L’OSSERVATORIO

di Claudia  & Alberto

 

Basta una famiglia per essere famiglia?

Il rischio della superficialità.

Declino di un simbolo e perdita della nostra identità.

Quando Fede e Ragione gridano “NO” a Politica e Scienza

Giù le mani dalla famiglia

Gesù, il Dio concepito

Famiglia e TV

“ La verità vi farà liberi”

Fecondazione assistita e legge 40,quale verità?

Santa Giovanna Beretta Molla,

madre di famiglia

La libertà dell’uomo

Casa Nazaret: spazio alla famiglia

Esperienza di un campo scuola per famiglie e adulti

E’ trascorso un anno da …

Testimoni di Speranza

Nomadelfia

 

 

Basta una famiglia per essere famiglia?

 

Nella   società   d'oggi   prevale l'abitudine ad avere piuttosto che ad essere. Ormai è diventato normale investire la maggior parte delle proprie energie nel tentativo di possedere qualcosa: un lavoro, una carriera, la casa, l'auto, vestiti, cibo ecc.  Ovviamente nessuno nega l'importanza che queste cose hanno per la dignità e per la sopravvivenza stessa dell'uomo, tuttavia talvolta sembra che perdiamo di vista quegli che dovrebbero essere gli obiettivi principali della nostra esistenza e trasformiamo in finalità della nostra vita cose che dovrebbero essere solo mezzi per vivere. Impiegando così tanto tempo e risorse al fine di ottenere cose che stanno fuori di noi, poniamo sempre meno attenzione a quello che siamo, come dire che passa in primo piano il bisogno d'avere cose piuttosto che quello d'essere   persone.   Orientati   a soddisfare i nostri bisogni materiali, ignoriamo quasi i bisogni psicologici e spirituali nostri e di chi ci vive accanto.  Quest'atteggiamento va sicuramente   a   scapito   della conoscenza di noi stessi e del nostro prossimo, c'impedisce di riflettere sulle nostre paure, sui nostri limiti, ma anche di conoscere le nostre risorse, di crescere nelle virtù.

Spesso il risultato dì ciò è la creazione d'individui sempre più ansiosi, insicuri, spaventati per il futuro o ammalati di solitudine affettiva. Un modo di funzionare orientato   all'avere,   quindi   al possesso, piuttosto che all'essere, cioè alla costruzione di sé, influenza indubbiamente anche le relazioni con gli altri individui, persino all'interno della propria famiglia. I rapporti fra coniugi, fra genitori e figli, risentono di quest'atteggiamento, tendente alla ricerca di ciò che si ha, di ciò che ci si aspetta di ricevere dall'altro, dei propri diritti all'interno della famiglia, e spesso poco attento a quello che si è come soggetti, a come ci si comporta all'interno delle relazioni familiari, a quali sono i nostri   doveri   all'interno   della famiglia. Prevale l'idea di avere un marito o una moglie, avere dei figli piuttosto che quella di essere una sposa o uno sposo, essere un padre o una madre, essere un figlio.

Questa può sembrare una sfumatura di poco conto, ma credo che al contrario sia fondamentale. Infatti, dall'ottica che guida il nostro modo di funzionare all'interno della famiglia, dipenderanno tutte le nostre scelte e i nostri comportamenti. Infatti, se nella relazione vedo l'altro come qualcosa che mi appartiene, "è mio marito", "è mio figlio", mi pongo automaticamente nella posizione di chi possiede e come tale ha il diritto di giudicare l'altro, di giudicare com'è e come si comporta nei miei confronti. Se con il passare del tempo dovessi rendermi conto che, per esempio, il mio coniuge non è quella persona che credevo fosse, quella persona che ho scelto come marito o moglie, potrei anche sentirmi in diritto di allontanarlo da me, in quanto non è più in grado di soddisfare i bisogni per i quali lo avevo sposato. Frasi del tipo: "Non sei più la persona che credevo, non sei più in grado di rendermi felice, sei cambiato", trovano una loro giustificazione nella misura in cui amo l'altro per quello che mi da affettivamente o per come riesce a farmi sentire. Un amore quindi che pone come condizione per esistere quella di ricevere qualcosa (quindi avere qualcosa), dalla relazione di coppia.

Un modo completamente diverso di vivere l'amore all'interno della famiglia è quello orientato all'essere: essere lo sposo o la sposa dell'altro, essere il padre o la madre di questi figli. In quest'ottica non mi aspetto qualcosa dagli altri, ma al contrario divento io l'oggetto dei miei giudizi, delle mie riflessioni, perché ciò che mi preme è fare attenzione a ciò che io sono nella mia famiglia e per la famiglia. Allora anche di fronte alle inevitabili difficoltà che possono subentrare nella relazione coniugale o nel rapporto con i figli, la mia prima attenzione non sarà quella di criticare e  giudicare gli errori dell'altro, i suoi difetti, ma al contrario   sarà   mia   premura osservare quello che io sono nella coppia e all'interno della famiglia, quali sono le mie responsabilità. Come sto svolgendo il mio ruolo di sposa? Faccio dono alla mia famiglia di tutte le risorse di cui sono capace? Di tutte le virtù di cui mi è stato fatto dono? O pretendo che siano solo gli altri a farlo? Quanto sono in grado di sacrificare le mie ambizioni, i miei bisogni, per i bisogni della famiglia?

Quanto sono in grado di sostenere il mio coniuge di fronte alle difficoltà, a preoccuparmi   prima   dei   suoi problemi piuttosto che dei miei? In una relazione d'amore, qual è quella che si realizza in famiglia, il mio essere è essere dell'altro, farsi dono dell'altro, offrendo alla famiglia tutto ciò di cui si è capaci: pazienza, sopportazione,    rispetto,    pace, giustizia, ascolto, gioia, fiducia, speranza.

Senza mai dimenticare che possiamo sempre chiedere a Dio ciò di cui noi non siamo capaci.

Probabilmente, quindi, non basta avere una famiglia per essere famiglia, ma tornare ad essere delle famiglie è forse l'unico modo per poter  continuare,  nella  società d'oggi, ad avere la famiglia.

 

Claudia

Maggio 2003

 

Il rischio della superficialità

Siamo ormai alla fine di questa lunga estate che tutti ricorderemo per il gran caldo. Ci siamo lamentati per i disagi dell’afa, fra breve ci lamenteremo per il freddo. E’ sempre così, sembra quasi che subiamo la nostra esistenza anziché viverla, passiamo spesso da un’esperienza all’altra rimpiangendo ciò che è già passato o agognando che arrivi presto ciò che ci auguriamo per il futuro, in un clima di insoddisfazione, di noia, comunque di mancanza di qualcosa, incapaci spesso di vivere il presente, che è poi l’unico tempo che davvero ci appartiene e sul quale possiamo intervenire. Mi sembra che abbiamo smarrito da tempo il senso delle cose. Non solo ci siamo assuefatti al non senso, alla superficialità che sta dilagando soprattutto nei rapporti con gli altri, ma prendiamo per buono questa perdita di significati, come se fosse verità, come se davvero ogni cosa avesse perso valore.

Chi si domanda più il perché della vita, della morte, della sofferenza, o anche più semplicemente perché alzarsi la mattina da letto e andare al lavoro, a scuola o fare le pulizie in casa? E questo non per deprimersi, ma per cercare il significato della propria esistenza che per lo più  non è fatta di grandi imprese ma di piccoli gesti che si ripetono quotidianamente, ma che possono assumere un valore totalmente differente a seconda che vengano fatti per abitudine, perché ci si sente obbligati, o al contrario perché è attraverso questi gesti che è possibile realizzare il progetto che è la ragione della propria vita.

Sembra che viviamo allo stesso modo in cui si gioca una schedina dell’Enalotto, cioè come se tutto fosse frutto del caso, come se non esistessero certezze, verità, ma solo opinioni personali, per cui ognuno si muove secondo un suo credo e la verità è rappresentata da ciò che fanno tutti non da ciò che è giusto in senso assoluto. In un clima in cui tutto è relativo, limitato nel tempo, soggettivo, sembra che non ci sia più spazio per verità assolute, tanto che nessuno ha più il coraggio di professarle.

Come conseguenza di ciò vediamo che oggi non esiste più l’amore, ma solo il sesso; non esiste più il matrimonio, ma solo la convivenza; non esiste più la famiglia, ma solo legami affettivi a tempo determinato; non esistono più responsabilità ma solo diritti, e così via.

Tutto questo però è contraddetto dalla natura dell’uomo.

Infatti l’uomo (inteso come essere umano, uomo e donna) ha in sé un desiderio di essere amato e una capacità di amare che vanno ben oltre l’aspetto sessuale della relazione. C’è un’esigenza di dialogo, di tenerezza, di sostegno reciproco e comprensione, di perdono che pur essendo ineliminabili restano spesso inascoltate.

