Precisazioni
in merito ad una eventuale promulgazione di "Motu proprio"
per facilitare l‘applicazione dell’Indulto sull’uso del Messale così detto di
San Pio V (Arcidiocesi di Genova - |
Poiché recentemente nell'Arcidiocesi sono circolati commenti
anche fuorvianti, a proposito di una eventuale
promulgazione di Motu proprio per facilitare l'applicazione
dell'Indulto sull'uso del Messale, così detto di San Pio V, si ritiene pastoralmente utile chiarificare quanto segue: |
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1) il Papa, in forza
della sua suprema autorità, ha la facoltà di porre in essere atti giuridici e
pastorali universalmente validi e vincolanti; 2) la celebrazione
legittima e fruttuosa dell'Eucaristia richiede la piena comunione ecclesiale,
di cui - in ultima istanza - è garante il Sommo Pontefice che personalmente
ha ricevuto dal Signore Gesù Cristo la missione di confermare i fratelli
nella fede (cfr. Lc. 22, 32; Mt 16, 17-19; Gv 21,15-18); quindi, è proprio il Vescovo di Roma a
presiedere, con grande misericordia e gioia, la carità universale, non
smettendo mai di cercare l'unità di tutti coloro che credono in Cristo; 3) il Concilio Vaticano
II non ha abolito o chiesto di abolire la Messa di San Pio V; piuttosto ne ha
chiesto la riforma dell'ordinamento come risulta in modo chiaro dalla lettura
della Costituzione sulla Sacra Liturgia, capitolo III, numeri 50-58 (cfr. EV 1/86-106); 4) l'ampliamento
dell'indulto riguardante la liturgia cosiddetta di San Pio V, non equivale in
alcun modo a sconfessare il Concilio Ecumenico Vaticano II, né il Magistero
dei Papi Giovanni XXIII e Paolo VI; 5) lo stesso Papa Paolo
VI - che nel 1970 promulgò il Messale Romano, secondo le indicazioni del
Concilio Vaticano II -, concesse personalmente a Padre Pio da Pietrelcina
l'Indulto per continuare a celebrare, anche pubblicamente, la Santa Messa
secondo il rito di San Pio V, sebbene, dalla Quaresima del 1965 fosse in
attuazione la riforma liturgica; 6) già il Papa Giovanni
Paolo II aveva offerto, il 7) nella Chiesa sono in vigore - ad
incominciare dal IV secolo -, differenti liturgie o riti che, pur rispondendo
a tradizioni e sensibilità diverse, esprimono la stessa fede cattolica; tale
varietà è segno tangibile della vitalità della Chiesa cattolica; 8) il Concilio di
Trento non volle unificare con atto d'imperio i riti allora esistenti nella
Chiesa latina; infatti, in base al principio stabilito dallo stesso San Pio V
- che su richiesta del Concilio attuava la riforma
-, le chiese e gli ordini religiosi che da almeno due secoli avevano il loro
proprio rito di veneranda tradizione, poterono conservarlo. Col passare degli anni, di fatto, il Rito romano si affermò ma
mai in modo esclusivo; emblematico il caso del Rito ambrosiano diffuso in alcune
valli del Ticino (denominate "Valli Ambrosiane"), in tutta
l'Arcidiocesi di Milano ma, anche qui, con eccezioni: Monza, Trezzo, Treviglio; 9) due espressioni
valide della stessa fede cattolica - quella di San Pio V e quella di
Paolo VI - non possono essere presentate come "esprimenti visioni
opposte" e, quindi, tra loro inconciliabili; 10) in ambito liturgico,
le decisioni e l'operato dei Papi - segnatamente Giovanni XXIII, Paolo VI,
Giovanni Paolo II e Benedetto XVI - e dei Concili - Tridentino e Vaticano II
- non possono essere presentati in modo conflittuale e, tanto meno,
alternativo fra loro. |