Monsignor Giuseppe Betori Arcivescovo
di Firenze dall’ |
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ALLA CHIESA
E ALLA CITTÀ DI FIRENZE Celebrazione
di inizio Ministero Pastorale in diocesi di
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avevo poco
più di 19 anni quando, all’indomani del Il ricordo è per introdurre una
confidenza. Quando mi è stata comunicata la decisione del Santo Padre di inviarmi
a Firenze come Arcivescovo, mi è sembrato per un attimo di risentire il
frastuono e la convulsione di quei giorni. Questa volta erano le acque
impetuose della mia personale trepidazione, consapevole come sono della
distanza che sempre rimane tra il dono di Dio e la limitatezza dell’uomo. E
tuttavia proprio quel ricordo giovanile mi ha accompagnato da subito nella
preghiera per Voi e, nell’attesa di incontrarVi, mi
ha confortato. Mi sono accorto così, con il passare dei giorni, che la mia era certo trepidazione, ma non timore, perché nulla
può impaurire un discepolo che vuole seguire Gesù, essendo certo il Suo
sostegno sempre affidabile. L’unico timore che ci è
dato di nutrire è quello verso Dio, e si traduce non nella paura ma in
obbedienza e dedizione. Sono proprio questi gli atteggiamenti di fondo con i quali fin da ora vorrei presentarmi a Voi:
obbedienza al Signore e dedizione al Suo popolo, perché la testimonianza di
Lui possa risplendere in noi e possiamo insieme rifrangerla sulla città e il
territorio in cui è posta la tenda della nostra Chiesa, diventando, secondo
il precetto di Gesù (cfr Mt 5,13-16), sale e luce per la terra in cui siamo
chiamati a vivere la nostra fede. So che il Signore mi manda a una Chiesa
singolare per storia, arte e temperamento civile. Tanta ricchezza ridonda
fino ai giorni presenti, pur non privi di difficoltà e ombre. Anche oggi,
infatti, non mancano i segni della santità, le
tracce della bellezza, i cercatori della verità, i testimoni dell’amore. Chi
crede e ama, sa che la speranza prevale, e tutto vince. Per questo, a ognuno
di Voi, guardandolo distintamente negli occhi, chiedo di aprirsi senza remore
all’ascolto della Parola che genera la fede e alla comunione che valorizza
tutti i doni e che è premessa della missione. Ognuno secondo il proprio
ministero, carisma e condizione di vita: sacerdoti e diaconi, religiose e religiosi e tutti i consacrati, fedeli laici,
donne e uomini; e poi anziani, adulti, giovani, ragazzi, fanciulli con tutte
le famiglie, e una esplicita preferenza per quanti sono nella sofferenza,
specialmente a causa di disabilità o malattie, e per quanti sono afflitti
dalla povertà nelle sue varie forme. A tutti offro disponibilità all’ascolto
e al dialogo, chiedendo a mia volta di essere accolto e aiutato a svolgere il
mio servizio per la crescita comune. Mi piace parlare di questo servizio con
le parole dell’apostolo Paolo: «preparare i fratelli a compiere il ministero,
allo scopo di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all’unità
della fede e della conoscenza del Figlio di Dio,
fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di
Cristo» (Ef 4,12-13). Non c’è un modo più efficace
per dire quello che ci attende, quello che a partire da
oggi sarà il senso di ogni mio pensiero e di ogni mio passo, a cui chiedo si
uniscano i vostri pensieri e i vostri passi, perché insieme abbiamo a
camminare verso quella concordia e quella pace di cui Firenze è stata nel
mondo un faro luminoso. E dovrà continuare ad
esserlo, attraverso una nuova creatività. È questo che sentiamo come nostro
imprescindibile dovere e questo ci domandano anche
quanti – non credenti o credenti di altre esperienze religiose – condividono
con noi l’umana esperienza in Firenze e nelle altre città e paesi di questo
territorio: anche a loro va il mio saluto rispettoso e cordiale, nella
certezza che sia possibile operare solidalmente nella ricerca del bene
comune. L’ora di Firenze non appartiene al passato. Non si spegne il genio di
una città e di una terra se il braciere di Dio continua ad ardervi e a
purificare i cuori, se le intelligenze continuano a interrogarsi e a cercare,
se le volontà riescono a uscire dal proprio guscio e si proiettano
verso traguardi inediti, commisurati alle sfide e alle responsabilità.