L’uomo ha la capacità di esercitare una libertà che si coniuga alla responsabilità, ha desiderio di infinito e di eterno, eppure sempre più spesso si assiste alla paura di prendere decisioni che impegnino per tutta la vita, come per esempio il matrimonio. E anche qualora ci si sia impegnati, ci si sente autorizzati a rompere l’impegno di fronte alle inevitabili difficoltà.

L’uomo è capace di soffrire, di sacrificarsi per un ideale, di lottare per ciò che vale, eppure sembra che questo oggi non accada più.

Perché accade ciò? Si spendono fiumi di parole per spiegare questi fenomeni sociali e le risposte che i sociologi danno sono molte.

Io al contrario non ho molte risposte ma solo molte domande.

Credo che occorra riappropiarsi del valore delle cose. Davvero amore e sesso sono la stesa cosa? E se così non è, cos’è l’amore che lega un uomo e una donna? E che significato assume la sessualità in questa relazione? Davvero, come molti dicono, non c’è differenza fra convivenza e matrimonio? Che cos’è la famiglia? Perché io vivo? Solo perché respiro aria ogni giorno e mi nutro, cioè solo per ragioni naturali, oppure esiste una ragione soprannaturale  e quindi eterna?

Solo se inizieremo a porci delle domande anziché prendere per buono tutto quello che ci viene propinato, potremo iniziare a trovare anche delle riposte che diano senso alla nostra vita.

 

Claudia

Settembre 2003

 

Declino di un simbolo e perdita della nostra identità

 

Il recente dibattito portato avanti dai mass media riguardante la presenza o meno del crocifisso nelle scuole mi ha destato alcune riflessioni e non poche perplessità.

Per mia ignoranza non ero a conoscenza dell’esistenza di una legge, in Italia, che imporrebbe la presenza del crocifisso nelle nostre scuole e negli altri enti pubblici. A prescindere dal fatto di essere d’accordo o meno con tale legge, finché è in vigore andrebbe se non altro rispettata. È con molto stupore quindi che ho constatato, che nelle nostre scuole di Calenzano, almeno in quelle frequentate dalle mie figlie, dove ho potuto constatare di persona, il crocifisso è assente.

Per curiosità ho chiesto ad una amica che insegna a Prato, se nella sua scuola è presente il crocifisso nelle aule e lei ha confermato il mio sospetto e cioè che manca. Questo se non altro mi ha incuriosita e mi sono chiesta il perché. La mia amica insegnante mi ha detto di non sapere esattamente quando e perché i crocifissi siano stati tolti, ma che ciò è probabilmente coinciso con l’eliminazione dell’insegnamento obbligatorio della religione cristiana dalle scuole. Ha anche sottolineato che tutto ciò è in linea con l’atteggiamento assunto dalle insegnanti che è quello di rispetto e tolleranza verso tutte le religioni, senza predilezione per nessuna:“Insomma una scuola pubblica deve essere laica, se uno vuole il crocifisso vada in una scuola privata”, mi ha detto. A parte il fatto che mi sembra che spesso si confonda laico con ateo, con tutta la mia buona volontà non riesco a capire come il crocifisso appeso alla parete di una scuola possa offendere qualcuno, dato che, per me che credo in Cristo è un segno di speranza e di Salvezza, per chi non crede è solo l’immagine di un fatto storico accaduto quasi duemila anni fa, come tale innegabile, e simbolo di una umanità che sa donarsi per amore, fino a perdere la propria vita per gli altri.

Forse però mi sfugge qualcosa dato che in tanti affermano che il crocifisso potrebbe offendere la sensibilità religiosa dei non cristiani. E allora mi domando, come mai, in nome di altrettanta tolleranza e rispetto delle fedi altrui ci si accanisce soltanto verso il crocifisso e non verso altri aspetti di costume o di morale che forse potrebbero recare scandalo ad alcuni musulmani presenti nel nostro paese e non solo a loro?

Per esempio si potrebbe proporre a tutto il mondo femminile di usare qualche centimetro in più di stoffa per vestirsi, senza arrivare a velarsi il volto e a coprirsi il capo. Forse molte donne, ci guadagnerebbero in salute (soprattutto in questi mesi invernali) andando in giro un po’ più vestite. In questo modo inoltre si dimostrerebbe un po’ di rispetto anche per molti cristiani che non vedrebbero più profanare tante importanti cerimonie religiose, come matrimoni e prime comunioni, da scollature alquanto procaci, trasparenze ammiccanti, ombelichi all’aria.

Oppure, senza ricorrere, per ovvi motivi, all’infibulazione, ancora in uso in alcuni paesi musulmani, si potrebbe provare ad insegnare ai nostri figli ad essere un “po’ più virtuosi”. So bene che nella nostra cultura è più apprezzata la varietà di esperienze anche in campo affettivo e sentimentale, piuttosto del dono fedele ed esclusivo del proprio amore ad un’unica persona. In molti, purtroppo, credono di essere troppo “progrediti ed emancipati” per poter ancora credere a valori come la fedeltà, la castità, la verginità. Tuttavia in un paese multietnico com’è diventato il nostro potrebbe accadere ai nostri figli di incontrare un giorno un giovane o una giovane di un’altra religione che ancora apprezza una sposa o uno sposo che gli faccia dono esclusivo di tutto se stesso compresa la sua sessualità.

O perché non guardare, anche se con occhio critico, all’abitudine di lapidare le adultere (il recente fatto di Amina ce lo ha ricordato), per prendere qualche provvedimento contro l’immoralità dilagante che mette a dura prova le nostre famiglie e la nostra stessa vita?

Mi si scusi il tono polemico e provocatorio, ma è talmente evidente che dietro l’apparente rispetto e tolleranza delle diverse religioni si nasconde un mal celato tentativo di emarginare sempre più chi ancora crede veramente in Cristo, unica ragione e sorgente del nostro essere, che non posso fare a meno di provare un dolore profondo.

Sinceramente poco mi importerebbe se il crocifisso fosse scomparso solo dalle nostre scuole, ciò che mi addolora è dover constatare una volta di più che Cristo è scomparso dalle nostre famiglie e purtroppo ancor prima da molti cuori. Quando io frequentavo le scuole c’era ancora nell’aula il crocifisso appeso alla parete dietro la cattedra, col suo sguardo doloroso e misericordioso rivolto verso ciascun alunno. E ricordo che spesso, durante un compito in classe particolarmente difficile o una interrogazione, ho rivolto il mio sguardo preoccupato e implorante di fanciulla verso Colui che non ha mai mancato di consolarmi nelle afflizioni ed aiutarmi nelle difficoltà, bastava solo che mi ricordassi di chiedergli aiuto. Ed io mi ricordavo di rivolgermi a Lui un po’ perché lo vedevo di fronte a me quando ero a scuola, bastava solo che alzassi gli occhi dal mio banco, ma soprattutto perché a casa avevo un babbo ed una mamma che mi avevano insegnato con la parola e con l’esempio a credere nell’amore di Gesù per ogni uomo, ad aver fiducia nel suo aiuto provvidenziale, ad amarlo con tutto il cuore e ad amare per amor suo il mio prossimo.

Tra poco sarà di nuovo Natale. Che ci crediamo o no, Gesù si è realmente incarnato, ha preso la nostra natura umana, si è abbassato al nostro livello per elevarci al suo. Non perché lo meritiamo ma perché ci ama di un amore che supera tutte le nostre categorie mentali e la nostra possibilità di comprensione e perché vuole amarci così per l’eternità. Proviamo a dargli un po’ di posto nella nostra vita, un’esperienza che trasfigura la nostra esistenza e dà un senso a tutto ciò che apparentemente non ne ha…Allora sarà veramente Natale.

Claudia

Dicembre 2003

 

Quando Fede e Ragione gridano “NO” a Politica e Scienza

 

La legge sulla fecondazione artificiale in vitro (FIVET), recentemente approvata dal Parlamento italiano, ha sollevando numerose polemiche. Il rischio che si corre è di essere portati a credere che ciò che la tecnica permette sia lecito e ciò che è lecito sia doveroso. Per cui là dove la tecnica permette di fare certe cose, l’uomo le deve fare altrimenti la cultura dominante tende anche a colpevolizzarlo. 

In realtà non è necessario appellarsi alla fede, ma è sufficiente lasciarsi guidare da una retta ragione per capire quanto la FIVET leda la dignità umana anche se la scienza la rende possibile e la legge lecita. Infatti, ammettendo la fecondazione artificiale in vitro come possibile via per la procreazione è come se riducessimo questo evento ad un puro ed esclusivo fatto biologico, come tale riproducibile in laboratorio. Inoltre tutto il dibattito che pone da una parte il diritto alla vita dell’embrione e dall’altra il diritto alla maternità di ciascuna donna, della procreazione un’esperienza individuale, come se generare un figlio fosse sinonimo di maternità e potesse prescindere dalla paternità.

