di
Tommaso
Federici
Quando la Chiesa celebra la nascita di Gesù nella terza decade di dicembre, attinge all’ininterrotta memoria delle prime comunità cristiane riguardo ai fatti evangelici e ai luoghi in cui accaddero. Non fu una scelta arbitraria per soppiantare antiche feste pagane.
Un
preambolo
In
genere
si
assumeva
e
si
assume
senza
discutere
la
notizia
già
antica
secondo
cui
la
celebrazione
del
Natale
del
Signore
nella
prima
metà
del
secolo
IV
fu
introdotta
dalla
Chiesa
di
Roma
per
motivi
ideologici.
Infatti
sarebbe
stata
posta
al
25
dicembre
per
contrastare
una
pericolosa
festa
pagana,
il
Natale
Solis
invicti
(fosse
Mitra,
come
è
probabile,
o
fosse
una
titolatura
di
un
imperatore
romano).
Tale
festa
era
stata
fissata
al
solstizio
invernale
(21-22
dicembre),
quando
il
sole
riprendeva
il
suo
corso
trionfale
verso
il
suo
sempre
maggiore
risplendere.
Quindi
in
ambito
cristiano,
risalendo
di
9
mesi,
si
era
posta
al
25
marzo
la
celebrazione
dell’annuncio
dell’Angelo
a
Maria
Vergine
di
Nazareth,
e
la
sua
Immacolata
Concezione
del
Figlio
e
Salvatore.
In
conseguenza,
sei
mesi
prima
della
nascita
del
Signore
si
era
posta
anche
la
memoria
della
nascita
del
suo
precursore
e
profeta
e
battezzatore
Giovanni.
D’altra
parte,
l’Occidente
cristiano
non
celebrava
l’annuncio
della
nascita
di
Giovanni
al
padre,
il
sacerdote
Zaccaria.
Che
invece,
e
da
lunghissima
data,
è
commemorato
nell’Oriente
siro
alla
prima
domenica
del
“Tempo
dell’Annuncio
(Sùbard)”,
che
comprende
in
altre
cinque
domeniche
l’annunciazione
a
Maria
Vergine,
la
visitazione,
la
nascita
del
Battista,
l’annuncio
a
Giuseppe,
la
genealogia
del
Signore
secondo
Matteo.
L’Oriente
bizantino,
e
sempre
da
data
immemoriale,
celebra
invece
al
23
settembre
anche
l’annuncio
a
Zaccaria.
Si
hanno
in
successione
quattro
date
evangeliche
che
inseguendosi
si
intersecano,
ossia
I)
l’annuncio
a
Zaccaria
e
II)
sei
mesi
dopo
l’annunciazione
a
Maria,
III)
rispettivamente
nove
e
tre
mesi
dopo
le
prime
due
date,
la
nascita
del
Battista,
e
IV)
rispettivamente
sei
mesi
dopo
quest’ultima
data,
e
naturalmente
nove
mesi
dopo
l’annunciazione,
la
Nascita
del
Signore
e
Salvatore.
Una
data
“storica”
esterna,
ossia
che
non
fosse
biblica,
patristica
e
liturgica,
e
che
portasse
una
conferma
agli
studiosi,
non
era
ancora
conosciuta.
Luca
ha
una
certa
sua
cura
di
situare
la
storia.
Così
ad
esempio
cita
«l’editto
di
Cesare
Augusto»
per
il
lungo
censimento
di
Quirino
(circa
il
7-6
a.
C.),
durante
il
quale
avvenne
la
nascita
del
Signore
(Lc
2,
1-2).
Inoltre
rimanda
all’anno
quindicesimo
di
Tiberio
Cesare
(circa
il
27-28
d.
C.),
quando
Giovanni
il
Battista
cominciò
la
sua
predicazione
preparatoria
del
Signore
(Lc
3,
1).
E
annota:
"E
lo
stesso
Gesù
era
cominciante
[il
suo
ministero
dopo
il
Battesimo,
Lc
3,
21-22]
quasi
di
anni
30"
(Lc
3,
23),
di
fatto
avendo
circa
33
o
34
anni.
