AMOS Eb.Amos(“portatore
di fardello”) |
La figura del profeta Amos decora la
lettera iniziale del libro omonimo in una Bibbia del XII secolo |
In
un periodo assai particolare della storia di Israele si presenta la figura
enigmatica e vigorosa di un pastore di nome Amos. Fu il primo dei grandi
profeti classici che contribuirono con la loro parola alla stesura delle
Scritture di Israele. Inizialmente, grandi profeti come Elia ed Eliseo erano
conosciuti per le loro gesta più che per i loro messaggi; Amos, invece,
inaugurò la tradizione dei profeti scrittori, una serie di voci coraggiose
sul cui modello si è definito il termine "profeta" fino ai nostri giorni. Poco
prima della metà dell'VIII secolo a.C., forse
intorno al 760 a.C., Amos si convinse che Dio lo
aveva chiamato a lasciare il regno meridionale di Giuda e a dirigersi a nord
verso le città del regno di Israele. Lassù avrebbe dovuto condannare il popolo
per le ingiustizie sociali, la corruzione e la religiosità frivola, e
avvertirlo dell'imminente distruzione. Seguendo la chiamata divina, andò
dunque in Samaria, a Betel e forse in altre città, in mezzo a una società che
sotto tutti gli aspetti appariva prospera, pacifica e militarmente forte.
Presto diventò una spina nel fianco per i governanti del paese, proprio in un
momento in cui ognuno sembrava convinto che tutto andasse bene. Chi
era quel profeta che cercava di far scoppiare il bubbone dell'autoillusione di Israele? Amos
è conosciuto soprattutto attraverso il suo messaggio profetico e le rare
notizie sulla sua vita precedente, date dal libro che porta il suo stesso
nome, assomigliano agli scarni indizi di un romanzo poliziesco: solo due
brevi indicazioni biografiche. Nel primo versetto del libro di Amos, il
profeta autore viene identificato come «un pecoraio di Tekoa»
(Am 1,1), un villaggio sito una decina di
chilometri a sud di Betlemme. Più avanti dice ancora: «Ero un pastore e
raccoglitore di sicomori» (Am 7,14). Questi
accenni hanno spesso fatto pensare che Amos fosse un lavoratore dipendente,
che pascolava pecore e buoi durante una parte dell'anno e arrotondava le
entrate in altre stagioni come bracciante in un podere piantato a sicomori.
L'immagine di un Amos povero pastore, mandriano e raccoglitore di sicomori
pare ben corrispondere al suo spiccato interesse per la difesa degli
indigenti in Israele e ai suoi attacchi contro i ricchi e lussuriosi abitanti
delle città del regno del Nord. Tuttavia,
diversi elementi di questo ritratto del profeta suscitano dubbi. I pastori e
i contadini dell'epoca erano - a quanto si sa - analfabeti, mentre le
profezie di Amos sono redatte in un linguaggio corretto e spesso vigoroso che
ricorre a una vasta gamma di figure letterarie e si avvale di un forbito
linguaggio poetico. I suoi oracoli dimostrano una notevole conoscenza della
storia sia di Giuda sia di Israele, oltre che dei regni e degli imperi
circostanti: tutto ciò non era alla portata di un lavoratore tanto umile.
Inoltre, il termine ebraico noqed, qui tradotto con "pastore", non è
comunemente utilizzato per indicare chiunque pratichi tale attività, bensì un
vocabolo raro, che appare solo in un altro passo (2 Re 3,4) per definire un
re allevatore di pecore. Sulla base di questi indizi, molti studiosi hanno
affermato che, prima di diventare profeta, Amos era forse un ricco proprietario
di greggi di pecore e di capre, nonché di mandrie di bestiame, e forse
possedeva anche piantagioni di alberi di sicomoro, che servivano come
foraggio per gli animali. Se
si considerano tali osservazioni, la chiamata di Dio fu quindi rivolta a un
uomo relativamente agiato e istruito. Amos dice succintamente di se stesso:
«Il Signore mi prese di dietro al bestiame e il Signore mi disse: "Va',
profetizza al mio popolo Israele"» (Am 7,15). Amos
non svolse la sua funzione come profeta di professione o come membro di
quelle associazioni profetiche note come figli dei profeti; egli stesso
afferma energicamente: «Non ero profeta, ne figlio di profeta» (Am 7,14). Con
ciò non negava di essere stato realmente chiamato da Dio alla profezia, ma
intendeva solo differenziarsi dai profeti professionisti, che si guadagnavano
da vivere predicendo il futuro, e che spesso, quindi, si facevano corrompere
dal padrone di turno. Amos
lasciò Tekoa diretto a nord, e, attraversato il
confine, si trovò in un regno che godeva di un periodo di benessere, di
espansione militare, di prosperità economica e di crescente interesse
religioso, ma minato dall'indifferenza per la giustizia e da una grave
corruzione sociale. Il messaggio di Dio attraverso Amos irrompeva
nell'apparente serenità di Israele come la furia di un leone all'attacco.
