Monsignor Giuseppe Betori
dall’8 Settembre 2008 al 24 Giugno 2024 |
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ALLA CHIESA
E ALLA CITTÀ DI FIRENZE Celebrazione
di inizio Ministero Pastorale in diocesi di Nominato
Cardinale il 18 febbraio 2012 |
avevo poco più di 19 anni quando, all’indomani
del 4 novembre 1966, insieme ad alcuni amici del Seminario Lombardo di Roma
decidemmo di partire notte tempo alla volta di Firenze. Ricordo ancora, non
senza emozione, l’impatto devastante dell’acqua e del fango che invadevano la
città, e lo sguardo attonito di tanti, specie bambini e anziani, di fronte a
ciò che li circondava. Furono momenti di paura e di fatica, ma anche di
solidarietà e di speranza. Su tutto alla fine sembrò prevalere un senso di
liberazione: ogni oggetto che veniva tratto in salvo, ogni casa restituita
alla vita era un dono che ridonava luminosità allo sguardo di qualcuno. Quei
giorni mi svelarono una cosa che non avrei più dimenticato: la bellezza
ferita eppure composta e al dunque inviolabile di questa città, delle sue pietre
e della sua gente. Il ricordo è per introdurre una confidenza. Quando mi è
stata comunicata la decisione del Santo Padre di inviarmi a Firenze come
Arcivescovo, mi è sembrato per un attimo di risentire il frastuono e la
convulsione di quei giorni. Questa volta erano le acque impetuose della mia
personale trepidazione, consapevole come sono della distanza che sempre
rimane tra il dono di Dio e la limitatezza dell’uomo. E tuttavia proprio quel
ricordo giovanile mi ha accompagnato da subito nella preghiera per Voi e,
nell’attesa di incontrarVi, mi ha confortato. Mi
sono accorto così, con il passare dei giorni, che la mia era certo
trepidazione, ma non timore, perché nulla può impaurire un discepolo che
vuole seguire Gesù, essendo certo il Suo sostegno sempre affidabile. L’unico
timore che ci è dato di nutrire è quello verso Dio, e si traduce non nella
paura ma in obbedienza e dedizione. Sono proprio questi gli atteggiamenti di
fondo con i quali fin da ora vorrei presentarmi a Voi: obbedienza al Signore
e dedizione al Suo popolo, perché la testimonianza di Lui possa risplendere
in noi e possiamo insieme rifrangerla sulla città e il territorio in cui è
posta la tenda della nostra Chiesa, diventando, secondo il precetto di Gesù (cfr Mt 5,13-16), sale e luce per la terra in cui siamo
chiamati a vivere la nostra fede. So che il Signore mi manda a una Chiesa singolare per
storia, arte e temperamento civile. Tanta ricchezza ridonda fino ai giorni
presenti, pur non privi di difficoltà e ombre. Anche oggi, infatti, non
mancano i segni della santità, le tracce della bellezza, i cercatori della
verità, i testimoni dell’amore. Chi crede e ama, sa che la speranza prevale,
e tutto vince. Per questo, a ognuno di Voi, guardandolo distintamente negli
occhi, chiedo di aprirsi senza remore all’ascolto della Parola che genera la
fede e alla comunione che valorizza tutti i doni e che è premessa della
missione. Ognuno secondo il proprio ministero, carisma e condizione di vita:
sacerdoti e diaconi, religiose e religiosi e tutti i consacrati, fedeli
laici, donne e uomini; e poi anziani, adulti, giovani, ragazzi, fanciulli con
tutte le famiglie, e una esplicita preferenza per quanti sono nella
sofferenza, specialmente a causa di disabilità o malattie, e per quanti sono
afflitti dalla povertà nelle sue varie forme. A tutti offro disponibilità all’ascolto e al dialogo,
chiedendo a mia volta di essere accolto e aiutato a svolgere il mio servizio
per la crescita comune. Mi piace parlare di questo servizio con le parole
dell’apostolo Paolo: «preparare i fratelli a compiere il ministero, allo
scopo di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all’unità della
fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto, fino a
raggiungere la misura della pienezza di Cristo» (Ef
4,12-13). Non c’è un modo più efficace per dire quello che ci attende, quello
che a partire da oggi sarà il senso di ogni mio pensiero e di ogni mio passo,
a cui chiedo si uniscano i vostri pensieri e i vostri passi, perché insieme
abbiamo a camminare verso quella concordia e quella pace di cui Firenze è
stata nel mondo un faro luminoso. E dovrà continuare ad esserlo, attraverso
una nuova creatività. È questo che sentiamo come nostro imprescindibile
dovere e questo ci domandano anche quanti – non credenti o credenti di altre
esperienze religiose – condividono con noi l’umana esperienza in Firenze e
nelle altre città e paesi di questo territorio: anche a loro va il mio saluto
rispettoso e cordiale, nella certezza che sia possibile operare solidalmente
nella ricerca del bene comune. L’ora di Firenze non appartiene al passato.