Secondo la sua suggestiva narrazione evangelica, lo stesso Angelo del Signore, Gabriele, sei mesi prima dell’annunciazione a Maria (Lc 1, 26-38), alla conclusione della solenne celebrazione sacrificale quotidiana aveva annunciato nel santuario all’anziano sacerdote Zaccaria che la sua sposa, sterile e anziana, Elisabetta, avrebbe concepito un figlio, destinato a preparare un popolo a Colui che doveva venire (Lc 1, 5-25). Luca si preoccupa di situare questo fatto con una precisione che rimanda a un dato conosciuto da tutti. Così narra che Zaccaria apparteneva alla "classe [sacerdotale, ephémeria] di Abia" (Lc 1, 5), e mentre gli appare Gabriele "esercitava sacerdotalmente nel turno [tàxis] del suo ordine [ephèmeria]" (Lc 1, 8).
Così rimanda a un fatto generale senza difficoltà, e a uno specifico e puntuale, che presenta un problema. Il primo fatto, noto a tutti, era che nel santuario di Gerusalemme, secondo la narrazione del cronista, David stesso aveva disposto che i "figli di Aronne" fossero distinti in 24 tàxeis, ebraico sebaot, i “turni” perenni (1 Cr 24, 1-7.19). Tali “classi”, avvicendandosi in ordine immutabile, dovevano prestare servizio liturgico per una settimana, “da sabato a sabato”, due volte l’anno. L’elenco delle classi sacerdotali fino alla distruzione del tempio (anno 70 d. C.) secondo il testo dei Settanta era stabilito per sorteggio, così: I) Iarib, II) Ideia, III) Charim, IV) Seorim, V) Mechia, VI) Miamin, VII) Kos, VIII) Abia, IX) Giosuè, X) Senechia, XI) Eliasib, XII) Iakim, XIII) Occhoffa, XIV) Isbaal, XV) Belga, XVI) Emmer, XVII) Chezir, XVIII) Afessi, XIX) Fetaia, XX) Ezekil, XXI) Iachin, XXII) Gamoul, XXIII) Dalaia, XXIV) Maasai (l’elenco, in 1Cr 24, 7-18).
Il
secondo
fatto
è
che
Zaccaria
quindi
apparteneva
al
“turno
di
Abia”,
l’VIlI.
Il
problema
che
pone
questo
è
che
Luca
scrive
quando
il
tempio
è
ancora
in
attività,
e
quindi
tutti
potevano
conoscere
le
sue
funzioni,
e
non
annota
“quando”
stava
in
esercizio
il
“turno
di
Abia”.
Inoltre,
non
dice
in
quale
dei
due
avvicendamenti
annuali
Zaccaria
ricevette
1’
annuncio
dell‘Angelo
nel
santuario.
E
sembra
che
lungo
i
secoli
nessuno
abbia
avuto
cura
di
riportare
la
memoria,
o
di
fare
qualche
ricerca.
La
stessa
Comunità
madre,
la
Chiesa
di
Gerusalemme,
giudeo-cristiana
di
lingua
aramaica,
che
tradizionalmente
(almeno
per
due
secoli)
era
guidata
dai
parenti
di
sangue
di
Gesù,
Giacomo
e
i
suoi
successori,
non
sembra
che
si
curasse
di
questo
particolare,
che
per
i
contemporanei
andava
da
sé.
Nel
1953
la
grande
specialista
francese
Annie
Jaubert,
nell’articolo
Le
calendrier
des
Jubilées
et
de
la
secte
de
Qumran.
Ses
origines
bibliques,
in
Vetus
Testamentum,
Suppl.
3(1953)
pp.
250-264,
aveva
studiato
il
calendario
del
Libro
dei
Giubilei,
un
apocrifo
ebraico
assai
importante,
che
risaliva
alla
fine
del
sec.
Il
a.
C.
Ora
numerosi
frammenti
di
testo
di
tale
calendario,
ritrovati
nelle
grotte
di
Qumran,
dimostravano
non
solo
che
esso
era
stato
fatto
proprio
dagli
Esseni
che
lì
vivevano
(circa
sec.
Il
a.
C.-
sec.
I
d.
C.),
ma
che
esso
era
ancora
in
uso.
