I luoghi di Gesù
dalla
rivista SacroCuore
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La
Palestina ai tempi di Gesù Con questo nome i traduttori greci della Bibbia hanno chiamato
la regione abitata dai Filistei, situata sulle coste del mar mediterraneo, ai
confini con la Fenicia ( al nord) e con i territori egiziani ( al sud).
Palestina significa, perciò, “ terra dei Filistei”. Al tempo dei patriarchi,
essa era chiamata Canaan, nome che significa “ terra di
mercanti”, La terra abitata dal popolo
di Dio è descritta con altri nomi :<la terra dove scorre latte e miele
>(Zc 7,14); < la terra promessa >, < la terra santa > (
Zc 2,16). |
Da Matteo e da Luca abbiamo le notizie riguardanti la nascita
di Gesù. Luca è molto più completo. Si tratta di una storia autentica,
seppure con spiccato accento popolare-religioso; ciò non significa che si
traiti di scritti mitico-allegorici. In Marco vi sono molto citazioni dell'
Antico Testamento: ciò che nell' Antico Testamento era stato promesso, nel
Nuovo Testamento si avvera: "Tutto questo avvenne perché si adempisse
ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta" (Mt 1,22).
Matteo scriveva per i fedeli di origine ebraica. La
nascita "In
quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento
su tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando era governatore
della Siria Quirino. Andavano tutti a farsi registrare, ciascuno nella sua
città" (Lc 2,1-3). Quando nacque Gesù, tutto il mondo era in pace.
Momento favorevole per procedere ad un censimento. Sotto Augusto, furono
fatti parecchi censimenti (anni 7-8 a. C. e 14 a. C.). Vennero ordinati vari
censimenti locali, con carattere amministrativo e legati al giuramento di
fedeltà, il che può essere avvenuto per il regno autonomo di Erode il Grande. Giuseppe
che era della casa e famiglia di Davide dovette recarsi a Betlemme, con
Maria, per farsi registrare. Essendo il periodo del censimento, la cittadina
era affollata ed i due sposi non poterono trovare una sistemazione nel
caravanserraglio, a causa delle condizioni di Maria che era prossima al
parto. Riuscirono a sistemarsi in una grotta-stalla, sufficientemente
riparata e più adatta allo scopo. Anche oggi la collina di Betlemme è
disseminata di grotte e resti di abitazioni rupestri. Il Vangelo non parla di
grotta, ma nota che "Maria diede alla luce il suo figlio primogenito, lo
avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia " (Lc2,7). In quella zona
vi erano dei pastori che vegliavano sui loro greggi. Un angelo del Signore
apparve a loro e disse: "Vi annuncio una grande gioia ( . . . )oggi vi è nato nella città di
Davide un salvatore, che è Cristo Signore" e, accompagnato da un coro
celeste intonò: "Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra
agli uomini che Dio ama" (Lc 2,8-14). Allontanatisi gli angeli, i
pastori si recarono in fratta a Betlemme e "trovarono Maria, Giuseppe e
il Bambino che giaceva in una mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò
che del Bambino era stato detto loro" (Lc 2,16-17). Otto giorni dopo il
bambino fu circonciso e gli fu posto nome Gesù e, passati quaranta giorni,
Maria e Giuseppe si recarono al Tempio per due cerimonie rituali: la
purificazione di Maria e il riscatto del Figlio primogenito. Nel Tempio
avvenne l'incontro con il vecchio Simeone e la profetessa Anna (Lc 2,27-35). La basilica delle Natività, campeggiante su un
immenso piazzale, è il cuore di
Betlemme. Tre comunità religiose la custodiscono : cattolica, greco-ortodossa
e armena. E'a cinque navate molto spaziose, il tutto è in legno di cedro. A
poco più di meta percorso ci sono, ai due lati delle ultime navate laterali,
due scale che portano alla grotta e si incontrano all'altare della natività.
