La chiesa di S. Agostino ha
profumo longobardo. Non solo era posta nelle vicinanze del "limes", del
confine cioè, fra la Tuscia Langobarda e l'Esarcato bizantino (oppure,
considerandola sotto altro aspetto, era prossima ad uno degli avamposti
che delimitavano, verso la pianura, la provincia tardo-romana delle "Alpes
Appenninae"), ma era sita nel territorio di Rocca d'Elmici(toponimo di
chiaro riferimento longobardo) e la stessa intitolazione della chiesa
rimanda al Santo protettore dei Longobardi. Possiamo dire, con frase abusata
ma vera, che le sue origini si perdino nel buio del Medioevo, mentre la
sua documentazione certa risale alla seconda metà del XII secolo, quando
troviamoquesta chiesa già ben inserita fra i possedimenti, le"dépendances",
e "grace" del monastero ravennate di S. Maria in Porto. La vita di questa
chiesa (che assunse cura d'anime, divenendo cioè parrocchia, abbastanza
tardi) e le sue vicende non oltrepassarono mai i limitati confini della
bassa valle del Rabbi, e ciò che più interessa l'odierno visitatore è
la sua modesta e lineare architettura romanica, di un romano autoctono
non deturpato da restauri alla "lombarda", nonochè la stratificata decorazione
pittorica dell'interno. La prima documentazione della chiesa di S. Agostino
ci riporta al 1177 quando la troviamo già ben esistente, rappresentata
dal suddiacono Tebaldo che ne è il rettore ed esercita il ruolo di procuratore
della Canonica di S. Maria in Porto di Ravenna e riceve in donazione da
Rigo delle Caminate e dai suoi figli Benno e Andolfo, mezzo campo di Paganello,
ubicato nella pieve di Bussano (attuale S. Lucia) e in località Furcomino.
Come le ricerche più accreditate hanno già appurato a proposito
della Canonica ravennate di S. Maria in Porto, che cioè 1'intervento
di Pietro Peccatore (fine sec. XI - inizio XII) fu, soprattutto, un restauro
della chiesa ed una riforma della vita canonicale (viene definita in questo
modo una forma di vita comune fra il clero che, regolamentata in epoca
carolingia, si diffonde vastamente durante il periodo della riforma gregoriana
e si differenzia sia dalle forme di vita monastica di regola benedettina
che dalle successive esperienze mendicanti), ambedue già esistenti,
allo stesso modo crediamo che si debba pensare che il 1177 non costituisca
il termine "a quo" della chiesa di S. Agostino, bensì
solamente quello della prima testimonianza scritta. Come sì e accennato
più sopra, si può legittimamente opinare che già
dalla tarda romanità in questa zona confinaria, nei pressi di un
fiume, il Rabbi (qui non si affronta affatto 1'intricato problema dei
fiumi forlivesi ed in modo particolare di questo Rabbi "Raiborum"
(un genitivo plurale di cui è scomparsa ogni altra declinazione)
o un più addomesticato "Rapidus", detto più a
valle "flumen liviense") che si apprestava a lasciare i salti
scoscesi delle ultime balze appenniniche, abbiano trovato dimora alcuni
o, secondo i tempi, anche un solo eremita che aveva stretti legami con
il vicino castello di Rocca d'Elmici; la comune appartenenza a11o stesso
gruppo sociale, probabilmente longobardo, rende ragione della intitolazione
della chiesa. Non meraviglia per nulla la presenza di un eremo nell'Appennino
tosco - romagnolo: ne era pieno! Si può anche lasciare cadere 1'ipotesi
di una comunità eremitica autoctona per lasciare spazio ad un più
normale luogo di culto che solo all' epoca della dipendenza da S. Maria
in Porto ha assunto la fisionomia di una piccola "canonica".