Detto
calendario
è
solare,
e
non
dà
nomi
ai
mesi,
ma
li
chiamava
con
il
numero
di
successione.
La
studiosa
aveva
pubblicato
poi
su
questo
diversi
altri
articoli
importanti;
vedi
anche
la
sua
voce
Calendario
di
Qumran,
in
Enciclopedia
della
Bibbia
2
(1969)
pp.
35-
38.
E
in
una
celebre
monografia,
La
date
de
la
Cène,
Calendrier
biblique
et
liturgie
chrétienne,
Etudes
Bibliques,
Paris
1957,
aveva
anche
ricostruito
la
successione
degli
eventi
della
settimana
santa,
individuando
in
modo
convincente
(salvo
dissensi
di
qualcuno)
al
martedì,
e
non
al
giovedì,
la
data
della
cena
del
Signore.
Da
parte
sua,
anche
lo
specialista
Shemarjahu
Talmon,
dell’Università
Ebraica
di
Gerusalemme,
aveva
lavorato
sui
documenti
di
Qumran
e
sul
calendario
dei
Giubilei,
ed
era
riuscito
a
precisare
lo
svolgersi
settimanale
dell’ordine
dei
24
turni
sacerdotali
nel
tempio,
allora
ancora
in
funzione.
I
suoi
risultati
erano
consegnati
nell’articolo
The
Calendar
Reckoning
of
the
Sect
from
the
Judean
Desert.
Aspects
of
the
Dead
Sea
Scrolls,
in
Scripta
Hierosolym
itana,
vol.
IV,
Jerusalem
1958,
pp.
162-199;
si
tratta
di
uno
studio
accurato
e
importante,
ma,
si
deve
dire,
passato
pressoché
inosservato
dal
grande
circuito,
ma
non
ad
Annie
Jaubert.
Ora,
la
lista
che
il
professor
Talmon
ricostruisce
indica
che
il
"turno
di
Abia
(Ab-Jah)",
prescritto
per
due
volte
l’anno,
ricorreva
così:
I)
la
prima
volta,
dall’8
al
14
del
terzo
mese
del
calendario,
e
II)
la
seconda
volta
dal
24
al
30
dell’ottavo
mese
del
calendario.
Ora,
secondo
il
calendario
solare
(non
lunare,
come
è
l’attuale
calendario
ebraico),
questa
seconda
volta
corrisponde
circa
all’ultima
decade
di
settembre.
Come
annota
anche
Antonio
Ammassari,
alle
origini
del
calendario
natalizio,
in
Euntes
Docete
45
(1992)
pp.
11-16,
Luca,
con
l’indicazione
sul
“turno
di
Abia”,
risale
a
una
preziosa
tradizione
giudeo-cristiana
gerosolimitana,
che
da
narratore
accurato
di
storia
(Lc
1,
1-4)
ha
rintracciato,
e
offre
la
possibilità
di
ricostruire
alcune
date
storiche.
Così
il
rito
bizantino
al
23
settembre
fa
memoria
dell’annuncio
a
Zaccaria,
e
conserva
una
data
storica
certa,
e
pressoché
precisa
(forse
con
un
decalco
di
uno
o
due
giorni).
La
principale
datazione
storica
sulla
vita
del
Signore
verte
sull’evento
principale:
la
sua
resurrezione
nel
resoconto
unanime
dei
quattro
Evangeli
(e
del
resto
della
Tradizione
apostolica
del
Nuovo
Testamento,
vedi
1Cor
15,
3-7)
avvenne
all’alba
della
domenica
9
aprile
dell’anno
30
d.
C.,
data
astronomica
certa,
e
quindi
quella
della
sua
morte
avvenne
circa
alle
15
pomeridiane
del
venerdì
7
aprile
del
medesimo
anno
30.
Secondo
i
dati
ricavati
dall’indagine
recente
come
sopra
accennata,
viene
un
intreccio
impressionante
di
altre
date
storiche.
Il
ciclo
di
Giovanni
il
Battista
ha
la
data
storica
accertata
(circa)
del
24
settembre
del
nostro
calendario
gregoriano
dell’anno
7-6
a.
