San Bernardino Realino

 
 
Biografia di San Bernardino Realino 
di M. Gioia

Bernardino Realino appartiene a quella che gli storici sogliono definire col nome di "seconda generazione gesuitica". Costituita da uomini aggregati alla Compagnia di Gesù nel periodo che segue immediatamente la morte di S. Ignazio, essa fu plasmata da coloro che lo trattarono intimamente e che di tale comunanza di vita rivelarono sempre tracce profonde. Appartengono a questa seconda generazione uomini notevoli per doti umane, i quali riuscirono ad inserirsi armoniosamente in una istituzione nuova, in fase di rapidissima espansione, con una legislazione ancora ai primi passi, e in un clima - per usare le parole medesime di Bernardino Realino - di "primitiva Chiesa Apostolica". In Italia, uomini quali Roberto Bellarmino, Antonio Possevino, Claudio Acquaviva, Matteo Ricci, esercitarono un indubbio influsso sulla formazione dello "stile" di vita dei membri del nuovo ordine religioso.

Biografia
da Famiglia Cristiana
Biografia
 (Inglese) 
 Biografia
(Spagnolo)
 

Il Realino, entrato nell'ordine sotto il generalato di Giacomo Laínez, faceva parte di coloro che, dotati di una notevole esperienza di vita, erano da quest'ultimo ritenuti come i più adatti a riuscire validi elementi per il corpo della Compagnia. "Datemi persone che abbiano praticato il mondo, - era la ferma convinzione del compagno di S. Ignazio -perché tali sono buoni per noi".

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Trentaquattrenne, al momento della sua ammissione nel noviziato annesso al Collegio di Napoli, Bernardino Realino da circa un decennio si era prodigato nella carriera amministrativo-giudiziaria, quale magistrato al servizio di vari comuni situati nell'Italia Settentrionale. Alla solida competenza giuridica univa una non comune cultura umanistica acquisita presso le Università di Modena, di Bologna e di Ferrara, capitale dello Stato al quale apparteneva Carpi, sua città natale. Nell'ambito della corte estense egli aveva avuto modo di integrare nella sua personalità gli ideali della cultura umanistico - rinascimentale italiana.

 

In un temperamento naturalmente ottimista, allegro, serenamente dolce, rispettoso degli altri ed inclinato alla beneficenza -quale egli stesso si tratteggia in una pagina autobiografica -, si inseriscono agevolmente gli ideali del periodo più maturo del Rinascimento. Essi sono racchiusi nella "dignità dell'uomo", sintesi antropologica di matrice cristiana, fondamentalmente ottimista, la quale tenta di valorizzare, sublimandola, ogni dimensione della natura umana: la dimensione della "virtù" che vince sulla "fortuna"; della "nobiltà" che è conquista e merito personale; del "sapere" in funzione del "fare" e, di conseguenza, della "vita attiva" che prevale sulla "vita contemplativa" in vista della costruzione della "civile società"; del valore del "lavoro umano"; della "gloria", premio naturale della "virtù"; del- 1'"amore" che è essenzialmente dono di sé.

Tali note, costituenti "l'umana dignità" dell'umanista italiano dei secoli XV e XVI, le ritroviamo nella produzione letteraria del Realino e soprattutto nella scelta da lui operata a favore di un servizio di carattere sociale, quale l'incremento e la tutela del "bene comune" attraverso la magistratura.Lungo lo svolgimento della sua carriera, la realtà, fatta anche di smacchi professionali e di dolore, quale quello della perdita della donna amata, lo matura affettivamente, nel senso di una sempre più conscia scelta cristiana. E quando, fortuitamente, a Napoli egli viene a conoscenza della nuova istituzione, fondata un quarto di secolo avanti da Ignazio di Loyola e rappresentata nella città partenopea da Alfonso Salmer6n, è capace di ritrovare realizzati in essa, in modo pieno, gli ideali che 10 avevano fino allora sostenuto.

 

Il servizio insigne e discreto, nella Compagnia di Gesù, di Dio Trinità, col Cristo, nella Chiesa, attraverso l'aiuto delle anime redente dal sangue di Lui, si presenterà al Realino quale personale chiamata cristiana che assumerà i caratteri di certezza, di urgenza, di soprannaturale ineluttabilità e di positività.Egli rinuncerà senza rimpianti alla sua professione ed anche alla "cultura umanistica", della quale conserverà la parte migliore dei contenuti ideali, e sceglierà definitivamente la "scienza della croce" di Cristo. Rinnegando completamente se stesso e la propria volontà e prendendo la sua croce - per usare le sue parole - correrà "a gran passo dietro a quella sanguinosa ma vincitrice Insegna del Capitano e Signore nostro Cristo Gesù". E, "per avere occasione di servire Dio con animo intiero", egli sceglierà la Compagnia di Gesù che descrive al padre suo nei termini seguenti: "Buona vita, sana dottrina, povertà di roba e ricchezza di spirito, ardore di carità verso Dio ed il prossimo"; questi i tratti caratteristici di coloro che, per lui, costituiscono un "vero ritratto della primitiva Chiesa Apostolica". Accanto a tali compagni che, d'ora in avanti saranno il suo "paradiso terrestre" egli vivrà "in tanta contentezza di spirito", beato di potere onorare di più e "servire l'altro, indirizzando ogni cosa a gloria di Dio".

Il tema della contentezza e consolazione spirituale, conseguenza dell'azione dello Spirito, i cui frutti sono la "gioia, pace, longanimità, benignità, bontà, fedeltà, mitezza" (Gal 5, 22), sarà una costante della sua vita, riscontrabile nel suo epistolario e nel ricordo di coloro che convissero con lui. Sarà il suo "servizio dello Spirito" (2 Cor 3, 8).

Per dieci anni a Napoli e per più di quaranta a Lecce, iniziatore e principale artefice del Collegio di quella città, sarà consigliere spirituale di un gran numero di persone. E questo, attraverso la dimensione, molto viva nel primo cinquantennio della vita della Compagnia, del colloquio spirituale, del commercio epistolare, del sacramento della penitenza, degli Esercizi spirituali di S. Ignazio. Un minimo di efficienza organizzativa, ma un massimo di contatti interpersonali, attraverso i quali la vita di fede, speranza e carità cristiana del Realino potesse essere proposta e trasfusa in coloro che lo avvicinavano.

Lunghi periodi di infermità e meschine incomprensioni da parte di alcuni confratelli, soprattutto durante i primi anni del soggiorno leccese, purificandolo, affineranno il suo impegno cristiano di "consolatore", fino al limite estremo della sua lunga vita, quando, - a dire del suo ultimo superiore - "per l'estrema vecchiezza, non potrà più esercitare i ministeri consueti della Compagnia, ma continuerà ad aiutare tutti con la preghiera, con il consiglio e con l'esempio di una vita trasparentissima". Ed allora, nonostante il rammarico di non poter fare di più, che lo indurrà a firmare la sua ultima corrispondenza con un desolato: "il vecchio inutile Bernardino Realino", agli occhi di Dio e degli uomini avrà interamente adempiuto il suo servizio, "servo" di coloro che chiamava "i servi di Dio, o meglio i figli di Dio".

M. Gioia S.J.