Si è cercato di dare
una visione, quanto mai approssimativa, del complesso edilizio di S. Agostino,
così come emergeva dalla documentazione scritta giunta fino a noi,
soprattutto per il periodo che riguarda il medioevo; evidentemente essa
è parziale e dovrebbe essere completata con quella che potrebbe
manifestarsi con ben condotti scavi archeologici; purtroppo dai documenti
medievali non è possibile, allo stato attuale della ricerca, dedurre
di più. La ricca documentazione di S. Agostino, conservata tra
le carte della Canonica di S. Maria in Porto di Ravenna, presenta la caratteristica
tipica della documentazione medievale che è giunta fino a noi:
amministrativa. Sono infatti quelli gli atti che meglio vengono tutelati,
poiché testimoniano le proprietà, i rapporti di subordinazione
e di dipendenza che consentono di ubicarsi saldamente, con le solennità
della legge, nel reticolo delle relazioni sociali ed economiche. Tutte
le informazioni che abbiamo riportato più sopra sono solo casuali
accenni notarili. A questo punto bisognerebbe soffermarsi su questi documenti
estremamente aridi, utili ad un'opera di storia economica e non a queste
poche pagine di divulgazione. Senza dilungarci eccessivamente daremo alcune
notizie anche sull'aspetto più materiale della vita della comunità
di S. Agostino. Si è detto che essa dipende - è proprietà
- da S. Maria in Porto e quindi la superiore autorità "in
materialibus" non è il vescovo di Forlì o lo stesso
rettore, bensì il Priore di S. Maria in Porto, come legale rappresentante
della Canonica. I beni, la chiesa stessa di S. Agostino, appartengono
alla Canonica ravennate, il rettore è nominato da questa e ogni
movimento finanziario deve essere da essa autorizzato. Perciò la
documentazione ci presenta spessissimo lo stesso Priore di Porto che agisce
come titolare ultimo di S. Agostino ed il rettore della piccola chiesa
che agisce in nome, per conto, come suo procuratore. La dipendenza dal
vescovo è pressochè nulla, non solo perché la nomina
del rettore dipende dal Priore di Porto, ma anche perchè non è
ben chiaro, almeno fino alla meta del XV secolo, se S. Agostino abbia
regolare cura d'anime, abbia solo un'occasionale dipendenza spirituale
dalla pieve di S. Lorenzo, stretta com'era fra il confine diocesano, a
monte, e 1'abbazia di Fiumana a valle, tenuto anche conto che, nel castello
di Rocca d'Elmici, vi erano una o, forse, due chiese. Anche sotto 1'aspetto
patrimoniale le cose non sono molto chiare, perché tutti i possedimenti
che la Canonica ravennate ha in zona, fanno riferimento a S. Agostino,
come centro amministrativo, sono destinati alla Canonica e solo una piccola
parte, di fatto, serve al mantenimento degli edifici e del personale di
S. Agostino. Infatti, più tardi, troviamo chiaramente che tutti
i beni sono di pertinenza della Canonica e che il rettore riceve uno "stipendio"
annuale e che 1' autorità ravennate interviene direttamente a proposito
della manutenzione e restauro degli edifici. Sarebbe fuorviante quindi
pensare che la vasta proprietà fondiaria di cui la Canonica era
titolare nella valle, così come è testimoniata dai documenti,
servisse alla piccola "grancia". Avrebbe infatti posseduto:
mezzo campo di Paganello, terra, selve, clausure in Furcomino, in Campo
Maggio, in Particeto, in Rocca d'Elmici, in Bufaloria, in Grizzano, in
Salto, in Flamigna, in Dogheria, in Veneri, in Basino, in Fossa de Siverio,
in Fossabitilli, in Donigaglia, in Piano, in Massa, in Latino, in Lamola,
in Lavello, in Riva, in Campo di S. Rufillo, in Montevecchio, in Castelnuovo,
in Batimascine, in S. Martino, in contrada S. Giacomo in Contubernio (meglio
Canterbury, cioè la parrocchia della Cattedrale) di Forlì,