C.
per
l’annuncio
divino
concesso
a
suo
padre
Zaccaria.
Nel
computo
attuale,
sarebbe
nell’autunno
dell’1
a.
C.,
ma
si
sa
che
dal
VI
secolo
vi
fu
un
errore
di
circa
sei
o
cinque
anni
sulla
data
reale
dell’anno
della
nascita
del
Signore.
La nascita di Giovanni il Battista nove mesi dopo (Lc 1, 5 7-66), (circa) il 24 giugno, è una data storica.
Ma allora, nel ciclo di Cristo Signore, che Luca pone in forma di un dittico speculare con quello del Battista, l’annunciazione a Maria Vergine di Nazareth “nel mese sesto” dopo la concezione di Elisabetta (Lc 1, 28) risulta come un’altra data storica.
E in conseguenza, e finalmente, è una data storica la nascita del Signore al 25dicembre, ossia 15 mesi dopo l’annuncio a Zaccaria, nove mesi dopo l’annunciazione alla Madre semprevergine, sei mesi dopo la nascita di Giovanni il Battista.
La santa circoncisione otto giorni dopo la nascita, secondo la legge di Mosè (Lev 12, 1-3), è una data storica.
E
così,
quaranta
giorni
dopo
la
nascita,
il
2
febbraio,
la
“presentazione”
del
Signore
al
tempio
sempre
secondo
la
legge
di
Mosè
(Lev
12,
4-8),
che
segna
l’hypapanté.
La
data
del
Natale
ha
intorno
un
nugolo
di
problemi.
Anzitutto
viene
il
fatto
che
in
alcune
Chiese
si
cumulò
e
talvolta
si
confuse
il
25
dicembre
con
il
6
gennaio,
giorno
che
cumulava
la
memoria
degli
eventi
che
contornavano
la
nascita
del
Salvatore.
Poi,
soprattutto,
la
non
chiara
distinzione
tra
memoria
di
un
fatto,
che
può
durare
generazioni,
la
devozione
intorno
a
questo
fatto,
che
si
può
esprimere
con
un
culto
non
liturgico,
e
l’istituzione
di
una
festa
“liturgica”
con
data
propria
e
con
una
vera
e
propria
ufficiatura,
che
comprende
la
liturgia
delle
ore
sante
e
quella
dei
divini
misteri.
Qui
va
tenuto
conto,
come
invece
in
genere
si
trascura,
dell’incredibile
memoria
delle
comunità
cristiane
quanto
a
eventi
evangelici,
e
ai
luoghi
che
videro
il
loro
verificarsi.
L’Annunciazione,
ad
esempio,
era
entrata
nella
formulazione
di
alcuni
“Simboli
battesimali”
più
antichi
già
nel
secolo
II.
Essa
nella
medesima
epoca
fu
rappresentata
nell’arte
cristiana
primitiva,
come
nella
catacombe
di
Priscilla.
A
Nazareth
stessa,
come
ormai
ha
dimostrato
splendidamente
l’archeologia,
il
luogo
dell’Annunciazione
fu
conservato
e
venerato
senza
interruzione
dalla
comunità
locale,
e
fu
visitato
da
un
ininterrotto
afflusso
di
pellegrini
devoti,
che
lungo
i
secoli
lasciarono
anche
graffiti
e
scritte
commoventi,
fino
ai
giorni
nostri.
Quando
si
avviò
il
culto
“liturgico”
della
Madre
di
Dio,
nel
V
secolo
inoltrato,
si
ebbe
la
grande
festa
“liturgica”
dell’Euaggelismòs,
l’annunciazione
a
Maria.
Questa
acquistò
tale
straordinaria
risonanza
che
in
Occidente
i
Padri
la
annoverarono
tra
i
«primordi
della
nostra
redenzione»
(con
il
Natale,
i
Magi
e
le
nozze
di
Cana),
e
in
Oriente
fu
considerata
così
solenne
e
quasi
soverchiante,
che
la
sua
data
nel
rito
bizantino
abolisce
la
domenica
e
perfino
il
giovedì
santo,
cede
solo
al
venerdì
santo,
e
se
cade
alla
domenica
della
Resurrezione
divide
la
celebrazione
così
che
si
celebra
metà
del
Canone
pasquale
e
metà
del
Canone
dell’Annunciazione.