L’essere umano è una realtà complessa, sensibile e spirituale insieme, e altrettanto complessa è la procreazione umana, inserita nella relazione d’amore che unisce un uomo ad una donna. Il procreare umano è una realtà infinitamente più ricca della riproduzione animale. Infatti si genera con tutti noi stessi, anima, mente e corpo. L’uomo e la donna nell’atto di procreare, non riproducono un individuo della stessa specie, ma si mettono a disposizione per donare la vita al loro figlio. La procreazione non vede in gioco degli oggetti. Abbiamo un corpo femminile o maschile perché siamo donna o uomo, ma il corpo non è un oggetto. Così nell’atto di procreare, la donna non può essere ridotta al solo ruolo di incubatrice e l’uomo non può essere ridotto solo ad un produttore di sperma. A sua volta il frutto della procreazione non è un oggetto al quale la donna ha diritto. La procreazione avviene all’interno di una relazione d’amore fra un uomo e una donna, non è un fatto casuale o meccanico. L’uomo e la donna partecipano a questa esperienza d’amore con tutto il loro essere, con la loro mente, la loro affettività, il loro spirito e il loro corpo. L’amore umano non è un amore disincarnato, ma al contrario, un amore che si esprime e si manifesta anche attraverso il corpo, com’è possibile allora disincarnare proprio l’atto procreativo? E’ proprio nell’unione dei corpi che l’uomo e la donna raggiungono la loro massima intimità, è una delle espressioni più alte attraverso la quale riescono a donare e ricevere amore. Talmente alta che è proprio attraverso questo atto, che l’amore che li unisce, si fa esso stesso carne nel momento in cui dà la vita ad un altro essere. Non si procrea solamente con il corpo e non si procrea solamente con la nostra genitalità. La procreazione è frutto e segno della mutua donazione personale degli sposi, del loro amore, della loro fedeltà. Un figlio è generato dai genitori ancor prima di venire concepito. Lo si genera con l’amore che lega la coppia, lo si genera con il desiderio di donare questo amore anche ad una terza persona, lo si genera con la volontà, con la decisione responsabile di avere un figlio, per amarlo, crescerlo, educarlo, anche per soffrire per lui se necessario, lo si genera con la disponibilità ad accoglierlo così com’è, senza nessuna condizione. E soprattutto lo si genera in due, all’interno di una relazione. E’ la ragione stessa che non può concepire l’idea di una maternità che possa fare a meno della paternità, come avviene con la fecondazione artificiale eterologa che utilizza il seme di un donatore estraneo alla coppia. È la coppia che genera, non ciascun individuo, per cui la donna che ha uno sposo sterile non può avere un figlio. L’eterologa è una ferita all’amore coniugale, picché priva la procreazione della paternità.

 Non si può nascere se non per un atto d’amore, senza ledere la dignità di chi procrea e di chi è procreato. Ogni essere umano ha valore perché amato da Dio, anche se è nato con la FIVET, desiderato o no. Ma noi dobbiamo farlo nascere in un modo degno di una persona umana. Per comprendere questo basta guardarsi dentro, ripensare al primo istante della nostra personale esistenza per domandarsi che effetto ci farebbe sapersi frutto di una tecnica manipolativa anziché dell’amore dei nostri genitori: “Io avrei voluto, per me stesso, essere concepito in un asettico laboratorio, per l’intervento tecnico di un medico, nel fondo di una provetta, anziché per l’amore dei miei genitori?”. L’amore esige a sua volta responsabilità e rispetto, prima di tutto verso il figlio, verso ogni figlio generato. Non possiamo indurre la vita, mettere in essere delle creature umane, senza poter poi tutelare la loro esistenza.  Per un solo figlio che riesce a nascere non possiamo condannarne decine e decine ad un aborto certo. Perché questo, di fatto, accade utilizzando le tecniche di fecondazione in vitro. Solo il 15 per cento delle coppie che si affidano ai centri per la fecondazione artificiale ne escono con un figlio. Nell’85 per cento dei casi l’esito ultimo è l’aborto dell’embrione. A questo si aggiunga la necessità di produrre più embrioni di quanti vengono impiantati in utero e il fatto che molti embrioni non vengono poi utilizzati perché “di bassa qualità”. Molti embrioni, inoltre si distruggono durante la crioconservazione e ogni volta sono impiantati 2-3 embrioni e non tutti ce la fanno. La retta ragione non può approvare tutto questo. D’altra parte non si può nemmeno superare questo problema convincendosi della menzogna che un embrione non è ancora una vita umana. Basterebbe domandarlo ad una qualsiasi donna che ha perduto il proprio bimbo per un aborto spontaneo anche nei primi giorni della gravidanza, magari quando ancora non sapeva della sua esistenza, se quello che era presente in lei non era già suo figlio.

Responsabilità e rispetto sono dovuti anche a se stessi e al proprio sposo. E’ sempre la dignità della persona umana che non può accettare di sottoporre uomini e donne a manovre umilianti o a terapie dolorose se non addirittura pericolose per la salute, pur di avere un figlio.

Occorre dire tutto questo, pur comprendendo l’enorme sofferenza di tante coppie che non riescono ad avere figli. L’amore coniugale tende per sua natura alla fecondità e la coppia che non riesce a procreare vive un dramma che è prima di tutto psicologico, non medico. A queste coppie dobbiamo tutto il nostro rispetto e la nostra comprensione. Non possiamo lasciarle sole, abbandonate alla loro disperazione, ma dobbiamo aiutarle a riscoprire la fecondità enormemente ricca del loro amore, alla quale sono comunque chiamati nel misterioso progetto di Dio, nonostante e attraverso la loro sterilità biologica. Amiamo queste nostre sorelle e fratelli feriti, perché il loro dolore li rende figli prediletti del Padre, tanto simili a Gesù crocifisso e a Maria che su quella croce ha visto morire il suo figlio, ma non ha perso la sua maternità.

Claudia

Febbraio 2004

 

Giù le mani dalla famiglia

 

Quando Nostro Signore Gesù ha deciso di venire in questo mondo, ha scelto di farlo all’interno di una famiglia. Prima di ascendere al cielo e tornare al Padre, ha voluto affidare la sua famiglia, la Chiesa, ad una mamma, Maria Santissima, e ad un padre, Pietro, il primo Papa, il primo Santo Padre della Chiesa cattolica. Dio Padre, dopo aver creato tutto l’universo, ha creato una coppia, Adamo ed Eva, la prima famiglia, creata a sua immagine e somiglianza, perché, come Lui, fosse feconda di amore e di vita. Quanto Dio deve amare la famiglia, quanto deve ritenerla indispensabile, se l’ha voluta anche per Suo Figlio fatto uomo!

