PARTE SECONDA
(la prima parte è stata pubblicata sul Giornale delle Egadi del Dicembre
1998)
Su disposizione del viceré
Don Ferrante d'Avalos, marchese di Pescara (1568-1571), giunse a
Trapani un
"ingegnero" della Regia Corte allo scopo di prendere in esame, prima dell'ampliamento urbano, la cinta muraria della città demaniale. L'incarico prevedeva, tra l'altro, la rivisitazione dell'antico sistema difensivo delle torri di avviso ubicate lungo la fascia costiera della Sicilia Occidentale.
In particolare venne preso in considerazione il potenziamento delle strutture difensive del lato di Mezzogiorno e Tramontana della città di Trapani, Fu inoltre rivista la posizione strategica delle isole Egadi che rappresentava l'unico fronte di difesa posto a occidente. Lo scopo era quello di contrastare l'azione piratesca che tormentava i traffici marittimi e teneva in continua apprensione la città. L'intensa attività dei pirati, esercitata attorno elle isole, non aveva consentito il sorgere di veri e propri nuclei abitativi nelle Egadi, anche se già sin dal periodo arabo-normanno
preesistevano alcune piccole e timide strutture. Si trattava per lo più di edifici isolati legati ad attività di culto o di osservatori ai fini della navigazione (vedi la chiesa basiliana dedicata a San Simone e l'edificio ad
opus reticulatum esistente in località Case Romane a Marettimo che venne riutilizzato anche nei periodi successivi
a quello romano) non ché di una sorta di fondaci o "malaseni". Quest'ultimi consentivano ai mercanti stranieri (in particolare Genovesi che dal tempo delle Crociate praticavano il commercio orbitando attorno olle Egadi),
lo stoccaggio delle diverse mercanzie (derrate alimentari) che scambiavano con navi dedite alla pirateria. Numerosi furono nel corso dei secoli gli episodi legati all'attività piratesca esercitata nelle isole Egadi che spesso compromettevo i rapporti diplomatici con le oltre nazioni. Non si contano gli interventi diplomatici del vice Ammiraglio di Trapani presso i pirati per la restituzione del
bottino.
Nel 1283 Manuele Curlaspitum di Savona e Bonummeliorem di Arenzano, col pretesto di guerreggiare contro i Pisani, predano un'imbarcazione con tutto il suo carico e la nascondono fra le insenature delle Egadi.
Il Re Pietro scrive al Comune di Genova perché i due pirati restituiscono la nave con tutto il suo carico.
Francesco Spinola svolse nelle Egadi un'intensa attività piratesca. Nel 1419 assalta e saccheggia una nave catalana.
Successivamente preda un'altro legno, ma è costretto a restituire l'intero carico dietro l'intervento del Fardella vice ammiraglio di Trapani, poiché appartenente al Centurione Zaccaria
II, principe di Ladislao e di Acaia.
Nel 1443 il visconte di Salluri, Antonio de Senis, preda una nave genovese di Afinara, ma ne restituisce il carico dietro l'intervento di due commissari inviati dal
viceré.
Ed ancora nel 1445, al traverso dell'isola di Marettimo, un gruppo di pirati biscaglini bloccano e predano una nave veneta in rotta per Tunisi.
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Nella città di Palermo nel 1697 venne sedata una rivolta contro il Regno ordita da Antonio Madione, pittore originario di Siracusa, D. Saverio Romano di Bivona, Francesco Ferrara, farmacista della terra di Novara, Giovanni Insirillo della città di Messina, il sacerdote D. Giovanni Battista Sferlazza pur esso di Messina, Francesco Calobrò.
Nicola Noto, Domenico Mozadelli, D. Giovanni Reina, medico, e mastro Rosario Monello, armiere, con il proposito di sollevare
"esta ciutad de Polermo y todo el Reyno, por cuya rebellion deba reducirse su goviemo al de republica como Venecia, pues si a caso se averiguerian las noticias que el Rey, nuestro senor fuese fallecido, havrieran montado a cavallo armados yendo por la ciudad, gritando: Libertad, Libertad, viva Dios, que este Reyno sea
republica".
