"P.P. Proprietà privata: si prega di non rovinare ulteriormente la
casa".
Segnata con un pennello intinto nella vernice nera, questa scritta, a stampatello, campeggia sul muro esterno di una casa diruta sulla montagna di Marettimo.
Intorno le siepi di lentisco hanno invaso, rigogliose, il terreno che gli uomini hanno smesso di coltivare.
Di quel rapporto interrotto le uniche tracce rimaste sono due alberi di mandorlo ed un carrubo. Isola ricca di acque sorgive, l'antica Hiera veniva coltivata fin dove era possibile. I terreni, anche i più impervi, erano terrazzati con un sistema di recinzione fatto di grossi massi addossati l'uno all'altro. Ne risultavano piccoli campi che gli abitanti chiamavano
"chiuse". A quote più basse, nella zona costiera a sud del paese, vi cresceva il frumento, sufficiente a soddisfare i bisogni alimentari dell' isola che all' inizio del secolo contava ottocentottantanove abitanti (Guida del Touring Club, 1919). La coltivazione dei giardini, a quote più elevate, garantiva invece squisite prelibatezze, come le famose pesche di Marettimo che addirittura venivano esportate sulla terraferma. I frutteti risalivano le alture fino al pianoro che sovrasta le Case Romane e per
"abbeverarli" i contadini trasportavano l'acqua a forza di braccia, caricandosi i barili, colmi del prezioso liquido, sulle spalle vigorose.
Così fino all'ultima guerra. Una volta lassù, quando il lavoro lo richiedeva, vi si fermavano anche due o tre giorni.
I tanti cubi tufacei che segnano la montagna, fatti di un unico ambiente, con all'esterno un focolare attrezzato per la cottura, sono i luoghi di sosta e di riposo dalle fatiche dei campi. Dove l'uomo non arrivava e non gli era agevole strappare al monte terreno da coltivare, era il regno del leccio, l'ombroso e scuro albero della famiglia delle querce
(quercus ilex).
Frammenti di lecceti sopravvivono ancora oggi sulla sommità del monte. Il loro profilo si intravede tra le creste di Pizzo Campana. Mentre frammenti di terreno terrazzato, non ancora invasi dal recente rimboschimento della forestale rimangono sopra la
"Conca", a ridosso dell'irto promontorio di punta Basano. La lontananza, l'isolamento da altre terre, favorì quella
"modestissima agricoltura" (la definizione è di Gin Racheli nel suo "Egadi, mare e vita" - Mursia 1979). E, dobbiamo crederLe se fino agli anni Cinquanta il collegamento con Trapani era assicurato solo da un piroscafo che faceva una corsa settimanale, tempo permettendo. Si arrestava a circa un chilometro dalla riva dello scalo vecchio e lo sbarco avveniva con barche a remi, a pagamento.
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Con l'intensificarsi dei collegamenti ed il loro perfezionamento, la coltivazione della terra diventò anti-economica e molti agricoltori si trasformarono in pescatori.
Dalla pesca (frutto), alla pesca (attività del pescare). Attraverso il passaggio linguistico, dalla "e" aperta, alla "e" chiusa, si determinò la fine di un' epoca e la trasmutazione di un secolare stile di vita. Da allora la montagna è stato uno scenario inerte. Vista dal mare, un fondale, dal quale echeggiavano, di tanto in tanto, gli spari dei cacciatori. Con le cime più alte avvolte dalla nebbia, depositata in nuvole basse e, negli inverni più rigidi, perfino coperte di neve. Una nuova coscienza naturalistica, la nascita dell'ecologia, ha portato alla riscoperta di luoghi prima non considerati degni di attenzione. Così è facile nella bella stagione vedere percorrere le antiche mulattiere che salgono i fianchi della montagna da giovani escursionisti ma anche da intere famiglie con bambini al seguito. Un intraprendente allevatore di animali organizza giri turistici, facendo montare i clienti in groppa ad asinelli da soma.
Ciò perché i sentieri sono stati risistemati, resi sicuri e dotati di segnaletica, fantasiosamente in stile far west. In caso di sua eventuale sostituzione ci si può ispirare invece ai cartelli in uso sulle montagne svizzere, dove, per ogni passeggiata,
sono indicati destinazione e tempo di percorrenza, in minuti. L'acquisita conoscenza ambientale comporta oggi la capacità di distinguere la vegetazione spontanea dell' isola. Ben 512 specie, tra cui alcune rarissime presenti soltanto qui (perle di "Sicilia" - Edizioni Affinità Elettive, 1998). Tra quella che, nel tempo dell'ignoranza, sembrava solo erba, capita oggi di riconoscere il mirto odoroso, l'arbusto mitico della Grecia classica. Con i suoi gentili fiori bianchi e le foglie sempreverdi cresce ai bordi dell'abbeveratoio che si spalanca nei pressi dell'abside della chiesa basiliana risalente al XII-XIII secolo, edificata a duecento metri di altezza, su un balcone naturale a strapiombo sul mare.
Un documento architettonico unico. Dedicata forse a san Simone, da monaci provenienti dalla lontana Armenia (così su "Arte Medievale nel Trapanese" - 1978).
La donzelletta leopardiana tornava dalla campagna il sabato sera con
"un mazzolino di rose e di viole ". A Marettimo "in sul calar del
sole" la giovane donna, fresca sposa, reca in mano un fascio di fiori secchi giallo oro. Li ha colti su uno sperone roccioso, davanti al mare, profondo e trasparente, tornando dal castello. Sono i fiori dell'elicriso. Vivono a lungo, anche dopo essere stati recisi. Disposti dentro un vaso decoreranno la sua nuova casa.
Peppe Occhipinti
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