E noi? Quanto, noi, amiamo la famiglia? Quanto la riteniamo indispensabile nella nostra società? E non sto parlando di una famiglia qualsiasi, ma della famiglia fondata sul matrimonio sacramento, fra un uomo e una donna. Se ci guardiamo intorno sembra che a pochi ormai stia a cuore il destino di questa famiglia. Per lo più sembriamo rassegnati, se non addirittura contenti, di adattarci ad una realtà che fa di tutto per cancellare la famiglia dai nostri valori. Una realtà che tende a sostituire la famiglia con altre forme di convivenza o di accoppiamento, che ci vuol far credere che l’amore può finire, per cui non merita impegnarsi per tutta la vita, o che i bambini per crescere sani e sereni non hanno bisogno necessariamente di un babbo e una mamma che li amino e che si amino fra di loro. Eppure della famiglia abbiamo bisogno tutti. Ne hanno bisogno i bambini per crescere sereni, i giovani per impegnarsi con fiducia a costruire il proprio futuro, gli sposi per vivere quella tenerezza, fatta anche di perdono, che dà gioia, gli anziani per sentirsi veramente amati fino alla fine dei loro giorni. E nonostante tanti luoghi comuni, che sembrano andare per la maggiore, credo che nessun essere umano, bambino, giovane, adulto o vecchio che sia, possa negare di avere un desiderio profondo di famiglia che sia culmine e fonte d’amore e di vita. Ed è naturale che sia così perché ogni uomo trova la sua completa realizzazione solo se ama ed è amato. La nostra umanità può realizzarsi solo attraverso delle relazioni d’amore sincere ed altruistiche. E quando si ama veramente una persona non si può nemmeno pensare che questa ad un certo punto della nostra vita ci venga tolta. L’amore fa di quella persona l’unica in grado di completarci, di farci star bene, nonostante agli occhi degli altri, la stessa, non abbia niente di speciale. Proviamo a pensare come ci sentiremmo se all’improvviso la persona che amiamo ci venisse tolta. Probabilmente ci sentiremmo come se una parte di noi stessi ci venisse strappata. Evidentemente c’è nell’uomo e nella donna un bisogno d’amore eterno, esclusivo, fedele, totale, che è insito nella propria natura, anche se oggi spesso si è condizionati da un modo diffuso di pensare che vuol portarci a credere che l’impegnarsi responsabilmente a realizzare questo progetto di amore sia un’imposizione, una sorta di rigida legge morale che soffoca la libertà dell’uomo. Ma dal momento che io amo,  è la mia libertà che sceglie e desidera amarti ed essere amata da te per tutta la vita. Un amore vero non può nemmeno pensare alla fine di se stesso. Quale grande contraddizione esiste quindi nel credere che l’amore possa finire. Può forse finire l’amore di una mamma per il suo bambino? E allora perché tante coppie si separano? Talvolta, forse, perché credevano di amarsi, ma la loro unione era alimentata solo dai loro rispettivi egoismi, che li portava a cercare l’uno nell’altra la realizzazione di un piacere personale. Se penso a te come a qualcuno che può soddisfare dei bisogni che ho, che mi serve in funzione di quei bisogni e che è di troppo in altre occasioni, forse non ti amo veramente. Occorre, però, essere consapevoli del fatto che l’amore anche quando è vero e profondo, privo di ogni egoismo, è tutt’altro che scontato e dato per acquisito una volta per tutte. Al contrario è un dono prezioso che necessita da parte nostra tanta cura e dedizione. Necessita di essere sempre posto al centro della nostra vita e del nostro impegno. Amare è una scelta libera e responsabile che deve essere rinnovata ogni giorno. Che ne sarebbe di un bambino, se appena nato, i genitori lo dessero per acquisito per sempre e non gli dedicassero più nessuna cura? Dimostrare che il desiderio e il bisogno di un amore, qual’è nel progetto di Dio, è proprio della nostra natura umana (e come potrebbe essere altrimenti dato che Dio ci ha creati a sua immagine e somiglianza!?), non equivale a dire che “amare” sia facile e spontaneo, soprattutto per una natura ferita dal peccato e che ha per ciò assunto in sé anche egoismo, orgoglio, invidia, lussuria e quant’altro ritroviamo di negativo nella nostra natura umana. Quanto amore ci dimostra quindi Gesù, che donandoci il Suo Spirito nei sacramenti, ci conforma a sé e ci rende capaci di realizzare in pienezza, nonostante la nostra umanità ferita, quel progetto d’amore che è sì il Suo progetto, ma è anche il nostro.

Quando fra marito e moglie ci sono dei problemi, si soffre sicuramente molto sentendosi costretti in un matrimonio che non dà più gioia, ma dolore, litigi, incomprensioni. Ma non si soffre ancora di più al pensiero di aver fallito nella realizzazione di un progetto d’amore che ci aveva sostenuti fino a quel momento e che avevamo desiderato insieme nel momento in cui ci siamo sposati? Anche quando, fra le lacrime la separazione può apparire come una liberazione, non si prova uno strappo violento nel cuore che fa agonizzare? In questi momenti non vorremmo forse per noi, per i nostri figli, il miracolo di veder realizzato di nuovo, con il nostro sposo, quell’amore in cui si era creduto nel momento in cui ci siamo conosciuti? Gesù può farci questo miracolo, il miracolo di trasfigurare l’amore di cui umanamente siamo capaci, e di trasfigurarci nell’Amore. Ma dobbiamo volerlo anche noi ed impegnarci con Lui, ogni giorno e soprattutto in quelli segnati dalla croce. Crediamo, quindi nella famiglia, amiamo la famiglia, gioiamo con la famiglia, soffriamo, anche, se necessario per la famiglia, preghiamo per la famiglia. E per favore, giù le mani dalla famiglia, senza la quale viene disumanizzata la vita stessa, perchè senza la famiglia non c’è più amore vero, e senza amore non c’è vita.

Claudia

Maggio 2004

 

GESU’, IL DIO CONCEPITO

 

“Ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato figlio dell’Altissimo. ( Lc 1,31-32).

Con questo annuncio dell’angelo Gabriele a Maria, Gesù irrompe nella storia dell’umanità. Prima di essere il Dio bambino che parla con i dottori del tempio, il Dio che insegna alle folle e compie miracoli, il Dio crocifisso, il Dio risorto e asceso al cielo, prima di tutto questo, il nostro, è il Dio concepito. Difficilmente ci soffermiamo a meditare su questo aspetto della vita di Gesù, ma siamo abituati a far coincidere l’inizio della sua esperienza terrena col momento della nascita nella capanna di Betlemme. Spesso dimentichiamo che il Natale del Signore è stato annunciato nove mesi prima dall’angelo, ed è stato un annuncio che, una volta ricevuto il sì di Maria, ci ha portato immediatamente Dio nella storia, attraverso il suo concepimento. L’angelo dice ”Ecco concepirai un figlio”. Quel figlio è quindi già presente nella vita di Maria e nella vita dell’umanità, è il figlio concepito, prima di essere il figlio dato alla luce. Ed è già “figlio dell’Altissimo”. Quindi Gesù concepito è già vero uomo e vero Dio, ed effonde la sua grazia redentrice e salvifica fin dal grembo di sua madre, tanto che il piccolo Giovanni, anch’egli embrione nel grembo di S.Elisabetta, esulta di gioia appena gli giunge il saluto di Maria che gli porta Gesù (Lc1,44).

Il nostro non è un Dio muto, ma è un Dio che ha parlato all’umanità, e che ha testimoniato con la sua esistenza terrena ed umana ciò che ha annunciato con le parole. Ha cioè tracciato con la sua vita un modello di vita che ogni uomo è chiamato a seguire, e con il quale, che lo vogliamo o no, ci troviamo prima o poi a fare i conti.

Questa sua testimonianza inizia proprio in questo momento, nel momento del suo concepimento. Dio avrebbe potuto entrare nella storia in tantissimi altri modi. Non era scontato che la sua incarnazione cominciasse proprio dallo stato embrionale. Poteva comparire nel mondo già adulto o bambino già completamente formato, poteva scegliere altre strade. Invece ha scelto di percorrere per intero, dal primo istante del concepimento fino alla morte, l’esistenza di ogni uomo. Indubbiamente questa scelta divina non può essere priva di significato.

Senza aver la pretesa di poter comprendere l’agire di Dio, credo però che da questa esperienza l’uomo di oggi sia chiamato a trarre alcuni insegnamenti. Se Dio, l’Onnipotente, ha rivestito la nostra fragilità, si è fatto piccolo e bisognoso dell’accudimento e dell’amore di una madre e di un padre, si è vestito della nostra materialità assumendo un corpo fin dagli istanti in cui questo è costituito da una, due, quattro cellule, questo deve farci riflettere sulla straordinaria dignità di ogni concepito d’uomo.

Così come Gesù è figlio di Maria e figlio di Dio dal primo istante del suo concepimento, anche ogni altro uomo ha la dignità di persona umana fin dal suo concepimento e come tale deve essere considerato e rispettato. Questa è la risposta di Gesù, vero Dio, a tante domande che l’uomo oggi si sta ponendo di fronte alla vita nascente. Una risposta che non ci dà a parole ma con la sua stessa vita e che è perciò inequivocabile e coerente. Ma che richiede altrettanta coerenza da parte nostra, quando siamo interpellati direttamente su aborto, fecondazione artificiale, diagnosi prenatale, clonazione terapeutica…

Con questa scelta Gesù vuol farci comprendere la bellezza e il valore di questa vita nascente, questo è il lieto annuncio che Dio è venuto a portare all’umanità. Un Dio che si incarna che non ha timore di rivestire i nostri panni di umanità, che ripercorre in tutto fuorché nel peccato la nostra esperienza umana, ci dà l’idea di quanto ognuno di noi, grande o piccolo, sano o malato, valga agli occhi di Dio. Talmente tanto da averci scelti per un destino di eternità nella perfezione dell’amore, della pace, della giustizia, della bellezza e di quanti altri beni solo da Dio possiamo aspettarci.

Questo è il dono che ci fa Dio con il suo Natale.

Claudia

Dicembre 2004

 

RISCOPRIRE IL SILENZIO IN QUARESIMA

 

Il nostro Cardinale quest’anno ha scritto una lettera pasquale indirizzata alle famiglie in cui invita ad una riflessione sui rischi e le possibilità di arricchimento che i media possono offrire. Una lettera che consiglio a tutti di leggere attentamente perché può essere l’occasione per fare un po’ di sana autoanalisi e di autocritica.

E’ fuori dubbio che la TV non è affatto una “finestra sul mondo”, ma piuttosto un prodotto costruito artificialmente a tavolino da un numero di persone estremamente inferiore rispetto al numero degli spettatori.