Cinquanta lampade delle tre confessioni illuminano il pavimento di marmo e le
pareti di amianto che rivestono la grotta. Certo, chi si aspetta la grotta
autentica resta deluso. L 'arte e la devozione l' hanno trasformata. Già
S. Girolamo, che trascorse qui, accanto alla grotta della natività, ben 30
anni - fino al 420 - scriveva: "Oh, se mi fosse dato di vedere la
mangiatoia dove giaceva il mio Signore. Ora noi, quasi per fare onore a
Cristo, abbiamo tolto quella di argilla e di paglia e ne abbiamo posta una
d'argento, ma per me è più preziosa quella che e stata tolta, perché nel
fango e non nell'argento volle nascere Cristo, Colui che si e fatto simile ai
poveri". Al centro, per terra, e stata collocata una stella d' argento,
che indica il luogo dove Maria "avvolse il bimbo in fasce e lo depose
nella mangiatoia" (Lc 2,18), lungo la circonferenza della stella c'è
l'iscrizione latina: Qui da Maria Vergine è nato Gesù Cristo. Sebbene l'altare appartenga al rito greco
ortodosso, l'iscrizione e latina. Una culla tende di solito a riunificare
porzioni smembrate di famiglie. Lo faccia la stella di Betlemme. Quasi
dirimpetto, a 3-4 metri, c'è il luogo della mangiatoia dove i pastori
adorarono, nella loro fede semplice, l'Uomo-Dio (Lc 2,920 ), dove viene
deposta la statua fascinosa del Bambino, dal natale all 'Epifania. " Ed
avvenne che mentre erano li, si compì il tempo di partorire e diede alla luce
il suo Figlio primogenito. Lo avvolse in fasce e lo pose a giacere in una
mangiatoia perché per loro non c'era posto nell'albergo" (Lc 2,6-7).
Un'onda di immensa tenerezza ci avvolge quando cantiamo le parole del profeta
Isaia:" Un bimbo è nato per noi. Un figlio ci è stato donato “ (Is 9,5).
Quel Bimbo povero è di ogni uomo povero. La
povertà, la semplicità, l'infanzia, l'amore, sono i quattro temi che
ricorrono nello riflessioni e nelle preghiere dei fedeli. Il “Pellegrino” |
La fuga in Egitto "Alcuni Magi giunsero da oriente a Gerusalemme e
domandarono : " Dov' è il Re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto
sorgere la sua stella e siamo venuti per adorarlo". All’ udire queste parole il Re Erode
restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. (Mt 2,1-3). Avute dai sacerdoti le
indicazioni necessarie, si avviarono verso Betlemme ed ecco la stella che
avevano visto nel suo sorgere, li procedeva, finché giunse e si fermò sopra
il luogo dove si trovava il Bambino. Matteo precisa: " ... entrati nella casa prostratisi
l'adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso
e mirra” (2,11) Probabilmente pochi giorni dopo la nascita di Gesù, essendosi
sfoltita la folla dei forestieri venuti a Betlemme, Giuseppe trovò una casa. Erode aveva chiesto ai Magi di tornare presso di lui dopo la
visita al bambino, futuro re dei Giudei, così che anch'egli avrebbe potuto
recarsi alla grotta e rendergli omaggio. I Magi tuttavia, avvertiti in sogno
delle cattive intenzioni di Erode, ritornarono al loro paese senza ripassare
da Gerusalemme. "Magi" ed "oriente" sono espressioni
