L’INCONTRO
“Venite e vedrete”
Un incontro “per caso”
[…] La prima osservazione che mi colpisce e che ricorre frequentemente
nelle azioni di Dio è l’occasionalità di quanto è accaduto. Si
direbbe che avviene tutto per caso. […]
Per caso sembra a noi. Ma forse quest’apparenza di occasionalità è la
traccia che indica un evento che non è nostro: non siamo stati noi a pensarlo né
a servirlo, né a progettarlo, accade! Le cose di Dio accadono.
Gesù è qualcosa in più
[…] La ricchezza dell’incontro con Gesù è un di più, una
grandissima sorpresa che non ci si aspettava, ma che, una volta intravista,
capita che faccia impallidire tutto il resto.
L’incontro con Gesù, la sua bellezza, il suo centuplo si vede stando con lui,
avendo il coraggio di stare con lui. […]
“Che cosa cercate?”
[…] Alle volte si ha l’impressione che cerchiamo troppe cose e quindi
niente. Forse abbiamo troppi desideri. […] I desideri possono essere tanti, ma
quelli essenziali devono essere pochi. Non lasciamoci incantare da tutto: si
potrebbe anche scoprire che cerchiamo di servire due padroni! […]
Invece Gesù dice: “Venite e vedrete!”. Usa un verbo al futuro: vedrete.
Bisogna anche aspettare, camminare, andare avanti. La compagnia di Cristo deve
essere continua, solo così lo si conosce, anzi ogni giorno lo si conosce di
nuovo e un po’ diversamente perché l’incontro con Cristo non è
abitudinario.
La ricerca giusta potrebbe seguire questi passaggi: cerco la verità, la verità
di me stesso, la verità della vita, cerco che cosa veramente conta in modo da
costruire la vita sulla roccia e non sulla sabbia, altrimenti mi ritrovo con una
vita vuota.
“Dove abiti, Signore?”
[…] Non si tratta solo di incontrare Gesù: il problema è saper riconoscere
il Signore. Il Signore è lì, è già nostro compagno di viaggio.
[…] La domanda “dove abiti?” si traduce allora in: come fare per costruire
un mondo più giusto? Una domanda che non si sente molto spesso, la mentalità
dominante ci ha appiattiti. Però Gesù ha detto chiaramente che lo incontreremo
nei suoi fratelli più piccoli. Magari di fronte a loro non potremo fare nulla,
o molto poco. Ma possiamo incominciare a guardarli con occhi da fratelli, anzi
– di più – non come fratelli nostri, ma suoi.
Concludo con una frase giubilare di don Tonino Bello: “Secondo me le porte del
Giubileo dovrebbero essere due, due porte sante. Una per entrare, per entrare
nel cuore della Chiesa, e un’altra per uscire, per uscire nel mondo e
incontrare il Signore che cammina sulle strade”.
LA CHIAMATA
“Tu sei Simone, figlio di Giovanni; ti chiamerai Cefa”
“Abbiamo trovato”
[…] Uno dei due che, per caso, hanno sentito Giovanni il Battista
dire di Gesù “Ecco l’Agnello di Dio” si chiamava Andrea e l’altro non
ci è detto. Qualcuno suggerisce che la casella è vuota perché tocca a
ciascuno di noi riempirla col proprio nome. Mettiamoci nel gruppo!
Andrea, dopo aver incontrato Gesù, si imbatte in suo fratello Simone. Il verbo
greco potrebbe volere dire “andò a cercare il fratello Simone”, ma potrebbe
anche significare “incontrò per caso il fratello Simone”. A me piace di più
la seconda traduzione.
Andrea dice al fratello quello che gli è capitato: “Abbiamo trovato!”. Chi
ha incontrato il Signore deve pur dirlo, non può tacere! Quando ci capita una
cosa bella, la raccontiamo. Ci crederanno sì, ci crederanno no, tuttavia noi
diciamo quello che abbiamo trovato. […]
Una cosa curiosa in questo primo quadretto è che Simone non parla, non dice
niente, non risponde nulla al fratello, si lascia condurre, non si pronuncia
neppure con Gesù e, anche quando Gesù gli cambia il nome, non dice niente.
Filippo e Natanaèle
Il giorno dopo, Gesù aveva stabilito di andare in Galilea e “incontrò
Filippo”: ritorna lo stesso verbo di prima. Gesù non ha fatto quella strada
apposta per incontrare Filippo; semplicemente lo ha incontrato. E però,
avendolo incontrato, gli dice: “Seguimi!”. […]
Filippo incontrò Natanaèle – ancora una volta per caso – e anche Filippo
dice a Natanaèle quello che ha trovato. Andrea ha trovato “il Messia”,
Filippo ha incontrato “colui del quale hanno parlato Mosè e i Profeti, Gesù,
figlio di Giuseppe di Nazaret”.