La mia nomina viene
resa nota nel giorno in cui, più di sette secoli fa, fu posta la prima pietra
della nostra Cattedrale: è una felice coincidenza, che a tutti ricorda come
le promesse di Dio si dischiudono a ogni tornante della storia, in ogni
stagione in cui si edifica la Chiesa, che poggia sulla pietra angolare che è
Cristo, Fiore sbocciato dal seno verginale di Maria. A me viene
chiesto – per grazia − di continuare ora l’opera che i miei
predecessori hanno orientato nei tempi passati, fino agli ultimi: il
cardinale Silvano Piovanelli e il cardinale Ennio Antonelli, chiamato a una
nuova significativa missione a servizio della Chiesa universale. A loro e a
tutti i pastori dell’Arcidiocesi fiorentina va in
questo momento il mio pensiero e la mia gratitudine. A tutti Voi chiedo
fin da ora il dono di una preghiera come supplica d’amore, perché alla mia
indigenza soccorra la potenza del Signore. Così uniti, non ci mancherà la
potente intercessione della Vergine Maria, della cui nascita oggi facciamo
memoria, quella di San Giovanni Battista, di San Zanobi,
di tutti i Santi e i Beati della Chiesa fiorentina, alla cui protezione
affido me, il mio ministero, la città di Firenze e le città
e i paesi dell’Arcidiocesi tutta. Roma, Memoria della
Natività della Beata Vergine Maria + Arcivescovo
eletto di Firenze |
Giuseppe
Betori è nato a Foligno (Perugia) il È
stato segretario generale del Sinodo diocesano di Foligno (gennaio 1986 -
maggio 1991). Dal settembre 1977 al settembre 1991 è
stato membro della Segreteria del Centro regionale umbro di pastorale, di cui
ha avuto la responsabilità come direttore dal marzo 1981 al giugno 1985. Dal
1974 al 2001 è stato professore di Sacra Scrittura nell'Istituto Teologico di
Assisi, dove ha insegnato introduzione generale alla Sacra Scrittura ed
esegesi del Nuovo Testamento. Ha pubblicato diversi studi sull'opera lucana e
su temi di ermeneutica biblica, con speciale attenzione al rapporto tra
Bibbia e catechesi. Negli anni ' Il Ordinato
vescovo nella Cattedrale di Foligno, ha continuato a seguire lo sviluppo del
"progetto culturale" e ha curato la preparazione e lo svolgimento
del Convegno ecclesiale nazionale di Verona (2006). Dal |
Celebrazione di
inizio Ministero Pastorale in diocesi di Firenze - OMELIA 1. Il segreto di
ogni autentica esperienza di fede e conseguentemente di ogni vera azione
pastorale è mettersi e restare sotto la parola di Dio. Dall’ascolto
della Parola dovremo prendere quindi le mosse per il cammino da fare insieme
come popolo di Dio che forma la sua Chiesa pellegrina nel territorio
fiorentino. Un ascolto che non ci fa estranei al mondo, perché quella che
riceviamo è una Parola detta in parole di uomini, nei testi che ce la
consegnano e nell’annuncio che deve oggi ridirla. Il che ci conduce a un
dialogo che vuole essere apertura a tutte le voci dell’umanità, con una
particolare attenzione alle tracce culturali che possono aiutarci a
comprendere le parole del passato e a decifrare i segni del presente. È la
Chiesa a donarci la Parola, quale espressione della consapevolezza che essa
ha di sé nella storia; è la Chiesa ad attestarne l’autenticità, a
determinarne i confini e a delineare l’orizzonte che
permette di interpretarla. Ma la Chiesa sa di essere
stata essa stessa generata dalla Parola, e da questa continuamente attinge il
nutrimento. Dalla Chiesa ne accogliamo anche la sapiente scansione secondo
l’anno liturgico, che in questa domenica ci propone una ben nota pagina del
vangelo di Matteo (Mt 22,34-40). Gesù
si inserisce nel dibattito sul senso della Legge in
atto al suo tempo, ne raccoglie le linee fondamentali, ma nel contempo lo
innova completamente. Egli ribadisce anzitutto con
forza il primato di Dio sull’uomo, secondo una linea che accomuna l’ebraismo
alle grandi esperienze religiose di ogni tempo: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta
la tua anima e con tutta la tua mente.