vaghe. Il termine mago e di origine persiana e legato alla dottrina di
Zarathustra. Nella Bibbia sono detti Figli d'Oriente gli abitanti dell'Arabia
e dei deserti della Siria, ma potrebbero essere venuti dalla Persia o dalla
Mesopotamia. Nell'iconografia cristiana antica sono rappresentati in costume
persiano. Ma solo nel VI secolo sono detti Re Magi. I loro nomi, Melchiorre,
Gasparre e Baldassarre ci vengono dai Vangeli apocrifi. Non avendo più notizie dai Magi, Erode preoccupato diede ordine
di uccidere tutti i bambini di Betlemme e del circondario, minori di due anni
(circa 20-25); una decisione che era conseguenza del suo carattere sospettoso
e crudele. Appena partiti i Magi un angelo apparve a Giuseppe e gli disse:
"Alzati, prendi con tè il bambino e sua madre e fuggì in Egitto e resta
là finché non ti avvertirò, perché Erode sta cercando il bambino per
ucciderlo " (Mt. 2,13). Da Betlemme, passando per Hebron e Bersabea, raggiunsero
probabilmente la carovaniera che, correndo lungo il Mediterraneo, metteva in
comunicazione la Palestina con l’' Egitto. Una zona deserta, squallida,
insidiosa che, nei pressi del Delta del Nilo, entrava nel cosiddetto
"mare di sabbia"; un viaggio duro e sicuramente pericoloso. Dove
abbiano trovalo rifugio in Egitto e difficile precisarlo, ma gli apocrifi si
sono sbizzarriti nel precisare tappe e luoghi: Eliopolis. Cairo, Delta del
Nilo. Morto Erode, un angelo disse a Giuseppe: "Va' nel paese di
Israele, perché sono morti quelli che insidiavano la vita del bambino "
(Mt. 2,20); così la famigliola ritornò a Nazaret... Inizia da questo momento
il periodo più oscuro della vita di Gesù, che va dal ritorno dall'Egitto
all'inizio del ministero pubblico. Ci viene solo riferito che Gesù
"cresceva e si fortificava pieno di sapienza e la grazia di Dio era
sopra di Lui "ed ancora "cresceva in sapienza, età e grazia davanti
a Dio e agli uomini" (Lc. 2,40 o 52). L'unico episodio che conosciamo e
lo smarrimento di Gesù al Tempio. Quando ebbe dodici anni si recò con i suoi genitori al Tempio.
Il viaggio si effettuava in carovane (gruppi di parenti o amici) e durava dai
tre ai quattro giorni con una permanenza in Gerusalemme dai tre agli otto
giorni. Quando fu il momento del ritorno, Gesù rimase in Gerusalemme senza
che i suoi se ne accorgessero, pensavano che si fosse unito a qualche altro
gruppo, ma alla prima sosta per il pernottamento, notando che mancava, fecero
ritorno a Gerusalemme e lo trovarono nel Tempio che disputava con i Dottori,
pieni di ammirazione. Ne furono stupiti anche Giuseppe e Maria, la quale gli
chiese ragione, del suo comportamento. Gesù rispose: "Perché mi
cercavate? Non sapete che io devo occuparmi delle cose del Padre mio? Ma essi
non compresero le sue parole "
(Lc. 2,49-50). Il “ Pellegrino” |
Ain Karem, piccola città levitica, si trova a un paio di ore ad
ovest di Gerusalemme. Nel libro di Giosuè si legge la formula abbreviata di
Karem (Gs 15,59) “ E’ un luogo molto bello, attorniato da boschi di pini e di cipressi.