A
Betlemme
già
prima
della
costruzione
della
Basilica
costantiniana
(primo
trentennio
del
IV
secolo),
la
comunità
cristiana
aveva
conservata
la
memoria
e
la
venerazione
ininterrotte
del
luogo
della
nascita
del
Signore.
In
Egitto
la
Chiesa
copta
conserva
con
ininterrotta
devozione
la
memoria
dei
luoghi
dove
la
santa
famiglia
sostò
nella
sua
fuga
(Mt
2,
13-18),
dove
furono
costruite
chiese
ancora
officiate.
Si
può
parlare
qui
dei
luoghi
santi
della
Palestina,
in
specie
quelli
di
Gerusalemme:
dell’Anàstasis,
la
Resurrezione
(così
riduttivamente
chiamato
“santo
sepolcro”)
e
del
Golgota,
del
Cenacolo,
del
“Monte
della
Galilea”
che
è
quello
dell’Ascensione,
del
Getsemani,
di
Betania,
della
piscina
probatica
(Gv
5,
1-9),
dove
fu
costruita
una
chiesa,
del
luogo
della
“Dormizione”
della
Madre
di
Dio
nel
Cedron,
e
così
via.
Su
tutti
questi
luoghi
esiste
una
documentazione
preziosa,
impressionante
e
ininterrotta
lungo
i
secoli
fino
a
noi,
dei
pellegrini
che
li
visitarono
sempre
con
gravi
sacrifici
e
pericoli,
e
lasciarono
descrizioni
e
resoconti
scritti
della
venerazione
di
cui
erano
oggetto,
e
degli
usi
della
devozione
degli
abitanti
e
degli
altri
visitatori.
Il
problema
di
grande
interesse
qui
è
la
scelta
delle
date
per
le
celebrazioni
“liturgiche”
vere
e
proprie.
Quanto
alla
celebrazione
“liturgica”,
nel
senso
visto
sopra,
del
Signore,
della
sua
Madre
Semprevergine,
di
Giovanni
il
Battista,
si
trattò
di
scelte
arbitrarie,
provenienti
da
ideologie
o
da
calcoli
ingegnosi?
Non
pare.
1123
settembre
e
il
24
giugno
per
l’annuncio
e
la
nascita
di
Giovanni
il
Battista,
e
il
25
marzo
e
il
25
dicembre
per
l’annunciazione
del
Signore
e
per
la
sua
nascita,
non
furono
arbitrarie,
e
non
provengono
da
ideologie
di
riporto.
Le
Chiese
avevano
conservato
memorie
ininterrotte,
e
quando
decisero
di
renderle
celebrazioni
“liturgiche”
non
fecero
che
sanzionare
un
uso
immemoriale
della
devozione
popolare.
Va tenuto conto anche del fatto poco notato che le Chiese si comunicavano le “date” delle loro celebrazioni, e così ad esempio quelle delle “deposizioni dei martiri”, che chiamavano il “natale dei martiri” alla gloria dei cielo. Per le grandi ricorrenze, come le feste del Signore, degli apostoli, dei martiri, dei santi vescovi delle Chiese locali, e dal secolo V anche di quelle della Madre di Dio, le Chiese adottarono volentieri le proposte delle Chiese sorelle. In pratica, pressoché tutte le grandi feste del Signore e della Madre di Dio vengono dall’Oriente palestinese, e, furono accettate con grande entusiasmo dalle Chiese dell’Impero, e prima dei grandi scismi del V secolo, anche dall’immensa cristianità dell’ Impero parto. Il Natale, come sembra, venne da Roma, e fu accettato, sia pure con qualche esitazione, da tutte le Chiese.
Con
questo,
si
vuole
dire
che
le
Chiese
avevano
la
possibilità
di
controlli
e
di
verifiche,
e
va
detto
che
gli
antichi
padri
nostri
non
erano
affatto
creduloni,
ma
spesso
giustamente
diffidenti,
così
da
respingere
ogni
tentativo
illecito
e
illegittimo
di
culto
“non
provato”.