Scoperta la congiura i ribelli furono rinchiusi nelle carceri segrete del Santo Ufficio e dopo essere stati torturati si dichiararono rei. I principali cospiratori furono individuati in Romano, Insirillo e Ferrara che furono condannati a morte mentre gli altri imputati vennero segregati a vita nell'isola di Pantelleria e Marettimo.
Nel 1765 rappresentante della Santa Inquisizione nell'isola di Marettimo era Don Melchiorre Alionaro,
"Regius Cappellonus et Commissarius Santissime Inquisitionis Regis Castri
Maretimi". Secondo le Relazioni "Ad
Limina" dei vescovi della Diocesi di Mazara del Vallo, inviate alla Sede vaticana nel periodo compreso tra il 1590 e il 1693, gli abitanti di Marettimo si aggiravano attorno ad una sessantina di unità.
"In Maretimi, a Favoniona poem distants, habet Animos sexsaginta, quarum triginta communicant. In ea residet Cappellanus pro Sacromentorum ministerio, cui congrua merces ab eodem Regio Potrimonio
assignatur".
La fortezza di Marettimo venne affidata ad una guarnigione di soldati spagnoli, che vi risiedevano stabilmente con le loro famiglie e che dettero poi origine alle principali genealogie dell'isola: (Sercia, Tedesco, Li Volsi, Incaviglia, Torrente, Duran, Serra, Sanges, Bannino, Savalli, Venza, Campo, Canino, Cocco, Carriglio, Costillo, Marsè Guerra, Torre, Scaduto, etc.).
Furono uomini the, pur di ricevere il misero soldo dallo Stato, accettarono condizioni estreme di vita. Affrontarono e sfidarono immense difficoltà derivanti dall'asprezza e dal pericolo di quei luoghi, distanti una ventina di miglia dalla città di Trapani. L'unica loro difesa erano le armi da fuoco che periodicamente erano fornite dal Comando militare della Piazza di Trapani che li consegnava, per il trasporto fino al forte dell'isola,
al "monizioniero" del Castello di Marettimo (nel 1600 era Francesco Camacio) che aveva l'incarico di trasportarli, con schifazzi presi o nolo. Il
Castello, per la dotazione di artiglieria, fu assai temuto dai pirati che per un periodo di tempo si tennero alla larga. L'artiglieria consisteva in
"un Sacro Reale di libri 9, un Mezzo Sacro di libri 5, tre Falconi di libri 3 e sei Moschetti della Corte. Vi erano inoltre per lo Sacro balli 100 e altri per lo Mezzo Sacro. Inoltre tre cantara di polvere da sparo in ottimo stato e mezzo cantaro di polvere inutilizzabile a causa dell'umidità. Ed ancora un cantaro di Meccio ed altro cantaro tra balle e
piombo".
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Svolgere una qualsiasi attività economica nelle Egadi era impresa impossibile e comunque rappresentava un grosso rischio. Per tale ragione le isole furono, con gran sollievo della Regia Corte, vendute o affidate ai baroni in cambio di servigi resi alla Corona.
Nel secolo XVI il controllo dei traffici marittimi attorno alle Egadi divenne per la Regia Corte una questione d'importanza primaria. L'obiettivo era quello di avanzare più a Ovest il fronte militare esistente costituito allora dalla torre di guardia edificata nell'isola di Favignana sin dall'epoca del
viceré Giovanni de Vega (1547-1557).
L'operazione si era resa necessaria, per avere un maggior controllo sul canale di Sicilia e rendere più sicuri i traffici marittimi. Ma anche per dare maggiore sicurezza e nuovo impulso all'esercizio delle tonnare e alla pesca del corallo che si esercitava attorno alle Isole. La torre di Favignana, allo scopo, risultava inadeguata rispetto alle nuove strategie difensive.
