani carcerati.
In alcune carceri, ci sono dei volontari che con spirito umanitario si prodigano per attutire la crudeltà della detenzione con la loro solidarietà, ed il più delle volte sono ricompensati con la sincera gratitudine di quei (molti) detenuti che hanno avuto la possibilità di iniziare insieme a loro un processo di ravvedimento e di contrizione.
Purtroppo, questi volontari rappresentano un numero troppo esiguo - rispetto ai molti detenuti che nutrono serie intenzioni di dare una svolta positiva alla loro esistenza - e coprono soltanto usa minima parte dei cosiddetti "carceri modello". E allora, se ognuno di noi riuscisse a cogliere lo spirito della solidarietà, riusciremmo anche ad estendere questa iniziativa a tutte le carceri d'Italia, là dove il numero di detenuti che si rendono laboriosi e produttivi cresce notevolmente proprio perché essi "vogliono" rendersi utili e, cooperando con la società civile, possono raggiungere un mutamento radicale delle coscienze e non essere in nessun modo considerati figli di un Dio assente e immisericordioso.
Antonio Barone |