Altrettanto evidente è che chi fa televisione, o parla in televisione, o gli stili di vita familiare o relazionali presentati in televisione, sono spesso assai distanti dalla vita normale condotta ogni giorno dalla maggior parte delle persone. Fra i protagonisti della televisione prevalgono infatti i singles, o persone con vita matrimoniale travagliata o comunque irregolare.

Gli stessi modelli di vita vengono con sempre maggior insistenza proposti anche dagli spot pubblicitari. La famiglia felice che fa colazione, è oggi spesso sostituita dalla famiglia ricomposta: la mamma, il bambino e il nuovo compagno di mamma che si conquista l’affetto del bambino cedendogli il suo piatto di pasta condito con quel tal sugo pronto.

Tutto questo rischia di apparire normale e addirittura bello, tanto che potrebbe indurci a cambiare i nostri valori e modelli educativi. Per esempio di fronte al tema del divorzio, come genitori ed educatori potremmo essere tentati di preparare fin da piccoli i nostri figli a questa possibilità, come ad un evento normale nella storia naturale di una famiglia, anziché trasmettere loro la fiducia in legami stabili e duraturi (di cui i bambini hanno un enorme bisogno), basati su un amore che non è solo ricerca di piacere o appagamento personale, ma anche aiuto agli altri, perdono, arricchimento, sacrificio.

Purtroppo spesso è difficile rendersi conto di  quanto anche noi adulti siamo influenzati e non sempre positivamente dai media, fino a credere talvolta, che il nostro quotidiano sia vuoto ed inutile, fino a cercare realizzazione al di fuori della famiglia. E allora perché non provare a fare un po’ di silenzio intorno a noi, per permetterci di riacquistare un po’ di senso critico?

La quaresima potrebbe essere l’occasione giusta per tentare un digiuno televisivo e riappropriarsi così di tutto quel tempo (in media tre-quattro ore al giorno) che la TV ci sottrae. Tempo che potrebbe essere impiegato in molti altri modi.

Tempo, per esempio, da dedicare all’ascolto attivo dei nostri figli, che hanno sempre tanta voglia di parlare ed essere ascoltati, per giocare con loro, per raccontare loro delle storie. I bambini vogliono potersi stupire di fronte a modelli veramente positivi, di persone che hanno saputo sacrificare la vita per gli altri, come Madre Teresa. Non dobbiamo, quindi avere timore di proporre loro questi valori, anche se distanti da ciò che abitualmente ci viene proposto.

Tempo insomma da dedicare alla famiglia e alla riscoperta di quanto sia bella ed importante, di quale tesoro si celi dietro al nostro impegno quotidiano in casa e fuori casa.

E perché no, tempo da dedicare alla preghiera in famiglia, perché come dice il Papa, la famiglia che prega unita resta unita!

Claudia

Febbraio 2005

 

“LA VERITA’ VI FARA’ LIBERI”.

FECONDAZIONE ASSISTITA E LEGGE 40, QUALE VERITA’?

 

Il 12 giugno si svolgeranno i quattro referendum abrogativi di alcuni articoli della legge sulla fecondazione assistita, la legge 40/2004. Dal momento che siamo chiamati a prendere posizione rispetto a tematiche così importanti per la vita dell’uomo, cerchiamo almeno di farlo con un minimo di informazione corretta.

1.      L’embrione, cumulo di cellule o individuo umano? L’embrione è il nuovo essere vivente che si forma nel momento della fusione della cellula uovo materna con lo spermatozoo paterno (fecondazione). L’embrione, fin dal momento del suo concepimento, possiede quell’informazione genetica, che non solo lo definisce come individuo della specie umana, ma gli attribuisce anche speciali caratteristiche personali, per esempio di sesso, di aspetto fisico, attitudinali ecc.. Inoltre tale informazione genetica coordina in modo autonomo lo sviluppo dell’embrione, che dalla fecondazione in poi avviene in maniera continua, senza interruzioni, senza che uno stadio, anche se molto precoce, sia meno importante di un altro al fine di avere un bambino completamente formato, che dopo nove mesi di gravidanza verrà alla luce. E’ evidente che quel bambino che noi vediamo alla nascita si forma gradualmente, tuttavia, se si interrompe, anche molto precocemente, quel nuovo ciclo di vita che inizia alla fecondazione, non si permetterà mai a quel bambino di nascere.

2.      Cosa si intende per FIVET? E’ una tecnica di fecondazione assistita che consente di generare artificialmente un essere umano mediante fecondazione in vitro (cioè in laboratorio), con successivo trasferimento dell’embrione umano così formato nell’utero di una donna, ma che ha solo il 20% di possibilità di successo. Solo una coppia, su cinque o sei che tentano di avere un figlio con questa tecnica, esce da una clinica della fertilità con un bambino in braccio. Ciò significa che, per ogni bambino nato con la FIVET almeno altri otto embrioni sono stati persi. Con il libero mercato della fecondazione in vitro negli ultimi 5 anni sono stati concepiti almeno 500 milioni di bambini: di questi solo12 milioni sono venuti al mondo. Inoltre anche in quel piccolo gruppo di donne che iniziano una gravidanza con la FIVET si possono verificare, in percentuali molto elevate: aborti spontanei; gravidanze estrauterine; parti prematuri; bambini con basso peso alla nascita; doppio rischio di paralisi cerebrali; aumento preoccupante di morbilità e mortalità neonatale (40% in più rispetto ai bambini concepiti naturalmente); un rischio di anomalie congenite circa doppio rispetto alle gravidanze naturali; sindrome da iperstimolazione ovarica nella madre; gravidanze multiple, con successivo ricorso alla riduzione fetale, cioè l’aborto selettivo di bambini sani ma in soprannumero rispetto alle naturali capacità di gestazione di una donna.

3.      Cosa significa fecondazione artificiale omologa ed eterologa? La fecondazione artificiale è detta omologa quando i gameti (ovociti femminili e spermatozoi) vengono forniti dai due genitori, eterologa quando si fa ricorso ai gameti di almeno un donatore diverso dalla coppia. In realtà i casi così gravi da comportare il ricorso alla fecondazione eterologa, sono molto rari, ed è evidente che l’eterologa comporta numerose conseguenze: nega al figlio di conoscere le proprie origini; può permettere anche a un single di avere un figlio (negando a quest’ultimo il diritto ad una famiglia); può permettere di generare figli anche utilizzando gameti di persone non più in vita (mettendo in essere bambini orfani fin dal concepimento); o di generare figli in età non più fertile (mamme nonne); permette di generare figli a coppie omosessuali; crea il fenomeno delle cosiddette madri surrogate (o utero in affitto), spesso ragazze in difficoltà che dietro compenso in denaro accettano di farsi impiantare in utero un embrione prodotto in vitro e di portare avanti per conto di altri la gravidanza per poi cedere, dopo la nascita, il bambino.

4.     La fecondazione assistita è una cura della sterilità? Sebbene per lo più accedano alla FIVET coppie sterili, non si può dire che la fecondazione assistita sia una cura della sterilità, in quanto la coppia sterile resta sterile anche dopo che si è sottoposta alla FIVET. E’ certo però che gli enormi interessi economici che stanno dietro queste tecniche (basti pensare che una FIVET costa intorno ai 4000 euro) tolgono risorse ad una ricerca che potrebbe davvero portare a migliorare le tecniche di diagnosi e cura della sterilità e in molti casi influenzano l’iter diagnostico e terapeutico, orientando le coppie con problemi di fertilità verso la FIVET, ancor prima di valutare adeguatamente se esistono realmente problemi di sterilità e se la FIVET è, da un punto di vista medico, l’unica via perseguibile e la migliore.

5.      Cosa significa crioconservazione? Si tratta del congelamento degli embrioni prodotti in vitro in numero superiore a quelli che vengono impiantati nell’utero materno. C’è da sottolineare che lo scongelamento uccide spessissimo l’embrione e se sopravvive è spesso da scartare perché danneggiato e non può quindi essere utilizzato per l’impianto nell’utero della mamma. Nessuno sa chi conserva i milioni di embrioni creati, congelati e poi giudicati superflui, e che uso ne farà, senza alcun controllo.

6.      Cosa significa diagnosi genetica preimpianto? Consiste nell’analisi delle caratteristiche genetiche degli embrioni concepiti in vitro, prima dell’impianto nell’utero della madre, allo scopo di scartare gli embrioni che presentano una possibile anomalia genetica e selezionare per il trasferimento solo quelli che possiedono le caratteristiche desiderate dai genitori. La diagnosi genetica preimpianto è possibile solo per alcune fra le migliaia di malattie genetiche esistenti, risulta errata nel 10% dei casi, uccide l’embrione nel 5%, è proibita per rischi di eugenetica in Svizzera, Austria, Germania.

