L’OSSERVATORIO
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Basta una famiglia per essere famiglia? Nella società d'oggi
prevale l'abitudine ad avere piuttosto che ad essere. Ormai è
diventato normale investire la maggior parte delle proprie energie nel tentativo
di possedere qualcosa: un lavoro, una carriera, la casa, l'auto, vestiti,
cibo ecc. Ovviamente
nessuno nega l'importanza che queste cose hanno per la dignità e per la
sopravvivenza stessa dell'uomo, tuttavia talvolta sembra che perdiamo di
vista quegli che dovrebbero essere gli obiettivi principali della nostra
esistenza e trasformiamo in finalità della nostra vita cose che dovrebbero
essere solo mezzi per vivere. Impiegando così tanto
tempo e risorse al fine di ottenere cose che stanno fuori di noi, poniamo
sempre meno attenzione a quello che siamo, come dire che passa in primo piano
il bisogno d'avere cose piuttosto che quello d'essere persone.
Orientati a
soddisfare i nostri bisogni materiali, ignoriamo quasi i bisogni psicologici
e spirituali nostri e di chi ci vive accanto.
Quest'atteggiamento va sicuramente a
scapito della conoscenza di
noi stessi e del nostro prossimo, c'impedisce di riflettere sulle nostre
paure, sui nostri limiti, ma anche di conoscere le nostre risorse, di crescere
nelle virtù. Spesso il risultato dì ciò è la creazione d'individui sempre più
ansiosi, insicuri, spaventati per il futuro o ammalati di solitudine
affettiva. Un modo di funzionare orientato all'avere, quindi
al possesso, piuttosto che all'essere, cioè alla costruzione di sé,
influenza indubbiamente anche le relazioni con gli altri individui, persino
all'interno della propria famiglia. I rapporti fra coniugi, fra genitori e
figli, risentono di quest'atteggiamento, tendente alla ricerca di ciò che si
ha, di ciò che ci si aspetta di ricevere dall'altro, dei propri diritti
all'interno della famiglia, e spesso poco attento a quello che si è come soggetti, a come ci si comporta all'interno delle
relazioni familiari, a quali sono i nostri
doveri all'interno della famiglia. Prevale l'idea di avere un
marito o una moglie, avere dei figli piuttosto che quella di essere una sposa
o uno sposo, essere un padre o una madre, essere un figlio. Questa può sembrare una sfumatura di poco conto, ma
credo che al contrario sia fondamentale. Infatti, dall'ottica che guida il
nostro modo di funzionare all'interno della famiglia, dipenderanno tutte le
nostre scelte e i nostri comportamenti. Infatti, se nella relazione vedo
l'altro come qualcosa che mi appartiene, "è mio marito", "è
mio figlio", mi pongo automaticamente nella posizione di chi possiede e
come tale ha il diritto di giudicare l'altro, di giudicare
com'è e come si comporta nei miei confronti. Se con il passare del tempo
dovessi rendermi conto che, per esempio, il mio coniuge non è quella persona
che credevo fosse, quella persona che ho scelto come marito o moglie, potrei
anche sentirmi in diritto di allontanarlo da me, in quanto
non è più in grado di soddisfare i bisogni per i quali lo avevo sposato.
Frasi del tipo: "Non sei più la persona che credevo, non sei più in
grado di rendermi felice, sei cambiato", trovano una loro
giustificazione nella misura in cui amo l'altro per quello che mi da affettivamente o per come riesce a farmi sentire. Un
amore quindi che pone come condizione per esistere quella di ricevere
qualcosa (quindi avere qualcosa), dalla relazione di coppia. Un modo completamente diverso di vivere l'amore all'interno della
famiglia è quello orientato all'essere: essere lo sposo o la sposa dell'altro,
essere il padre o la madre di questi figli. In quest'ottica non mi aspetto
qualcosa dagli altri, ma al contrario divento io l'oggetto dei miei giudizi,
delle mie riflessioni, perché ciò che mi preme è fare attenzione a ciò che io
sono nella mia famiglia e per la famiglia. Allora
anche di fronte alle inevitabili difficoltà che possono subentrare nella
relazione coniugale o nel rapporto con i figli, la mia prima attenzione non
sarà quella di criticare e
giudicare gli errori dell'altro, i suoi difetti, ma al
contrario sarà mia
premura osservare quello che io sono nella coppia e all'interno della
famiglia, quali sono le mie responsabilità. Come sto svolgendo il mio ruolo
di sposa? Faccio dono alla mia famiglia di tutte le risorse di cui sono capace?
Di tutte le virtù di cui mi è stato fatto dono? O pretendo che siano solo gli
altri a farlo? Quanto sono in grado di sacrificare le mie ambizioni, i miei
bisogni, per i bisogni della famiglia? Quanto sono in grado di sostenere il mio coniuge di fronte alle
difficoltà, a preoccuparmi
prima dei suoi problemi piuttosto che dei miei? In
una relazione d'amore, qual è quella che si realizza in famiglia, il mio
essere è essere dell'altro, farsi dono dell'altro, offrendo alla famiglia
tutto ciò di cui si è capaci: pazienza,
sopportazione, rispetto, pace, giustizia, ascolto, gioia, fiducia,
speranza. Senza mai dimenticare che possiamo sempre chiedere a Dio ciò di cui
noi non siamo capaci. Probabilmente, quindi, non basta avere una famiglia per essere famiglia,
ma tornare ad essere delle famiglie è forse l'unico
modo per poter continuare, nella
società d'oggi, ad avere la famiglia. Claudia
Maggio 2003 |
Il rischio della superficialità Siamo
ormai alla fine di questa lunga estate che tutti ricorderemo per il gran
caldo. Ci siamo lamentati per i disagi dell’afa, fra breve ci lamenteremo per
il freddo. E’ sempre così, sembra quasi che subiamo la nostra esistenza
anziché viverla, passiamo spesso da un’esperienza all’altra rimpiangendo ciò
che è già passato o agognando che arrivi presto ciò che ci auguriamo per il
futuro, in un clima di insoddisfazione, di noia,
comunque di mancanza di qualcosa, incapaci spesso di vivere il presente, che
è poi l’unico tempo che davvero ci appartiene e sul quale possiamo
intervenire. Mi sembra che abbiamo smarrito da tempo
il senso delle cose. Non solo ci siamo assuefatti al non senso, alla
superficialità che sta dilagando soprattutto nei rapporti con gli altri, ma prendiamo
per buono questa perdita di significati, come se fosse verità, come se
davvero ogni cosa avesse perso valore. Chi si domanda più il perché della vita, della morte, della
sofferenza, o anche più semplicemente perché alzarsi la mattina da letto e andare
al lavoro, a scuola o fare le pulizie in casa? E questo non per deprimersi,
ma per cercare il significato della propria esistenza che per lo più non è fatta di
grandi imprese ma di piccoli gesti che si ripetono quotidianamente, ma che
possono assumere un valore totalmente differente a seconda che vengano fatti
per abitudine, perché ci si sente obbligati, o al contrario perché è
attraverso questi gesti che è possibile realizzare il progetto che è la
ragione della propria vita. Sembra che viviamo allo stesso modo in cui si gioca una schedina
dell’Enalotto, cioè come se tutto fosse frutto del caso, come se non
esistessero certezze, verità, ma solo opinioni personali, per cui ognuno si
muove secondo un suo credo e la verità è rappresentata da ciò che fanno tutti
non da ciò che è giusto in senso assoluto. In un clima in cui tutto è
relativo, limitato nel tempo, soggettivo, sembra che non ci sia più spazio
per verità assolute, tanto che nessuno ha più il coraggio di professarle. Come conseguenza di ciò vediamo che oggi non
esiste più l’amore, ma solo il sesso; non esiste più il matrimonio, ma solo
la convivenza; non esiste più la famiglia, ma solo legami affettivi a tempo
determinato; non esistono più responsabilità ma solo diritti, e così via. Tutto questo però è contraddetto dalla natura dell’uomo. Infatti l’uomo (inteso come
essere umano, uomo e donna) ha in sé un desiderio di essere amato e una
capacità di amare che vanno ben oltre l’aspetto sessuale della relazione. C’è
un’esigenza di dialogo, di tenerezza, di sostegno reciproco e comprensione,
di perdono che pur essendo ineliminabili restano
spesso inascoltate. L’uomo ha la capacità di esercitare una libertà che si coniuga alla
responsabilità, ha desiderio di infinito e di
eterno, eppure sempre più spesso si assiste alla paura di prendere decisioni
che impegnino per tutta la vita, come per esempio il matrimonio. E anche
qualora ci si sia impegnati, ci si sente autorizzati
a rompere l’impegno di fronte alle inevitabili difficoltà. L’uomo è capace di soffrire, di sacrificarsi per un ideale, di
lottare per ciò che vale, eppure sembra che questo oggi non accada più. Perché accade ciò? Si spendono fiumi di parole per spiegare questi
fenomeni sociali e le risposte che i sociologi danno
sono molte. Io al contrario non ho molte risposte ma
solo molte domande. Credo che occorra riappropiarsi del valore
delle cose. Davvero amore e sesso sono la stesa cosa? E se così non è, cos’è
