Il pensiero
possente di San Paolo |
Statua di S.Paolo davanti alla basilica di San
Paolo fuori le mura (Roma) |
Paolo è
il primo grande intellettuale della Chiesa cattolica. I suoi scritti sono una
miniera inesauribile di verità ispirate da Dio, valide per l'uomo di ogni
epoca. [...] Gli scritti paolini non
esauriscono il loro significato in quel contesto
storico, ma parlano all'uomo di ogni tempo. Si può
tentare di tracciare una sintesi del pensiero di San
Paolo, individuando le colonne di questa straordinaria architettura
intellettuale. Che procede di pari passo con la testimonianza di vita e di
fede del "tredicesimo apostolo". La conversione a
Gesù Cristo [...] Sarà
proprio Paolo a scrivere con toni commoventi che «per me vivere è Cristo»,
(Rm 1,21). Il protagonista della conversione è
Cristo stesso - «mentre ancora eravamo peccatori, Cristo morì per noi» (Rm
5,8) perché è lui che prende sempre l'iniziativa, senza che l'uomo possa vantare alcun merito di fronte a
una simile grazia: «Sono stato afferrato da Cristo»
(Fil 3,12). Il cristianesimo
come fatto irriducibile al giudaismo Paolo è
decisivo nel recidere con un taglio netto, quasi un colpo di spada, ogni
possibile confusione tra giudaismo e cristianesimo. Cristo ha
prepotentemente preso il posto della Torah. È Gesù Cristo e non più la
Torah a determinare la comunità degli eletti (Rm
10,4) e la loro salvezza. L'uomo è salvato non dalla legge ma dalla fede in
Cristo, unico Salvatore del mondo. Da questa sorgente viene la giustizia e
la forza di compiere le opere conformi alla legge di
Dio. In questo modo, Paolo supera di slancio le discussioni all'interno delle
prime comunità cristiane circa la necessità o meno della circoncisione (Gal
5,6). Il cristianesimo
come cattolicesimo Paolo testimonia che Cristo è
venuto nel mondo non solo per i giudei, ma per gli uomini di ogni nazione. La
salvezza cristiana è cattolica, cioè universale, e non è riferita a una etnia privilegiata. Ebrei e gentili partecipano in
maniera identica a questo mistero di grazia. [...] II cristianesimo e
l'impero: la "romanità"
della Chiesa La diffusione del cristianesimo
deve moltissimo all'esistenza di un impero organizzato e ordinato come
quello romano. Impero che fu molto spesso veicolo dell'evangelizzazione, e
non ostacolo come vorrebbe una diffusa quanto
infondata "leggenda nera". Quando a Gerusalemme alcuni
giudei accusano Paolo di aver profanato il tempio, egli viene
portato davanti al sommo sacerdote Anania e verrebbe linciato se non
intervenisse a salvarlo una guarnigione romana, mandata dal tribuno
Claudio Lisia. Il quale, scoperto che Paolo è civis
romanus, prende a cuore la sua sorte e lo fa scortare fino a Cesarea. Paolo
ottiene di essere processato secondo il raffinato diritto dei latini, e
poiché si appella al giudizio di Cesare, dopo varie peripezie giunge in
«quella Roma onde Cristo è romano» (Dante, Purgatorio, XXXII, 102). Qui egli
vivrà per lungo tempo agli arresti domiciliari, potendo ricevere persone e potendo diffondere senza ostacoli il Vangelo. Il cristianesimo
come esperienza di persecuzione Paolo è
sottoposto a una persecuzione durissima. È costretto a lasciare Damasco per
sfuggire alle ostilità della Sinagoga (Atti 9,22-24) mediante una fuga
rocambolesca (2Cor 11, 32) che lo conduce a Gerusalemme. Ma anche qui
continuano le persecuzioni, e quando Paolo tenta di convertire gli ebrei di
lingua greca essi cercano di ucciderlo (Atti 9,
26-29), inducendolo a fuggire a Tarso. Quando molti anni dopo tornerà
a Gerusalemme, tenteranno di linciarlo (Atti 22, 22-24). Paolo ci avverte che
la vita del cattolico non è mai una passeggiata in mezzo agli applausi del
mondo. Egli è sempre un uomo "politicamente scorretto", e ne paga
le conseguenze. Nella seconda Lettera ai Corinzi
(11, 23-28) ci racconta di aver trascorso i suoi
giorni «nelle fatiche, nelle prigionie,
nelle percosse, spesso in pericolo di morte».
