Amo vivere ed osservare le piccole comunità, anche perché la loro osservazione mi aiuta a comprendere meglio i fenomeni più vasti e complessi.
Vorrei, con l'aiuto dell'osservazione di una piccola comunità che frequento ed amo da vari decenni, sviluppare alcune considerazioni su come sia errata la convinzione, che pure è profondamente insita in noi, che le autorità pubbliche operino sempre a salvaguardia dell'ambiente sia con i loro interventi diretti che impedendo ai privati di far danno.
Prima di entrare nel vivo della questione devo sottolineare che, come ho già illustrato in altre occasioni, quando parlo di ambiente non mi riferisco solo a quello naturale ma anche a quello costruito dall'uomo, anzi all'insieme inscindibile dei due, al loro equilibrio sempre precario a causa del dinamismo delle forze naturali e sociali sottostanti, e pur tuttavia sempre da ricercare e da ricomporre. Questo equilibrio è importante a Marettimo, la più bella delle isole Egadi ed una delle più affascinanti isole del Mediterraneo. Il suo grande fascino si regge, infatti, su un delicato e molto particolare equilibrio tra una natura, sia in mare che a terra, forte e genuina, una comunità piccola ma molto viva, attiva e dignitosa ed un turismo che si è, fino ad ora, sviluppato con misure e rispetto dei caratteri naturali, umani e culturali dell'isola.
Marettimo è, insomma, non solo un luogo dove si può fare del gran mare e del trekking di grande fascino, ma è anche ed ancora un paese: con i bambini che giocano liberi e soli per le strade, con le partite a tressette in piazza, con quel vivere insieme - locali e turisti stanziali - che è cosa sempre più rara e preziosa. Insomma, Marettimo, per una serie di fattori complessi, ma alcuni dei quali chiaramente identificabili, ha saputo sviluppare una buona presenza turistica di appassionati, senza prostituirsi, senza arrendersi alla violenza del turismo, senza perdere la sua anima, la sua identità, la sua cultura. Ma è un equilibrio delicato e primario. E l'analisi delle tendenze in atto giustifica una previsione preoccupante. Due sono le tendenze principali che lavorano contro il mirabile equilibrio attuale.
Da un lato la crescita naturale del turismo, fatto in sé positivo, comporta la conseguenza, sempre più evidente, della presenza sull'isola anche di un turismo non adatto ed il contestuale crescere di appetiti di operatori esterni che, con un paio di insediamenti non congeniali all'isola, potrebbero facilmente sconvolgerne il delicato equilibrio. Minacciosi sintomi di ciò sono già evidenti.
La seconda tendenza è legata al fatto che, soprattutto per seguire gli studi dei figli, molti nuclei familiari si trasferiscono stabilmente a Trapani, sicché la comunità diminuisce continuamente di numero, soprattutto da ottobre a giugno, e quindi più debole diventa la sua capacità di resistere alla "violenza" ed alla "corruzione" del turismo.
Il fenomeno, ben conosciuto in tutte le isole disagiate, è tutt'altro che facile da affrontare. Ma alcuni rimedi sono conosciuti e possibili. Innanzi tutto dovrebbe essere necessario conservare una scuola di qualità per tutto il ciclo della scuola dell'obbligo, in modo da non dare alle famiglie lo stimolo di trasferirsi anticipatamente a Trapani per timore che una "cattiva" scuola media crei difficoltà ai figli, quando questi passeranno al ciclo superiore. Si tratta di un classico ciclo vizioso (il basso numero degli allievi spinge ad una dequalificazione della scuola; la dequalificazione della scuola fa ancor più decrescere il numero degli allievi) che spetta alle autorità scolastiche spezzare, con qualche sforzo ed investimento straordinario.
In secondo luogo le autorità locali devono finanziare in modo continuativo e sistematico quelle attività di presidio del territorio che, arricchendolo, hanno anche il grande vantaggio di trattenere i giovani a lavorare sulla loro isola, alla quale la maggior parte di loro è sinceramente legato.