I pirati operavano saccheggi e distruzioni
"nelle isole della Favignana" e avevano fatto delle Egadi uno dei loro principali covi del Mediterraneo. L'esistente presidio di Favignana, che era in collegamento con la Torre di San Teodoro e quella della Colombaia, era facilmente vulnerabile ed era divenuto obiettivo dei pirati. Le ciurme piratesche facilmente avevano avuto ragione di quella postazione neutralizzando, con le loro incursioni, quell'importante maglia della rete di controllo in Sicilia.
I Giurati della città di Trapani, che avevano la giurisdizione delle Egadi, facevano gran fatica a rimpiazzare in quell'isola un nuovo presidio. Nessuno infatti per
"deci scudi lu misi" era più disposto ad accettare quell'incarico che era considerato ad alto rischio. Il progetto relativo all'ampliamento della cinta muraria della città demaniale venne realizzato con il contributo dei Giurati che imposero ai cittadini nuove gabelle. Gli stessi Giurati non furono però disponibili ad assumersi gli oneri finanziari relativi all'ampliamento delle difese occidentali il cui progetto prevedeva la costruzione di nuove fortificazioni nelle Egadi le cui isole si trovavano infeudate alla famiglia trapanese dei
Riccio. La soluzione adottata dal
viceré Pescara sgombrò un'eventuale diatriba che certamente sarebbe sorta tra la Regia Corte e il Senato Trapanese. Il marchese di Pescara, infatti, allettato dagli utili che poteva trarre dal rilancio delle attività economiche (tonnare, pesca del corallo e dell'eventuale messa in coltura di quelle terre) acquistò da Francesco Riccio le Isole e
"fe' primiermente compra di loro dal barone che in feudo le aveva, per prezzo di quattromila scudi, con obligo di pagarnele il censo infin a tanto che l'intiero prezzo dato gli
avesse".
La decisione del viceré contribuì sostanzialmente alla realizzazione del progetto che avanzò di fatto il fronte di difesa da Favignana fino all'estrema isola di Marettimo.
"E dopo che il Pescara ebbe compre l'isole Favignane mandò a fabricar rocche e torri appresso a quei lochi vicine, ove fossero più opportune, per discoprir i corsari da lunghe, et anco per caccianeli quindi, quando in tempo di fortuna, o di altro, vi si avesser voluto fermare in modo che né pescagione di tunno, né di corallo, far vi si avesse
potuto".
Nell'isola di Favignana il viceré Pescara vi costruisce tre rocche:
una
sul lato di Tramontana chiamata San Leonardo, un'altra a Mezzogiorno e
l'ultima la edifica sulla montagna di Santa Caterina. "Fe' anco edificar a Maretimo un'altra fortissima rocca, vicina alla calo di Santo Simone, tanto per
difender quindi con artegliarie e l'acqua, e la stazione di vascelli, che sola
quivi in quell'isola i corsari avere potevano". Le opere di fortificazioni non
interessarono però l'isola di Levanzo dove Ferrante d'Avalos dispose solamente un servizio di guardia per sorvegliare
"tre lochi, ove i corsari solamente acqua far
ponno".
La presenza dei militari nelle Egadi dette un nuovo impulso, se pur timido, al primo popolamento di Favignana (che rimase legato elle antiche attività economiche quali le tonnare, la pesca e l'estrazione del tufo. A Marettimo il castello sorse sul promontorio, alto 116 metri, che sporge in mare sull'estrema punta Nord Est
dell'isola denominata "Punta Troia". Il progetto disposto dall'
"ingegnero" della Regia Corte, pur essendo in presenza di un luogo ricco di fonti d'acqua potabile, quale era quello di Marettimo, non
tenne in considerazione, per ragioni di strategia militare, la possibilità di
poter costruire un piccolo acquedotto per alimentare il maniero
il quale doveva servirsi per l'approvvigionamento idrico esclusivamente dall'acqua piovana che a mezzo di catusato veniva raccolto nelle apposite cisterne.