l’amore che lega un uomo e una donna? E che significato assume la sessualità
in questa relazione? Davvero, come molti dicono, non c’è differenza fra
convivenza e matrimonio? Che cos’è la famiglia? Perché io vivo? Solo perché
respiro aria ogni giorno e mi nutro, cioè solo per ragioni naturali, oppure
esiste una ragione soprannaturale e quindi eterna? Solo se inizieremo a porci delle domande anziché prendere per buono
tutto quello che ci viene propinato, potremo
iniziare a trovare anche delle riposte che diano senso alla nostra vita. Claudia
Settembre 2003 |
Declino di un simbolo e
perdita della nostra identità Il recente dibattito portato avanti dai mass
media riguardante la presenza o meno del crocifisso
nelle scuole mi ha destato alcune riflessioni e non poche perplessità. Per mia ignoranza non ero a conoscenza dell’esistenza di una legge,
in Italia, che imporrebbe la presenza del crocifisso
nelle nostre scuole e negli altri enti pubblici. A prescindere dal fatto di
essere d’accordo o meno con tale legge, finché è in vigore
andrebbe se non altro rispettata. È con molto stupore quindi che ho constatato, che nelle nostre scuole di Calenzano, almeno
in quelle frequentate dalle mie figlie, dove ho potuto constatare di persona,
il crocifisso è assente. Per
curiosità ho chiesto ad una amica che insegna a
Prato, se nella sua scuola è presente il crocifisso nelle aule e lei ha
confermato il mio sospetto e cioè che manca. Questo se non altro mi ha incuriosita e mi sono chiesta il perché. La mia amica
insegnante mi ha detto di non sapere esattamente quando e perché i crocifissi siano stati tolti, ma che ciò è probabilmente
coinciso con l’eliminazione dell’insegnamento obbligatorio della religione
cristiana dalle scuole. Ha anche sottolineato che
tutto ciò è in linea con l’atteggiamento assunto dalle insegnanti che è
quello di rispetto e tolleranza verso tutte le religioni, senza predilezione
per nessuna:“Insomma una scuola pubblica deve essere laica, se uno vuole il
crocifisso vada in una scuola privata”, mi ha detto. A parte il fatto che mi
sembra che spesso si confonda laico con ateo, con tutta la mia buona volontà
non riesco a capire come il crocifisso appeso alla
parete di una scuola possa offendere qualcuno, dato che, per me che credo in
Cristo è un segno di speranza e di Salvezza, per chi non crede è solo
l’immagine di un fatto storico accaduto quasi duemila anni fa, come tale
innegabile, e simbolo di una umanità che sa donarsi per amore, fino a perdere
la propria vita per gli altri. Forse però mi sfugge qualcosa dato che in
tanti affermano che il crocifisso potrebbe offendere la sensibilità religiosa
dei non cristiani. E allora mi domando, come mai, in nome di altrettanta
tolleranza e rispetto delle fedi altrui ci si accanisce soltanto verso il crocifisso e non verso altri aspetti di costume o di
morale che forse potrebbero recare scandalo ad alcuni musulmani presenti nel
nostro paese e non solo a loro? Per esempio si potrebbe proporre a tutto il mondo femminile di usare
qualche centimetro in più di stoffa per vestirsi, senza arrivare a velarsi il
volto e a coprirsi il capo. Forse molte donne, ci guadagnerebbero in salute
(soprattutto in questi mesi invernali) andando in giro un po’ più vestite. In
questo modo inoltre si dimostrerebbe un po’ di rispetto anche per molti
cristiani che non vedrebbero più profanare tante importanti cerimonie
religiose, come matrimoni e prime comunioni, da scollature alquanto procaci,
trasparenze ammiccanti, ombelichi all’aria. Oppure, senza ricorrere, per ovvi motivi,
all’infibulazione, ancora in uso in alcuni paesi musulmani, si potrebbe
provare ad insegnare ai nostri figli ad essere un
“po’ più virtuosi”. So bene che nella nostra cultura è più apprezzata la
varietà di esperienze anche in campo affettivo e sentimentale, piuttosto del
dono fedele ed esclusivo del proprio amore ad
un’unica persona. In molti, purtroppo, credono di essere troppo “progrediti
ed emancipati” per poter ancora credere a valori come la fedeltà, la castità,
la verginità. Tuttavia in un paese multietnico com’è diventato
il nostro potrebbe accadere ai nostri figli di incontrare un giorno un
giovane o una giovane di un’altra religione che ancora apprezza una sposa o
uno sposo che gli faccia dono esclusivo di tutto se stesso compresa la sua
sessualità. O perché non guardare, anche se con occhio
critico, all’abitudine di lapidare le adultere (il recente fatto di Amina ce lo ha ricordato), per prendere qualche provvedimento
contro l’immoralità dilagante che mette a dura prova le nostre famiglie e la
nostra stessa vita? Mi si scusi il tono polemico e provocatorio,
ma è talmente evidente che dietro l’apparente rispetto e tolleranza delle
diverse religioni si nasconde un mal celato tentativo di emarginare sempre
più chi ancora crede veramente in Cristo, unica ragione e sorgente del nostro
essere, che non posso fare a meno di provare un dolore profondo. Sinceramente poco mi importerebbe se il
crocifisso fosse scomparso solo dalle nostre scuole, ciò che mi addolora è
dover constatare una volta di più che Cristo è scomparso dalle nostre
famiglie e purtroppo ancor prima da molti cuori. Quando io frequentavo le scuole c’era ancora nell’aula il crocifisso appeso alla
parete dietro la cattedra, col suo sguardo doloroso e misericordioso rivolto
verso ciascun alunno. E ricordo che spesso, durante un compito in classe
particolarmente difficile o una interrogazione, ho
rivolto il mio sguardo preoccupato e implorante di fanciulla verso Colui che
non ha mai mancato di consolarmi nelle afflizioni ed aiutarmi nelle
difficoltà, bastava solo che mi ricordassi di chiedergli aiuto. Ed io mi
ricordavo di rivolgermi a Lui un po’ perché lo vedevo di fronte a me quando
ero a scuola, bastava solo che alzassi gli occhi dal mio banco, ma
soprattutto perché a casa avevo un babbo ed una
mamma che mi avevano insegnato con la parola e con l’esempio a credere
nell’amore di Gesù per ogni uomo, ad aver fiducia nel suo aiuto
provvidenziale, ad amarlo con tutto il cuore e ad amare per amor suo il mio
prossimo. Tra poco sarà di nuovo Natale. Che ci crediamo o no,
Gesù si è realmente incarnato, ha preso la nostra natura umana, si è
abbassato al nostro livello per elevarci al suo. Non perché lo meritiamo ma
perché ci ama di un amore che supera tutte le nostre categorie mentali e la
nostra possibilità di comprensione e perché vuole amarci così per l’eternità.
Proviamo a dargli un po’ di posto nella nostra vita, un’esperienza che
trasfigura la nostra esistenza e dà un senso a tutto
ciò che apparentemente non ne ha…Allora sarà veramente Natale. Claudia Dicembre 2003 |
Quando Fede e Ragione
gridano “NO” a Politica e Scienza
La legge sulla fecondazione artificiale in vitro
(FIVET), recentemente approvata dal Parlamento italiano, ha sollevando numerose
polemiche. Il rischio che si corre è di essere portati a credere che ciò che
la tecnica permette sia lecito e ciò che è lecito
sia doveroso. Per cui là dove la tecnica permette di
fare certe cose, l’uomo le deve fare altrimenti la cultura dominante tende
anche a colpevolizzarlo. In realtà non è necessario appellarsi alla fede,
ma è sufficiente lasciarsi guidare da una retta ragione per capire quanto la
FIVET leda la dignità umana anche se la scienza la
rende possibile e la legge lecita. Infatti, ammettendo la fecondazione
artificiale in vitro come possibile via per la procreazione è come se
riducessimo questo evento ad un puro ed esclusivo
fatto biologico, come tale riproducibile in laboratorio. Inoltre tutto il
dibattito che pone da una parte il diritto alla vita dell’embrione e
dall’altra il diritto alla maternità di ciascuna donna, fà della procreazione un’esperienza individuale,
come se generare un figlio fosse sinonimo di maternità e potesse prescindere
dalla paternità. L’essere umano è una realtà complessa, sensibile
e spirituale insieme, e altrettanto complessa è la procreazione umana,
inserita nella relazione d’amore che unisce un uomo ad
una donna. Il procreare umano è una realtà infinitamente più ricca della
riproduzione animale. Infatti si genera con tutti
noi stessi, anima, mente e corpo. L’uomo e la donna nell’atto di procreare,
non riproducono un individuo della stessa specie, ma si mettono a
disposizione per donare la vita al loro figlio. La procreazione non vede in
gioco degli oggetti. Abbiamo un corpo femminile o maschile perché siamo donna
o uomo, ma il corpo non è un oggetto. Così nell’atto di procreare, la donna
non può essere ridotta al solo ruolo di incubatrice
e l’uomo non può essere ridotto solo ad un produttore di sperma. A sua volta
il frutto della procreazione non è un oggetto al quale la donna ha diritto.