Natanaèle è l’unico di questi che pone un’obiezione: “Come può venire
qualcosa di buono da Nazaret?”. Di fronte alla chiamata è possibile porre le
proprie obiezioni, si può fare una domanda, chiedere una spiegazione.
L’obiezione di Natanaèle è seria. Il Messia, di cui ha parlato Mosè, di cui
hanno parlato i profeti, il Messia glorioso, colui che deve imprimere al mondo
una svolta, può venire da un paese sconosciuto, essere figlio di un falegname?
[…] E, d’altra parte, la novità di Gesù, la novità cristiana,
è proprio questa: il Figlio di Dio si è fatto uomo, un uomo che è vissuto
trent’anni a Nazaret senza che lo si sapesse, nell’anonimato, nel
quotidiano, eppure era il Figlio di Dio. […]
Natanaèle, pur avendo fatto l’obiezione, non chiude il discorso, è
disponibile. E Filippo gli risponde: “Vieni e vedi!”. Che altro può
rispondere Filippo? Che altro posso rispondere io, o altri, se non affermare
quello in cui credo? […]
Natanaèle ha anche la fortuna di avere un segno per confermare la sua fede, per
fare crollare la sua obiezione. Dio offre anche i suoi segni. Alle volte sono
segni molto semplici, come questo, del resto. “Prima che Filippo ti chiamasse,
ti ho visto sotto il fico”, non un fico qualunque, ma quello davanti a casa
sua. Gesù ci conosce da sempre, anche se pare che capiti davanti per caso e
all’improvviso! Le obiezioni di Natanaèle cadono immediatamente. Basta poco,
perché è un uomo trasparente, onesto, disponibile, che non ama difendere se
stesso, ma è capace di consegnarsi alla verità, a ciò che intuisce: “Tu sei
il Figlio di Dio, tu sei il re d’Israele!”. […]
Una missionarietà per contagio
Vorrei sottolineare il fatto che sia Andrea che Filippo hanno incontrato e,
dunque, raccontano. E raccontano alle persone che incontrano, alle prime che
incontrano. Questa è una missionarietà “per contagio”, che avviene per
caso: parlo di Cristo a te perché ho incontrato te. Credo che sia il modo
missionario più incisivo. […]
Così avremo testimoniato Cristo che ha rivelato un Dio che ama tutti gli uomini
allo stesso modo, anche senza nominare Gesù Cristo. Intervenendo così, con
semplicità, si afferma il primato del Dio di Gesù Cristo. Il primato, infatti,
si afferma non solo dicendo che Dio è l’unico Dio ma anche che, proprio per
questo, non fa differenze tra le persone. […]
Chiamare
Il racconto si snoda attorno a tre verbi principali: chiamare, seguire,
vedere.
Cominciamo dal verbo chiamare, che Gesù utilizza per dire a Pietro:
“Ti chiamerai Cefa!”.
Gesù chiama per nome, conosce per nome: “Tu sei Simone, figlio di
Giovanni”. Dio ama gli uomini uno ad uno e li conosce nella loro precisa
individualità. Però Gesù non si accontenta del nome di battesimo, Gesù
cambia nome e, in tal modo, cambia tutto, è come assumere una nuova identità.
[…] Dio ti dà un nuovo nome per assegnarti un nuovo incarico. Per Pietro il
nuovo incarico è il centro.
Qual è il nostro incarico, quale nome vogliamo darci? Come ci piacerebbe che
Dio ci chiamasse, con quale nome? […]
Seguire
Il verbo seguire è semplice e bello insieme. Seguire vuol dire
camminare […].
Seguire vuol dire anche andare dietro a qualcuno, scegliere di mettere i piedi
dove li ha messi quel tale che si segue. Però attenzione! Seguire non vuol dire
andare davanti. Talvolta ci sono seguaci che camminano davanti al Signore e lo
pregano di realizzare i progetti che hanno in mente. Invece è il Signore che ha
dei progetti, noi dobbiamo seguirlo senza camminare davanti; dobbiamo stare
vicino a lui, ma sempre un passo indietro, perché è lui che traccia la strada,
non noi.
Se tre, quattro, mille o più hanno deciso di seguire Gesù, questi si trovano a
vivere insieme la comunità. La comunità non nasce perché questi hanno deciso
di vivere insieme, bensì perché ciascuno ha deciso di seguire il medesimo
Signore […].