L’evangelista
Luca
in
tutto
questo
ha
una
parte
non
piccola,
quando
con
opportuni
e
abili
accenni
rimanda
a
luoghi
ed
eventi
e
date
e
persone.
La
Chiesa
madre
dei
giudeo-cristiani
aveva
conservato
molte
altre
memorie
sul
suo
Signore,
l’ebreo
Gesù,
il
“Diacono
della
circoncisione”
(Rm
15,
8),
che
la
ricerca
moderna
con
pazienza
e
con
fatica
si
incarica
di
riportare
alla
luce
dopo
tanti
secoli
di
affossamento.
Alcune
di
esse
sono
intense
e
splendenti
di
luce.
Una
riguarda
la
scelta
della
Madre
di
Dio.
Dopo
la
rovinosa
caduta
di
Adamo,
i
Tre
fecero
urgente
consiglio.
Il
Padre
comunicò
che
per
ripartire
da
zero
aveva
scelto
Maria,
la
Vergine
di
Nazareth,
e
aveva
deciso
di
farne
la
Madre
del
Figlio,
dotandola
della
Verginità
permanente
come
imitazione
della
sua
Verginità
paterna.
Il
Figlio
da
parte
sua
comunicò
che
anche
Lui
aveva
scelto
Maria
per
farne
la
sua
propria
madre,
e
aveva
deciso
di
farla
assistere
ai
“tre
terrificanti
Misteri”,
della
Nascita
verginale,
della
Croce
e
della
Resurrezione
gloriosa.
Anche
lo
Spirito
Santo
comunicò
che
aveva
scelto
la
medesima
Maria,
per
darle
come
dote
nuziale
la
sua
divina
Soavità,
per
conferirle
la
sua
Paràklésis,
l’Avvocatura
potente
contro
il
Nemico,
e
insieme
la
sua
Consolazione
irresistibile.
Così
venne
agli
uomini
“dallo
Spirito
Santo
e
da
Maria
Vergine”
(Lc
1,
32;
e
il
Simbolo
apostolico)
Cristo
Signore,
che,
“generato
nella
divina
eternità
dal
Padre
senza
madre”,
il
Medesimo
“fu
partorito
nel
tempo
degli
uomini
dalla
Madre
senza
padre”
(i
Padri).
Così
che
il
Figlio
di
Dio
e
Figlio
di
Maria
ebbe
come
Termine
divino
della
sua
esistenza
umana
lo
Spirito
Santo,
nel
quale
è
consustanziale
con
il
Padre,
e
come
Termine
umano
la
Madre
Semprevergine,
mediante
la
quale
è
consustanziale
con
tutti
gli
uomini.
Tutti
gli
uomini
non
tanto
da
“salvare”,
termine
che
nell’età
moderna
si
è
fatto
molto
equivoco,
quanto
da
redimere
dal
peccato.
Il
peccato
di
Adamo,
che
si
configura
poi
anche
come
peccato
di
Caino
(Gen
4,
1-12).
Dopo
il
fratricidio
consumato
sull’innocente
Abele,
Caino
ebbe
paura
della
punizione,
e
non
tanto
di
quella
del
suo
Signore
misericordioso,
quanto
di
quella
degli
uomini
(Gen
4,
13).
Ma
il
Signore
misericordioso
gli
concesse
un
“segno”,
il
“segno
di
Caino”,
che
per
lui
fosse
di
salvezza
dalla
morte.
Allora
il
Signore
dopo
il
diluvio,
da
tutti
i
discendenti
di
Noè,
operò
con
sapienza
e
con
pazienza
secondo
le
due
irresistibili
leggi
della
redenzione,
la
“selezione
regressiva”
o
“concentrazione”,
che
è
scelta
di
uno
,
un
“resto”
assunto
e
posto
in
favore
di
tutti
gli
altri
ed
è
eliminazione
degli
altri
da
questa
operazione,
e
per
"sussunzione
progressiva",
che
è
aggregazione
universale
di
tutti
nella
salvezza
ottenuta
dal
“resto”.