7.      L’attuale legge vieta la fecondazione assistita? La legge 40 del 2004 non vieta affatto il ricorso alla fecondazione assistita, ma lo regolamenta cercando di armonizzare i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso l’embrione. La legge consente la fecondazione artificiale omologa alle coppie, anche se non sposate, ma stabilmente conviventi, la cui sterilità o infertilità sia dimostrata da adeguato iter diagnostico, e vieta solamente la fecondazione eterologa. La legge vieta di produrre embrioni per fare su di loro esperimenti, perché sono persone umane e non cavie da laboratorio. La legge prevede il consenso informato per le coppie, che intendono usufruire di questa tecnica, compresa l’informazione sulla probabile morte di alcuni embrioni prodotti per il trattamento e sulla bassa percentuale di successo (20% circa) di queste tecniche di riproduzione artificiale, e compresa la possibilità di ricorrere all’adozione per poter dare una famiglia a molti altri bambini già nati che aspettano padri e madri capaci di accogliergli (gli orfanotrofi da quest’anno in Italia saranno chiusi e le adozioni ed affidi incoraggiati). La legge prevede un fondo per favorire l’accesso a queste tecniche. La legge dispone la compilazione di un registro nazionale di centri autorizzati ad applicare queste tecniche. La legge vieta la crioconservazione degli embrioni, ma consente invece di congelare liberamente gli spermatozoi e gli ovociti femminili non ancora fecondati, che saranno poi accoppiati in vitro quando è il momento dell’impianto. La legge vieta la diagnosi genetica preimpianto. Insomma la legge consente la fecondazione medicalmente assistita e pone solamente delle limitazioni per evitare abusi (sull’embrione e sui genitori), sperimentazioni incontrollate ed aberranti, inutili stragi di embrioni innocenti.

8.     L’attuale legge ha ridotto la percentuale di successo della fecondazione assistita? In numerosi centri italiani per la riproduzione assistita i dati sulle gravidanze parlano di risultati uguali o migliori rispetto al periodo pre-legge 40. In più la legge garantisce la salute delle madri incoraggiando l’impianto di non oltre tre embrioni per volta, a scongiurare così sia il rischio di gravidanze plurigemellari, che il ricorso all’aborto selettivo.

9.      L’attuale legge blocca il progresso scientifico? Si sente dire che, potendo utilizzare le cellule staminali degli embrioni si guarirebbero diverse malattie, tipo il morbo di Parkinson o di Alzheimer, la sclerosi, il diabete, le cardiopatie, i tumori. Questa è una menzogna clamorosa, perché a tutt’oggi non esiste alcuna applicabilità, neppure sperimentale, delle cellule staminali embrionali come terapia per l’uomo, anzi, le staminali embrionali sono potenzialmente cancerogene. Al contrario, risultati incoraggianti sono stati raggiunti con le staminali adulte, presenti in alcuni tessuti del nostro organismo. La legge 40 vuole mettere fine all’uccisione di embrioni umani per esperimenti di laboratorio e sostiene la ricerca medica sulle cellule staminali adulte, già oggi possibile ed efficace ma ancora sottofinanziata.

L’unica conclusione possibile a questo punto è che, chi osteggia tanto la legge 40 non l’abbia neanche letta o sia talmente in cattiva fede da preferire la morte di milioni di esseri umani, piuttosto che rinunciare alle proprie ideologie o al proprio guadagno.

Claudia

Maggio 2005

 

SANTA GIANNA BERETTA MOLLA, MADRE DI FAMIGLIA

 

Difficilmente pensiamo che la santità sia alla portata di tutti noi, e che possiamo raggiungerla vivendo, secondo la volontà di Dio, le nostre normali esperienze quotidiane. Eppure esistono santi che hanno raggiunto la perfezione proprio vivendo in modo straordinario la loro vita ordinaria. Santa Gianna Beretta Molla è una di questi santi. Sposa, madre di famiglia, medico, ha vissuto una vita come quella di molte altre donne. Gianna nasce a Magenta (Milano) il 4 Ottobre 1922, da genitori che sanno donarle la fede ed una solida educazione cristiana. Negli anni del liceo e dell'università si impegna con generosità nell'Azione Cattolica e nelle Conferenze di San Vincenzo. Si laurea in Medicina e Chirurgia nel 1949 ed inizia ad esercitare la sua professione di medico, come un servizio all'uomo nella sua totalità di anima e corpo. Ama la vita e le gioie che essa riserva, la montagna, lo sci, l'alpinismo, la musica, la pittura, e vive ogni esperienza della vita come un dono straordinario di Dio. A soli 15 anni scrive: "O Gesù ti prometto di sottomettermi a tutto ciò che permetterai mi accada, fammi solo conoscere la Tua Volontà". Gianna è fermamente convinta che "Le vie del Signore sono tutte belle sempre che il fine sia sempre lo stesso: salvare la nostra anima e riuscire ad avvicinare molte altre anime al paradiso per glorificare Dio". Per questo è disposta a seguire qualsiasi strada il Signore le indichi, non cercando di realizzare progetti di vita che assecondino i suoi gusti personali, ma desiderando solo di realizzare la volontà di Dio su di lei, che concepisce come volontà salvifica che comunica agli uomini la vita. Inizialmente pensa di farsi missionaria laica in Brasile, ma poi comprende che il Signore la chiama alla vocazione matrimoniale e allora abbraccia con gioia ed entusiasmo questa strada, incarnando un amore che è dono totale di sé, segno dell'amore di Cristo per la Sua Chiesa e per l'umanità. Scrive al fidanzato: "Vorrei proprio farti felice ed essere quella che tu desideri: buona, comprensiva e pronta ai sacrifici che la vita ci chiederà." Ed ancora: "Quando penso al nostro grande amore reciproco, non faccio che ringraziare il Signore. È proprio vero che l'Amore è il sentimento più bello che il Signore ha posto nel cuore degli uomini. E noi ci vorremo sempre bene, come ora, Pietro. Mancano solo venti giorni e poi sono…Gianna Molla!". Gianna è sposa e madre felice di tre bambini. Quando è in attesa del quarto figlio, al secondo mese di gravidanza, le viene diagnosticato un voluminoso fibroma all'utero. Perfettamente consapevole dei rischi cui andava incontro decide di farsi asportare il fibroma, ma di non interrompere la gravidanza. Era una scelta pericolosa perché la sutura dell'utero nei primi mesi di gravidanza può cedere causando la morte della donna. La normale prassi medica avrebbe optato per l'asportazione totale del fibroma e dell'utero.

Di fronte a questa scelta drammatica, due sono le certezze che la guidano e la sostengono. Da una parte una fiducia totale e incondizionata nella divina Provvidenza: "Il Signore farà ciò che è giusto per la mia famiglia. Il Signore sa che con quest'ultimo bimbo, avremo quattro figli. Ci penserà sicuramente". Dall'altra la sacralità della vita che porta in grembo, per la quale è disposta a sacrificare la sua stessa vita: "Se dovete decidere fra me e il bimbo, nessuna esitazione: scegliete - e lo esigo - il bimbo. Salvate lui". Il mattino del 21 aprile 1962 nasce Gianna Emanuela, e già dopo poche ore le condizioni della madre peggiorano per una peritonite settica. All'alba del 28 aprile, Gianna muore all'età di soli 39 anni. Durante l'agonia aveva più volte ripetuto: "Gesù ti amo, Gesù ti amo".

Gianna è stata proclamata, da Sua Santità Giovani Paolo II, Beata il 24 aprile 1994 e Santa il 16 maggio 2004.

La sua festa votiva è il 28 aprile.          

                                                                                                              Claudia

Dicembre 2005

 

LA LIBERTA’ DELL’UOMO

 

La libertà è uno degli aspetti più belli della persona, e che ad essa attribuisce la maggior dignità fra tutte le creature della terra: in sostanza, è la capacità di scegliere come comportarsi (assieme a quella della consapevolezza di esistere) che dà all'uomo unicità ed importanza assolutamente superiori in tutto il creato.

In ognuno di noi è forte l'istinto a combattere contro tutto ciò che sembra minacciare anche in minima parte questa libertà, come testimoniato non solo dalla storia, ma,  ancora oggi, dalla cronaca, la quale vede continuamente vittime che (da secoli appunto) sacrificano la loro vita pur di difendere questo valore. Appare quindi evidente come la libertà sia una aspirazione che vive da sempre nello spirito di ogni uomo .

Al pari di tutte le espressioni più profonde e radicate nel cuore dell'uomo, essa ha necessità di essere educata (quindi protetta) e soprattutto indirizzata: non è di poco conto quest'ultima precisazione, poiché accettarla o negarla produce effetti assolutamente opposti e contrari, l'uno a favore e l'altro contro l'uomo.