in Peltla, in Spissarca, in Santa Fiora, in Monte Guidi, in Cordula maggiore
e minore, in Pozzolo, in Petrosola, in Casledo, in Finisteulo, in monte
Cerbario, in Petrosa, in Ogliario, in Pantano, in Ronco, in Caminate,
in Ceula (presso Castrocaro, la Canonica pretendeva di nominarvi il rettore),
in Colaleclo, in Valsirolo, in Alfiano, in Flazano, in Farneto, in Laguna,
in Gagliano, in fontana di Andreolo, in Caudoli, in Brusada, in campo
degli Olivi, in clausura de Buciis, in Ortale, in Castagneto, in Terralba,
in Pozzo bianco, in Spinagata, in riva Barbaria, in Nortale, in Salso,
in Pereto, in Doccia, in Pausatorio, in Montecchio, in Albarello, in Fiume
morto, in Predappio, in Traversara, in Prati, in Rovinada, in Budrio e
tanti altri luoghi "ubicumque positi", che non è possibile
continuare a ricordare singolarmente, molto interessanti per ricostruire
la toponomastica medievale della bassa valle del Rabbi e di altre varie
zone. Si tenga presente, inoltre, 1'effettivo significato pratico delle
enfiteusi e delle donazioni con relativa concessione enfiteutica, con
forme generiche di livello e di affitto. Viene anche suggerito come avveniva
il pagamento di certe forme di "affitto": ogni anno nel giorno
della Natività del Signore (= Natale) si offrivano alla Canonica
due "focatici"; ogni anno, nella festa di S. Agostino, un pollastro
e uno staio di grano. Tutto questo richiederebbe un'esposizione che esula
dall'intendimento di questo opuscolo. Naturalmente c'e anche il risvolto
delle tasse da pagare; è documentato il pagamento delle decime
nel 1290 -1292. S. Agostino paga oltre 14 lire, cifra di tutto rispetto
fra quelle della diocesi di Forlì - fra le più alte - che
testimonia una vasta e ricca proprietà.Fra queste transazioni amministrative
ve n'è una che è spesso ricordata ma alla quale è
difficile attribuire un significato preciso: nel 1180, nel chiostro della
chiesa di S. Agostino, Simone di Particeto concede a Tebaldo, rettore
di S. Agostino, che accetta in nome di Alimano priore di Porto, la sua
persona con I'anima, il corpo e tutti i possedimenti che aveva ovunque
cioè nei castelli di Particeto, di Rocca d'Elmici, di Bufaloria,
di Grizzano, di Salto, di Flamigna, di Dogheria e di Veneri. In base al
diritto e alle consuetudini medievali non è facile dedurre, come
hanno fatto alcuni, che con questo documento, Porto o più ancora
S. Agostino, diventassero signori di questi castelli. L'analisi del documento
richiede uno spazio che qui non è consentito, ma ci sembra basti
accettare la donazione di beni posti nei territori di quei castelli, con
un patto vassallattico che non va oltre un'onorifica cessione cui non
corrispondeva un'effettiva trasmigrazione di titolo proprietario. Mai
infatti Porto, e per lui S. Agostino, ha mai accampato alcuna signoria
feudale o anche solo una proprietà fondiaria generalizzata in quegli
ambiti territoriali. Tuttavia due documenti del 1264" sembrano indicare
una classica situazione di vassallaggio medievale da parte degli uomini
di Particeto e della Flamigna verso la Canonica ravennate. Anche nel 1314
vari personaggi della Flamigna giurano di salvaguardare la persona del
priore, dei fratelli e tutti i beni della Canonica e di S. Agostino. Anche
nella cosiddetta concessione del castello di Rocca d'Elmici al Comune
di Forlì, nel 1209, non sembra si debba vedere altro che la concessione
dell'uso delle proprietà che Porto aveva in detto Castello e che
la comunità forlivese poteva usare per i propri scopi di politica
regionale . I termini del patto sembrano ricalcare moduli standardizzati
(hostium, cavalcatam, guerram, pacem, labores, collectas, dacios, etc.)
più che esprimere una concreta realtà mai altrove documentata.