Non si spegne il genio di una città e di una terra se il braciere di Dio
continua ad ardervi e a purificare i cuori, se le intelligenze continuano a
interrogarsi e a cercare, se le volontà riescono a uscire dal proprio guscio
e si proiettano verso traguardi inediti, commisurati alle sfide e alle
responsabilità. La mia nomina viene resa nota nel giorno in cui, più di
sette secoli fa, fu posta la prima pietra della nostra Cattedrale: è una
felice coincidenza, che a tutti ricorda come le promesse di Dio si
dischiudono a ogni tornante della storia, in ogni stagione in cui si edifica
la Chiesa, che poggia sulla pietra angolare che è Cristo, Fiore sbocciato dal
seno verginale di Maria. A me viene chiesto – per grazia − di
continuare ora l’opera che i miei predecessori hanno orientato nei tempi
passati, fino agli ultimi: il cardinale Silvano Piovanelli e il cardinale
Ennio Antonelli, chiamato a una nuova significativa missione a servizio della
Chiesa universale. A loro e a tutti i pastori dell’Arcidiocesi fiorentina va
in questo momento il mio pensiero e la mia gratitudine. A tutti Voi chiedo fin da ora il dono di una preghiera come
supplica d’amore, perché alla mia indigenza soccorra la potenza del Signore.
Così uniti, non ci mancherà la potente intercessione della Vergine Maria,
della cui nascita oggi facciamo memoria, quella di San Giovanni Battista, di
San Zanobi, di tutti i Santi e i Beati della Chiesa fiorentina, alla cui
protezione affido me, il mio ministero, la città di Firenze e le città e i
paesi dell’Arcidiocesi tutta. Roma, 8 settembre 2008 Memoria della Natività
della Beata Vergine Maria + Giuseppe Betori Arcivescovo
eletto di Firenze |
Giuseppe Betori è nato a Foligno (Perugia) il 25
febbraio 1947. Dopo gli studi medi e liceali presso il Seminario vescovile
di Foligno e il Seminario regionale Umbro in Assisi, ha continuato la formazione
a Roma dove, alunno del Pontificio Seminario Lombardo e poi del Pontificio
Collegio di S. Apollinare, ha compiuto gli studi teologici presso la
Pontificia Università Gregoriana, conseguendo la Licenza in Sacra Teologia
(1970), e quelli in Sacra Scrittura presso il Pontificio Istituto Biblico,
dove ha conseguito "Summa cum laude" il
dottorato in Scienze Bibliche (1980), con una tesi sui racconti di
persecuzione nella prima parte del libro degli Atti degli Apostoli (relatore
Dionisio Minguez; correlatore Carlo M. Martini).