Infatti, dare un fine preciso a un certo comportamento, attribuisce ad esso un senso, un significato profondo, e, altra cosa importante, dà consapevolezza di costruire qualcosa. In tale prospettiva, il pericolo più grande che corre la libertà è anzitutto quella di essere considerata per sé stessa il valore più alto di tutti, più importante anche dei motivi per cui si agisce, dei valori e delle conseguenze che derivano dall'uso che se ne fa. Oggi infatti si vuole imporre l'idea che non è importante ciò che si sceglie, bensì il solo fatto di scegliere in assoluta libertà, come dire che non è  importante il contenuto ma il contenitore, oscurando, nella coscienza di chi agisce, ogni valutazione etica e morale sul proprio comportamento ed i suoi effetti. Il pensiero liberista e libertario rifiuta alla radice un fatto importante: che la libertà, da sola non sa orientarsi verso il vero bene.

La Bibbia riesce come sempre a parlarci del problema della libertà in termini semplici ed efficaci,nel linguaggio figurato con cui descrive la scelta fatta dai nostri progenitori nel Paradiso Terrestre. Dall'episodio di Adamo ed Eva si capisce come sia facile ingannare gli uomini riguardo alla libertà, proponendo falsi miraggi di autonomia ed orgogliosa indipendenza da ogni autorità costituita, ponendo l'uomo come unico arbitro dei propri limiti e diritti. Gli effetti di quella scelta sbagliata li sta pagando l'umanità tutta intera, nessuno escluso. Ancora la Sacra Scrittura  indica all'uomo la strada corretta, e lo fa come sempre indicando non cosa ma chi sia la vita, la verità, la libertà ecc.. : è sbagliato per un credente domandarsi in cosa esse consistano, perché tutte si riassumono in una Persona: Gesù Cristo. E' solo Lui che può dire :"io sono la via, la verità e la vita", e ancora: "la Verità vi farà liberi". Riporre la speranza nelle utopie umane, ha sempre prodotto conseguenze mostruose lungo tutta la storia dell'umanità


Alberto

Febbraio 2006

 

Casa Nazaret: spazio alla famiglia

 

Anche quest'anno il Santo Natale che ci apprestiamo a celebrare, ci ricorda che, poco più di duemila anni fa, Dio è entrato nella storia dell'umanità e in quella di ogni singola persona, per portarci un grande annuncio di salvezza, per illuminarci sul senso profondo della nostra esistenza e sulla grande dignità di ogni singolo individuo. E lo ha fatto nascendo e crescendo in una famiglia.

Oggi più che mai possiamo interpretare questa scelta divina come il primo annuncio fatto all'umanità: la famiglia è luogo indispensabile e privilegiato per la crescita e la maturazione della persona umana; luogo in cui germoglia la vita, in cui si vivono gli affetti, in cui si impara ad amare, perché amati per primi; luogo di educazione e di trasmissione di valori e di tradizioni.

Senza famiglia non può esserci l'uomo. La famiglia è, quindi, un tesoro prezioso, da custodire con molta cura, oggi più che mai, dato che è attaccata da ogni punto di vista, persino nella sua stessa definizione. 

Per questo accogliamo ed annunciamo con molta gioia un dono di Grazia particolare, che quest'anno il Santo Natale porterà alla nostra comunità parrocchiale.

Infatti, nei nuovi locali della Parrocchia, è nato uno spazio di ascolto e di consulenza interamente ed esclusivamente dedicato alla coppia e alla famiglia, completamente gratuito e senza fini di lucro.

Lo abbiamo chiamato "Casa Nazaret", perché vogliamo porlo sotto la protezione della Santa Famiglia di Nazaret.

"Casa Nazaret" vuole essere un servizio di volontariato impegnato ad accogliere i problemi della coppia, con particolare attenzione alla vita di relazione con tutti i suoi aspetti di comunicazione e di dialogo, alla vita sessuale, alla regolazione della fertilità e all'accoglienza della vita nascente. Ma anche problemi legati ai rapporti con le famiglie di origine, ai rapporti fra genitori e figli e problemi morali (etica sessuale, morale familiare, senso della vita).

Si rivolge principalmente alle coppie formate (partners, coniugi, genitori) o in formazione (fidanzati); ma anche a ragazzi e adolescenti, offrendo loro un luogo dove parlare liberamente dei problemi, confrontarsi ed essere ascoltati.

Inoltre si farà carico di iniziative di formazione finalizzate all'educazione degli adolescenti e dei giovani alla vita, all'amore, alla sessualità, sia attraverso interventi destinati a loro, sia mediante iniziative proposte ai loro educatori (incontri con genitori e catechisti). A questo riguardo è già in fase di svolgimento il percorso "Viaggio nell'affettività e nella sessualità", per ragazzi e adolescenti.

Il tutto nell'ottica di un'antropologia personalista, attenta cioè al bene di tutto l'uomo, nella sua componente corporea, psicologica e spirituale, e di tutti gli uomini, coerentemente con la visione cristiana dell'uomo e della donna, e utilizzando l'apporto delle scienze umane come la medicina, la psicologia e la bioetica.

I colloqui saranno effettuati da uno specialista in Psicologia Clinica e Psicoterapia e coperti dal segreto professionale.

"Casa Nazaret" inizierà la sua attività di consulenza a partire da martedì 9 Gennaio 2007 e sarà aperta ogni martedì dalle 10.00 alle 12.00 e mercoledì dalle 19.00 alle 20.00. Si potranno prendere appuntamenti anche per telefono, chiamando il numero 331 5974852.

Tutta la comunità parrocchiale accompagni la nascita di questa iniziativa con la preghiera affinché possa diventare sorgente di vero bene per le persone, le coppie e le famiglie.

A tutti un Felice Natale.

Claudia

Dicembre 2006

 

ESPERIENZA DI UN CAMPO SCUOLA PER FAMIGLIE E ADULTI

 

Quest'anno abbiamo deciso di trascorrere una parte delle nostre vacanze in un modo un po' insolito. Infatti abbiamo partecipato alla esperienza estiva per famiglie e adulti organizzato ogni anno dalla Azione Cattolica della Diocesi di Firenze e che quest'anno si svolgeva sulle Dolomiti a Polsa di Brentonico. Eravamo in compagnia di circa altre 85 famiglie con figli di ogni età, ed alcune anche con i nonni. Non è possibile in queste poche righe riassumere completamente quanto abbiamo sperimentato e quanto siamo stati arricchiti. In sintesi lo spirito di questi campi scuola consiste in momenti di riflessione legati da un tema conduttore, che quest'anno era "educare alla fede oggi: la famiglia testimone di gioia e speranza in un mondo che cambia", alternati a spazi di preghiera, svago ed animazione a fine giornata, il tutto sotto la costante presenza di alcuni sacerdoti (in primo luogo Don Stefano Manetti, Rettore del seminario Maggiore, coadiuvato da Don Vasco Giuliani, Don Socci e Don Renzo Ventisette). Abbiamo ricevuto anche la gradita visita del nostro Cardinale.

A tutti i partecipanti è stato chiesto di posizionare una piccola zattera con i nomi dei componenti la famiglia su uno dei tanti luoghi rappresentati su una grande cartina che riportava ad es. l'isola della speranza, l'atollo dell'isolamento, le secche della noia, lo stretto della prova. Anche i bambini, divisi in gruppi a seconda della loro età , hanno fatto il loro percorso, seguiti da bravissimi giovani animatori che li hanno fatti giocare, riflettere e pregare. 

E' stata la prima volta per noi, e dobbiamo dire che dopo i primi giorni di adattamento ad una situazione assolutamente nuova, il clima di accoglienza, cordialità e profonda spiritualità ha finito per coinvolgerci, ed è stato un lento crescendo di partecipazione emotiva ma soprattutto spirituale, in un luogo dove, come qualcuno ha detto, finalmente non si sentivano i soliti discorsi da ombrellone, ma qualcosa di ben più sostanzioso, di cui credo ognuno senta intimamente il bisogno.

Lo stesso Don Stefano Manetti, il primo giorno ha voluto sottolineare quest'aspetto, dicendo che sarebbe stato sicuramente un periodo di "riposo in Dio". Personalmente dobbiamo dire che raramente abbiamo incontrato persone come quelle che hanno animato il campo scuola: da loro si impara ad aver fiducia negli altri senza riserve, si impara il dono di sé in serenità e fraternità, come in nessun altro luogo, poiché la condivisione diventa totale e nascono amicizie sincere, come solo nella fede comune in Dio possono iniziare e svilupparsi. In sostanza: per noi la scoperta più preziosa che abbiamo fatto è stata quella di capire che gran dono sia l'essere tutti insieme una unica Chiesa all'interno della quale c'è spazio per i carismi di tutti e quanto sia bello rendere partecipi gli altri dei propri doni ed aprirsi a quelli degli altri. Una esperienza da ripetere e raccomandare a tutti.

Alberto, Claudia, Virginia e Matilde.