Questo è il grande e primo comandamento». Sappiamo
come un’accentuazione unilaterale di tale principio si presti alla facile
accusa di alienazione, ma anche alla deriva nello spiritualismo, nelle sue
varie forme. Sono pericoli di sempre, oggi non meno di ieri, facilitati come
sono da correnti culturali che vorrebbero confinare lo spazio religioso alla
periferia della vita, in un intimismo indefinito, e la fede ridotta alla
marginalità sociale. Di
qui lo stretto legame che Gesù instaura tra il divino e l’umano; aggiunge infatti: «Il secondo [comandamento] poi è simile a quello
[al primo]: Amerai il tuo
prossimo come te stesso». Anche questa
dimensione, presa da sola, può essere foriera di degenerazioni. Propiziate
dagli umanesimi atei, esse hanno drammaticamente segnato il secolo da poco concluso. Non che le minacce dell’idolatria dell’umano ci
abbiano abbandonato. Oggi per lo più rivestono i panni seducenti di scienze e
tecnologie che si propongono come capaci di superare ogni limite. Da questa
tentazione prometeica che rischia di portarci alla catastrofe, perché priva di
criteri e di consapevolezze, può salvarci solo la connessione che, per
l’appunto, Gesù istituisce tra il divino e l’umano, invitandoci a scoprire
nell’immagine di Dio il volto del Padre di tutti e
nel volto di ogni uomo il riflesso dell’immagine del Creatore. 2. Le parole di
Gesù, ponendo i due precetti nel solco dell’unico comandamento, ci inducono a una riflessione sulla responsabilità che, come
Chiesa, abbiamo di proporre un annuncio e una testimonianza davvero
significativi. Non diversamente che nell’epoca d’oro di questa città, ciò che
è in questione, infatti, è di nuovo l’uomo. Il grandioso contributo dato da
Firenze alla storia del mondo è stato significativamente condensato nel
termine “umanesimo”. L’accento è posto sul cammino compiuto per dare risposta
agli interrogativi umani più radicali, eppure in sintonia con la figura piena
della fede, che mai è alienazione dell’umano stesso, bensì suo orientamento
verso le istanze più profonde e apertura a orizzonti
ulteriori rispetto agli stessi desideri. Non
diversa è la svolta epocale che ci troviamo a vivere
oggi, quando i nuovi scenari aperti dalle scienze e dalle tecnologie esigono
che il volto dell’uomo si stagli con maggiore nettezza. Anche in questo tempo
la Chiesa sa di avere una parola di certezza e di speranza da offrire in tale
ricerca, ed è pronta a condividere una visione della persona e della
convivenza sociale su cui, perché razionalmente plausibile, anche chi non
crede possa convenire, nella ricerca del bene comune. Si incunea
qui, in ultima analisi, il senso di ogni “progetto culturale” cristianamente
ispirato, che non a caso pone al suo centro proprio la questione
antropologica. Su tale versante la Chiesa di Firenze ha una sua specifica
vocazione, cui non mancherà di rispondere. 3. La parola di
Gesù non solo ci richiama a non separare le ragioni di Dio da quelle
dell’uomo, ma ci offre anche, come chiave di questo
orientamento, la categoria dell’amore: «Amerai il Signore tuo Dio…Amerai il tuo prossimo…». Il legame che ci unisce a Dio e quello che ci unisce ai
fratelli è e non può che essere un legame di amore. Ciò esclude sia la
sudditanza che depersonalizza sia lo sfruttamento che
asservisce. La realtà dell’amore, lo sappiamo, è quanto di più profondo la rivelazione ha saputo dirci a riguardo del
mistero stesso di Dio. Siamo però anche consapevoli di come sia facile
banalizzarlo fino a svilirlo, riducendolo a vago sentimento o a prassi
solidaristica. In realtà, proprio il fatto che l’amore non ci dice qualcosa
di Dio ma chi Dio è – «Dio è amore» (1Gv 4,8) –, ci
dovrebbe far capire che l’invito all’amore fatto a noi da Gesù non rimanda
semplicemente a un atteggiamento da assumere o a un’azione da intraprendere,