Ordinato sacerdote a Foligno il 26 settembre del 1970, nella sua Diocesi ha
ricoperto successivamente i compiti di parroco nella piccola frazione di
Cave, di assistente diocesano dell'Azione Cattolica e di assistente del
centro di pastorale giovanile "Istituto San Carlo", dedicandosi per
oltre quindici anni all'animazione dei gruppi e alla guida spirituale di
tanti giovani. Dal marzo 1986 al maggio 2001 è stato canonico teologo della
Cattedrale di San Feliciano. È stato segretario generale del Sinodo
diocesano di Foligno (gennaio 1986 - maggio 1991). Dal settembre 1977 al
settembre 1991 è stato membro della Segreteria del Centro regionale umbro di
pastorale, di cui ha avuto la responsabilità come direttore dal marzo 1981 al
giugno 1985. Dal 1974 al 2001 è stato professore di Sacra Scrittura
nell'Istituto Teologico di Assisi, dove ha insegnato introduzione generale
alla Sacra Scrittura ed esegesi del Nuovo Testamento. Ha pubblicato diversi
studi sull'opera lucana e su temi di ermeneutica biblica, con speciale attenzione
al rapporto tra Bibbia e catechesi. Negli anni '80 ha collaborato con
l'Ufficio catechistico nazionale nella stesura dei catechismi dei giovani e
degli adulti, offrendo inoltre la propria consulenza anche per temi collegati
all'insegnamento della religione cattolica e per l'elaborazione degli orientamenti
e dei documenti pastorali della CEI. Dal 1985 al 1990, è stato membro del
Comitato per gli Istituti di scienze religiose della stessa. Il 24
ottobre 1991 è nominato cappellano di Sua Santità. Dall'ottobre 1991 al
settembre 1996 è stato direttore dell'Ufficio catechistico nazionale. Ha seguito
in modo particolare la pubblicazione definitiva dei volumi del Catechismo
per la vita cristiana (bambini, giovani, adulti), il secondo Convegno
nazionale dei catechisti, l'elaborazione di diverse note pastorali, le
problematiche dell'insegnamento della religione cattolica, il coordinamento
della segreteria generale del Convegno ecclesiale di Palermo (1995), l'avvio
del "progetto culturale". Il 26 settembre 1996 è stato nominato
sottosegretario della CEI. Dal 23 dicembre 1997, in qualità di
vicepresidente del Comitato italiano, ha seguito la preparazione e lo svolgimento
della XV Giornata mondiale della gioventù di Roma 2000. Su proposta della
Presidenza e del Consiglio permanente della Conferenza episcopale italiana,
il 5 aprile 2001 il Santo Padre lo ha nominato segretario generale della
medesima Conferenza, incarico confermato il 6 maggio 2001 per un ulteriore
quinquennio, e lo ha eletto vescovo con il titolo della sede episcopale di
Falerone. Ordinato vescovo nella Cattedrale di Foligno, ha
continuato a seguire lo sviluppo del "progetto culturale" e ha
curato la preparazione e lo svolgimento del Convegno ecclesiale nazionale di
Verona (2006). Dal 23 gennaio 2002 è membro del Consiglio d'amministrazione
dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, come rappresentante della CEI.
Oltre a numerosi articoli di carattere scientifico su problematiche relative
all'ermeneutica biblica e all'esegesi degli Atti degli Apostoli, nonché
articoli di studio soprattutto catechetici, ha redatto numerose
pubblicazioni. |
Celebrazione di inizio Ministero Pastorale in diocesi di Firenze - 26
ottobre 2008 OMELIA 1. Il segreto di ogni autentica esperienza di
fede e conseguentemente di ogni vera azione pastorale è mettersi e restare
sotto la parola di Dio. Dall’ascolto della
Parola dovremo prendere quindi le mosse per il cammino da fare insieme come
popolo di Dio che forma la sua Chiesa pellegrina nel territorio fiorentino.
Un ascolto che non ci fa estranei al mondo, perché quella che riceviamo è una
Parola detta in parole di uomini, nei testi che ce la consegnano e
nell’annuncio che deve oggi ridirla. Il che ci conduce a un dialogo che vuole
essere apertura a tutte le voci dell’umanità, con una particolare attenzione
alle tracce culturali che possono aiutarci a comprendere le parole del
passato e a decifrare i segni del presente. È la Chiesa a donarci la
Parola, quale espressione della consapevolezza che essa ha di sé nella
storia; è la Chiesa ad attestarne l’autenticità, a determinarne i confini e a
delineare l’orizzonte che permette di interpretarla. Ma la Chiesa sa di
essere stata essa stessa generata dalla Parola, e da questa continuamente
attinge il nutrimento. Dalla Chiesa ne accogliamo anche la sapiente scansione
secondo l’anno liturgico, che in questa domenica ci propone una ben nota
pagina del vangelo di Matteo (Mt 22,34-40). Gesù si inserisce nel
dibattito sul senso della Legge in atto al suo tempo, ne raccoglie le linee
fondamentali, ma nel contempo lo innova completamente. Egli ribadisce
anzitutto con forza il primato di Dio sull’uomo, secondo una linea che
accomuna l’ebraismo alle grandi esperienze religiose di ogni tempo: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto
il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il grande e primo comandamento».
