Favignana si presenta da sé con la forza della sua
bellezza. E' la stella del Mediterraneo che emana tutto il suo splendore ed il suo fascino naturale; è la farfalla che fa sognare ogni turista alla scoperta di ebbrezze sensazionali.
La fantasia si sbizzarrisce di fronte a mille forme originali sparse per tutta l'isola con la materia prima da costruzione: il tufo.
Il connubio Favignana-tufo è una realtà non solo del passato, ma anche del presente.
Per Favignana il tufo è la sua naturale connotazione e dire tufo è dire vita. Vita legata all'economia, ed oggi alla storia ed all'arte.
Il tufo con le sue cave, chiamate
"pirrere", non ha modificato soltanto la conformazione morfologica delle coste marine. Oggi troviamo costruzioni-abitazioni e monumenti in tufo, modellati dalle mani abili e creative dell'uomo come il sarto modella un vestito su misura.
E' il tufo che crea spazio-vuoto con le forme immaginarie più
irreali. Le cave hanno preso le dimensioni di monumenti irripetibili e fantastici. Tagliare il tufo, in vernacolo:
"trinciari" è Arte che nasce e si perfeziona nel cuore e nella fantasia dei cavatori, veri maestri del taglio.
E' il tufo che stimola la fantasia dei piccoli, lo stupore dei visitatori, la speranza dei giovani e la nostalgia degli anziani.
Il tufo è storia, che i padri raccontano, narrando mille gesta avventurose e ne tramandano l'arte.
Ogni grotta è una cava, ogni cava un uomo che si perde nel tempo con i suoi ricordi non sempre nostalgici, spesso tristi per gli stenti, per il sudore versato, per i sospiri ed anche le lacrime. A volte il pane era duro, il companatico scarso (forse pochi fichi secchi) e la giornata terminava a sera inoltrata.
Gli anziani cavatori scrollano il capo con frustrata rassegnazione perché vedono scomparire con il passar del tempo gli anni più belli, gli orgogli di rivalità, perché il tufo di Favignana è sempre stato il più forte, il più tenace ed il più resistente, ma nello stesso tempo più "malleabile" per le opere d'arte.
Ne è prova il Palazzo Florio, monumento unico nel suo genere, che mostra con fierezza la resistenza del tufo. Con i suoi merli e pinnacoli il Palazzo Florio rappresenta l'insegna della pietra tufacea, roccia che sfida i secoli.
Se il tufo è l'immagine emblematica di Favignana, le cave sono la coreografia naturale di
quest'isola baciata dal sole, accarezzata dai venti, trapuntata da mille riflessi marini. Ad uno sguardo attento e non frettoloso le cave di tufo non solo manifestano la bravura ma anche la forza fisica dei cavatori. Ogni gesto di forza misurava la capacità di ingegnosità per il minor sforzo e maggiore resa nel taglio.
Il taglia-pietre, detto "pirriaturi", doveva essere forte nel fisico, (anche se a lungo andare si deformava lo stesso corpo) e nel carattere per affrontare i disagi dei fenomeni atmosferici ed il chiuso delle grotte.
E' stato un mestiere ad arte, dove si aguzzava l'ingegno per dominare il tufo e non finirne succubi.
L'abilità del taglia-pietre stava nel "trinciari i cantuna" (tagliare i tufi) secondo linee perfettamente parallele e tanto velocemente da sorpassare il compagno di lavoro più vicino, evitando così il fastidio della polvere da lui sollevata, e guadagnare maggiormente. Porzioni di tufo spesso non venivano più tagliate per evitare inutile spreco di energie in quanto la pietra tufacea era attraversata nel suo spessore da venature di consistenza più dura, detti "nervi".
La fantasia diventava più vivida nel creare gli "scannaddi" (scalette tufacee) con intacchi a muro per salire e scendere la cave.
Il cavatore, anche se preciso nel taglio, doveva ancora rifinire il
"cantone" (blocco di tufo) con la "mannàra" (scure) che da un lato finiva ad ascia, appunto necessaria al
"pirriaturi" per pulire e squadrare il tufo.
La fatica non era finita in quanto era necessario portare il tufo sopra la cava detta
"pirrera" ed allora si serviva del "manganeddu" (argano in legno), dove solitamente un
"picciottu" (ragazzo) legava i tufi che venivano tirati su e sistemati dai
"pirriaturi"a pile in numero di 22.
Le misure del tufo erano quelle di sempre: misura antica (la più piccola) - il
cantone vero e proprio - la chiappetta, la chiappa,
u pezzu, u buzzune.
Il mare era l'unica strada di percorso per il commercio del tufo. Su grosse barche dette
"schifazzi" si caricavano i cantoni imbarcati
a mo' di passa-mano tramite appositi scivoli realizzati lungo la
costa.
Un
"picciottu" di sentinella avvertiva l'arrivo
dello "schifazzu". Al suo grido i
"pirriaturi" lasciavano il lavoro e con la giacchetta sulle spalle e a piedi
scalzi correvano per caricare le barche nei vari scali: Cavallo, Cala Rossa, Bue Marino, Punta Marsala, Canaleddi, Burrone e Puntazza, dove i carrettieri, curvi e sbuffanti sotto il peso del "traino", avevano trascinato il pesante carico.
Mani robuste afferravano il "getto del tufo" e lo
sistemavano sugli "schifazzi", a remi o a vela,
sempre insufficienti per simili carichi. L'insaziabile mare insidiava spesso il
prezioso carico.
I binari profondi lasciati dai carri sono segni evidenti che rimangono come un ricordo
nostalgico e testimoniano l'evidente fatica dei carrettieri, uomini nerboruti, avvezzi alle fatiche
e sempre in rivalità tra di loro per competenza di guadagno. Quando il maltempo li costringeva al riposo, dimenticavano il loro stato e fraternizzavano riunendosi familiarmente in una
"pirrera" con canti e scherzi amichevoli.
Essi conoscevano il proprio lavoro: l'esperienza insegnava loro come afferrare i conci (blocchi di tufo), anche quelli pesanti, in maniera agevole e spedita. Lo stesso carro da trasporto dei tufi aveva dimensioni e strutture tali
da alleviare gli sforzi.
Le cave di tufo non hanno finito il loro compito naturale: oggi allietano il favignanese e con lui il visitatore con il profumo dei fiori, il fresco degli alberi. Sono diventati veri giardini dell'Eden, grazie alla scoperta di pozzi in seno alla
"pirrera" di acqua dolce.
Oggi le mani abili dell'artista modellano e creano forme svariate dal tufo. Le qualità e le doti di artigiani provetti esprimono armoniose figure, immagini dai lineamenti precisi, contorni lineari sì da rendere l'immagine viva e palpitante.
Il tufo di Favignana per le sue caratteristiche di consistenza e di colore bianco luminoso è da considerarsi il materiale che meglio di ogni altro esprime l'isola, perché il tufo è l'eterno compagno del favignanese, l'elemento base per un'edilizia che si ispiri al bello ed all'arte. Alfredo
Cingolani Damiano |
stemma
spagnolo del 1570
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