Non sono affatto chiari i più antichi legami con la Canonica di
S. Maria in Porto di Ravenna e certamente non vanno ricercati, come qualcuno
ha fatto, nella presunta comune sequela della regola agostiniana che avrebbe,
in prosieguo di tempo, subordinato il più piccolo eremo alla più
grande Canonica. Infatti 1'assunzione della regola agostiniana, cosi come
è intesa oggi, costituisce un fenomeno dei secoli tardomedievali
(XIII - XIV). Con ogni probabilità bisogna vedere nella dipendenza
di S. Agostino da S. Maria in Porto di Ravenna un momento di quel diffuso
fenomeno che vede realtà ecclesiastiche ravennati costituirsi un
consistente patrimonio nell'entroterra romagnolo (arcivescovado, monasteri
di ogni genere) in stretta correlazione con le famiglie laiche, non si
dimentichino gli stretti rapporti dei signori di Particeto con la famiglia
dei Duca di Ravenna. Non è possibile, allo stato attuale degli
studi più seri, fare più chiara luce sulle relazioni patrimoniali
e giurisdizionali delle realtà ecclesiastiche e laiche in questa
tormentata terra di confine. Come ha dimostrato, con insuperata chiarezza
e documentazione Guido Carlo Mor,la zona tra Fiumana e Predappio è,
sotto il profilo confinario una delle più tormentate del già
tormentato appennino forlivese. In essa venivano a scontrarsi gli interessi
più vari delle più disparate realtà ecclesiastiche
e laiche. La pertica romana forlivese si scontrava con quella forlimpopolese;
la pieve forlivese di S. Lorenzo in Noceto confinava con le due pievi
forlimpopolesi di S. Cassiano in Pennino e di S. Maria in Bussano (che
poi diventerà S. Lucia); i retaggi della regione delle "Alpes
Appenninae" e del "limes" bizantino, faranno sorgere una
miriade di castelli ove si annideranno signorotti locali violenti ed irrequieti,
che troveranno in Dante un cantore veritiero allorquando dirà:
"Romagna tua non è e non fu mai / senza guerra ne' cuor de'
suoi tiranni"; "che muta parte dalla state al verno"; "tra
tirannia vive e stato franco" (Inf. XXVII). Questi rapporti sono
estremamente complessi, soprattutto nel tardo medioevo, così che
è molto difficile chiarire, volta a volta, le singole relazioni
e dipendenze, fra cui quella rivendicata da Meldola verso S. Agostino
nel sec. XIII. Nulla impedisce di pensare che S. Agostino, fondata come
chiesa privata da un ricco possidente della zona, o/e dotata di possedimenti
da qualche benefattore, sia poi entrata, tramite acquisto o donazione,
nell'orbita della Canonica ravennate, all'epoca in cui questa ricevette
nuovo impulso per la riforma di Pietro Peccatore; la Canonica "madre"
la quale ne fece una dipendenza, una "grancia", stabilendovi
nei pressi una "donicalia" (i termini sono praticamente sinonimi,
cioè un luogo di raccolta e di smistamento dei prodotti agricoli
ricavati dai propri terreni dei dintorni). Per la sua importante funzione
economica e per rafforzare una presenza che a lungo andare si connotava
anche come referente spirituale e sociale, in tempi diversi, presso la
chiesa abitò una piccola comunità canonicale ed il complesso
assunse la fisionomia di un piccolo monastero. Il privilegio di papa Celestino
III: "confermo tutto ciò che possedete nel territorio del
vescovado di Forlimpopoli e di Forlì con la cappella di S. Agostino",
15 maggio 1196 ", indirizzato al monastero di S. Maria in Porto può
far legittimamente opinare, dal tono in cui la cappella di S. Agostino
è ricordata, come essa fosse il centro di riferimento che la Canonica
ravennate aveva nel territorio forlivese e forlimpopolese. Già
quando la più antica documentazione ci comincia a parlare della
chiesa di S. Agostino troviamo che essa, posta nei pressi della strada
che conduce alla Rocca d'Elmici (1230), appartiene ecclesiasticamente
alla diocesi di Forlì e dipende dalla pieve forlivese di S. Lorenzo
in Noceto; è ben costituita, sotto il profilo edilizio: non solo
è ben esistente la chiesa dotata all'interno di un coro che deve
servire ai canonici per la preghiera corale (1365 ") e all'esterno
di un ampio portale (è esplicitamente ricordato il nartece, di
cui resta ancora oggi 1'impronta al fianco della porta -1228- ); non poteva
mancare il campanile, anche un piccolo, modesto, campanile a vela, ma
di esso abbiamo memoria solo nel 1600, dalla scritta, appunto, che appare
su di una campana "Sancto Rocho, 1600". Vi è il chiostro
(almeno dal 1180 ), anima degli edifici monastici medievali. Ciò
significa che gli edifici sono ben articolati (saranno detti anche "domibus"
cioè "case" al plurale, 1471) e compattati almeno per
tre lati (ponendo come quarto la chiesa). Non sia pleonastico notare come
il chiostro fosse "porticato" (1186) con 1a possibilità
di camminare al coperto e di ospitare almeno il notaio che roga gli atti.