Perciò
il
Signore
da
tutti
i
popoli
della
terra
(Gen
10)
scelse
Sem
e
la
sua
posterità
(Gen
10,
21-31).
Dalla
posterità
di
Sem
scelse
la
famiglia
di
Tare,
padre
di
Abramo
(Gen
11,
27-32).
Dai
figli
di
Tare
scelse
Abramo
(Gen
12,
1-3),
e
la
sua
discendenza,
Isacco
e
Giacobbe.
Dai
dodici
figli
di
Giacobbe
scelse
la
tribù
di
Giuda
(Gen
49,
8-12).
Dalla
tribù
di
Giuda
scelse
la
semitribù
dei
Cainiti
(o
Qainiti,
o
Qeniti,
o
Qenizziti)
con
Caleb,
con
capitale
Hebron
(Gios
14,
6-15).
Da
questa
semitribù
(o
dan)
scelse
la
famiglia
di
Ishaj
(lesse),
e
dagli
otto
figli
di
Ishaj
scelse
David
(i
Sam
16,1-12),
sul
quale
pose
il
suo
Spirito
divino
onnipotente
e
messianico(1
Sam
16,
13).
Da David finalmente e irreversibilmente discese nella carne (Mt i, 1; Rm i, 3) attraverso la sola Maria Semprevergine, senza concorso di uomo (Mt 1, 16), il Figlio di Dio, Figlio di Abramo, Gesù Cristo, il Redentore.
Il
“segno”
che
Caino
ricevette
è
la
confluenza
sua
e
di
tutti
i
peccatori
nella
sua
posterità
peccatrice,
riassunta
dai
Cainiti,
il
“clan
di
Caino”,
il
cui
Capo
divino
e
umano
è
il
Figlio
di
Dio,
nato
dallo
Spirito
Santo
e
dalla
Semprevergine
Maria.
Perciò
il
Figlio
di
Dio,
l’Impeccabile
“fatto
peccato
per
noi”
(2
Cor
5,
21),
"reso
maledetto
per
noi"
secondo
la
Legge
perché
sospeso
sul
Legno
(Go
1
3,
13,
che
cita
Dt
21,
23)
per
ottenere
la
Benedizione
e
la
Promessa
d’Abramo
che
è
lo
Spirito
Santo
(Ga
1
3,
14),
che
“assunse
la
carne
di
peccato”
carica
quindi
di
morte
(Rm
8,
3),
che
essendo
e
restando
Dio
si
fece
anche
schiavo
obbediente
fino
alla
morte
e
morte
di
croce
(Fil
2,
6-8).
Portando
sulla
croce
Caino
e
la
sua
discendenza,
il
Figlio
di
Dio
distrusse
l’incapacità
di
Adamo
e
di
Eva
di
dare
figli
a
Dio,
e
riaprì
in
“sussunzione
progressiva”
illimitata
le
porte
dell’ingresso
al
Padre
nello
Spirito
Santo.
Questo è anche il contenuto delle liturgie d’Oriente e dell’Occidente alla domenica della Resurrezione e al venerdì santo, ma anche del Natale, dell’Annunciazione, della nascita della Vergine.
Il
Natale
del
Signore
nella
carne
è
una
fonte
inesauribile,
che
non
conosce
l’ovvio
banale
del
gelido
“albero”
cosificante,
ma
la
sorpresa
rinnovata,
la
meraviglia
mai
sazia,
lo
stupore
adorante
davanti
a
Colui
che
dall’Oceano
infinito
della
Divinità
beata
volle
approdare
alla
riva
angusta
e
dolente
della
storia
degli
uomini
per
un
unico
scopo:
“Dio
restando
quello
che
era
volle
farsi
anche
quello
che
non
era,
Uomo
creato,
vero,
limitato,
mortale,
affinché
gli
uomini
creati,
limitati
e
mortali,
restando
quello
che
erano,
diventassero
finalmente
dèi
per
grazia
dello
Spirito
Santo.
Questa
è
la
“formula
di
scambio”
o
“formula
della
divinizzazione”,
che
viene
dalla
santa
Scrittura,
è
codificata
fedelmente
dai
Padri
e
si
vive
con
efficacia
infinita
nella
santa
liturgia
della
Chiesa.