Ameno e tranquillo, per il suo silenzio sembra invitare alla preghiera. Una
serie di orti, irrigati con l’acqua della sorgente, e campi coperti di viti,
mandorli e ulivi compongono il paesaggio di questo felice villaggio tra le
colline della Giudea”. Una serie di orti, irrigati con l’acqua della sorgente, e campi coperti di viti, mandorli e ulivi
compongono il paesaggio di questo
felice villaggio tra le colline della
Giudea”. La sorgente ha dato il nome al luogo: in ebraico si dice Ain
Karem, che vuol dire Fonte della vigna; in arabo Ain Karim, che significa
Fonte generosa o abbondante. La densa vegetazione dei boschi, degli ulivi e
dei frutteti, accanto al silenzio delle sue colline e delle sue valli,rende
questo spazio un angolo privilegialo della Terra Santa, sempre visitato dai
pellegrini e dai cristiani locali. Prima della guerra del 1948, Ain Karem era un villaggio arabo
di 3.000 abitanti. Adesso è praticamente tutto ebraico. Le suore di Sion vi venerano il loro fondatore, Alphonse de
Ratisbonne, ebreo convertito. Altre congregazioni religiose possiedono anche
case e chiese nei dintorni. Il luogo era già ben conosciuto e venerato dalla tradizione
locale bizantina (sec. V-VII). Lo stesso nome di “Encarim” viene ricordato
nel calendario della chiesa di Gerusalemme dove c’è scritto: “Il 28 agosto,
nel villaggio di Encarim, nella chiesa della giusta Elisabetta, si fa memoria
di lei”. E ogni anno, in quella data, si faceva un pellegrinaggio
da Gerusalemme. Ci sono due chiese
dedicate a evocare il fatto della Visitazione di Maria: la chiesa del
Magnificat, sulla collina, che ricorda l’incontro di Maria ed Elisabetta, e
la chiesa di san Giovanni Battista, nel centro del paese, che evoca la
nascita del Precursore. La prima chiesa
era già conosciuta nel periodo bizantino ed era dedicata a santa
Elisabetta. Si trovava in quello che oggi e la cripta della chiesa costruita,
al sec. XII dai Crociati, e modernamente dall’architetto italiano Antonio
Barluzzi, alla fine degli anni trenta. La seconda è costruita sul luogo di una chiesa, anch’essa
bizantina, dedicata ai santi martiri (sicuramente Giovanni e gli Innocenti,
di cui parlano gli Apocrifi). Su questa seconda chiesa, i Crociati ne costruirono un’altra
che, distrutta più tardi dai musulmani, fu rifatta nel 1674 dai Francescani. Questa chiesa possiede notevoli quadri di scuola Spagnola ( Murillo, Ribalta, Valdés Leal) e
belle maioliche Blu provenienti dalla Spagna, giacché il convento
francescano era tradizionalmente protetto dalla monarchia spagnola. In una grotta naturale, sotto l’abside sinistra, si
venera il luogo della nascita di
Giovanni Battista. Per la pietà cristiana, Ain Karem e un luogo
indimenticabile a causa del fatto
della Visitazione di Maria a sua cugina Elisabetta. San Luca ha
saputo dipingerci su questo luogo uno dei quadri più suggestivi del suo
Vangelo, un quadro pieno dì freschezza e di spontaneità, come una scena
primaverile, ricordata costantemente dal secondo mistero gaudioso del
Rosario. Ad Ain Kàrem vediamo Maria passare
con naturalezza dalla contemplazione di Nazaret all’azione del servizio,
dalle virtù “passive” a quelle “attive”. Maria ci va, dice l’evangelista,“cum
festinatione”, cioè, in fretta, con prestezza, con diligenza, che rispecchia
la sua gioia. Maria era pervasa da uno spirito che
traboccava di gioia, desiderosa di servire, di aiutare, di darsi, di rendere
i giorni felici ad Elisabetta, in attesa della nascita di suo figlio. Scena indimenticabile quella della Visitazione che ha alimentato
per secoli la fede e la devozione cristiana. Ogni cristiano ha immaginato
questo posto nella sua recita del Rosario, e la sua preghiera gli avrà
recato del bene, ammirando Maria e imitandone l’esempio. Ain Karem ci
ha lasciato inoltre il tesoro inapprezzabile delle preghiere ivi sgorgate e
che ogni giorno recita la Chiesa:il Magnificat di Maria, il Benedictus, di
Zaccaria e parte dell’ Ave Maria! pronunciata da Elisabetta. Luogo di pace, di preghiera, di donazione, di
Spirito Santo, di bellissime evocazioni evengeliche, Ain Karem è uno dei
gioielli più splendenti e più cari per la pietà cristiana in Terra Santa. Joan Maria Vernet |
Per molti pellegrini in Terra Santa, l'esperienza più impressionante
e profonda che rimane nel ricordo è quella del deserto. Si tratta del deserto
di Giuda che si estende nella parte occidentale del Giordano e del mar Morto.