Tale criterio fu anche imposto a tutte le fortificazioni esistenti in Trapani dove le cisterne d'acqua piovana erano state abbandonate sin dall'epoca dell'imperatore Carlo V (1516-1558) per l'entrata in funzione del primo acquedotto civico. Il
castello di Punta Troia venne quindi dotato
di due ampie cisterne, una della capacità di 1700 barili e l'altra,di riserva, capace di 600 barili. Successivamente una terza cisterna fu costruita, fuori le mura, e doveva servire per l'approvvigionamento dei vascelli della Regia Corte in transito al traverso
dell'isola o in breve sosta alla cala di Scalo Maestro o, a secondo della direzione del vento, in quello di
cala Manione.
Alla morte del viceré Ferrando Francesco d'Avalos le Egadi vengono acquisite
dalla Regia Corte.
"Essendo da poi morto tosto il Pescara, che le dett'isole aveva comprato, la Corte Reale, stimando assai il commodo della sicurezza che la fortificazione dei lochi predetti avea
alla navigazione de' vascelli partorito, e temendo insieme che per la morte del detto Pescara la custodia loro venisse tosto ad esser da' suoi eredi negletta, con ritornar i naviganti cristiani a ricever indi quei danni di novo che vi avevano già innanzi sentito, le ricomprò dagli eredi predetti, del modo che il Pescara avute le avea dal suo barone, con rifargli di più le spese delle fabriche nove; e cotanto oltre a ciò,
e gli edifizi, e la gente di guardia, essa Corte le accrebbe che ormai il passo, che è fra le dette isole e Trapani, è tanto sicuro che non ne fosse alcun altro in Sicilia che sia oggi men sospetto di corsari di
quello".
Malgrado le misure adottate contro i pirati, l'attività di questi non venne tuttavia debellata, ma soltanto attenuata nella sua recrudescenza e frequenza. Episodi di pirateria si verificarono nel mare delle Egadi fino alla fine dell'ottocento. Il Padrone Nicola Malato, trapanese, venne insignito nel 1755 dal Re col grado e distintivo reale di Capitano di mare per aver al largo dell'isola di Marettimo combattuto contro due bastimenti di remo barbareschi. Lo stesso Malato, tre anni dopo, per aver depredato due marticate procidane con undici Turchi o bordo ebbe, quale ricompensa reale, il riconoscimento della
"franchigia dei diritti di ancoragio, falangaggio, pennellaggio, ed altri in tutti
i porti dei reali Dominj".
Nel 1816 la regia feluca in servizio tra
Marsala e l'isola di Marettimo
per il rifornimento dei viveri ai militari e relegati del forte di Punta Troia fu
assaltato dai pirati.
Il partitario della dispensa del forte di Marettimo, Andrea Li Volsi di Favignana supplicava, il 25 Maggio 1820, Antonio Fardella,
Secreto di Trapani, per aver rimborsate 14 onze da lui spese per il pagamento di noli di schifazzi per poter continuare l'approvvigionamento dei
viveri di Marettimo: "per causa di noleggi in circostanza, che fu predata dagli Algerini la Real Barca per come l'ha fatto costare per l'epoca presentata alla suddetta
Secrezia".
Alle falde del castello la Regia Corte aveva un progetto per la costruzione dello scalo marittimo attorno al quale poi doveva sorgere il primo villaggio
dell'isola (sorto poi in altro luogo, più a Sud, sulla punta denominata Santo Simone, considerato ai fini dell'approdo più sicuro e meno tormentato dai venti del primo Quadrante.
"...Si era lasciato di fare lo scaro, tanto necessario, cominciato, per ordine di S.E., sotto il forte per commodo delli dispacci che vanno e vengono in Sicilia e di altri vascelli che vi passano e che vi si ridossano con gran pericolo di
perdersi...". Sempre fuori le mura del castello infatti era
stata edificata una piccola chiesa sotto il titolo di Sant'Anna all'interno della
quale vi fu costruito un sacello dove venivano accolte le spoglie dei militari deceduti.