La procreazione avviene all’interno di una relazione d’amore fra un uomo e
una donna, non è un fatto casuale o meccanico. L’uomo e la donna partecipano
a questa esperienza d’amore con tutto il loro essere, con la loro mente, la loro affettività, il loro spirito e il loro
corpo. L’amore umano non è un amore disincarnato, ma
al contrario, un amore che si esprime e si manifesta anche attraverso il
corpo, com’è possibile allora disincarnare proprio l’atto procreativo? E’
proprio nell’unione dei corpi che l’uomo e la donna raggiungono la loro
massima intimità, è una delle espressioni più alte attraverso la quale riescono a donare e ricevere amore. Talmente alta che è
proprio attraverso questo atto, che l’amore che li
unisce, si fa esso stesso carne nel momento in cui dà la vita ad un altro
essere. Non si procrea solamente con il corpo e non si procrea solamente con
la nostra genitalità. La procreazione è frutto e
segno della mutua donazione personale degli sposi, del loro amore, della loro
fedeltà. Un figlio è generato dai genitori ancor prima di venire concepito. Lo si genera con l’amore che lega la coppia, lo si genera
con il desiderio di donare questo amore anche ad una terza persona, lo si
genera con la volontà, con la decisione responsabile di avere un figlio, per
amarlo, crescerlo, educarlo, anche per soffrire per lui se necessario, lo si
genera con la disponibilità ad accoglierlo così com’è, senza nessuna
condizione. E soprattutto lo si genera in due,
all’interno di una relazione. E’ la ragione stessa che non può concepire
l’idea di una maternità che possa fare a meno della paternità, come avviene
con la fecondazione artificiale eterologa che utilizza il seme di un donatore
estraneo alla coppia. È la coppia che genera, non ciascun individuo, per cui
la donna che ha uno sposo sterile non può avere un figlio. L’eterologa è una
ferita all’amore coniugale, picché priva la
procreazione della paternità. Non si può nascere se non per un atto
d’amore, senza ledere la dignità di chi procrea e di chi è procreato. Ogni
essere umano ha valore perché amato da Dio, anche se è nato con la FIVET,
desiderato o no. Ma noi dobbiamo farlo nascere in un
modo degno di una persona umana. Per comprendere questo basta guardarsi
dentro, ripensare al primo istante della nostra personale esistenza per
domandarsi che effetto ci farebbe sapersi frutto di una tecnica manipolativa
anziché dell’amore dei nostri genitori: “Io avrei voluto, per me stesso, essere
concepito in un asettico laboratorio, per l’intervento tecnico di un medico,
nel fondo di una provetta, anziché per l’amore dei miei genitori?”. L’amore
esige a sua volta responsabilità e rispetto, prima di tutto verso il figlio,
verso ogni figlio generato. Non possiamo indurre la
vita, mettere in essere delle creature umane, senza poter poi tutelare la
loro esistenza. Per un solo figlio che
riesce a nascere non possiamo condannarne decine e
decine ad un aborto certo. Perché questo, di fatto, accade utilizzando le
tecniche di fecondazione in vitro. Solo il 15 per cento delle coppie che si
affidano ai centri per la fecondazione artificiale ne escono
con un figlio. Nell’85 per cento dei casi l’esito
ultimo è l’aborto dell’embrione. A questo si aggiunga la necessità di
produrre più embrioni di quanti vengono impiantati
in utero e il fatto che molti embrioni non vengono poi utilizzati perché “di
bassa qualità”. Molti embrioni, inoltre si distruggono durante la
crioconservazione e ogni volta sono impiantati 2-3 embrioni e non tutti ce la
fanno. La retta ragione non può approvare tutto questo. D’altra parte non si
può nemmeno superare questo problema convincendosi della menzogna che un
embrione non è ancora una vita umana. Basterebbe domandarlo ad una qualsiasi donna che ha perduto il proprio bimbo per
un aborto spontaneo anche nei primi giorni della gravidanza, magari quando
ancora non sapeva della sua esistenza, se quello che era presente in lei non
era già suo figlio. Responsabilità
e rispetto sono dovuti anche a se stessi e al
proprio sposo. E’ sempre la dignità della persona umana che non può accettare
di sottoporre uomini e donne a manovre umilianti o a terapie dolorose se non
addirittura pericolose per la salute, pur di avere un figlio. Occorre dire tutto questo, pur comprendendo l’enorme sofferenza di
tante coppie che non riescono ad avere figli. L’amore coniugale tende per sua
natura alla fecondità e la coppia che non riesce a procreare vive un dramma
che è prima di tutto psicologico, non medico. A queste coppie dobbiamo tutto
il nostro rispetto e la nostra comprensione. Non possiamo lasciarle sole,
abbandonate alla loro disperazione, ma dobbiamo aiutarle a riscoprire la
fecondità enormemente ricca del loro amore, alla quale sono comunque chiamati
nel misterioso progetto di Dio, nonostante e attraverso la loro sterilità
biologica. Amiamo queste nostre sorelle e fratelli
feriti, perché il loro dolore li rende figli prediletti del Padre, tanto
simili a Gesù crocifisso e a Maria che su quella croce ha visto morire il suo
figlio, ma non ha perso la sua maternità. Claudia Febbraio 2004 |
Quando
Nostro Signore Gesù ha deciso di venire in questo mondo, ha scelto di farlo all’interno
di una famiglia. Prima di ascendere al cielo e tornare al Padre, ha voluto
affidare la sua famiglia, la Chiesa, ad una mamma,
Maria Santissima, e ad un padre, Pietro, il primo Papa, il primo Santo Padre
della Chiesa cattolica. Dio Padre, dopo aver creato tutto l’universo, ha creato una coppia, Adamo ed Eva, la prima famiglia, creata
a sua immagine e somiglianza, perché, come Lui, fosse feconda di amore e di
vita. Quanto Dio deve amare la famiglia, quanto deve
ritenerla indispensabile, se l’ha voluta anche per Suo Figlio fatto uomo! E noi? Quanto, noi, amiamo la famiglia? Quanto la riteniamo
indispensabile nella nostra società? E non sto parlando di una famiglia
qualsiasi, ma della famiglia fondata sul matrimonio
sacramento, fra un uomo e una donna. Se ci guardiamo intorno
sembra che a pochi ormai stia a cuore il destino di questa famiglia. Per lo
più sembriamo rassegnati, se non addirittura contenti, di adattarci ad una realtà che fa di tutto per cancellare la famiglia
dai nostri valori. Una realtà che tende a sostituire la famiglia con altre
forme di convivenza o di accoppiamento, che ci vuol far credere che l’amore
può finire, per cui non merita impegnarsi per tutta la vita, o che i bambini
per crescere sani e sereni non hanno bisogno
necessariamente di un babbo e una mamma che li amino e che si amino fra di
loro. Eppure della famiglia abbiamo bisogno tutti. Ne hanno bisogno i bambini
per crescere sereni, i giovani per impegnarsi con fiducia a costruire il
proprio futuro, gli sposi per vivere quella tenerezza, fatta anche di
perdono, che dà gioia, gli anziani per sentirsi veramente amati fino alla
fine dei loro giorni. E nonostante tanti luoghi comuni, che sembrano andare
per la maggiore, credo che nessun essere umano, bambino, giovane, adulto o vecchio
che sia, possa negare di avere un desiderio profondo di famiglia che sia
culmine e fonte d’amore e di vita. Ed è naturale che sia così perché ogni
uomo trova la sua completa realizzazione solo se ama ed è amato. La nostra
umanità può realizzarsi solo attraverso delle relazioni d’amore sincere ed altruistiche. E quando si ama veramente una persona non si può nemmeno pensare che questa ad un certo
punto della nostra vita ci venga tolta. L’amore fa di quella persona l’unica
in grado di completarci, di farci star bene, nonostante
agli occhi degli altri, la stessa, non abbia niente di speciale.