Tanto è vero che ancora nel 1213 sorgono scontri a proposito dei
rispettivi diritti . Non doveva essere facile, anche per una grossa realtà
come la Canonica ravennate, mantenere in buona efficienza la complessa
realtà dei suoi possedimenti e dei mille e diversi rapporti con
i superiori, gli inferiori e i vicini di ogni tipo, soprattutto in un'epoca
di decadenza, come il secolo XV nel quale i canonici si erano rarefatti,
il Priore commendatario badava quasi esclusivamente all'esazione dei frutti
del consistente beneficio e 1'amministrazione spicciola si faceva sempre
più difficile. Cosi a S. Agostino troviamo la singolare figura
di Giovanni di Giacomo, detto il conte di S. Martino (dal 1406 al 1411),
che ora appare come laico (più tardi infatti apparirà la
moglie Onestina), poi come diacono, poi come rettore di S. Agostino, poi
ancora come semplice laico. Egli ha ricevuto in affitto dal cardinale
Angelo di Lodi, il priorato di S. Agostino e grande parte dei beni che
la Canonica aveva da quelle parti. Quarantaquattro affittuari gli dovevano
pagare i censi più vari: un paio di galline, un paio di pollastri
ed una giornata di lavoro nel mese di maggio, un cappone, sei once di
cera, mezza giornata di lavoro con i buoi, uno staio di grano, un barile
di vino, un capretto, due focacce, la quinta parte di una spalla di maiale,
due once di spezie, ecc . Sembra succedergli tale don Lorenzo di Marco
da Venezia (1452) che paga alla Canonica 1'affitto di dieci ducati d'oro
il 5 e il 15 agosto e nella festa di S. Martino. Dei dieci ducati due
saranno spesi per la manutenzione della chiesa di S. Agostino. Nel 1499
tutto il complesso di beni che ruota attorno a S. Agostino viene affittato
da Giacomo da Piacenza, priore della Canonica, a Mariano da Siena, per
otto ducati d'oro. Per I'epoca moderna le cose sono un po' più
semplici perchè la documentazione è più vasta (purchè
qualcuno non creda che si possano rinvenire dettagliate piante con alzati
e disegni delle decorazioni). Nella seconda meta del secolo XVI, quando
cominciò da parte dei vescovi una più precisa sorveglianza
sui preti e sulle chiese, si incominciano ad avere notizie anche di altro
tipo. Non sembra che in S. Agostino vi fosse più una comunità
anche se, nella visita pastorale del 1579, il vescovo forlivese Del Giglio,
fu accolto in S. Agostino dal canonico priore e da un cappellano. Nella
prima visita postridentina tenuta da mons. Giannotti (1564) gli ambienti
dovevano essere ancora ospitali e confortevoli perchè il Vescovo
vi pemottò e nella visita successiva (1567) lo stesso Vescovo notò
che tutto vi era in ordine e amministrò anche la cresima ai giovani
del circondario. Dal secolo XVII sappiamo qualcosa di più soprattutto
a proposito della chiesa (1669). Vi è l'altare maggiore sul quale
è custodito il SS.mo Sacramento, così come era stato comandato
dal Concilio di Trento, e vi brilla in continuazione la lampada tenuta
accesa a cura della Compagnia del Santissimo Sacramento che possiede un
piccolo appezzamento di terra, dal cui ricavato si acquista 1'olio che
deve brillare sull'altare. Sul muro a fianco del1'altare vi è il
tabernacoletto per la conservazione degli Olii santi. Vi è 1'altare
di S. Biagio, titolazione certamente antica per uno dei santi maggiormente
venerati nel medioevo ma, nel 1669, si è aggiunto il titolo di
S. Carlo, il campione della riforma tridentina; l'altare però già
verso la fine secolo è in completo stato di abbandono e viene soppresso.
Segno che fra i tanti pastori di quest'umile chiesa di campagna vi è
stato un rettore ben convinto di quel1'opera (era forse don Apollinare
il convinto riformatore?) e morto lui è venuto meno il suo spirito...
Al lato opposto della chiesa 1'altare della Madonna, Maria Immacolata,
anche in questo caso si può notare una consonanza fra i costruttori
di quest'altare (i signori Cattani, 1682) e la rinnovata devozione mariana
postridentina, secondo la sensibilità dei frati francescani (e
non di quella Madonna della cintura o della consolazione più tipica
de11'ordine agostiniano). Si nota che questo altare è servito da
un sacerdote estraneo alla comunità canonicale - don Domenico de
Fornasini; siccome l'altare è titolare di alcuni beni che producono
un certo frutto legato alla celebrazione di messe, esse sono da lui celebrate
così che ne consegue il proprio sostentamento. Non sappiamo se
vi sia un altro altare dedicato alla Madonna ma verso il 1690 ne appare
uno intitolato a quella del Rosario. Era quello precedente che ha provvisoriamente
cambiato titolo oppure era stata aggiunta una piccola mensa sotto uno
degli affreschi delle pareti laterali ed era stato così intitolato?