ma è inscritto nell’intimo di ogni uomo e ogni donna, perché ha la sua radice
nella realtà stessa delle persone divine. Non è forse questo il messaggio più
profondo che il Santo Padre ha affidato alla sua prima enciclica Deus caritas est? Il
realismo e la concretezza storica dell’amore evangelico ha
un riscontro anche nella prima lettura, tratta dal libro dell’Esodo (Es 22,20-26). Il precetto
dell’amore non plasma soltanto i rapporti interpersonali, ma incide sulle
strutture sociali. Il comandamento dell’amore ci fa responsabili nella
costruzione di un ordine giusto nella società, con particolare predilezione
per i deboli e i poveri: penso non solo alle povertà materiali ma anche a
quelle dello spirito, all’emarginazione sociale e all’aggressione portata
alla vita nel suo sorgere e al suo tramonto, al diritto a un lavoro dignitoso
e alla protezione della famiglia, specie quando è in difficoltà. La ricerca
del bene comune non è estranea a questo orizzonte
evangelico, ma ne costituisce la proiezione ultima, chiedendo ai credenti di
impegnarsi in prima persona nell’azione sociale e nella vita politica. Sarà
doveroso domandarci in che modo la nostra comunità ecclesiale possa porsi
oggi a servizio della città, non per imporre sul piano civile una visione
religiosa, ma per illuminare con la forza della fede la comune ricerca di ciò
che è bello, vero e giusto. 4. Tutto questo
senza che il Vangelo scada a progetto sociale, mantenendo invece il suo
essere dono di grazia ed esperienza di risurrezione. In tal senso va colto il
collegamento tra la pagina evangelica e la seconda lettura (1Ts 1,5c-10), in cui
l’apostolo Paolo fa memoria con i cristiani di Tessalonica
degli inizi della predicazione in quella città,
ricordando loro come l’accesso alla fede passi attraverso la rinuncia agli
idoli e il riconoscimento del «Dio vivo e vero», rivelato nella persona di
Gesù, redentore e giudice del mondo. Siamo così ricondotti a una comprensione
dell’amore che è inscindibile dall’incontro personale con Gesù e, attraverso
di lui, mediante l’azione dello Spirito, con il Padre. Solo in questa
esperienza è possibile cogliere la natura propria dell’amore e trovare la
sorgente a cui alimentare il nostro amore. Non
diversamente ha parlato il Santo Padre nel recente viaggio apostolico in
Francia, quando ricordava come la nostra civiltà, nelle sue istanze umanistiche più autentiche, sia nata proprio da
una ricerca di Dio che, per trovare l’oggetto del suo desiderio, ha avuto
bisogno di dipanare le lingue come pure le opere, e quindi le culture,
dell’uomo, fondando di riflesso una figura dell’umano più profonda e piena. Cercare
Dio è la strada più efficace e sicura per servire l’uomo. Non abbiamo bisogno
di inventare altri programmi per il nostro cammino. Il programma ci è già dato: se cercheremo autenticamente Dio, e quindi
se lo cercheremo nel volto del suo Figlio Gesù, avremo imboccato la strada
della comunione tra noi e del servizio nella costruzione della città degli
uomini. In
questo cercare Dio e solo Dio so di farmi eco del
magistero di uno dei figli illustri di questa Chiesa, don Divo Barsotti. Dalla sua testimonianza e da quella degli altri
grandi cattolici del suo tempo – e avendo appena parlato di carità e di città
degli uomini non possiamo non ricordare don Giulio Facibeni
e Giorgio La Pira – abbiamo ancora molto da imparare. 5. Siamo ben consapevoli del fatto che la Chiesa cammina nel tempo,
chiamata a rendere una testimonianza credibile al Risorto, e pur fatta di
uomini che, protesi alla virtù, restano segnati dal peccato. Il che è vero
per ciascuno di noi e anche per la nostra Chiesa fiorentina. Sappiamo i nostri
limiti nella disattenzione nei confronti della Parola del Signore, nella
confusione che si propaga attorno alla verità su Dio e sull’uomo, nella
distrazione e approssimazione delle nostre assemblee liturgiche, nell’egoismo