Proviamo a pensare come ci sentiremmo se all’improvviso la persona che amiamo
ci venisse tolta. Probabilmente ci sentiremmo come
se una parte di noi stessi ci venisse strappata.
Evidentemente c’è nell’uomo e nella donna un bisogno d’amore eterno,
esclusivo, fedele, totale, che è insito nella propria natura, anche se oggi
spesso si è condizionati da un modo diffuso di pensare che vuol
portarci a credere che l’impegnarsi responsabilmente a realizzare
questo progetto di amore sia un’imposizione, una sorta di rigida legge morale
che soffoca la libertà dell’uomo. Ma dal momento che
io amo, è la mia libertà che sceglie e
desidera amarti ed essere amata da te per tutta la vita. Un amore vero non
può nemmeno pensare alla fine di se stesso. Quale grande contraddizione
esiste quindi nel credere che l’amore possa finire. Può forse finire l’amore
di una mamma per il suo bambino? E allora perché tante coppie si separano?
Talvolta, forse, perché credevano di amarsi, ma la loro unione era alimentata
solo dai loro rispettivi egoismi, che li portava a cercare l’uno nell’altra
la realizzazione di un piacere personale. Se penso a te come a qualcuno che
può soddisfare dei bisogni che ho, che mi serve in funzione di quei bisogni e
che è di troppo in altre occasioni, forse non ti amo veramente. Occorre,
però, essere consapevoli del fatto che l’amore anche quando è vero e
profondo, privo di ogni egoismo, è tutt’altro che scontato e dato per acquisito
una volta per tutte. Al contrario è un dono prezioso
che necessita da parte nostra tanta cura e dedizione. Necessita
di essere sempre posto al centro della nostra vita e del nostro
impegno. Amare è una scelta libera e responsabile che deve essere rinnovata
ogni giorno. Che ne sarebbe di un bambino, se appena nato, i genitori lo
dessero per acquisito per sempre e non gli dedicassero più nessuna cura?
Dimostrare che il desiderio e il bisogno di un amore, qual’è nel progetto di Dio, è proprio della nostra
natura umana (e come potrebbe essere altrimenti dato che Dio ci ha creati a
sua immagine e somiglianza!?), non equivale a dire che “amare” sia facile e
spontaneo, soprattutto per una natura ferita dal peccato e che ha per ciò
assunto in sé anche egoismo, orgoglio, invidia, lussuria e quant’altro
ritroviamo di negativo nella nostra natura umana. Quanto amore ci dimostra
quindi Gesù, che donandoci il Suo Spirito nei sacramenti, ci conforma a sé e
ci rende capaci di realizzare in pienezza, nonostante la nostra umanità
ferita, quel progetto d’amore che è sì il Suo progetto, ma è anche il nostro. Quando fra marito e moglie ci sono dei problemi, si soffre
sicuramente molto sentendosi costretti in un matrimonio che non dà più gioia, ma dolore, litigi, incomprensioni. Ma non si soffre
ancora di più al pensiero di aver fallito nella realizzazione di un progetto
d’amore che ci aveva sostenuti fino a quel momento e
che avevamo desiderato insieme nel momento in cui ci siamo sposati? Anche
quando, fra le lacrime la separazione può apparire come una liberazione, non
si prova uno strappo violento nel cuore che fa agonizzare? In questi momenti
non vorremmo forse per noi, per i nostri figli, il miracolo di veder
realizzato di nuovo, con il nostro sposo, quell’amore in cui si era creduto
nel momento in cui ci siamo conosciuti? Gesù può farci questo miracolo, il miracolo di trasfigurare l’amore di cui umanamente siamo
capaci, e di trasfigurarci nell’Amore. Ma dobbiamo volerlo anche noi ed impegnarci con Lui, ogni giorno e soprattutto in quelli
segnati dalla croce. Crediamo, quindi nella famiglia, amiamo la famiglia, gioiamo con la famiglia, soffriamo, anche, se
necessario per la famiglia, preghiamo per la famiglia. E per favore, giù le
mani dalla famiglia, senza la quale viene
disumanizzata la vita stessa, perchè senza la famiglia non c’è più amore
vero, e senza amore non c’è vita. Claudia Maggio 2004 |
GESU’, IL DIO CONCEPITO
“Ecco,
concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù.
Sarà grande e chiamato figlio dell’Altissimo.” ( Lc
1,31-32). Con questo annuncio dell’angelo Gabriele a Maria, Gesù irrompe
nella storia dell’umanità. Prima di essere il Dio bambino che parla con i
dottori del tempio, il Dio che insegna alle folle e compie miracoli, il Dio crocifisso, il Dio risorto e asceso al cielo, prima di
tutto questo, il nostro, è il Dio concepito. Difficilmente ci soffermiamo a
meditare su questo aspetto della vita di Gesù, ma
siamo abituati a far coincidere l’inizio della sua esperienza terrena col
momento della nascita nella capanna di Betlemme. Spesso dimentichiamo che il
Natale del Signore è stato annunciato nove mesi prima dall’angelo, ed è stato
un annuncio che, una volta ricevuto il sì di Maria, ci ha portato
immediatamente Dio nella storia, attraverso il suo concepimento. L’angelo
dice ”Ecco concepirai un figlio”. Quel figlio è quindi già presente nella
vita di Maria e nella vita dell’umanità, è il figlio
concepito, prima di essere il figlio dato alla luce. Ed è già “figlio
dell’Altissimo”. Quindi Gesù concepito è già vero uomo e vero Dio, ed effonde
la sua grazia redentrice e salvifica fin dal grembo di sua madre, tanto che
il piccolo Giovanni, anch’egli embrione nel grembo di S.Elisabetta, esulta di gioia appena gli giunge il
saluto di Maria che gli porta Gesù (Lc1,44). Il
nostro non è un Dio muto, ma è un Dio che ha parlato all’umanità, e che ha
testimoniato con la sua esistenza terrena ed umana
ciò che ha annunciato con le parole. Ha cioè tracciato con la sua vita un
modello di vita che ogni uomo è chiamato a seguire, e con il quale, che lo
vogliamo o no, ci troviamo prima o poi a fare i
conti. Questa
sua testimonianza inizia proprio in questo momento, nel momento
del suo concepimento. Dio avrebbe potuto entrare
nella storia in tantissimi altri modi. Non era scontato che la sua
incarnazione cominciasse proprio dallo stato embrionale. Poteva comparire nel
mondo già adulto o bambino già completamente formato, poteva scegliere altre
strade. Invece ha scelto di percorrere per intero, dal primo istante del
concepimento fino alla morte, l’esistenza di ogni
uomo. Indubbiamente questa scelta divina non può essere priva di significato. Senza
aver la pretesa di poter comprendere l’agire di Dio, credo però che da questa
esperienza l’uomo di oggi sia chiamato a trarre alcuni insegnamenti. Se Dio,
l’Onnipotente, ha rivestito la nostra fragilità, si è fatto piccolo e
bisognoso dell’accudimento e dell’amore di una
madre e di un padre, si è vestito della nostra materialità assumendo un corpo
fin dagli istanti in cui questo è costituito da una, due,
quattro cellule, questo deve farci riflettere sulla straordinaria dignità di
ogni concepito d’uomo. Così
come Gesù è figlio di Maria e figlio di Dio dal
primo istante del suo concepimento, anche ogni altro uomo ha la dignità di
persona umana fin dal suo concepimento e come tale deve essere considerato e
rispettato. Questa è la risposta di Gesù, vero Dio, a tante domande che
l’uomo oggi si sta ponendo di fronte alla vita nascente. Una risposta che non
ci dà a parole ma con la sua stessa vita e che è perciò inequivocabile e
coerente. Ma che richiede altrettanta coerenza da
parte nostra, quando siamo interpellati direttamente su aborto, fecondazione
artificiale, diagnosi prenatale, clonazione terapeutica… Con
questa scelta Gesù vuol farci comprendere la bellezza e il valore di questa
vita nascente, questo è il lieto annuncio che Dio è venuto a portare
all’umanità. Un Dio che si incarna che non ha timore
di rivestire i nostri panni di umanità, che ripercorre in tutto fuorché nel
peccato la nostra esperienza umana, ci dà l’idea di quanto ognuno di noi,
grande o piccolo, sano o malato, valga agli occhi di Dio. Talmente tanto da
averci scelti per un destino di eternità nella
perfezione dell’amore, della pace, della giustizia, della bellezza e di
quanti altri beni solo da Dio possiamo aspettarci. Questo
è il dono che ci fa Dio con il suo Natale. Claudia Dicembre 2004 |
RISCOPRIRE
IL SILENZIO IN QUARESIMA
Il nostro Cardinale quest’anno ha scritto una lettera pasquale indirizzata alle famiglie
in cui invita ad una riflessione sui rischi e le possibilità di arricchimento
che i media possono offrire. Una lettera che consiglio a tutti di leggere
attentamente perché può essere l’occasione per fare un po’ di sana