Vedere
Il terzo verbo è vedere, qui usato al futuro: “Vedrai cose ben più
grandi di queste”. Il testo dice che “Vedrete il cielo aperto e gli angeli
di Dio salire e scendere sul Figlio dell’Uomo”, il Figlio di Dio che è
venuto nel nostro mondo ha aperto il cielo. Anzi, addirittura, per vedere il
cielo devi guardare lui, Gesù Cristo. Per capire chi è Dio possiamo vedere
l’incarnazione di Dio, Cristo, che è Gesù, la vita che ha fatto, le cose che
ha detto. [...]
Possiamo intendere il verbo “vedrai” anche in un altro modo. Proseguendo la
lettura del Vangelo scopriamo che cosa hanno visto e trovato i discepoli: […]
hanno capito che Gesù è Figlio di Dio proprio perché crocefisso, perché ha
manifestato un amore che ha resistito fino all’ultimo, ha perdonato, non ha
usato la violenza, è morto per tutti in mezzo a due ladroni. […]
Voglio aggiungere un’altra riflessione. Vediamo un Figlio di Dio che, venuto
al mondo, anziché cambiare subito le cose, preferisce condividere le nostre
situazioni. […] Ha condiviso la nostra situazione, le situazioni dell’uomo,
le più profonde, le più vere, quelle che possono scandalizzarci e che qualche
volta ci fanno sorgere dei dubbi: come mai la verità non vince? […] Il
crocifisso è l’unica cosa che vince, che risorge. Questa è la grande novità
cristiana.
Perché proprio io?
Nel nostro primo incontro la domanda chiave è stata: “Cosa cercate?”.
Poche cose vanno cercate, quelle essenziali, altrimenti siamo distratti.
Credo che questa sera dovremmo fare un’altra domanda: “Noi apparteniamo al
numero di questi chiamati, apparteniamo al numero dei fortunati? Perché hai
chiamato noi e non altri? È giusto?”. E forse la risposta del Signore è:
“Ti ho chiamato per caso, cioè liberamente, non perché te lo meritavi”.
Ci sono domande a cui la sola risposta possibile è quella dei bambini. Perché
io? Perché sì! Però è chiaro che se noi siamo chiamati fortunati dobbiamo
aiutare chi non è fortunato come noi. Non si può avere questa fortuna e
tenerla per sé: si banalizza e muore. Dobbiamo allora essere contagiosi.
Proviamo a domandarci come possiamo essere contagiosi, domani, dove.
LA RISPOSTA
“Tu hai parole di vita eterna…”
Pane disceso dal cielo per la vita del mondo
[…] Nel capitolo 6 Gesù ha detto sostanzialmente due cose, che
costituiscono la sua identità: la prima è di essere un pane disceso dal cielo;
la seconda di essere un pane per la vita del mondo. Due cose difficili.
Come può essere un pane disceso dal cielo? […]
In secondo luogo Gesù afferma di essere venuto per la vita del mondo.
Anche questo scandalizza: semmai dovremmo essere noi a dare la vita per lui e
invece è lui che l’ha data per noi. Il rapporto è rovesciato. Questa – che
per altri è uno scandalo – è la cosa più bella per il credente. [...]
Quindi ci troviamo di fronte a un capovolgimento, duro teologicamente e duro da
mettere in pratica, perché se è chiaro che Gesù ha dato la vita per il mondo,
vuol dire che anche noi dobbiamo spendere la nostra vita per qualcuno, dobbiamo
offrirla per il mondo. È un progetto difficile, tuttavia proviamo a pensare il
contrario: vivere chiusi in noi stessi. Quella è vita? No! Solo l’amore è
vita, il donarsi, il perdersi, il mettersi anche a repentaglio. Dunque siamo
sempre al solito punto: ciò che scandalizza molti è proprio la ragione per cui
noi crediamo, è la bellezza del nostro Dio.
La sequela: un rischio e una sicurezza
C’è subito, però, anche una seconda riflessione da fare. Questa volta ad
essere in difficoltà sono dei discepoli, persone che l’hanno seguito e che,
almeno fino ad un certo punto, lo credevano adatto a loro […].
C’è una cosa, però, che ci consola ed è la nostra sicurezza. È vero che il
discepolo abbandona Gesù, i Vangeli sono pressoché unanimi nel dirci che i
suoi seguaci lo hanno abbandonato nel momento cruciale, ma Gesù non ha
abbandonato loro, il suo amore è ostinato.
Questa è la nostra sicurezza: Cristo è sempre con noi, anche se ci tiriamo
indietro verrà a riprenderci, possiamo sempre farci ritrovare, ricominciare da
capo. Abbiate il coraggio di ricominciare sempre da capo. Sempre! Appena c’è
una voce che chiama, da capo.