Sappiamo qualche cosa anche delle suppellettili: vi è un confessionale
(1573); vi è un reliquiario con le reliquie di S. Massimiliano;
sull'altare maggiore vi sono dodici quadretti dipinti con la cornice dorata
(sono ex voto?); cinque quadri dipinti (quali i soggetti?); quattro panche;
un pancone per sedere; una statua di legno di S. Agostino. Nel 1700 appare,
in una zona della parrocchia non meglio precisata, un pilastrino chiamato
"Madonna della celletta", attorno ad esso è fiorita una
certa devozione popolare, vi si raccolgono delle offerte e il Vescovo
ordina al parroco di tenerne una accurata contabilità. A questo
punto bisognerebbe inserire una piccola nota che riguarda più la
politica ecclesiastica in generale che la nostra piccola chiesa, ma siccome
fu per esserne toccata bisogna parlarne. II medioevo aveva lasciato una
abbondantissima eredità di piccoli conventi e monasteri sparsi
un po' ovunque; essi erano retti da uno o due religiosi che non potevano
affatto vivere in maniera adeguata la vita conventuale secondo la regola;
servivano più che altro a raccogliere offerte da destinare alla
casa madre e, più che offrire un servizio pastorale o dare una
testimonianza cristiana, dimostravano il contrario. Per ovviare ai fin
troppo chiari disordini i papi cercarono di sopprimere i conventi troppo
piccoli (papa Innocenzo X, cost. "Inter caetera", 1649) ed anche
il nostro S. Agostino non poteva non entrare in questo numero. Riuscì
a salvarsi dimostrando il suo ruolo parrocchiale (1654). D'ora innanzi,
pur essendo sempre proprietà di S. Maria in Porto di Ravenna intensificò
i suoi legami con il vescovo forlivese e fu considerata una parrocchia
a tutti gli effetti. Ritornando agli edifici parrocchiali si deve notare
che se la narrazione scorre veloce, i secoli macinavano lentamente gli
anni e i giorni e questi, a loro volta, lasciavano il segno su quegli
antichi stabili che diventavano sempre più fatiscenti. Il richiamo
dei vescovi visitatori al restauro degli ambienti è puntuale ma
1'esecuzione è sempre molto lenta, anche in virtù della
speciale configurazione patrimoniale della chiesa: essa non possiede alcun
bene, il parroco è stipendiato dalla Canonica di Porto e non ha
la possibilità di intervenire in materia cosi costosa; la lontana
Canonica non si preoccupa affatto della piccola chiesa, quasi sperduta
nella vallata del Rabbi. Tuttavia il secolo XVIII vede alcuni radicali
interventi che modificheranno profondamente la morfologia della antica
piccola "canonica" che ospitava una comunità e la trasformeranno
in casa adatta ad un solo sacerdote. Finalmente nel 1763 abbiamo questa
testimonianza da parte del notaio vescovile che segue la visita: "visitò
tutta la chiesa e vide che era lastricata e possedeva un unico altare,
uscendo osservò il portico (il nartece?) e vide che il cimitero
non era circondato né da siepe né da muro, si accorse inoltre
che le due campane erano rotte; la casa parrocchiale era però sufficientemente
comoda e vide 1'antica fabbrica che costituiva il vecchio monastero parte
distrutta e parte prossima a cadere. Indubbiamente erano stati fatti dei
lavori ma in considerazione dello stato ormai irrecuperabile dei vecchi
edifici si era proceduto a costruire ex novo e altrove la nuova canonica
(agli archeologi una risposta più precisa). Nonostante tutto la
situazione non era delle migliori, ancora nel 1767 la chiesa si presenta
senza soffitto se non nel catino dell'abside in cui e dipinto, "infelici
penicillo" un sant'Agostino; le tombe sotto il portico hanno le chiusure
sconnesse e beanti. Il coro serve da sacrestia, sono aumentati i quadri,
ora ve n'è uno con la figura di sant'Agostino, san Michele e la
Vergine, un altro con san Paolo ed un terzo con santa Elisabetta. Un più
ampio documento del 1853 ci dà un'illustrazione della chiesa e
della vita parrocchiale che possiamo ritenere valida fin quasi ai nostri
tempi cioè quando una più moderna pastorale suggerita dal
Concilio Vaticano II non ha indotto diversi cambiamenti. La parrocchia
di S. Agostino confina a levante e mezzogiorno colla diocesi di Bertinoro,
a ponente con Marsignano e S. Cristoforo, a settentrione con Fiumana.