autoanalisi e di autocritica. E’ fuori dubbio che la TV non è affatto una
“finestra sul mondo”, ma piuttosto un prodotto costruito artificialmente a
tavolino da un numero di persone estremamente inferiore rispetto al numero
degli spettatori. Altrettanto evidente è che chi fa televisione, o parla in
televisione, o gli stili di vita familiare o relazionali
presentati in televisione, sono spesso assai distanti dalla vita normale
condotta ogni giorno dalla maggior parte delle persone. Fra i protagonisti
della televisione prevalgono infatti i singles, o persone con vita matrimoniale travagliata o
comunque irregolare. Gli stessi modelli di vita vengono con sempre maggior insistenza
proposti anche dagli spot pubblicitari. La famiglia felice che fa colazione,
è oggi spesso sostituita dalla famiglia ricomposta: la mamma, il bambino e il
nuovo compagno di mamma che si conquista l’affetto del bambino cedendogli il
suo piatto di pasta condito con quel tal sugo pronto. Tutto
questo rischia di apparire normale e addirittura bello, tanto che potrebbe
indurci a cambiare i nostri valori e modelli educativi. Per esempio di fronte
al tema del divorzio, come genitori ed educatori
potremmo essere tentati di preparare fin da piccoli i nostri figli a questa
possibilità, come ad un evento normale nella storia naturale di una famiglia,
anziché trasmettere loro la fiducia in legami stabili e duraturi (di cui i
bambini hanno un enorme bisogno), basati su un amore che non è solo ricerca
di piacere o appagamento personale, ma anche aiuto agli altri, perdono,
arricchimento, sacrificio. Purtroppo spesso è difficile rendersi conto di quanto anche noi adulti siamo
influenzati e non sempre positivamente dai media, fino a credere talvolta,
che il nostro quotidiano sia vuoto ed inutile, fino a cercare realizzazione
al di fuori della famiglia. E allora perché non provare a fare un po’ di
silenzio intorno a noi, per permetterci di riacquistare un po’ di senso
critico? La quaresima potrebbe essere l’occasione
giusta per tentare un digiuno televisivo e riappropriarsi così di tutto quel
tempo (in media tre-quattro ore al giorno) che la
TV ci sottrae. Tempo che potrebbe essere impiegato in molti altri modi. Tempo, per esempio, da dedicare all’ascolto attivo dei nostri figli,
che hanno sempre tanta voglia di parlare ed essere ascoltati, per giocare con
loro, per raccontare loro delle storie. I bambini vogliono potersi stupire di
fronte a modelli veramente positivi, di persone che hanno saputo sacrificare
la vita per gli altri, come Madre Teresa. Non dobbiamo, quindi avere timore
di proporre loro questi valori, anche se distanti da ciò che abitualmente ci viene proposto. Tempo insomma da dedicare alla famiglia e alla riscoperta di quanto
sia bella ed importante, di quale tesoro si celi
dietro al nostro impegno quotidiano in casa e fuori casa. E perché no, tempo da dedicare alla preghiera in famiglia, perché
come dice il Papa, la famiglia che prega unita resta unita! Claudia Febbraio 2005 |
FECONDAZIONE ASSISTITA E LEGGE 40, QUALE
VERITA’? Il 12 giugno si svolgeranno i quattro referendum abrogativi di alcuni
articoli della legge sulla fecondazione assistita, la legge
40/2004. Dal momento che siamo chiamati a prendere
posizione rispetto a tematiche così importanti per la vita dell’uomo, cerchiamo
almeno di farlo con un minimo di informazione corretta. 1. L’embrione, cumulo di
cellule o individuo umano? L’embrione è il
nuovo essere vivente che si forma nel momento della fusione della cellula
uovo materna con lo spermatozoo paterno (fecondazione). L’embrione, fin dal
momento del suo concepimento, possiede quell’informazione genetica, che non
solo lo definisce come individuo della specie umana, ma gli attribuisce anche
speciali caratteristiche personali, per esempio di sesso, di aspetto fisico,
attitudinali ecc.. Inoltre tale informazione
genetica coordina in modo autonomo lo sviluppo dell’embrione, che dalla
fecondazione in poi avviene in maniera continua, senza interruzioni, senza
che uno stadio, anche se molto precoce, sia meno importante di un altro al
fine di avere un bambino completamente formato, che dopo nove mesi di
gravidanza verrà alla luce. E’ evidente che quel bambino che noi vediamo alla
nascita si forma gradualmente, tuttavia, se si interrompe,
anche molto precocemente, quel nuovo ciclo di vita che inizia alla
fecondazione, non si permetterà mai a quel bambino di nascere. 2. Cosa si intende per FIVET? E’ una tecnica di fecondazione assistita che consente di generare
artificialmente un essere umano mediante fecondazione in vitro (cioè in laboratorio),
con successivo trasferimento dell’embrione umano così formato nell’utero di
una donna, ma che ha solo il 20% di possibilità di successo. Solo una coppia, su cinque o sei
che tentano di avere un figlio con questa tecnica, esce da una clinica della
fertilità con un bambino in braccio. Ciò significa che, per ogni bambino nato
con la FIVET almeno altri otto embrioni sono stati
persi. Con il libero mercato della fecondazione in vitro negli ultimi 5 anni sono stati concepiti almeno 500 milioni di bambini:
di questi solo12 milioni sono venuti al mondo. Inoltre anche in quel piccolo
gruppo di donne che iniziano una gravidanza con la FIVET
si possono verificare, in percentuali molto elevate: aborti spontanei;
gravidanze estrauterine; parti prematuri; bambini
con basso peso alla nascita; doppio rischio di paralisi cerebrali; aumento
preoccupante di morbilità e mortalità neonatale (40% in più rispetto ai
bambini concepiti naturalmente); un rischio di anomalie congenite circa
doppio rispetto alle gravidanze naturali; sindrome da iperstimolazione
ovarica nella madre; gravidanze multiple, con successivo ricorso alla riduzione fetale, cioè l’aborto
selettivo di bambini sani ma in soprannumero rispetto alle naturali capacità
di gestazione di una donna. 3. Cosa significa fecondazione artificiale omologa ed eterologa? La fecondazione artificiale è detta omologa quando i gameti (ovociti femminili e spermatozoi) vengono forniti dai due genitori, eterologa quando si fa ricorso ai gameti di almeno un donatore
diverso dalla coppia. In realtà i casi così gravi da comportare il ricorso
alla fecondazione eterologa, sono molto rari, ed è evidente che l’eterologa
comporta numerose conseguenze: nega al figlio di conoscere le proprie
origini; può permettere anche a un single di avere un figlio (negando a
quest’ultimo il diritto ad una famiglia); può
permettere di generare figli anche utilizzando gameti di persone non più in
vita (mettendo in essere bambini orfani fin dal concepimento); o di generare
figli in età non più fertile (mamme nonne); permette di generare figli a
coppie omosessuali; crea il fenomeno delle cosiddette madri surrogate (o
utero in affitto), spesso ragazze in difficoltà che dietro compenso in denaro
accettano di farsi impiantare in utero un embrione prodotto in vitro e di
portare avanti per conto di altri la gravidanza per poi cedere, dopo la
nascita, il bambino. 4.
La fecondazione assistita è una cura della
sterilità? Sebbene per lo più accedano
alla FIVET coppie sterili, non si può dire che la fecondazione assistita sia
una cura della sterilità, in quanto la coppia
sterile resta sterile anche dopo che si è sottoposta alla FIVET. E’ certo
però che gli enormi interessi economici che stanno dietro queste tecniche
(basti pensare che una FIVET costa intorno ai 4000
euro) tolgono risorse ad una ricerca che potrebbe davvero portare a
migliorare le tecniche di diagnosi e cura della sterilità e in molti casi
influenzano l’iter diagnostico e terapeutico, orientando le coppie con
problemi di fertilità verso la FIVET, ancor prima di valutare adeguatamente
se esistono realmente problemi di sterilità e se la FIVET è, da un punto di
vista medico, l’unica via perseguibile e la migliore. 5. Cosa significa crioconservazione? Si tratta del congelamento degli embrioni prodotti in vitro in numero
superiore a quelli che vengono impiantati nell’utero
materno. C’è da sottolineare che lo scongelamento
uccide spessissimo l’embrione e se sopravvive è spesso da scartare perché
danneggiato e non può quindi essere utilizzato per l’impianto nell’utero della
mamma. Nessuno sa chi conserva i milioni di embrioni creati, congelati e poi
giudicati superflui, e che uso ne farà, senza alcun controllo. 6. Cosa significa diagnosi genetica preimpianto?