Vi sono naturalmente i vari edifici per 1'abitazione dei canonici: la
"domus" (1186). In essa ha posto di rilievo la "caminata"
(è dotata di camino quasi come il "calefactorium" delle
grandi abbazie) in cui ci si riscaldava durante 1'inverno, essendo essa
1'unica stanza nella quale esisteva il camino (1318 ). Vi è la
"curia" (1305), termine generico per indicare il complesso edilizio,
o forse proprio I'offiziolo, nel quale si custodivano le carte dell'amministrazione,
si trattavano i diversi problemi con i lavoratori, con i fornitori, con
la casa madre. Per qualche tempo perfino il solaio dovette essere usato
con normalità, in esso infatti si stendono atti notarili (1399,
1400). Quando anche il nostro S. Agostino entrerà in crisi e rimarrà
solo un rettore, al posto della piccola comunità, vi sarà
anche la "camera del prete" (1462). Presso il complesso edilizio
monastico vi è il cimitero che non incute alcun terrore anzi, familiarmente,
vi si compiono atti usuali, come la stesura di atti notarili e quindi
di compravendita (1186, 1305). In realtà essi venivano compiuti
anche all'interno stesso della chiesa (1188) ma bisogna tener presente
che, come per le grandi cattedrali della città, le piccole chiese
della campagna servivano per il ritrovo di tutta la comunità anche
quando essa doveva trattare di cose attinenti alla sfera profana. Per
la sepoltura non solo si usava una piccola porzione di terreno adiacente
al cimitero ma vi era la possibilità, per i più abbienti,
di essere sepolti presso 1'ingresso maggiore e, addirittura, al suo interno,
come capitò al nobile signore Rainerio figlio di Rainerio di Particeto
che, per esservi sepolto, lasciò la non scarsa somma di lire 3
(1248). Nelle vicinanze della chiesa, probabilmente presso un incrocio
di strade che formava un trivio (1342), vi era un pilastro con sopra una
croce (se ne vede una simile in S. Mercuriale di Forlì) vicino
alla quale ci si riuniva con frequenza (1287). Tutti questi spazi erano
circondati all'esterno da una "curtis" (non osiamo addentrarci
nel più complesso significato medievale di questa parola, che ci
sembra esorbitare dall'uso più moderno che, invece pare emergere
dalla carta del 1268 che la riporta, cioè come cortile, pur persistendo,
nella stessa carta, a proposito della Flamigna, il significato più
antico). Poco più lontano, in località Campo Maggio più
precisamente detta "Casazza", vi è 1' ospizio per i viandanti
curato dai canonici di S. Agostino (1517). Oltre agli edifici che dovevano
esistere nella Donigaglia (che tuttavia all'inizio del 1600 sembra scomparsa)
la chiesa si arricchì di un mulino di grano con la casa, il canale,
la chiusa e tutto quanto altro era di tradizionale pertinenza (1542).
Seconda parte
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