Un buono esempio è offerto proprio dai lavori svolti a Marettimo dalla Forestale. Gruppi di giovani, guidati da persone dotate di sicuro gusto e competenza, hanno lavorato duramente ed abilmente, per ripristinare antichi sentieri ed ambienti rurali. Il risultato è stato splendido ed ha contribuito a sviluppare nell'isola un turismo da trekking, particolarmente adatto alla natura dell'isola, e che dieci anni fa, era praticamente inesistente. La spesa certamente modesta, è un buon esempio di spesa corrente altamente produttiva, anzi di spesa corrente che solo le primitive regole di contabilità pubblica classificano come tale.
In
realtà si tratta di una spesa in conto capitale, di spese di investimento che hanno grandemente arricchito e valorizzato il territorio. Sono certo, avendoli osservati, che l'amore dei giovani per la loro isola è stato uno dei fattori di un lavoro così ben fatto e di un risultato eccellente! Ma da un paio di anni, per ragioni che ignoro, questa attività si è quasi spenta, ed è diventata ridotta e saltuaria. Parte dei lavori fatti si vanno perdendo. Altre attività di questo tipo, capaci cioè di creare lavoro sull'isola e al contempo di arricchire il territorio sono certamente possibili, con spese relativamente modeste.
Penso al recupero dell'interessante complesso delle Case Romane, con resti notevoli di edifici romani uniti ad una non comune chiesetta rurale bizantina, di grande interesse. Penso al recupero del castello di Punta Troia, per posizione, concezione e storia uno dei più interessanti del Mediterraneo e che sta sciaguratamente andando in malora. Penso al recupero del semaforo, postazione di osservazione su uno dei punti più panoramici dell'isola, anch'esso abbandonato, mentre potrebbe diventare uno straordinario punto di osservazione "bird Watching" dei rapaci ed altri uccelli che si fermano a migliaia a Marettimo, prima del loro ultimo faticoso volo verso la Tunisia.
Tutte attività che, nel valorizzare beni ambientali che stanno andando in rovina, arricchirebbero in modo proprio il territorio creando lavoro per i giovani sia nel corso delle opere che nella loro successiva sorveglianza e gestione. Pochi posti di lavoro. Ma di pochi posti di lavoro, purché corretti, hanno bisogno le isole minori per affiancare gli antichi mestieri modernizzati. Cose relativamente semplici e poco costose.
Eppure in trent'anni che frequento Marettimo non ho visto nessun intervento pubblico serio, ben pensato e ben realizzato se si eccettua i tre seguenti: l'intervento della forestale; un eccellente pulizia generale della costa dell'isola realizzato lo scorso anno dalla Provincia; l'ottimo rifacimento della pavimentazione in pietra di alcune strade. Tutto il resto o non è stato o è stato fatto, dalla mano pubblica, così male da infliggere all'ambiente profonde ferite.
Una cosa importante poteva essere l'inserimento dell'isola nella Riserva Marina delle Egadi. Ma la riserva nasce, all'inizio degli anni '90, viziata da due tipici vizi italiani in questa materia. Viene concepita con rigore estremo, come una riserva quasi tutta integrale, con un impostazione che qualunque serio studioso delle riserve marine (e ne consultai un paio allora, tra i migliori in Italia) giudica improponibile in un'isola abitata da una comunità viva e attiva e che sino ad ora ha saputo rispettare e proteggere il proprio territorio.
E'
una riserva pensata dai verdi fondamentalisti (i peggiori nemici dell'ambiente) e attuata da burocrati che nulla sanno dell'isola. Parlando con uno di questi burocrati al ministero per illustrare il rispettabilissimo punto di vista dei pescatori mi sento rispondere: "ma questi piccoli pescatori sono finiti. Devono andarsene. Lasciare l'isola". C'è chi sogna un'isola svuotata della sua comunità, con pochi servi, guardiani che spupazzano in giro i vip del verdismo nazionale ed i loro amici. E' necessario ingaggiare una dura battaglia per ottenere le modifiche al regime della riserva, tali da renderla praticabile. Quella che poteva essere una buona occasione di pacificazione con l'autorità pubblica, diventa elemento di tensione, di lacerazioni interne, di rinnovato odio e disprezzo per il potere. Quello che poteva essere un salto di civiltà, viene colpevolmente impostato e gestito in modo da diventare un passaggio di inciviltà.