Sappiamo come un’accentuazione unilaterale di tale principio si presti alla
facile accusa di alienazione, ma anche alla deriva nello spiritualismo, nelle
sue varie forme. Sono pericoli di sempre, oggi non meno di ieri, facilitati
come sono da correnti culturali che vorrebbero confinare lo spazio religioso
alla periferia della vita, in un intimismo indefinito, e la fede ridotta alla
marginalità sociale. Di qui lo stretto legame
che Gesù instaura tra il divino e l’umano; aggiunge infatti: «Il secondo
[comandamento] poi è simile a quello [al primo]: Amerai il tuo prossimo come te
stesso». Anche questa
dimensione, presa da sola, può essere foriera di degenerazioni. Propiziate
dagli umanesimi atei, esse hanno drammaticamente segnato il secolo da poco
concluso. Non che le minacce dell’idolatria dell’umano ci abbiano
abbandonato. Oggi per lo più rivestono i panni seducenti di scienze e
tecnologie che si propongono come capaci di superare ogni limite. Da questa
tentazione prometeica che rischia di portarci alla catastrofe, perché priva
di criteri e di consapevolezze, può salvarci solo la connessione che, per
l’appunto, Gesù istituisce tra il divino e l’umano, invitandoci a scoprire
nell’immagine di Dio il volto del Padre di tutti e nel volto di ogni uomo il
riflesso dell’immagine del Creatore. 2. Le parole di Gesù, ponendo i due precetti nel
solco dell’unico comandamento, ci inducono a una riflessione sulla
responsabilità che, come Chiesa, abbiamo di proporre un annuncio e una
testimonianza davvero significativi. Non diversamente che nell’epoca d’oro di
questa città, ciò che è in questione, infatti, è di nuovo l’uomo. Il
grandioso contributo dato da Firenze alla storia del mondo è stato
significativamente condensato nel termine “umanesimo”. L’accento è posto sul
cammino compiuto per dare risposta agli interrogativi umani più radicali,
eppure in sintonia con la figura piena della fede, che mai è alienazione
dell’umano stesso, bensì suo orientamento verso le istanze più profonde e
apertura a orizzonti ulteriori rispetto agli stessi desideri. Non diversa è la svolta
epocale che ci troviamo a vivere oggi, quando i nuovi scenari aperti dalle
scienze e dalle tecnologie esigono che il volto dell’uomo si stagli con
maggiore nettezza. Anche in questo tempo la Chiesa sa di avere una parola di
certezza e di speranza da offrire in tale ricerca, ed è pronta a condividere
una visione della persona e della convivenza sociale su cui, perché
razionalmente plausibile, anche chi non crede possa convenire, nella ricerca
del bene comune. Si incunea qui, in ultima analisi, il senso di ogni
“progetto culturale” cristianamente ispirato, che non a caso pone al suo
centro proprio la questione antropologica. Su tale versante la Chiesa di
Firenze ha una sua specifica vocazione, cui non mancherà di rispondere. 3. La parola di Gesù non solo ci richiama a non
separare le ragioni di Dio da quelle dell’uomo, ma ci offre anche, come
chiave di questo orientamento, la categoria dell’amore: «Amerai il Signore tuo Dio…Amerai il
tuo prossimo…». Il legame che ci
unisce a Dio e quello che ci unisce ai fratelli è e non può che essere un
legame di amore. Ciò esclude sia la sudditanza che depersonalizza sia lo
sfruttamento che asservisce. La realtà dell’amore, lo sappiamo, è quanto di
più profondo la rivelazione ha saputo dirci a riguardo del mistero stesso di
Dio. Siamo però anche consapevoli di come sia facile banalizzarlo fino a
svilirlo, riducendolo a vago sentimento o a prassi solidaristica. In realtà,
proprio il fatto che l’amore non ci dice qualcosa di Dio ma chi Dio è – «Dio
è amore» (1Gv 4,8) –, ci dovrebbe far capire che l’invito
all’amore fatto a noi da Gesù non rimanda semplicemente a un atteggiamento da
assumere o a un’azione da intraprendere, ma è inscritto nell’intimo di ogni
uomo e ogni donna, perché ha la sua radice nella realtà stessa delle persone
divine. Non è forse questo il messaggio più profondo che il Santo Padre ha
affidato alla sua prima enciclica Deus caritas est? Il realismo e la
concretezza storica dell’amore evangelico ha un riscontro anche nella prima
lettura, tratta dal libro dell’Esodo (Es 22,20-26).