Consiste nell’analisi delle caratteristiche
genetiche degli embrioni concepiti in vitro, prima dell’impianto nell’utero
della madre, allo scopo di scartare gli embrioni che presentano una possibile
anomalia genetica e selezionare per il trasferimento solo quelli che
possiedono le caratteristiche desiderate dai genitori. La diagnosi genetica preimpianto è possibile solo per alcune fra le migliaia
di malattie genetiche esistenti, risulta errata nel
10% dei casi, uccide l’embrione nel 5%, è proibita per rischi di eugenetica
in Svizzera, Austria, Germania. 7. L’attuale legge vieta
la fecondazione assistita? La legge n° 40 del 2004 non vieta affatto
il ricorso alla fecondazione assistita, ma lo regolamenta cercando di
armonizzare i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso l’embrione. La
legge consente la fecondazione artificiale omologa alle coppie, anche se non
sposate, ma stabilmente conviventi, la cui sterilità o infertilità sia
dimostrata da adeguato iter diagnostico, e vieta solamente la fecondazione
eterologa. La legge vieta di produrre embrioni per fare su di loro esperimenti,
perché sono persone umane e non cavie da laboratorio. La legge prevede il
consenso informato per le coppie, che intendono usufruire di questa tecnica,
compresa l’informazione sulla probabile morte di alcuni embrioni prodotti per
il trattamento e sulla bassa percentuale di successo (20% circa) di queste
tecniche di riproduzione artificiale, e compresa la possibilità di ricorrere
all’adozione per poter dare una famiglia a molti
altri bambini già nati che aspettano padri e madri capaci di accogliergli
(gli orfanotrofi da quest’anno in Italia saranno chiusi e le adozioni ed
affidi incoraggiati). La legge prevede un fondo per favorire l’accesso a
queste tecniche. La legge dispone la compilazione di un registro nazionale di
centri autorizzati ad applicare queste tecniche. La legge vieta la
crioconservazione degli embrioni, ma consente invece di congelare liberamente
gli spermatozoi e gli ovociti femminili non ancora fecondati, che saranno poi
accoppiati in vitro quando è il momento dell’impianto. La legge vieta la
diagnosi genetica preimpianto. Insomma la legge
consente la fecondazione medicalmente assistita e pone solamente delle
limitazioni per evitare abusi (sull’embrione e sui genitori), sperimentazioni
incontrollate ed aberranti, inutili stragi di embrioni
innocenti. 8.
L’attuale legge ha ridotto la percentuale di
successo della fecondazione assistita? In numerosi centri italiani per la riproduzione assistita i dati
sulle gravidanze parlano di risultati uguali o
migliori rispetto al periodo pre-legge 9. L’attuale legge
blocca il progresso scientifico? Si sente dire che,
potendo utilizzare le cellule staminali degli embrioni si guarirebbero
diverse malattie, tipo il morbo di Parkinson o di Alzheimer, la sclerosi, il
diabete, le cardiopatie, i tumori. Questa è una menzogna clamorosa, perché a
tutt’oggi non esiste alcuna applicabilità, neppure sperimentale, delle
cellule staminali embrionali come terapia per l’uomo, anzi, le staminali
embrionali sono potenzialmente cancerogene. Al contrario, risultati
incoraggianti sono stati raggiunti con le staminali adulte, presenti in
alcuni tessuti del nostro organismo. La legge 40
vuole mettere fine all’uccisione di embrioni umani per esperimenti di
laboratorio e sostiene la ricerca medica sulle cellule staminali adulte, già
oggi possibile ed efficace ma ancora sottofinanziata. L’unica conclusione possibile a questo punto è che, chi osteggia
tanto la legge 40 non l’abbia neanche letta o sia
talmente in cattiva fede da preferire la morte di milioni di esseri umani,
piuttosto che rinunciare alle proprie ideologie o al proprio guadagno. Claudia Maggio 2005 |
SANTA GIANNA BERETTA
MOLLA, MADRE DI FAMIGLIA Difficilmente pensiamo che la santità sia alla portata di tutti noi, e
che possiamo raggiungerla vivendo, secondo la volontà di Dio, le nostre
normali esperienze quotidiane. Eppure esistono santi che hanno raggiunto la
perfezione proprio vivendo in modo straordinario la loro vita ordinaria.
Santa Gianna Beretta Molla è una di questi santi. Sposa, madre di famiglia,
medico, ha vissuto una vita come quella di molte altre donne. Gianna nasce a
Magenta (Milano) il 4 Ottobre 1922, da genitori che
sanno donarle la fede ed una solida educazione cristiana. Negli anni del
liceo e dell'università si impegna con generosità
nell'Azione Cattolica e nelle Conferenze di San Vincenzo. Si laurea in
Medicina e Chirurgia nel 1949 ed inizia ad
esercitare la sua professione di medico, come un servizio all'uomo nella sua
totalità di anima e corpo. Ama la vita e le gioie che essa riserva, la
montagna, lo sci, l'alpinismo, la musica, la pittura, e vive ogni esperienza
della vita come un dono straordinario di Dio. A soli 15
anni scrive: "O Gesù ti prometto
di sottomettermi a tutto ciò che permetterai mi accada, fammi solo conoscere
la Tua Volontà". Gianna è fermamente convinta che "Le vie del Signore sono tutte belle
sempre che il fine sia sempre lo stesso: salvare la nostra anima e riuscire
ad avvicinare molte altre anime al paradiso per glorificare Dio". Per
questo è disposta a seguire qualsiasi strada il Signore le indichi, non
cercando di realizzare progetti di vita che assecondino i suoi gusti
personali, ma desiderando solo di realizzare la volontà di Dio su di lei, che concepisce come volontà salvifica che comunica
agli uomini la vita. Inizialmente pensa di farsi missionaria laica in
Brasile, ma poi comprende che il Signore la chiama alla vocazione
matrimoniale e allora abbraccia con gioia ed entusiasmo questa strada,
incarnando un amore che è dono totale di sé, segno dell'amore di Cristo per
la Sua Chiesa e per l'umanità. Scrive al fidanzato: "Vorrei proprio farti felice ed
essere quella che tu desideri: buona, comprensiva e pronta ai sacrifici che
la vita ci chiederà." Ed ancora:
"Quando penso al nostro grande amore reciproco, non faccio che
ringraziare il Signore. È proprio vero che l'Amore è il sentimento più bello
che il Signore ha posto nel cuore degli uomini. E
noi ci vorremo sempre bene, come ora, Pietro. Mancano solo
venti giorni e poi sono…Gianna Molla!". Gianna è sposa e
madre felice di tre bambini. Quando è in attesa del quarto figlio, al secondo
mese di gravidanza, le viene diagnosticato un
voluminoso fibroma all'utero. Perfettamente consapevole dei rischi cui andava
incontro decide di farsi asportare il fibroma, ma di
non interrompere la gravidanza. Era una scelta pericolosa perché la sutura
dell'utero nei primi mesi di gravidanza può cedere causando la morte della
donna. La normale prassi medica avrebbe optato per
l'asportazione totale del fibroma e dell'utero. Di fronte a questa scelta drammatica, due sono le certezze che la
guidano e la sostengono. Da una parte una fiducia totale e
incondizionata nella divina Provvidenza: "Il
Signore farà ciò che è giusto per la mia famiglia. Il Signore sa che con quest'ultimo
bimbo, avremo quattro figli. Ci penserà sicuramente".
Dall'altra la sacralità della vita che porta in grembo, per
la quale è disposta a sacrificare la sua stessa vita: "Se dovete decidere fra me e il bimbo,
nessuna esitazione: scegliete - e lo esigo - il bimbo. Salvate lui".
Il mattino del Gianna è stata proclamata, da Sua Santità Giovani Paolo II, Beata il La sua festa votiva è il 28 aprile.