E aggiunge: «Cinque volte dai Giudei ho ricevuto i trentanove colpi; tre
volte sono stato battuto con le verghe, una volta
sono stato lapidato, tre volte ho fatto naufragio, ho trascorso un giorno e
una notte in balia delle onde. Viaggi innumerevoli, pericoli di fiumi, pericoli di briganti, pericoli dai miei connazionali,
pericoli dai pagani, pericoli nella città, pericoli nel deserto, pericoli sul
mare, pericoli da parte di falsi fratelli; fatica e travaglio, veglie senza
numero, fame e sete, frequenti digiuni, freddo e nudità. E oltre a tutto
questo, il mio assillo quotidiano, la preoccupazione
per tutte le Chiese». Il cristianesimo e
il matrimonio Sarebbe ben curioso che un uomo
coraggioso come Paolo, per giunta ispirato da Dio, potesse scrivere qualcosa
tanto per "piacere" ai suoi contemporanei. È
evidente che anche le parti oggi più scomode delle
lettere di Paolo, come ad esempio quelle che descrivono il ruolo dell'uomo e
della donna nel matrimonio, non sono affatto "il frutto della mentalità
dell'epoca", ma la raffinata e sempre valida descrizione in chiave
teologica dell'amore sponsale. Nel famoso quinto capitolo della
Lettera agli Efesini, dopo aver censurato duramente alcuni vizi capitali («nessun
fornicatore, o impuro, o avaro avrà parte al regno di Cristo e Dio») e aver
esortato alla preghiera, Paolo indica la strada maestra del matrimonio
cristiano: «Siate sottomessi gli uni agli
altri nel timore di Cristo. Le mogli siano sottomesse ai mariti come al Signore; il marito infatti è capo della moglie, come
anche Cristo è capo della Chiesa, lui che è il salvatore del suo corpo. E
come la Chiesa sta sottomessa a Cristo, così anche le mogli siano soggette ai
loro mariti in tutto. E voi, mariti, amate le vostre mogli,
come Cristo ha amato la Chiesa. (...) Così
anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo,
perché chi ama la propria moglie ama se stesso. Nessuno mai
infatti ha preso in odio la propria carne; al contrario la mitre e la
cura, come fa Cristo con la Chiesa, poiché siamo membra del suo corpo». Quanti disastri umani e
familiari ci sarebbero risparmiati, se oggi questo modello fosse insegnato
alle coppie di sposi, e fosse da esse seriamente perseguito. II cristianesimo come dottrina: l'ortodossia e l'eresia In Paolo è
costantemente presente la preoccupazione di confermare le comunità cristiane
nella vera fede. Nelle sue lettere mette continuamente in guardia i fratelli
dai falsi profeti, da coloro che seminano dottrine
ingannevoli e fomentano l'eresia. Lo scrive a Timoteo in uno dei suoi passi
più belli: «Ti scongiuro davanti a Dio e a Cristo
Gesù che verrà a giudicare i vivi e i morti, per la sua manifestazione e il
suo regno: annunzia la parola, insisti in ogni occasione opportuna e non
opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e dottrina.
Verrà giorno, infatti, in cui non si sopporterà più
la sana dottrina, ma, per il prurito di udire qualcosa, gli uomini si
circonderanno di maestri secondo le proprie voglie, rifiutando di dare
ascolto alla verità per volgersi alle favole. Tu però vigila attentamente, sappi sopportare le sofferenze, compi la
tua opera di annunziatore del vangelo, adempi il tuo ministero» (2 Tm
4,1-5). Il cristianesimo
come esperienza di vita II fatto che la salvezza
dell'uomo passi attraverso la fede in Cristo non significa che Paolo teorizzi
un cristianesimo senza rettitudine, in cui la fede si "mangia" la
morale, e il peccato si confonde con la virtù.
Le sue lettere contengono risposte molto nette e anche molto dure a molteplici
problemi morali, che riguardano il divorzio, il
pudore, l'onestà, la carità verso gli indigenti, l'amore tra i membri della
Chiesa, il lavoro, l'uso del danaro e così via. San Paolo preconizza anche
l'eclissi morale che avvolge un mondo in cui si rifiuta Cristo: «Devi anche sapere che negli ultimi tempi
verranno momenti difficili. Gli uomini saranno egoisti, amanti del denaro,
vanitosi, orgogliosi, bestemmiatori, ribelli ai genitori, ingrati, senza
religione, senza amore, sleali, maldicenti, intemperanti, intrattabili,
nemici del bene, traditori, sfrontati, accecati dall'orgoglio, attaccati più
ai piaceri che a Dio, con la parvenza della pietà, mentre ne hanno rinnegata
la forza inferiore. Guardati bene da costoro!»
(2Tim 3,1-6). Il cristianesimo come azione San Paolo è
uomo di grande riflessione, ma è insieme un uomo d'azione. Anzi: un uomo che
vive di corsa perché l'annuncio del Vangelo impone
di far presto, di andare ovunque ci sia qualcuno che ancora non conosce
Cristo. Si calcola che nei suoi viaggi
Paolo abbia percorso circa 15.000 chilometri: un'enormità,
considerati i mezzi di trasporto dell'epoca. Non è un caso che negli scritti
paolini (ICor 9,24) ricorra l'immagine dell'atleta
che si allena, e si unge, e gareggia per la vittoria. No, non si può servire
Gesù restando comodamente in poltrona. Questa
urgenza dell'apostolato è forse il messaggio più forte, il tesoro più grande
affidatoci da Paolo di Tarso, ebreo, cittadino romano, cristiano convertito
dall'amore di Colui che voleva perseguitare. Mario Palmaro II Timone - giugno 2008 |