Il precetto dell’amore non plasma soltanto i rapporti interpersonali, ma
incide sulle strutture sociali. Il comandamento dell’amore ci fa responsabili
nella costruzione di un ordine giusto nella società, con particolare
predilezione per i deboli e i poveri: penso non solo alle povertà materiali
ma anche a quelle dello spirito, all’emarginazione sociale e all’aggressione
portata alla vita nel suo sorgere e al suo tramonto, al diritto a un lavoro
dignitoso e alla protezione della famiglia, specie quando è in difficoltà. La
ricerca del bene comune non è estranea a questo orizzonte evangelico, ma ne
costituisce la proiezione ultima, chiedendo ai credenti di impegnarsi in
prima persona nell’azione sociale e nella vita politica. Sarà doveroso
domandarci in che modo la nostra comunità ecclesiale possa porsi oggi a
servizio della città, non per imporre sul piano civile una visione religiosa,
ma per illuminare con la forza della fede la comune ricerca di ciò che è
bello, vero e giusto. 4. Tutto questo senza che il Vangelo scada a
progetto sociale, mantenendo invece il suo essere dono di grazia ed
esperienza di risurrezione. In tal senso va colto il collegamento tra la
pagina evangelica e la seconda lettura (1Ts 1,5c-10),
in cui l’apostolo Paolo fa memoria con i cristiani di Tessalonica degli inizi
della predicazione in quella città, ricordando loro come l’accesso alla fede
passi attraverso la rinuncia agli idoli e il riconoscimento del «Dio vivo e
vero», rivelato nella persona di Gesù, redentore e giudice del mondo. Siamo
così ricondotti a una comprensione dell’amore che è inscindibile
dall’incontro personale con Gesù e, attraverso di lui, mediante l’azione
dello Spirito, con il Padre. Solo in questa esperienza è possibile cogliere
la natura propria dell’amore e trovare la sorgente a cui alimentare il nostro
amore. Non diversamente ha parlato il Santo Padre nel recente viaggio
apostolico in Francia, quando ricordava come la nostra civiltà, nelle sue
istanze umanistiche più autentiche, sia nata proprio da una ricerca di Dio
che, per trovare l’oggetto del suo desiderio, ha avuto bisogno di dipanare le
lingue come pure le opere, e quindi le culture, dell’uomo, fondando di
riflesso una figura dell’umano più profonda e piena. Cercare Dio è la strada
più efficace e sicura per servire l’uomo. Non abbiamo bisogno di inventare
altri programmi per il nostro cammino. Il programma ci è già dato: se
cercheremo autenticamente Dio, e quindi se lo cercheremo nel volto del suo
Figlio Gesù, avremo imboccato la strada della comunione tra noi e del
servizio nella costruzione della città degli uomini. In questo cercare Dio e
solo Dio so di farmi eco del magistero di uno dei figli illustri di questa
Chiesa, don Divo Barsotti. Dalla sua testimonianza e da quella degli altri
grandi cattolici del suo tempo – e avendo appena parlato di carità e di città
degli uomini non possiamo non ricordare don Giulio Facibeni e Giorgio La Pira
– abbiamo ancora molto da imparare. 5. Siamo ben consapevoli del fatto che la Chiesa
cammina nel tempo, chiamata a rendere una testimonianza credibile al Risorto,
e pur fatta di uomini che, protesi alla virtù, restano segnati dal peccato.
Il che è vero per ciascuno di noi e anche per la nostra Chiesa fiorentina.