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Il secondo vizio è che la riserva viene organizzata sulla carta, senza preoccuparsi degli aspetti gestionali e organizzativi. Sicché, alla fine, si riuscirà ad ottenere un regime della riserva accettabile e comprensibile anche alla maggioranza del paese; ma proprio quando si comincia a pensare che una riserva corretta può essere fattore di sviluppo, ci si inchioda sulla non operatività della riserva. Mancando un ente che la gestisca, mancando un regolamento, mancando delle guardie ausiliare della riserva sul posto, mancando qualunque investimento oltre alle odiate boe che, regolarmente, il mare strappa agli ancoraggi e disperde, la riserva si riduce alla vedetta della capitaneria che, ogni tanto, piomba improvvisa e multa gli sprovveduti non in regola. Invero la gran parte dei pescatori locali rispetta la riserva. Ma non la rispettano i pirati che vengono da Trapani, Palermo, Marsala.
Con tutti i mezzi, compresi bombole e fucili, fanno stragi di cernie e altri pesci e frutti di mare che la riserva aiuta a ripopolare. E quando arrivano i pirati la vedetta della capitaneria non c'è mai, perché essi sanno sempre scegliere le ore e le condizioni di mare giuste. Sicché il risultato finale è oggi il seguente: la riserva serve unicamente ai pirati che trovano abbondante pesca. Né si può rimproverare la vedetta della Capitaneria di non fare un buon lavoro. Essa è attiva, presente e quasi sempre severa ma civile.
Ma non si può pensare di sorvegliare le riserve solo con le vedette della Capitaneria: è operativamente impossibile e sbagliato.
E' necessario che la riserva sia gestita dagli enti locali e che questi puntino sull'utilizzo di persone che tutti i giorni e per tutto il giorno girino sul mare dell'isola. Bisogna fare una piccola postazione sull'isola con qualche giovane in gamba come dipendente fisso e nominare delle guardie ausiliarie e volontarie tra i più affidabili operatori del posto. Solo così la riserva diventerà patrimonio comune e strumento di sviluppo e non, come è oggi, un mostro estraneo e dannoso accompagnato da esibizioni quasi belliche e da razzie di lontani pirati.
Dal 1968 sento parlare del porticciolo e mi domando: ma se non fanno un porticciolo qui dove possono farlo? Finalmente il prolungamento della banchina dello scalo nuovo è arrivato, ma è stato progettato e costruito così male, ma così male, da domandarsi: ma com'è possibile fare le cose così male? Chi è stato a farlo così male? Qualcuno ne risponde? Nessuno dei problemi legati al porticciolo sono stati risolti: quando soffia la scirocco (cosa che da queste parti capita spesso) i pescatori e proprietari di natanti devono correre, giorno o notte, a portare i natanti allo scalo di tramontana.
Il Traghetto ha sempre grandi difficoltà, appena il mare e un po' mosso, ad accostare e continua il paradosso che il porto invece di essere, elemento di rifugio e di protezione, è elemento di preoccupazione e di fatica. Si dice che sia in progetto il completamento del porto ed io tremo. Se saranno le stesse persone a progettarne l'estensione, che orrore brutto e anti-funzionale saranno capaci di combinare? Basta vedere cosa è successo con il cimitero. Da tempo la popolazione ne chiedeva l'estensione. Si trattava di una richiesta fondata, relativa ad un cimitero delizioso che, con la sua grazia, era componente importante dell'ambiente.
Disteso su un'area isolata, tra mare e monte, mimetizzato tra i pini, tutto composto di costruzioni basse, era bello e soprattutto congeniale, sapientemente inserito nel territorio. La delizia di queste piccole isole è fatta anche di queste piccole cose, come la misura aggraziata del cimitero. Ora hanno costruito l'ampliamento e l'hanno fatto con un edificio alto, potente, massiccio, che mi ricorda, in grande ed in peggio, i bunker militari con i quali Enver Hoxha aveva ricoperto le coste dell'Albania.