Claudia Dicembre 2005 |
La libertà è uno degli aspetti più belli della persona, e che ad essa attribuisce la maggior dignità fra tutte le
creature della terra: in sostanza, è la capacità di scegliere come
comportarsi (assieme a quella della consapevolezza di esistere) che dà all'uomo
unicità ed importanza assolutamente superiori in tutto il creato. In ognuno di noi è forte l'istinto a combattere contro tutto ciò che sembra minacciare anche in minima parte
questa libertà, come testimoniato non solo dalla storia, ma, ancora
oggi, dalla cronaca, la quale vede continuamente vittime che (da secoli
appunto) sacrificano la loro vita pur di difendere questo valore. Appare
quindi evidente come la libertà sia una aspirazione
che vive da sempre nello spirito di ogni uomo . Al pari di tutte le espressioni più profonde e radicate nel cuore
dell'uomo, essa ha necessità di essere educata (quindi protetta) e
soprattutto indirizzata: non è di poco conto quest'ultima precisazione,
poiché accettarla o negarla produce effetti assolutamente opposti e contrari,
l'uno a favore e l'altro contro l'uomo. Infatti, dare un fine preciso a un certo comportamento, attribuisce ad esso un senso, un significato profondo, e, altra cosa
importante, dà consapevolezza di costruire qualcosa. In tale prospettiva, il
pericolo più grande che corre la libertà è anzitutto quella
di essere considerata per sé stessa il valore più alto di tutti, più
importante anche dei motivi per cui si agisce, dei valori e delle conseguenze
che derivano dall'uso che se ne fa. Oggi infatti si
vuole imporre l'idea che non è importante ciò che si sceglie, bensì il solo
fatto di scegliere in assoluta libertà, come dire che non è importante
il contenuto ma il contenitore, oscurando, nella coscienza di chi agisce,
ogni valutazione etica e morale sul proprio comportamento ed i suoi effetti.
Il pensiero liberista e libertario rifiuta alla radice un fatto importante:
che la libertà, da sola non sa orientarsi verso il vero bene. La Bibbia riesce come sempre a parlarci del problema della libertà in
termini semplici ed efficaci,nel linguaggio figurato
con cui descrive la scelta fatta dai nostri progenitori nel Paradiso
Terrestre. Dall'episodio di Adamo ed Eva si capisce come sia facile ingannare
gli uomini riguardo alla libertà, proponendo falsi miraggi di autonomia ed orgogliosa indipendenza da ogni autorità costituita,
ponendo l'uomo come unico arbitro dei propri limiti e diritti. Gli effetti di
quella scelta sbagliata li sta pagando l'umanità
tutta intera, nessuno escluso. Ancora la Sacra Scrittura
indica all'uomo la strada corretta, e lo fa come sempre indicando non
cosa ma chi sia la vita, la verità, la libertà ecc.. : è sbagliato per un
credente domandarsi in cosa esse consistano, perché tutte si riassumono in
una Persona: Gesù Cristo. E' solo Lui che può dire :"io
sono la via, la verità e la vita", e ancora: "la Verità vi farà
liberi". Riporre la speranza nelle utopie umane, ha sempre prodotto
conseguenze mostruose lungo tutta la storia dell'umanità
Febbraio 2006 |
Casa Nazaret: spazio alla famiglia Anche quest'anno il
Santo Natale che ci apprestiamo a celebrare, ci ricorda che, poco più di
duemila anni fa, Dio è entrato nella storia dell'umanità e in quella di ogni singola
persona, per portarci un grande annuncio di salvezza, per illuminarci sul
senso profondo della nostra esistenza e sulla grande dignità di ogni singolo
individuo. E lo ha fatto nascendo e crescendo in una
famiglia. Oggi più che mai
possiamo interpretare questa scelta divina come il primo annuncio fatto
all'umanità: la famiglia è luogo indispensabile e privilegiato per la
crescita e la maturazione della persona umana; luogo in cui germoglia la
vita, in cui si vivono gli affetti, in cui si impara
ad amare, perché amati per primi; luogo di educazione e di trasmissione di
valori e di tradizioni. Senza famiglia non può esserci l'uomo. La famiglia è,
quindi, un tesoro prezioso, da custodire con molta cura, oggi più che mai, dato che è attaccata da ogni punto di vista, persino nella
sua stessa definizione. Per questo accogliamo
ed annunciamo con molta gioia un dono di Grazia
particolare, che quest'anno il Santo Natale porterà alla nostra comunità
parrocchiale. Infatti, nei nuovi
locali della Parrocchia, è nato uno spazio di ascolto e di consulenza
interamente ed esclusivamente dedicato alla coppia e alla famiglia,
completamente gratuito e senza fini di lucro. Lo abbiamo chiamato "Casa
Nazaret", perché vogliamo porlo sotto
la protezione della Santa Famiglia di Nazaret. "Casa Nazaret" vuole essere un servizio di
volontariato impegnato ad accogliere i problemi della coppia, con particolare
attenzione alla vita di relazione con tutti i suoi aspetti di comunicazione e
di dialogo, alla vita sessuale, alla regolazione della fertilità e
all'accoglienza della vita nascente. Ma anche problemi
legati ai rapporti con le famiglie di origine, ai rapporti fra genitori e
figli e problemi morali (etica sessuale, morale familiare, senso della
vita). Si rivolge
principalmente alle coppie formate (partners,
coniugi, genitori) o in formazione (fidanzati); ma anche a ragazzi e
adolescenti, offrendo loro un luogo dove parlare liberamente dei problemi,
confrontarsi ed essere ascoltati. Inoltre si farà
carico di iniziative di formazione finalizzate
all'educazione degli adolescenti e dei giovani alla vita, all'amore, alla
sessualità, sia attraverso interventi destinati a loro, sia mediante
iniziative proposte ai loro educatori (incontri con genitori e catechisti). A
questo riguardo è già in fase di svolgimento il percorso "Viaggio nell'affettività e nella sessualità", per
ragazzi e adolescenti. Il tutto nell'ottica di un'antropologia personalista, attenta cioè
al bene di tutto l'uomo, nella sua componente corporea, psicologica e
spirituale, e di tutti gli uomini, coerentemente con la visione cristiana
dell'uomo e della donna, e utilizzando l'apporto delle scienze umane come la
medicina, la psicologia e la bioetica. I colloqui saranno effettuati da uno specialista in Psicologia Clinica e Psicoterapia
e coperti dal segreto professionale. "Casa Nazaret" inizierà la sua
attività di consulenza a partire da martedì Tutta la comunità
parrocchiale accompagni la nascita di questa iniziativa con la preghiera
affinché possa diventare sorgente di vero bene per le persone, le coppie e le
famiglie. A tutti un Felice Natale. Claudia Dicembre 2006 |
ESPERIENZA
DI UN
CAMPO SCUOLA PER FAMIGLIE E ADULTI Quest'anno abbiamo deciso di trascorrere una
parte delle nostre vacanze in un modo un po' insolito. Infatti
abbiamo partecipato alla esperienza estiva per famiglie e adulti organizzato
ogni anno dalla Azione Cattolica della Diocesi di Firenze e che quest'anno si
svolgeva sulle Dolomiti a Polsa di Brentonico. Eravamo in compagnia di circa altre 85 famiglie con figli di ogni età, ed alcune anche con i
nonni. Non è possibile in queste poche righe riassumere completamente quanto
abbiamo sperimentato e quanto siamo stati arricchiti. In sintesi lo spirito
di questi campi scuola consiste in momenti di riflessione legati da un tema
conduttore, che quest'anno era "educare alla fede oggi: la famiglia
testimone di gioia e speranza in un mondo che cambia", alternati a spazi
di preghiera, svago ed animazione a fine giornata,
il tutto sotto la costante presenza di alcuni sacerdoti (in primo luogo Don
Stefano Manetti, Rettore del seminario Maggiore,
coadiuvato da Don Vasco Giuliani, Don Socci e Don Renzo Ventisette). Abbiamo
ricevuto anche la gradita visita del nostro Cardinale. A tutti i partecipanti è stato chiesto di posizionare una piccola zattera con i nomi dei componenti
la famiglia su uno dei tanti luoghi rappresentati su una grande cartina che
riportava ad es. l'isola della speranza, l'atollo dell'isolamento, le secche
della noia, lo stretto della prova. Anche i bambini, divisi in gruppi a seconda della loro età , hanno fatto il loro percorso,
seguiti da bravissimi giovani animatori che li hanno fatti giocare,
riflettere e pregare. E' stata la prima volta per noi, e dobbiamo dire
che dopo i primi giorni di adattamento ad una
situazione assolutamente nuova, il clima di accoglienza, cordialità e
profonda spiritualità ha finito per coinvolgerci, ed è stato un lento
crescendo di partecipazione emotiva ma soprattutto spirituale, in un luogo
dove, come qualcuno ha detto, finalmente non si sentivano i soliti discorsi
da ombrellone, ma qualcosa di ben più sostanzioso, di cui credo ognuno senta
intimamente il bisogno. Lo stesso Don Stefano Manetti,
il primo giorno ha voluto sottolineare