Il deserto di Giuda ha circa 80 km di lunghezza nord-sud, e di 30 km di
larghezza est-ovest. Questa zona della Palestina non è una sconfinata
estensione di sabbia che forma ondulanti colline sotto un sole rovente. E’
piuttosto, come dice la Bibbia, “ una terra senz'acqua". Una terra come
qualsiasi altra, con colline, valli,pianure, qualche sorgente. Non c'è sabbia
ma pietra calcare e terra che ritiene poco l'acqua piovana per questo rimane
improduttiva. La visione del deserto riempie di stupore per la sua insolita
bellezza: rocce imponenti, valli profonde, abissi, grotte e caverne, sorgenti
che fanno fiorire nell'aridità macchie di vita e di freschezza. Dei greggi,
anche qualche carovana di beduini, qualche uccello o sciacallo sono gli unici
abitanti di questa regione infuocata e inospitale. Poi il suo silenzio
totale, unico. Il suo cielo purissimo: "Nessuna penna saprebbe evocare
con sufficiente colore e tenerezza lo splendore del cielo notturno del
deserto" (Christian Jacq). Il deserto conserva intatto il suo fascino e
seduce un po' tutti. Anche il deserto ci appartiene. Perché è il luogo dell'assoluto,
della verità, dove tutte le presenze scompaiono, e rimane solo quella di Dio.
La sua voce sembra sentirsi più chiara, più profonda. Il deserto è
l'estensione silenziosa dell'infinito, colma di evocazioni e di ricordi, in
cui l'anima si dilata per incontrare Dio nel modo più puro e immediato. Le
sue steppe sono lo spazio e il tempo dove ciascuno di noi impara a conoscere
il cuore di Dio. In esso Dio formò il suo popolo. È il luogo della prova,
della tentazione, delle grandi scelte, dell'incontro con Dio, dell'ascolto
della sua voce. E lo scenario delle più grandi esperienze bibliche a
cominciare dai Patriarchi. Mosè, Israele, Davide, Elia, i Maccabei, gli
Esseni, Giovanni Battista... Anche Gesù fece la prova del deserto. Non poté
resistere al suo incanto, alla sua chiamata profonda e pura, e vi andò a
rivivere le grandi tappe del cammino del Sinai, a ricordare le scene della
manna, del serpente di bronzo, delle acque di Meriba, dei sacrifici,
dell'Alleanza, della Parola di Dio... tulle figure dell'Antico Testamento che
Lui avrebbe riportato alla pienezza e al compimento. IL deserto di Giuda è il
deserto che Gesù amava. D'allora in poi il deserto non sarà più la terra
orribile e desolata: Gesù la rese santa, la rese oracolo di Dio, luogo di
verità e di preghiera, d'incontro e di salvezza, di vittoria e di speranza.
Per questo più tardi i monaci del periodo bizantino, per seguire le orme del
Maestro, popolarono il deserto di Giuda per ben quattro secoli, conducendo
una vita di profonda spiritualità e di "laus perennis", con
esempi eccezionali di santità, come le famose figure di San Caritone, il
fondatore del monachesimo in questo deserto, Sant'Eutimio, San Saba, San
Giovanni Damasceno, e tantissimi altri. Ancora oggi rimangono alcuni di
questi antichissimi monasteri. Il deserto ha pure un segreto: sa fiorire.
Dopo la stagione delle piogge, tutto rifiorisce, e il deserto si ricopre, sia
pure por breve tempo, di un tappeto dì verde e di fiori. La visione del
deserto fiorito ha suggerito ai profeti l'immagine dei tempi messianici
quando scorreranno torrenti nella steppa: "La terra bruciata
diventerà uno stagno e il suolo riarso si muterà in sorgenti di acque"
(ls 35,7). Il destino del deserto è diventare un giardino. Questo è il
messaggio del deserto, e per questo attira e seduce, perché immagine della
vita dell'uomo, chiamato anche lui a passare dall'aridità alla freschezza,
dalla morte alla vita, dalla solitudine alla compagnia e al regno di Dio , Joan Maria Fernet |
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La geografia della Terra Santa la conosciamo fin da piccoli.