Amos gridava: «Il Signore ruggisce da Sion [...] è inaridita la cima del Carmelo»
(Am 1,2). Quando
Amos fece la sua comparsa, Geroboamo II
era sul trono da circa 25 anni. I predecessori di Geroboamo
erano stati continuamente disturbati dai re siriani di Damasco e, a nord-est,
dalla grande potenza dell'Assiria. Ma durante il
regno di Ioas,
padre di Geroboamo, l'Assiria
aveva attaccato Damasco; così, mentre i due potenti regni si erano entrambi
indeboliti ed erano travagliati da lotte intestine, Israele era al sicuro da
attacchi esterni in quelle direzioni. Inoltre, a sud, l'Egitto era in
declino. Israele era allora diventato sempre più forte ed era riuscito a
imporre la sua supremazia anche a Giuda, obbligando quel regno ad accettare
un'alleanza in posizione subalterna. Il popolo aveva esaltato Geroboamo quando il re aveva riconquistato i territori
perduti a est del Giordano e si era spinto verso nord per occupare gran parte
del Libano. Dai tempi di Salomone,
Israele non aveva più governato su un territorio così vasto e questo era un
chiaro segno della benedizione divina. Per
coloro che cavalcavano l'onda dei successi di Geroboamo,
quella era un'epoca di benessere come il loro paese raramente aveva
conosciuto. Potevano giacere «su letti d'avorio» e mangiare «gli agnelli del
gregge», canterellare «al suono dell'arpa», bere «il vino in larghe coppe» e
ungersi «con gli unguenti più raffinati» (Am
6,4-6). Non stupisce pertanto che fossero orgogliosi delle imprese di Geroboamo e che si sentissero oggetto del favore di Dio. In
un simile clima di prosperità, il regno di Israele era tutto fuorché
irreligioso. Nel santuario di Betel, Amos assisteva a sacrifici ininterrotti.
Tuttavia egli prevedeva che quella facile pietà, quella floridezza e quell'autocompiacimento sarebbero stati travolti da
un'imminente catastrofe. Consapevole di quell'incombente
minaccia, Amos non poteva blandire la fiducia di Israele ne apprezzarne la
pietà. Il
tempo gli diede ragione. La morte dell'accorto Geroboamo
II, nel 746 a.C., coincise con l'ascesa al trono di
Assiria del potente Tiglat-Pilezer III, nel 745. Israele affondò nel
pantano. Il figlio di Geroboamo, Zaccaria, regnò solo sei mesi prima
di essere assassinato; un usurpatore di nome Sallum non resse che un mese.
Nel volgere di un quarto di secolo la sicurezza e la prosperità di Israele
sarebbero state spazzate via per sempre dall'espansionismo militare dell'Assiria. Gli attacchi di Amos a Israele, però, non
miravano a sostenere un qualsiasi potere esterno; piuttosto, egli voleva
mostrare l'oscurità che si celava dietro l'apparente splendore della nazione.
Il benessere di Israele era riservato a pochi potenti e gli umili ne pagavano
il prezzo. Percorrendo
le regioni della Samaria, Amos vedeva i poveri abitare in miseri tuguri,
mentre altri vivevano nel lusso. Il suo sangue ribolliva: «Ecco, verranno per
voi giorni in cui sarete presi con ami e i restanti di voi con arpioni da
pesca» (Am 4,2). Simili attacchi non rendevano
certamente facile la vita ad Amos che osava sfidare i potenti del regno del Nord. Alla
lunga, i governanti di Israele non potevano lasciare impunito quel
fustigatore inopportuno: «Il paese non può sopportare le sue parole» (Am 7,10), proclamava Amasia,
sommo sacerdote del santuario regio di Betel, accusando Amos di tradimento.
Tuttavia, condannare un profeta di Dio era pur sempre una faccenda rischiosa
e fu allora deciso di esiliare quella tonante voce importuna. Amos
rispose sdegnosamente ad Amasia, ma alla fine,
portata a termine la sua missione, partì. Fece ritorno in Giuda, dove forse
mise per iscritto i suoi oracoli, nonostante le sue terribili parole non si
fossero ancora avverate. Fu solo una generazione dopo, infatti, che gli
ammonimenti e le condanne di Amos trovarono riscontro nella realtà e che, in
prospettiva, la spensieratezza incosciente dei capi di Israele si rivelò una
stolta illusione. |