La
chiesa, alla fine del XVIII secolo, venne sconsacrata e utilizzata quale magazzino per i viveri del forte. Di detta chiesa in Marettimo se ne ha notizia da un certificato di morte rilasciato dal Regio Cappellano del castello
D. Melchiorre Alionara:
"Anno Domini Millesimo septingentesimo sexagesimo secundo Inditione Undecima, Die vigesima quarta mensis Novembris Vincentius
Campo insule Faviniane milites in hoc oppido Maretimo annorum triginta septem circiter munitus omnibus Sacramentis obit die vigesima tertia ciusdem mensis, et par me Regius Cappellanus, supradicti Regij Castri, sepultus fuit in Sacello Dive Anne dicato extra menia dicti Costri in quoius ossa geriescunt.
In quorum omnium fidam, presentes fieri iuscimus et nostra subscriptione firmanimus, et corrobboranimus proprio Sigillo nostre Parrochialis Ecclesie, datum Maretimi Anno Domini 1765 Inditione Duodecima, Die Vigesima Sexta Mensis Agusti. Don Melchior Alionara Regia
Cappellanus".
In quel tempo l'attuale villaggio, in antico chiamato San Simone, non si era ancora formato e l'isola veniva ancora considerata disabitata. L'unica presenza umana era quella legata all'attività che si svolgeva all'interno del castello.
Il presidio del maniero, composto da una quindicina di militari, soprintendeva ad una trentina di relegati che per volontà del Tribunale del Santo Uffizio, durante il regno di Carlo II, erano stati destinati
all'isola di Marettimo.
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I viveri necessari per il presidio del Castello venivano approvvigionati , della Regia Corte, per il tramite della
Secrezia di Trapani che effettuava i relativi pagamenti ai fornitori. L'acquisto dei viveri avveniva trimestralmente a cura del
Pro-Secreto di Marsala il quale a sua volta li consegnava al
"monizioniero" del Forte di Marettimo che aveva l'incarico di trasportarli, con la regia feluca di servizio o, quando questa impedita, per il tramite di nolo di schifazzi, fino all'isola per la consegna al comandante del
Castello di Punta Troia. Successivamente sia il trasporto che la distribuzione dei viveri vennero affidati ad un militare appositamente incaricato che veniva, per tal servizio, regolarmente retribuito.
Poi, per l'eccessivo costo d'esercizio, sia il trasporto che la gestione della dispensa del castello venne data in appalto. Spesso i viveri, per le cattive condizioni del mare o per il fermo sanitario imposto in occasione delle diverse epidemie o perché l'imbarcazione che li trasportava veniva assaltata e saccheggiata dai pirati, arrivavano al forte di Marettimo con notevole ritardo e quando venivano consegnati al comandante del forte, erano già deteriorati e nella migliore delle ipotesi non corrispondenti alla quantità richiesta per il fabbisogno. Alcuni partitari, in violazione del contratto stipulato con la Regia Corte, maggioravano, a loro vantaggio, i prezzi dei viveri. Secondo alcune clausole del capitolato d'appalto i prezzi dovevano corrispondere a quelli che si applicavano nella Piazza di
Marsala. Non era giustificato quindi alcun aumento dal momento in cui il trasporto era a carico della
Secrezia di Trapani che ne effettuava al partitario il relativo rimborso. Immancabili e puntuali piovevano le proteste dei comandanti, che nel corso degli anni si alternarono al comando di quel forte, avverso il
Secreto di Trapani, per i continui abusi praticati nella variazione di prezzi dal partitario a danno dei presidiari e dei condannati dell'isola.