quest'aspetto, dicendo che sarebbe stato sicuramente un periodo di
"riposo in Dio". Personalmente dobbiamo dire che raramente abbiamo
incontrato persone come quelle che hanno animato il campo scuola: da loro si impara ad aver fiducia negli altri senza riserve, si
impara il dono di sé in serenità e fraternità, come in nessun altro luogo,
poiché la condivisione diventa totale e nascono amicizie sincere, come solo
nella fede comune in Dio possono iniziare e svilupparsi. In sostanza: per noi
la scoperta più preziosa che abbiamo fatto è stata quella di capire che gran
dono sia l'essere tutti insieme una unica Chiesa
all'interno della quale c'è spazio per i carismi di tutti e quanto sia bello
rendere partecipi gli altri dei propri doni ed aprirsi a quelli degli altri. Una esperienza da ripetere e raccomandare a tutti. Alberto, Claudia, Virginia e
Matilde. Estate 2007 |
Un anno fa nasceva nei
locali della nostra parrocchia "Casa Nazareth", un consultorio familiare
di ispirazione cristiana, per offrire a chiunque lo
desideri un luogo dove essere ascoltati. Il consultorio è nato perchè
crediamo nel valore della famiglia e nell'importanza che essa ha per ogni
individuo e per l'intera società. La famiglia è il luogo in cui possono
incontrarsi le diverse generazioni in uno scambio reciproco di aiuto ed affetto. Là dove c'è una famiglia che accoglie la
missione affidatale da Dio, di generare vita ed
amore, non può esserci solitudine, e quando non siamo soli diventa più facile
affrontare ogni tipo di problema. Tuttavia viviamo nel mondo, immersi nella
nostra realtà, e sappiamo fin troppo bene che realizzare questo ideale, oggi,
non è per niente facile, e forse non lo è mai stato; non è facile essere
famiglia in una società che scambia l'amore con l'istinto, il bene col
piacere, il senso della vita col successo e la libertà col far tutto ciò che
ci pare. Per essere famiglia
fino in fondo, occorre imparare che l'amore è soprattutto volontà, che il
bene delle persone passa spesso attraverso una strada di sofferenza e di
sacrificio, che il senso della vita sta nel realizzare ciò per cui la vita mi
è stata donata, e che non si è liberi se non facendo ciò che è bene per
tutti. In un anno sono passate nel nostro consultorio molte persone, uomini e
donne, coppie o persone singole, giovani e meno
giovani, ognuno col suo bagaglio di sofferenze: dalle incomprensioni col
figlio adolescente alle incomprensioni fra moglie e marito; dai dubbi per una
gravidanza accompagnata da problemi ai dubbi su come educare il figlio; dal
bisogno di parlare con qualcuno per la troppa solitudine al bisogno di
imparare a comunicare meglio con chi si ama per riuscire a comprendersi. A
tutti abbiamo offerto un luogo e un tempo per essere ascoltati ed un supporto psicologico per inquadrare diversamente le
difficoltà che stavano attraversando,
cercando di fornire nuovi strumenti per trovare soluzioni anche là
dove si era persa la speranza. Crediamo in quello che
facciamo perché crediamo nella famiglia, e con l'aiuto di Dio continueremo ad offrire questo servizio a chiunque lo richieda. Chi
volesse avere ulteriori informazioni sulle attività
del consultorio, può trovarle nel pieghevole distribuito in parrocchia. A tutti un felice
Natale. Claudia Dicembre 2007 |
La cronaca degli ultimi
mesi riporta continuamente notizie di grande preoccupazione per i noti
problemi economici che investono tutti i maggiori paesi, e purtroppo non solo
quelli. Anche il cittadino meno attento alle vicende sociali,
avverte comunque in maniera pesante il clima di angoscia non solo per futuro
a lungo termine, ma addirittura per tempi più ravvicinati dei mesi a venire.
Le locandine dei quotidiani riportano regolarmente la notizia di
licenziamenti, chiusure o drastiche riduzioni di
realtà commerciali anche molto note, con un numero crescente di disoccupati.
A noi qui interessa fermarci un momento a riflettere sull'impatto emotivo e
soprattutto spirituale che questo pesante clima genera nell'intimo di ogni
persona. Personalmente, provo un istintivo senso di oppressione ed insicurezza che paralizza ogni slancio di buona volontà
e che sicuramente incide sulla fiducia nel prossimo futuro. Credo che molti
altri provino la stessa sensazione, aggravata e purtroppo avvalorata dalle
previsioni pessime che gli analisti economici propongono per il nostro
futuro. In questo clima, la Parola di Cristo è nuovamente una sfida al comune
e umano buon senso. Io credo che anche nelle preoccupazioni più dolorose
possa nascere un germoglio di speranza : infatti su
tutto questo si posa, tenera e incoraggiante la Parola "NON
TEMERE". E' Dio che la pronuncia, non la promessa passeggera di un uomo,
è Dio Amore, sposo amante e tenace che la sussurra al nostro cuore e ci
accarezza l'anima. Lo affermava, anzi lo gridava con forza lo stesso Papa
Giovanni Paolo II: NON ABBIATE PAURA , APRITE LE
PORTE A CRISTO ! Ecco allora che ci coglie sempre impreparati l'episodio
della tempesta sedata nel Vangelo di Marco, dove gli apostoli, terrorizzati
in mezzo alle onde, gridano a Gesù: "Signore non ti importa
che moriamo ?" Ancor più a disagio ci fa sentire quella famosa risposta:
"perché avete paura: non avete ancora fede ?" Poi Cristo, con un
semplice gesto, placa ogni bufera. Non credo occorrano
altre parole per chiarire quel che Dio ci chiede nei momenti difficili. Ora è
davvero il momento di metterlo in pratica. Alberto Febbraio
2009 |
NOMADELFIA (OVVERO CAMBIARE SI
PUO’) Nomadelfia il cui nome dal greco significa “legge della
fraternità, fu fondata da Don Zeno Saltini , nato a Fossoli di
Carpi, Modena, nono di dodici figli. Ha una popolazione di 320 persone, 50 famiglie, che hanno costituito un piccolo paese su un
territorio di Anzitutto colpisce la comunità/comunanza, in
tutto e per tutti dando una impressione immediata di comunione, in senso totale: fisica e spirituale.
Premesso che probabilmente una vita di questo tipo può essere inaccettabile o
sgradito per alcune persone, appare subito evidente
maggior serenità degli sguardi degli abitanti di questa piccola grande
comunità, e questo è stato il punto che più affascina, forse perchè, negli ultimi tempi percepiamo ovunque sentimenti
di forte disagio spirituale e psicologico, a cui si aggiunge da qualche tempo
anche quello economico che contribuisce non poco ad aggravare le preesistenti
difficoltà personali e collettive. Potrà sembrare un luogo comune, ma il
fatto che ogni famiglia ed ogni persona da tempo non
si sente più compresa ed abbracciata in una rete comune di attenzione per le
piccole e grandi cose è ormai la regola. Una delle tante manifestazioni del
disagio sociale sono i furti in aumento, con la conseguente corsa alla installazione di sistemi di protezione. Si finisce
per blindare così non solo le case ma anche i cuori delle persone, espandendo
a dismisura il sentimento di diffidenza verso il prossimo, chiunque sia (con
la complicità dei mezzi di comunicazione che riportano spesso notizie di
crimini eseguiti da insospettabili e normalissime persone della porta
accanto). A Nomadelfia, a quanto mi risulta,
nessuno ha finora installato sistemi di allarme ed
inferriate, perché la fiducia reciproca è ancora intatta. Ma il punto che mi
preme sottolineare, preannunciato dal titolo di
questo articoletto, è che abbiamo sotto gli occhi un antidoto potente a quel
sentimento di sfiducia così pesante che la attuale situazione socio-economica
produce nella gente: la speranza di cambiare, che si incarna in questa realtà
tangibile e concreta, sull’esempio di Cristo. C’è dunque chi lo ha già fatto, chi ha cambiato stile di vita e, a quanto
risulta, funziona da anni. Forse qualcuno può irridere alcuni aspetti di
questa comunità, come il numero di figli in ogni famiglia (sicuramente più
alto della media): ma anche questo è in realtà il segno che si può fare, e farlo bene se si vive in modo diverso, se ci si fida della
vita. C’è un altro aspetto poi che vale la pena di sottolineare:
prima di una Nomadelfia di strade e mattoni ce n’è
un’altra ben più importante e fondante, la Nomadelfia
del cuore, senza la quale nessuna città ideale, a misura di uomo, può essere
costruita (Salmo 126: “se il Signore non costruisce la casa invano vi faticano i
costruttori”). Nomadelfia insomma ci dice:
coraggio e avanti, cambiare si può, anche nella disperazione dei momenti
difficili, e se si leggono i messaggi di Maria a Medjugorie scopriamo lo stesso incoraggiamento
premuroso e materno a fidarsi di Cristo attraverso la conversione dei cuori
nella preghiera continua. Alberto Dicembre
2012 |