Una libertà senza prezzo
[…] Ma dove trova Gesù questo coraggio, questa libertà anche di rimanere
solo? Penso che il segreto ce l’abbia rivelato in un’altra pagina, quando
risponde ai suoi discepoli che credevano di averlo capito: “Mi lascerete solo
e ciascuno tornerà ai suoi affari, ai suoi interessi. Ma io non sono solo perché
il Padre mio è con me”. Questa è la radice del coraggio di Gesù. Può stare
solo perché sa di non essere solo. Potranno abbandonarlo gli altri, potranno
crocifiggerlo, potranno fare di tutto per convincerlo che la sua verità è
inutile, ma lui rimane fermo perché il Padre è con lui. […]
Carne e Spirito
Abbiamo sentito parlare in questo passo di Vangelo di “carne e Spirito”:
“È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla”. Cosa vorrà
dire Gesù? Non dobbiamo pensare all’equazione spirito = anima e carne =
corpo.
Spirito e carne indicano altre due cose. Carne è l’uomo chiuso in se stesso,
che vuol fare da solo, con le proprie forze e a modo suo, colui che rifiuta la
gratuità, che si sente il conquistatore della verità, anzi colui che la
scopre, che la inventa. Quest’uomo non arriva da nessuna parte. L’uomo deve
invece aprirsi allo Spirito di Dio, accogliere una verità che arriva da
un’altra parte, che non è lui a darsi, a farsi. […]
Carne e Spirito. Novità e gratuità: abbandonare la carne per poter rinascere.
Credere e conoscere
Nelle parole di risposta di Pietro sembra esserci una stranezza nell’ultima
frase. Sembra quasi che siano stati messi in disordine i due verbi credere
e conoscere. Dice Pietro: “Noi abbiamo creduto e abbiamo conosciuto che
tu sei il Santo di Dio”. Non doveva essere il contrario? “Abbiamo conosciuto
che tu sei il Santo di Dio e allora abbiamo creduto”. Ci aspetteremmo che
venga prima la conoscenza e poi la fede. Non è sempre così. Forse capovolgendo
i verbi, mettendoli apparentemente in disordine, Pietro voleva dire una grande
cosa che è vera per il nostro rapporto con Dio ed è vera anche per gli altri
rapporti: cioè conosci, capisci la bellezza e la ragionevolezza di una cosa
quando in quella cosa hai fiducia e la stai vivendo. […]
Tre parole di vita eterna
Cosa significa per il Vangelo di Giovanni “vita eterna”? Non vuol dire
che la vita comincia dopo la morte, perché la vita è già ora con Dio che è
amore. […] È amando che capiamo di essere vivi. Decidersi: questa è la vita
eterna. […]
La vita eterna è ancora di più. Il Vangelo di Giovanni è pieno di parole di
Gesù, ma se dovessi sceglierne tre, la prima parola che davvero è verità e
che pongo a fondamento di ogni altra è la parola che Gesù ha detto a Filippo,
il quale voleva vedere Dio: “Chi vede me, vede il Padre!”. È in Gesù
Cristo, nella sua vita, nella sua persona, nelle sue parole che incontriamo
l’immagine visibile di Dio. […]
Una seconda frase che ho scelto si trova al capitolo 8. Gesù si rivolge ai
discepoli che sono convinti di essere liberi, di non aver bisogno della libertà
di Cristo dicendo: “Se rimanete fedeli alla mia parola e sarete miei
discepoli conoscerete la libertà e la libertà vi farà liberi”. […]
Il verbo che usa Gesù sembra l’opposto della libertà intesa come possibilità
di cambiare esperienza ogni momento: dovete “rimanere fedeli” e per di più
come “discepoli”. […]
La terza parola pregnante, più pratica e concreta, si trova nell’episodio
della lavanda dei piedi. […] La nostra vita
deve farsi, dunque, servizio e le possibilità di servizio sono tante: ognuno può
trovarne uno.
L’incontro con Gesù fa vedere tutto in modo diverso
Termino offrendovi due immagini del Vangelo di Giovanni.
La prima immagine è la Samaritana, la quale va al pozzo a prendere acqua, ha
bisogno di acqua da bere, ma quando incontra Gesù Cristo dimentica il suo
bisogno. […]
La seconda immagine è Tommaso, il discepolo che esprime i nostri dubbi, i
nostri tentennamenti. Vuol toccare, vedere. Quando Gesù gli si presenta davanti
si dimentica di toccare e vedere. […]
Con questo credo di avervi detto quello che mi stava a cuore a proposito di
questo Vangelo. Ma siccome è l’ultima sera concedetemi di esprimere la mia
soddisfazione, la mia gioia per questa opportunità che ho avuto – dovrei dire
per caso – di parlare con tanti giovani in ascolto, di parlare di Gesù
Cristo e soltanto di Gesù Cristo.