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Padre Giovanni Zuccolo
religioso canossiano
Apostolo dei giovani

Padre Giovanni ha impersonificato lo spirito dell'Istituto dei Padri Canossiani, che della contemplazione di Cristo Crocifisso e della Vergine Addolorata ha imparato a vivere nel nascondimento, nel sacrificio, nella povertà, la propria donazione. 

 

P. GIOVANNI
(particolare tela dell'altare 

S. Maddalena di Canossa)

 
Una vita dedicata all'Oratorio Canossiano nel servizio dei piccoli e degli ultimi. 
Nacque in Calle della Madonna a San Giobbe (Venezia) il 20 dicembre 1874. Ad otto anni, varcò per la prima volta le soglie dell'Oratorio Canossiano di San Giobbe, ed in breve divenne la sua seconda casa. 
Vi entrò definitivamente quando aveva 21 anni e vi rimase ininterrottamente per altri 65 anni, dedicandosi ai ragazzi e giovani fino alla morte. 
Gracile di salute, paziente e riflessivo, era dotato di grande volontà, che lo aiutò a superare innumerevoli difficoltà. 
Povero di cultura profana, ma ricco di senso di Dio acquistò con la preghiera, la pietà eucaristica e la devozione alla Madonna. 
Fu educatore e catechista prima con la coerenza dell'esempio che con il fascino della parola. Uomo semplice ed umile, fu il primo Superiore Generale dell'Istituto Canossiano, ma era sempre il primo nel servire e fare i lavori di casa, in cucina come in Oratorio. 
E proprio l'Oratorio fu la sua grande passione. 
In esso profuse le sue energie, ai ragazzi diede tutto il suo amore. 
Saggio e tenace, comprensivo ed esigente, era per ognuno padre e fratello, amico e confidente. Ma era e continua ad essere per tutti, l'immagine del credente e del canossiano, nato ai piedi della croce per testimoniare nell'umiltà e nel nascondimento l'amore generosissimo. 
Morì santamente, come era vissuto, il 10 febbraio 1960 all'età di 86 anni. 
Presto, ne siamo certi, sarà elevato agli onori degli altari. 
Per tutti è un modello di eroiche virtù. 
Padre Giovanni, insegna ai nostri giovani lo stile Canossiano fatto di serenità ed attenzione verso gli altri, di umile lavoro, di amore al catechismo, di zelo ardente e rispettoso, di vita comunitaria gioiosa ed aperta, di carità semplice e viva verso Dio, i ragazzi e i giovani. 
Padre Giovanni autentico professionista della pastorale giovanile, un professionista zelante e silenzioso, disponibile ed aperto, generoso ed eroico nel quotidiano. 


Beati voi giovani


che avete un cuore nuovo:
rinnovate il mondo!
che avete occhi limpidi:
difendete la purezza!
che avete mani forti:
difendete la giustizia e la pace!
che siete assetati di verità:
correte incontro a Cristo!
che lottate contro la tristezza e la naia:
siate profeti di speranza!
che vi inoltrate trepidanti verso la via:
la Madonna vi sia maestra e guida!
che offrite la vostra vita:
costruite il Regno di Dio!
che siete prediletti ed amati:
diffondete amicizia e gioia!