Sappiamo i nostri limiti nella disattenzione nei confronti della Parola del
Signore, nella confusione che si propaga attorno alla verità su Dio e
sull’uomo, nella distrazione e approssimazione delle nostre assemblee
liturgiche, nell’egoismo che inaridisce il servizio ai poveri, nell’inganno
che avvelena i rapporti tra le persone e offusca il nostro sguardo verso il
Signore, nello scandalo nei riguardi del prossimo, specialmente quando a
patirne le conseguenze sono i più piccoli. Ciascuno è chiamato a rispondere
personalmente delle proprie colpe di fronte alla comunità ecclesiale e alla
società. Ma se queste cose accadono, è anche perché l’attenzione e la
vigilanza di tutti si sono in qualche modo affievolite. Ognuno di noi, e io
per primo, secondo il proprio ruolo e responsabilità, siamo chiamati a
impegnarci attivamente a risalire la china, in un percorso di purificazione
che non ammette alibi. Non siamo però
scoraggiati né vinti, perché l’affidarsi al Signore è già l’inizio di una
rigenerazione che solo lui può operare. Né d’altra parte possiamo dimenticare
i tanti segni, noti e ignoti, di novità evangelica che costellano la storia
di questa Chiesa e il suo presente: la franchezza dell’annuncio, la ricerca
della verità, la solidarietà verso gli ultimi, la lode al Signore, la
creazione del bello attraverso l’arte. Su questi semi di bene possiamo
costruire un futuro pieno di speranza per tutti. 6. In questa splendida Cattedrale arriva oggi un
nuovo Arcivescovo, che vi chiede sommessamente di aprirgli il cuore e di
stringervi a lui in un abbraccio di comunione. Passano le figure umane, ma
sempre lo stesso è il «Pastore grande delle pecore» (Eb 13,20), Cristo Signore. Di questo unico Pastore i vescovi
sono il segno, ciascuno con la propria umana limitatezza, tutti con
l’aspirazione, che è un dovere, di rendere concretamente percepibile l’amore
di Dio per ogni uomo. È un servizio che il vescovo non svolge da solo, ma,
aiutato qui dal vescovo ausiliare, nella comunione del presbiterio e con il
sostegno dei diaconi: sono certo che tutti non mi faranno mancare il loro
sostegno convinto, di cui è segno la carità fraterna con cui mi hanno
accolto. Con loro il mio pensiero va ai consacrati e alle consacrate, la cui
vita ci richiama all’assoluto del Regno. E, infine, ma non da ultimi, lo
sguardo del cuore si posa sui fedeli laici, uomini e donne, testimoni del
Vangelo nelle vicende di un mondo sempre più complesso. Il servizio del vescovo
si realizza nella comunione con gli altri pastori, in specie quelli che
servono le Chiese del medesimo territorio. Il mio saluto va quindi anche ai
fratelli vescovi che mi circondano in questo momento, con particolare affetto
e impegno di comunione e collaborazione ai vescovi della Toscana. Nella successione di
questo servizio pastorale mi inserisco invocando la protezione dei santi che
hanno servito il Vangelo su questa cattedra, i nostri patroni Zanobi e
Antonino, grato per l’azione apostolica dei miei predecessori più vicini nel
tempo, il card. Ennio Antonelli e il card. Silvano Piovanelli, senza
dimenticare l’opera di chi ci ha lasciato, dal card. Giovanni Benelli, di cui
proprio oggi ricorre l’anniversario della morte, al card. Ermenegildo Florit fino al servo di Dio card. Elia Dalla Costa. Dai nostri santi patroni
la memoria si allarga a tutti i santi della storia di questa Chiesa,
invocando la loro intercessione. Penso ai grandi santi dei tempi passati, ma
anche alle figure che hanno illuminato della loro santità il secolo scorso e
le cui virtù singolari auspichiamo possano essere presto riconosciute dalla
Chiesa. Al vertice di questa corona di intercessori sta la Vergine Maria. Dal
santuario dell’Annunziata ho voluto iniziare il mio cammino tra voi e con
voi, dopo aver visitato due luoghi della fragilità e della sofferenza. A
Maria mi affido e ci affidiamo, per dire ogni giorno anche noi al Signore il
nostro: «avvenga per me secondo la tua parola» (Lc 1,38). Fratelli e sorelle
carissime, in questo mio primo incontro con voi nell’atto supremo
dell’Eucaristia ho preferito non proporre indicazioni pastorali: avrò modo di
conoscere meglio la realtà fiorentina e di tracciare con il vostro aiuto le
linee del cammino futuro. Ho inteso piuttosto ribadire il primato di Dio,
della sua conoscenza e amicizia, da ricercare nel volto del suo Figlio Gesù,
Parola di vita per l’uomo. Parimenti ho cercato di dirvi come per fare Chiesa
sia oggi necessario edificarci nella comunione, secondo l’azione dello
Spirito, e dare frutti di testimonianza che esprimano la verità e la novità
del Vangelo per ogni uomo. È questo l’orizzonte del mio servizio tra voi e
per voi. Aiutatemi a far sì che la mia umanità non veli, ma al contrario renda
manifesta la grazia del Signore. Come fece Paolo per gli anziani di Efeso,
con la vostra preghiera affidatemi «a Dio e alla parola della sua grazia» (At 20,32). Amen. + Giuseppe Betori Arcivescovo di Firenze Firenze, 26 ottobre 2008 |
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