La chiesa (si danno queste dimensioni: lunghezza della navata m. 8,50,
larghezza m. 5,80, lunghezza del presbiterio m. 3,30, il coro m. 2 x 4)
si presenta non consacrata (fatto di non grande rilevanza perchè
non era un gesto necessario all'esercizio del culto); né soggetta
ad un patrono laico od ecclesiastico (con la soppressione di S. Maria
in Porto effettuata dai francesi sul finire del XVIII la chiesa, con autonome
funzioni parrocchiali si era trovata proprietaria di se stessa); in comune
di Rocca d'Elmici, appodiato di Predappio, governo di Civitella, legazione
di Forlì (sono le strutture amministrative pontificie); non ha
possedimenti che ne permettano la conservazione od il restauro, a ciò
supplisce la Compagnia del SS.mo Sacramento che possiede un appezzamento
di terra, piantato a viti e ad alberi, dell'estensione di due tornature
forlivesi, più una piccola selva ed un censo (un capitale a frutto
presso privati ma debitamente registrato) di scudi 60 al 5%, questi cespiti
consentono la manutenzione ordinaria della chiesa; nella chiesa vi sono
tre altari: il maggiore è dedicato a sant'Agostino e gode del privilegio
apostolico (celebrandovi la messa si poteva applicare ai defunti 1'indulgenza
plenaria); quello a sinistra alla Madonna del Fuoco (riteniamo che il
quadro settecentesco ancora oggi presente nella chiesa fosse già
al suo posto in questi anni e sia quello di cui è detto, più
tardi, essere stato regalato dagli Albicini che possedevano la vicina
villa Pandolfa); quello a destra è dedicato a1 S. Cuore di Gesù;
sotto il pavimento della chiesa vi erano quattro sepolcreti: uno comune,
uno dei confratelli de1 SS.mo Sacramento, uno della famiglia Mambelli
ed un altro della famiglia Cattani; vi è il cimitero che è
di proprietà del comune di Rocca d'Elmici e a spese di quello viene
mantenuto e custodito. La Compagnia del SS.mo Sacramento oltre che ad
esistere da secoli ed aver nel frattempo accumulato quel piccolo capitale,
era stata riformata con decreto di papa Gregorio XVI (come era avvenuto
per le Confraternite di ogni tipo durante il periodo della Restaurazione),
era stata aggregata all'Arciconfraternita di S. Maria sopra Minerva di
Roma e godeva di tutti i suoi privilegi spirituali. Non vi sono particolari
reliquie, né oggetti di particolare valore; si celebravano le feste:
del SS.mo Sacramento, della Madonna del fuoco, di sant'Antonio abate (protettore
degli animali), di san Macario abate (protettore delle campagne), del
S. Cuore di Gesù. Si impartiscono con regolarità le lezioni
del catechismo e si svolge una consistente opera di predicazione. Vi è
un archivio parrocchiale che incomincia dal 1553 (piccola bugia perchè
esso ha cominciato ad essere costituito nella meta del secolo XVII e più
volte, nel periodo successivo viene dato per disperso, a tutt'oggi è
di una esiguità disarmante). La parrocchia si compone di trentotto
famiglie, di anime 198, tutte abitanti in casolari sparsi nella campagna,
non essendovi alcun consistente borgo. Alla fine del secolo XVIII troviamo
che in località Piazzano, nella villa della famiglia Amadori, vi
è un oratorio dedicato al Nome di Maria. S. Agostino si presenta
quindi come una piccola parrocchia della prima collina, esigua nelle sue
dimensioni territoriali, nel numero dei suoi abitanti e nella consistenza
patrimoniale tanto che la Reverenda Camera Apostolica (ministero delle
finanze dello Stato pontificio) deve costituire, per rimediare alle soppressioni
napoleoniche che avevano incamerato i beni di pertinenza della parrocchia
(cioè della Canonica ravennate), un capitale di scudi 1796.49.4
che fruttino almeno scudi 87.19.6 coi quali il rettore possa vivere dignitosamente
(1819). Non essendo questi ancora sufficienti nel 1863 il vescovo stabilì
una tassa di quaranta scudi sui capitali dell'arcidiacono del Capitolo
della Cattedrale di Forlì che doveva essere devoluta al rettore
di S. Agostino e così integrare la somma necessaria per il suo
sostentamento. Sostanzialmente le cose sono rimaste identiche fino ai
grandi restauri di consolidamento delle strutture murarie della chiesa,
di ripulitura e di rilettura delle pareti affrescate, del radicale rifacimento
della canonica effettuati alla fine degli anni venti di questo secolo.
Non è inutile riportare, secondo che ce lo consentono le fonti,
un breve cenno sullo sviluppo della popolazione della parrocchia: |