Non si può avere tutto dalla vita

Questa è la frase che spesso ci si sente dire quando o si è chiesto troppo o si devono giustificare promesse non mantenute. 
Le Egadi, fortunatamente, hanno avuto "tanto" dalla Natura e dalla Storia e questo le ha portate all'attenzione del mondo intero. Vedere in televisione i documentari che le riguardano, abilmente diretti, fa immaginare di isole felici, dove viene voglia di svernare o passare addirittura l'esistenza. Vivere la realtà locale, però, è cosa leggermente diversa. Questi lembi di terra hanno subito influenze sociali e culturali non indifferenti, nei secoli, ma, nonostante tutte le lezioni di vita e di civiltà, dai Fenici ai giorni nostri, non si è ancora affermata una vera coscienza sociale autoctona, capace di autogestirsi, con unità di intenti, senza dover subire ancora influenze esterne, spesso deleterie. E' come se le diverse che si sono susseguite nelle Egadi abbiano mantenuto frazionato l'etne locale in tanti piccoli gruppi isolati, in contrapposizione con il concetto di bene comune, perché comuni sono i problemi e il disagio. 
Tante sono le questioni di primaria importanza e tante le proposte di soluzione (se le chiacchiere fossero mattoni, le nostre isole sarebbero delle novelle Manhattan). L'unico "sport" che sembra avere successo qui è quello di cercare di far prevalere la propria posizione. 
Lo scenario è quello di una "Babele" di parole, atte a creare solo confusione, perché nella confusione ci si perda. E' come se ci fosse un preciso disegno perché nulla si muova, perché nulla cambi, forse perché è così che si esercita meglio il potere della sopraffazione. 
Non scendiamo ad esaminare tutte le problematiche, perché non è questa la sede più adatta, ma affrontiamo una questione per tutte, per la grande valenza umana, sociale e culturale che essa riveste nella crescita di una popolazione: lo sport! 
Fin dai tempi più antichi esso è stato palcoscenico del divertimento dei giovani, la palestra del loro benessere fisico, la fucina del sentimento puro di amicizia e quando era scenario di disfide, quelle battaglie non facevano mai vittime. 
La sconfitta era semmai il cemento di una costruzione più solida. 
In tempi più recenti lo sport, con il professionismo, è diventato anche motivo di lavoro. Con il raggiungimento di risultati al limite del possibile e con l'interesse delle masse focalizzato su mitiche imprese di grandi atleti sono nati gli "sponsor" e con essi anche l'economia ha avuto un forte incremento. 
In un momento dove si stanno perdendo, però, i grandi valori di umanità, di solidarietà e di fratellanza e dove l'unica campagna sicura e fedele, che cancella il pauroso spettro della solitudine, è diventata la droga, avere dei modelli sani a cui guardare, dare fondo al massimo impegno per esprimere le proprie potenzialità in un contesto di aggregazione sociale, è l'unica via di salvezza. 
Lo sport, ad esempio, permette di percorrere questa strada affermando ancora una volta, dai tempi di Olimpia ad oggi, la sua grande importanza formativa e culturale e dove, come da noi mancano molte elementari condizioni del vivere civile, esso riveste un ruolo di primaria importanza. Qui manca un circolo culturale dove scambiare conoscenze ed esperienze di vita, un centro sociale che si occupi di problematiche varie, una palestra ecc. Se non fosse per le istituzionali iniziative della Chiesa, non ci sarebbe per i nostri giovani nessun punto di riferimento. 
Ed ecco venir fuori, finalmente, la nota dolente, la mancanza di strutture, vero motore della socialità. 
Non parliamo di quelle che sono di competenza ed iniziativa per lo più privata. 
La mancanza di una palestra comunale coperta polivalente è l'esempio a simbolo delle gravi carenze funzionali a cui sono assoggettate le Egadi. I nostri ragazzi sono costretti a praticare attività fisica all'addiaccio, in quella improvvisata palestra che è la strada, oppure ad essere ospiti infreddoliti dell'Oratorio dei Padri Canossiani, che mettono a disposizione tutto quello che hanno, pur di toglierli dal pericoloso contatto con il "dolce far niente" ma che di caldo possono dare solo il loro affetto. La palestra della Scuola Media di Favignana, che è l'unica struttura al coperto, limitata per altro, non può e non deve sopportare il carico prodotto della grande sete di sport che si respira in loco, perché istituzionalmente non è sede di attività estranea all'insegnamento scolastico. Si è sostituita alle strutture mancanti ma ha subito solo danni e non si può assistere impotenti allo scempio che si fa della cosa pubblica vista che vale sempre la vergognosa regola che "ciò che è di tutti è di nessuno". 
Bisogna allora creare le strutture "ad acta" che rispondano alle esigenze primarie e responsabilizzare tutti nella gestione e nella tutela del patrimonio comune. Una inversione di tendenza, insomma, che educhi al rispetto di ciò che, proprio perché non nostro, merita più attenzione. Esistono finanziamenti pubblici, per la realizzazione di queste opere, che richiedono solo l'impegno di uomini di buona volontà nel disbrigo di poche pratiche burocratiche. Bisogna superare la logica delle fazioni perché il prezzo da pagare è troppo alto se ad essere intaccato è il futuro dei nostri figli e quindi, in conclusione, quello della società tutta. Proprio questo impegno è stato nel tempo richiesto e quel che si è ottenuto sono state solo promesse mai mantenute, forse perché: "non si può avere tutto dalla vita!" 
Tutti dobbiamo impegnarci perché lo sport non muoia né qui né altrove, perché se così dovesse essere, rinnegando parte della nostra giovinezza, avremmo il rimorso di avere tolto ai giovani quella componente di educazione e di crescita fisica e spirituale basilare per la loro formazione definitiva.