Tali proteste si protrassero fino al periodo borbonico, anche
quando, dal 1759, il servizio venne dato in appalto dalla Regia
Corte a Don Pietro De Franchis e Filippo di Palermo. Fave e biscotto (che veniva fabbricato presso i forni di Trapani o Marsala a seconda della disponibilità di una delle due Piazze) erano gli alimenti base dei militari ed ancora vino, olio, pasta, tonnina sotto sale, caciocavallo e formaggi. Mentre di rado veniva rifornito il frumento. Le condizioni di vita nel
Castello erano pessime, stante ad una relazione del 1640 inoltrata alla Regia
Corte: "La gente che vi dimora patisce grandemente in ogni cosa: prima, non hanno stanze a bastanza per abitare e stanno con uno strettura insopportabile, e particolarmente quei che hanno moglie; almeno tre altre stanze basterebbono. Secondo gli manca una stanza per lo molino e per lo forno. Terzo per li grandissimi venti che di continuo vi spirano, e per le tempeste grandissime, ancora i muri gli astrachi dove si raccoglie l'acqua della cisterna, como anco le porte e le fenestre, erano consumate… Si lamentavano tutti che la maggior parte dell'anno gl'era bisogno mangiar biscotto... alla corruttione del vitto et anco alla gran puzza che era nel forte, dove mi pareva l'aere corrotto.
Il danno gl'ero cagionato per esser mal fatti i necessarij e le parti delle immonditie, le quali remanevono scoperte nella rupe del Faraglione, dalle quali cose tutte io ne feci avvisato
S.E"
Di contro la Corte non faceva mancare il conforto spirituale che nell'isola veniva assicurato dal Regio cappellano che assolveva anche a compiti di pubblico notaio, e veniva regolarmente stipendiato della Corte.
Al sacerdote titolare dell'isola "Primo Regio Coppellano" era affiancato, nella dispense dei Sacramenti, un secondo sacerdote "Cappellano secondario" che veniva designato trimestralmente da sette conventi della città di Trapani (Carmelitani, Agostiniani, Domenicani, Conventuali, Mercedari, Terzo ordine di San Francesco e Paolotti) ai quali veniva corrisposta la somme di
"tre carlini ogni giorno al Religioso che a vicenda sono tenuti mandare nel Real forte del
Marettimo". A questi sacerdoti veniva probabilmente affidata la gestione della piccola chiesa ubicata alle falde del castello sotto il titolo di Sant'Anna dove in ottemperanza del dispaccio Reale del 3 aprile 1789 vengono solennemente celebrati da Don Pietro Fedele i funerali alla memoria di Carlo III.
"Si adempia la pompa funerale in suffragio della Sua Anima dell'Augustissimo Carlo Terzo Re delle Spagne per lo che sono erogate onze due accordate
all'effetto".
La piccola chiesa poi, venne abbandonata, perché oggetto di saccheggi notturni da parte dei pirati che, di tanto in tanto, eludendo la sorveglianza del presidio, si avventuravano sull'isola. Venne per tale motivo sconsacrata ed abbandonata.
Nel 1792 la chiesa fu rivendicata dall'appaltatore dei viveri De Franchis e Francesco per essere adibito a magazzino dei viveri.
All'interno del Castello vi era comunque una piccola cappella intitolata a Santa Maria di tutte le Grazie dove si svolgevano i riti religiosi sia per i relegati che per i militari e le loro famiglie. Nel
Castello conviveva con i soldati, per l'assistenza alle famiglie, una levatrice che veniva regolarmente retribuita dalla
Secrezia di Trapani (l'ultima regia levatrice fu Maria Scaduto che percepiva il soldo di un'onza al mese). Retribuito veniva anche un regio barbiere, che faceva parte dell'organico militare del Castello, il cui compito non era soltanto quello della "barba e capelli" per i militari ed i relegati del forte. Egli assolveva anche ai compiti di medico chirurgo, ovviamente per casi di piccole entità. Quando il regio barbiere era in presenza di patologie gravi disponeva il ricovero del paziente che veniva trasportato a Trapani all'ospedale San Sebastiano. (L'ultimo regio barbiere di Marettimo fu Michele Scaduto).
Intanto sul fronte internazionale la Corte di Spagna era ancora impegnata nella guerra contro la Francia alleata con i Turchi e per sostenerla era ritornata ad indebitarsi attraverso nuovi prelievi fiscali che con prestiti aveva vincolato le risorse del
Regno a favore di mercanti e banchieri.