Estate 2007

E’ trascorso un anno da

 

Un anno fa nasceva nei locali della nostra parrocchia "Casa Nazareth", un consultorio familiare di ispirazione cristiana, per offrire a chiunque lo desideri un luogo dove essere ascoltati. Il consultorio è nato perchè crediamo nel valore della famiglia e nell'importanza che essa ha per ogni individuo e per l'intera società. La famiglia è il luogo in cui possono incontrarsi le diverse generazioni in uno scambio reciproco di aiuto ed affetto. Là dove c'è una famiglia che accoglie la missione affidatale da Dio, di generare vita ed amore, non può esserci solitudine, e quando non siamo soli diventa più facile affrontare ogni tipo di problema. Tuttavia viviamo nel mondo, immersi nella nostra realtà, e sappiamo fin troppo bene che realizzare questo ideale, oggi, non è per niente facile, e forse non lo è mai stato; non è facile essere famiglia in una società che scambia l'amore con l'istinto, il bene col piacere, il senso della vita col successo e la libertà col far tutto ciò che ci pare.

Per essere famiglia fino in fondo, occorre imparare che l'amore è soprattutto volontà, che il bene delle persone passa spesso attraverso una strada di sofferenza e di sacrificio, che il senso della vita sta nel realizzare ciò per cui la vita mi è stata donata, e che non si è liberi se non facendo ciò che è bene per tutti. In un anno sono passate nel nostro consultorio molte persone, uomini e donne, coppie o persone singole, giovani e meno giovani, ognuno col suo bagaglio di sofferenze: dalle incomprensioni col figlio adolescente alle incomprensioni fra moglie e marito; dai dubbi per una gravidanza accompagnata da problemi ai dubbi su come educare il figlio; dal bisogno di parlare con qualcuno per la troppa solitudine al bisogno di imparare a comunicare meglio con chi si ama per riuscire a comprendersi. A tutti abbiamo offerto un luogo e un tempo per essere ascoltati ed un supporto psicologico per inquadrare diversamente le difficoltà che stavano attraversando,  cercando di fornire nuovi strumenti per trovare soluzioni anche là dove si era persa la speranza.

Crediamo in quello che facciamo perché crediamo nella famiglia, e con l'aiuto di Dio continueremo ad offrire questo servizio a chiunque lo richieda. Chi volesse avere ulteriori informazioni sulle attività del consultorio, può trovarle nel pieghevole distribuito in parrocchia.

A tutti un felice Natale.

Claudia

Dicembre 2007

Testimoni di Speranza

 

La cronaca degli ultimi mesi riporta continuamente notizie di grande preoccupazione per i noti problemi economici che investono tutti i maggiori paesi, e purtroppo non solo quelli. Anche il cittadino meno attento alle vicende sociali, avverte comunque in maniera pesante il clima di angoscia non solo per futuro a lungo termine, ma addirittura per tempi più ravvicinati dei mesi a venire. Le locandine dei quotidiani riportano regolarmente la notizia di licenziamenti, chiusure o drastiche riduzioni di realtà commerciali anche molto note, con un numero crescente di disoccupati. A noi qui interessa fermarci un momento a riflettere sull'impatto emotivo e soprattutto spirituale che questo pesante clima genera nell'intimo di ogni persona. Personalmente, provo un istintivo senso di oppressione ed insicurezza che paralizza ogni slancio di buona volontà e che sicuramente incide sulla fiducia nel prossimo futuro. Credo che molti altri provino la stessa sensazione, aggravata e purtroppo avvalorata dalle previsioni pessime che gli analisti economici propongono per il nostro futuro. In questo clima, la Parola di Cristo è nuovamente una sfida al comune e umano buon senso. Io credo che anche nelle preoccupazioni più dolorose possa nascere un germoglio di speranza : infatti su tutto questo si posa, tenera e incoraggiante la Parola "NON TEMERE". E' Dio che la pronuncia, non la promessa passeggera di un uomo, è Dio Amore, sposo amante e tenace che la sussurra al nostro cuore e ci accarezza l'anima. Lo affermava, anzi lo gridava con forza lo stesso Papa Giovanni Paolo II: NON ABBIATE PAURA , APRITE LE PORTE A CRISTO ! Ecco allora che ci coglie sempre impreparati l'episodio della tempesta sedata nel Vangelo di Marco, dove gli apostoli, terrorizzati in mezzo alle onde, gridano a Gesù: "Signore non ti importa che moriamo ?" Ancor più a disagio ci fa sentire quella famosa risposta: "perché avete paura: non avete ancora fede ?" Poi Cristo, con un semplice gesto, placa ogni bufera.

Non credo occorrano altre parole per chiarire quel che Dio ci chiede nei momenti difficili. Ora è davvero il momento di metterlo in pratica.

Alberto

Febbraio 2009

NOMADELFIA (OVVERO CAMBIARE SI PUO’)

 

Nomadelfia il cui nome dal greco significa “legge della fraternità, fu fondata da Don Zeno Saltini , nato a Fossoli di Carpi, Modena, nono di dodici figli. Ha una popolazione di 320 persone, 50 famiglie, che hanno costituito un piccolo paese su un territorio di 4 Km quadrati in Toscana, vicino Grosseto, formato da persone cattoliche che volontariamente vivono assieme con lo scopo di costruire una nuova civiltà fondata sul Vangelo. Le famiglie sono aperte all’accoglienza di figli in affido e vivono in gruppi di 4 o 5 nuclei formando i “gruppi familiari”. I gruppi familiari sono la realtà fondamentale di Nomadelfia, in modo che una famiglia sia di sostegno all’altra, specialmente verso bambini e anziani. Non esiste proprietà privata e tutti i beni sono messi in comune. Uomini e donne lavorano nelle aziende, in casa, nei laboratori, negli uffici della comunità senza alcuna paga, poi nei campi si eseguono i c.d. “lavori di massa”. I figli di Nomadelfia frequentano la “scuola familiare”, gestita sotto la responsabilità dei genitori e si presentano poi agli esami come privatisti.

 

Anzitutto colpisce la comunità/comunanza, in tutto e per tutti dando una impressione immediata di comunione, in senso totale: fisica e spirituale. Premesso che probabilmente una vita di questo tipo può essere inaccettabile o sgradito per alcune persone, appare subito evidente maggior serenità degli sguardi degli abitanti di questa piccola grande comunità, e questo è stato il punto che più affascina, forse perchè, negli ultimi tempi percepiamo ovunque sentimenti di forte disagio spirituale e psicologico, a cui si aggiunge da qualche tempo anche quello economico che contribuisce non poco ad aggravare le preesistenti difficoltà personali e collettive. Potrà sembrare un luogo comune, ma il fatto che ogni famiglia ed ogni persona da tempo non si sente più compresa ed abbracciata in una rete comune di attenzione per le piccole e grandi cose è ormai la regola. Una delle tante manifestazioni del disagio sociale sono i furti in aumento, con la conseguente corsa alla installazione di sistemi di protezione. Si finisce per blindare così non solo le case ma anche i cuori delle persone, espandendo a dismisura il sentimento di diffidenza verso il prossimo, chiunque sia (con la complicità dei mezzi di comunicazione che riportano spesso notizie di crimini eseguiti da insospettabili e normalissime persone della porta accanto). A Nomadelfia, a quanto mi risulta, nessuno ha finora installato sistemi di allarme ed inferriate, perché la fiducia reciproca è ancora intatta. Ma il punto che mi preme sottolineare, preannunciato dal titolo di questo articoletto, è che abbiamo sotto gli occhi un antidoto potente a quel sentimento di sfiducia così pesante che la attuale situazione socio-economica produce nella gente: la speranza di cambiare, che si incarna in questa realtà tangibile e concreta, sull’esempio di Cristo. C’è dunque chi lo ha già fatto, chi ha cambiato stile di vita e, a quanto risulta, funziona da anni. Forse qualcuno può irridere alcuni aspetti di questa comunità, come il numero di figli in ogni famiglia (sicuramente più alto della media): ma anche questo è in realtà il segno che si può fare, e farlo bene se si vive in modo diverso, se ci si fida della vita. C’è un altro aspetto poi che vale la pena di sottolineare: prima di una Nomadelfia di strade e mattoni ce n’è un’altra ben più importante e fondante, la Nomadelfia del cuore, senza la quale nessuna città ideale, a misura di uomo, può essere costruita (Salmo 126: “se il Signore non costruisce la casa invano vi faticano i costruttori”). Nomadelfia insomma ci dice: coraggio e avanti, cambiare si può, anche nella disperazione dei momenti difficili, e se si leggono i messaggi di Maria a Medjugorie scopriamo lo stesso incoraggiamento premuroso e materno a fidarsi di Cristo attraverso la conversione dei cuori nella preghiera continua.

 

Alberto

Dicembre 2012

 

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