E' un nuovo colpo durissimo all'ambiente, ed ancora una volta viene dalla mano pubblica. Sicuramente con l'approvazione della soprintendenza ai beni archeologici ed ambientali, perché sull'isola - giustamente - nulla si può fare senza questa autorizzazione, ma mentre un privato deve lottare per imbiancare una facciata, tutto quello che è pubblico è approvato. Se fosse diversamente come avrebbe potuto la soprintendenza approvare la nuova antenna GSM che, con tutto lo spazio disponibile a monte del paese è stata installata in un luogo che sembra scientificamente scelto per deturpare una delle zone più belle del paese, quell'insieme di case bianche che, aggraziate, fanno cornice al molo vecchio, in mezzo alle quali è stata ora ficcata un'orrenda torretta di metallo?
A prescindere da eventuali problemi sanitari, un autentico orrore: un ennesimo orrore pubblico.
E' l'insieme di questi orrori pubblici (il porto, il cimitero, l'antenna telefonica e, come dirò fra poco, l'illuminazione del porticciolo) che stanno definitivamente ferendo a morte l'ambiente.
Osservando cosa è successo in questi anni, il quadro è chiaro. Il paese è migliorato: il maggior benessere ha permesso la ristrutturazione ed l'ammodernamento di quasi tutte le case; i privati hanno imbiancato le case, messo fiori, abbellito l'ambiente.
Il pubblico ha violentato l'ambiente peggiorandolo grandemente con il porto, con il bunker del cimitero, con le orrende antenne telefoniche, messe nei posti scientificamente peggiori da un punto di vista ambientale.
Anche quella dell'illuminazione è una risposta drammaticamente sbagliata ad una esigenza corretta. La popolazione chiedeva che, essendosi allungato ed allargato il molo del porto, venisse, di conseguenza, potenziata l'illuminazione.
Richiesta corretta. Ma gli sciagurati che hanno progettato e realizzato il nuovo sistema di illuminazione, hanno impiantato una sfilza di enormi fanali (esattamente del tipo usato per l'aeroporto di Punta Raisi a Palermo) per cui il porticciolo di Marettimo è, oggi, più illuminato della Malpensa o di un grande crocevia autostradale, o del recinto di filo spinato di un campo di concentramento nazista. La sfilza di fanali è poi dominata da alcune torri luminose altissime e potentissime che frugano, con la loro invadente luce gialla, in ogni angolo sopraelevato del paese.
Le terrazze, che erano uno dei posti dove ci si rifugiava al termine della giornata, per ammirare il celo stellato, sono inondate, anche a notevole distanza, di questa orrenda luce gialla. Se qualcuno non ha le idee chiare su quello che si chiama inquinamento luminoso, troverà qui un eccellente esempio. Il paese è sovrastato da una collina alta circa cinquecento metri. Una di queste sere vi ero salito di notte, perché questa passeggiata al buio, tra i boschi, con sotto il mare che riflette le stelle, è uno dei momenti magici che quest'isola ti dona.
Ma questa volta, quando sono arrivato in vetta, ho dovuto proteggermi gli occhi con la mano, perché la luce abbagliante dei fari gialli tipo aeroporto internazionale giunge sin lassù. A Marettimo, in buona parte di Marettimo, dunque non si vedono più le stelle, o, per vederle, bisogna girare per trovare un posto adatto ed un po' protetto.
Tralascio le considerazioni sullo sperpero che questo impianto assurdo e sovradimensionato (basta fare il confronto con il porticciolo di Favignana per rendersene conto, che pur avendo un traffico marittimo dieci volte più intenso di quello di Marettimo, se la cava con un sistema di illuminazione discreto e civile) comporta, sia come impianto che come consumo di elettricità.
Una vergogna ed un attentato micidiale all'ambiente realizzato dal Comune, con tutti i crismi del caso, ed in primo luogo con quello dell'ineffabile Soprintendenza per i beni culturali ed ambientali. Temo (ahimè!) di essere riuscito a dimostrare il mio assunto: da trenta anni (salvo pochissime eccezioni) l'intervento pubblico ha inferto all'ambiente dell'isola colpi sempre più gravi.
Ma, naturalmente, sono molto triste di essere riuscito nella mia dimostrazione.
Marco Vitale
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