UN PO' DI STORIA
La prima memoria storica di San Martino in Villafranca risale al 25 marzo
1312: un tal "Seruso del fu Visintino" fa testamento beneficando
alcune istituzioni religiose e caritative, tra cui la chiesa di San Martino
(che con ogni verosimilianza possiamo far risalire al secolo precedente,
come molte altre chiese non plebane della campagna). Anche il paese possiamo
pensare essersi strutturato come tale durante il sec. XIII, periodo che
vede l'esplosione urbanistica ed economica di Forlì e del suo contado.
Il disordinato corso del fiume Montone mutava continuamente il volto di
queste terre, per cui possiamo immaginarcelo come una serie di rivoli
che ad ogni inverno/cambiava posto. I contadini lottavano per ordinare
e far produrre le terre strappate alle bizzarrie del Montone; nella raccolta
delle decime di quegli anni non si trova il nome del paese: questa
era certamente una "zona franca" cioè esente dalle tasse.
In seguito era obbligo dei sammartinesi curare gli (evidentemente fragili)
argini del fiume.
Non si trovano aspetti clamorosi nella metodica e ordinata vita di questa
prospera campagna. Un documento del 1371 assegna a San Martino in Villafranca
"20 fuochi", numero che risulta ben al di sopra della media
della località del contado. I ricordi più frequenti tra
il XIV e il XVI secolo sono legati ad azioni belliche e al periodico passaggio
di eserciti alla ricerca di vettovaglie gratuite. Marco Palmezzano, pittore
forlivese del quattrocento, possedeva un podere qui a San Martino. Per
i secoli successivi possiamo immaginare una piccola comunità agricola
che vive i suoi ritmi sul cicli delle stagioni, attorno alla chiesa parrocchiale,
unico centro di vita sociale.
La rivoluzione francese porta le sue truppe e la leva obbligatoria anche
in questa piccola comunità rurale. La vita prosegue con una dimensione
religiosa fatta di devozioni alimentate da Compagnie, Congregazioni, Associazioni,
feste.
L'attivo don Antonio Bonamici (1876-1905) rimise a nuovo la chiesa, celebrò
solennemente il centenario di San Martino (1897), costruì il nuovo
cimitero portandolo dal fianco della chiesa al posto dove è attualmente
(1902), fece ncoronare la statua della Madonna del Carmine (1905).
L'8 giugno 1909 la parrocchia ebbe completa indipendenza dall'arcipretale
di Villafranca celebrando il primo Battesimo. I grandi avvenimenti che
sono in qualche modo collegati allo sviluppo della questione sociale ebbero
ripercussioni anche in questo piccolo paese. Sono anche gli anni in cui
un sammartinese viene chiamato per un servizio di grande importanza nella
Chiesa: mons. Vincenzo Scozzoli diventa Vescovo di Rimini (1901-1944).
La prima guerra mondiale vede cadere al fronte diversi sammartinesi. La
costituzione del partito popolare italiano di d. Sturzo fu salutata con
grande entusiasmo e subito si costituì una sezione di quel partito,
ma l'avvento del fascismo bloccò tutto sul nascere. La seconda
guerra mondiale passa chiedendo un terribile tributo di sangue e sofferenze;
oltre a quello di tanti militari, quello di numerosi civili tra cui un'intera
famiglia sepolta sotto le macerie della casa bombardata. La canonica di
San Martino divenne rifugio di partigiani, il più illustre il colonnello
Edoardo Cecere. Il 9 agosto 1944 lo stesso don Lugaresi fu arrestato e
imprigionato dalle S.S. tedesche, maltrattato e poi rilasciato. Il 19
ottobre 1944 la chiesa è semidistrutta, il 9 novembre completamente
annientata, "...o in gabbia o nel rifugio" ebbe a scrivere di
quei giorni don Lugaresi. Poi la rinascita, con la "Peregrinatio
Mariae" del 1949 e i giorni solenni dell'inaugurazione della nuova
chiesa, il 26 maggio 1955, ricordata in seguito con solenni festeggiamenti
nel 1980, per il 25° e nel 2005 per il 50°, non dopo aver nuovamente
accolto l'immagine della Madonna del Fuoco per la peregrinatio del novembre
2002. Quello che si è raccontato lo si è fatto "non
per solleticare ambizioni o per fomentare campanilismi, ma solo perché
ognuno di noi si senta figlio di una terra nella quale generazioni di
uomini hanno vissuto, creduto e sperato preparando per noi questo presente,
e perché quanto essi fecero non cada nell'ingiusto oblìo
di una immemore e quindi ingrata posterità".
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