Filippo IV nel luglio del 1629 aveva ordinato al viceré di Sicilia di vendere al miglior offerente i cespiti finanziari dello Stato. Una operazione che portò al depauperamento di tutte le risorse della Stato ed alla totale paralisi delle attività economiche. Di contro l'operazione costituiva una occasione assai ghiotta per tutta la borghesia mercantile straniera che da tempo orbitava attorno alla Sicilia. In tale gigantesco affare un ruolo primario l'ebbero i mercanti-banchieri genovesi ed in particolare i fratelli
Brignone che da tempo avevano impegnato consistenti capitali nell'acquisto di beni demaniali. Tale argomento si deve ad un recente studio del Prof. Romualdo Giuffrida il quale ha aggiunto un prezioso tassello alla storia delle Egadi.
Il 1° settembre 1633 Gregorio Brignone concesse un prestito di scudi 13.333.44 alla Regia Corte.
Il 19 luglio 1634 la Secrezia di Naro (Ag) venne acquistata per onze 10.400 da Antonio Brignone.
Il 26 novembre 1633 Giacomo Brignone concesse alla Regia Corte un prestito di 5.600 onze.
Il 7 giugno 1634 acquistò per 6.400 onze, "pro-persona
nominanda", la Secrezia di Sciacca (Ag).
Il 19 settembre 1634 prestò alla regia Corte 9.000 scudi.
Il 5 settembre 1634, rappresentato da Ottavio del Bono, per 7.000 onze annue prese in gabella le isole Egadi con le relative tonnare. Giacomo Brignone concluse l'affare per recuperare dalla tesoreria siciliana le consistenti somme di cui andava creditore per le forniture di alcune partite di armi.
A causa della continua necessità di
"sacar dinero", il governo di Madrid pressava nei confronti del viceré di Sicilia
per mettere in vendita, al miglior offerente, le isole Egadi. Fu così che il
16 dicembre del 1637 il genovese Camillo Pallavicino acquistò per 75.000 onze, a titolo allodiale, le isole Egadi e tutti i diritti sulla pesca del mare circostante. Il Pallavicino fu indotto in tale affare per recuperare dalla regia Corte certi crediti vantati ma anche per trasformare la grossa operazione finanziaria in un vero e proprio investimento. Infatti il genovese ottenne dalla regia Corte che le Egadi venissero popolate e messe a coltura. Con apposito atto il Pallavicino ottenne inoltre di poter dare a censo terreni delle Egadi e che per tale censo
"si avesse a pagare a ragione di tarì uno per canna o meno, con intento et licenza del Tribunale del Real Patrimonio per far case et per fare vigna e giardini a ragione di unza una la salmata da cordiarsi con corda che solino cordiarsi le terri che si donano a
seminare"
Se per Favignana, con l'avvento dei Pallavicino, inizia l'era della ricostruzione e del rilancio economico altrettanto non si può dire per l'isola di Marettimo che rimase ancora abbandonata e con il solo presidio militare con tutti i problemi connessi al fabbisogno dei viveri che continuarono ancora a giungere dalla terraferma. Alla
Secrezia di Trapani infatti continuano a giungere proteste da parte dei diversi partitari dei viveri e dai comandanti del forte di Punta Troia per il pagamento di dazi e gabelle imposte dalle
pro-secrezia di Marsala la cui imposta faceva lievitare enormemente i prezzi per l'acquisto dei generi di largo consumo. Intorno alla fine del XVIII secolo intanto provenienti da Favignana si insediano a Marettimo le prime famiglie. Si trattava prevalentemente di militari del presidio e di nuove coppie native di Favignana che
andavano allettati dalle agevolazioni che i Pallavicino offrivano loro dando a censo le terre dell'isola da mettere a nuova coltura, A popolare per primi l'isola di Marettimo furono i Carriglio, i Sercia, i Li Volsi, Duran, Torrente, ecc.
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