che inaridisce il servizio ai poveri, nell’inganno che avvelena i rapporti
tra le persone e offusca il nostro sguardo verso il Signore, nello scandalo
nei riguardi del prossimo, specialmente quando a patirne le conseguenze sono i più piccoli. Ciascuno
è chiamato a rispondere personalmente delle proprie colpe di fronte alla
comunità ecclesiale e alla società. Ma se queste
cose accadono, è anche perché l’attenzione e la vigilanza di tutti si sono in
qualche modo affievolite. Ognuno di noi, e io per
primo, secondo il proprio ruolo e responsabilità, siamo chiamati a impegnarci
attivamente a risalire la china, in un percorso di purificazione che non
ammette alibi. Non
siamo però scoraggiati né vinti, perché l’affidarsi al Signore è già l’inizio
di una rigenerazione che solo lui può operare. Né d’altra parte possiamo
dimenticare i tanti segni, noti e ignoti, di novità evangelica che costellano
la storia di questa Chiesa e il suo presente: la franchezza dell’annuncio, la
ricerca della verità, la solidarietà verso gli ultimi, la lode al Signore, la
creazione del bello attraverso l’arte. Su questi semi di bene possiamo
costruire un futuro pieno di speranza per tutti. Il
servizio del vescovo si realizza nella comunione con gli altri pastori, in
specie quelli che servono le Chiese del medesimo territorio. Il mio saluto va
quindi anche ai fratelli vescovi che mi circondano in questo momento, con
particolare affetto e impegno di comunione e collaborazione ai vescovi della
Toscana. Nella
successione di questo servizio pastorale mi inserisco
invocando la protezione dei santi che hanno servito il Vangelo su questa
cattedra, i nostri patroni Zanobi e Antonino, grato
per l’azione apostolica dei miei predecessori più vicini nel tempo, il card.
Ennio Antonelli e il card. Silvano Piovanelli, senza dimenticare l’opera di
chi ci ha lasciato, dal card. Giovanni Benelli, di cui proprio oggi ricorre
l’anniversario della morte, al card. Ermenegildo Florit
fino al servo di Dio card. Elia Dalla Costa. Dai
nostri santi patroni la memoria si allarga a tutti i santi della storia di
questa Chiesa, invocando la loro intercessione. Penso ai grandi santi dei
tempi passati, ma anche alle figure che hanno illuminato della loro santità
il secolo scorso e le cui virtù singolari auspichiamo
possano essere presto riconosciute dalla Chiesa. Al vertice di questa corona di intercessori sta la Vergine Maria. Dal santuario
dell’Annunziata ho voluto iniziare il mio cammino tra voi e con voi, dopo
aver visitato due luoghi della fragilità e della sofferenza. A Maria mi
affido e ci affidiamo, per dire ogni giorno anche
noi al Signore il nostro: «avvenga per me secondo la tua parola» (Lc 1,38). Fratelli
e sorelle carissime, in questo mio primo incontro con voi nell’atto supremo
dell’Eucaristia ho preferito non proporre indicazioni pastorali: avrò modo di
conoscere meglio la realtà fiorentina e di tracciare con il vostro aiuto le
linee del cammino futuro. Ho inteso piuttosto ribadire
il primato di Dio, della sua conoscenza e amicizia, da ricercare nel volto
del suo Figlio Gesù, Parola di vita per l’uomo. Parimenti ho cercato di dirvi
come per fare Chiesa sia oggi necessario edificarci
nella comunione, secondo l’azione dello Spirito, e dare frutti di
testimonianza che esprimano la verità e la novità del Vangelo per ogni uomo.
È questo l’orizzonte del mio servizio tra voi e per voi. Aiutatemi a far sì
che la mia umanità non veli, ma al contrario renda manifesta la grazia del Signore. Come fece Paolo per gli anziani di
Efeso, con la vostra preghiera affidatemi «a Dio e alla parola della sua grazia»
(At 20,32). Amen. + Giuseppe Betori Arcivescovo di Firenze Firenze, |
L’ Arcivescovo di Firenze mons. Giuseppe Betori
nominato Cardinale il 18.2.2012 da S.S. Benedetto XVI |
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