Tutti ricordiamo i nomi della Galilea, che è la regione più a nord,
poi quello della Samaria o zona centrale, e finalmente quello della
Giudea, che è la parte meridionale. Su queste tre regioni dell’antica
Palestina si svolse quasi tutta la vita di Gesù e per questo i loro nomi come
quelli delle loro città e monti ci sono familiari. Marginalmente c'è anche la
regione dei Giordano, a est, e, verso il sud, la zona dell’Idumea
e del Neghev fino all'Egitto. Oggi parleremo un po' della regione
della Giudea. La Giudea è una parola ermetica, colma di mistero e di
grandezza. Possiede un fascino e un'attrattiva irresistibile per il credente.
Il suo nome evoca aridità, deserto, austerità, sofferenza. Terra vicino all'Aravà,
tante volte la si vede avvolta nell'afa che sale dal Mare Morto e dal hamsin
o vento caldo e secco che proviene dal deserto. Terra di guerre e di
battaglie, di discordie e di distruzioni, di desolazione e di pianto, la
Giudea o anche terra di speranza e di vita, orizzonte di futuro e di
rinascita. In essa nacque e morì il Messia; e in essa risuscitò. Tutto si
compì, tutto si realizzò, tutto si contemplò in Giudea:la voce dei profeti,
il potere dei re, lo splendore del tempio, la gioia delle promesse
adempiute... La Giudea e lo scrigno teologico e spirituale della
Terra Santa: le palme di Gerico, le acque di Siloe,le vigne di Ebron,
le pietre del Deserto, gli angeli e i pastori di Betlemme
conservano nell'intimo dei loro ricordi un'epopea mai vista nella storia.
Pietre e polvere, siccità e durezza. Ma anche tenerezza e dolcezza: un
bambino che nasce in una stalla e una madre che lo depone in una mangiatoia.
Terra illuminata da una stella, che ha visto venire i magi d'Oriente, e terra
che ha ascoltato il pianto lacerante delle donne prive dei loro figli
innocenti. Il Golgota sarà per sempre e per l'umanità intera il monte
della salvezza, il monte dell'amore infinito, il monte della fede
riconoscente. La Giudea, con il suo fascino e il suo mistero, ha
saputo creare il cuore palpitante e sempre vivo di Gerusalemme,
avvolta nella sua grandezza e nel suo destino unico, segnata anche dalle
piaghe inguaribili dei suoi peccati e della sua infedeltà. Il nome di Giudea vuoi dire "Lode". Lo leggiamo nel
libro della Genesi: "Lea, moglie di Giacobbe, partorì un figlio e
disse: "Questa volta loderò il Signore” per questo lo chiamò Giuda"
(Gen 21, 35). Infatti, in ebraico le parole Giuda e lode hanno la stessa
radice.La Giudea è il cuore della storia biblica, con Gerusalemme come
capitale e il tempio come centro del culto di Israele. E’ la terra per
eccellenza dei salmi, degli inni, delle preghiere, delle invocazioni a Dio.
Samuele, Davide e la maggior parte dei profeti provengono da questa regione.
Tutti gli inni evangelici sono stati ispirati in Giudea: il Magnificat,
il Benedictus, il Nunc dimittis, il Gloria in excelsis
Deo…Città e villaggi della Giudea, oltre Gerusalemme e Betlemme,
sono ,patria del profeta Amos, Ebron prima capitale del regno
di Davide,Gerico, la prima città conquistata da Giosuè,Kiriat
Yearim, luogo del soggiorno dell'Arca dell’ Alleanza, Ain Karem,
che ricorda la visitazione di Maria, ed Emmaus che evoca
l'indimenticabile incontro di Gesù con due dei suoi discepoli. Terra povera,
pietrosa, secca, la Giudea possiede tuttavia luoghi fertili e ricchi
per l'abbondanza di acque, come la zona di Ebron, la valle della
Berakhà, l'oasi di Gerico. Il deserto roccioso è una delle sue caratteristiche
più rilevanti che ha dato una particolare fisionomia alla regione e alla
psicologia dei suoi abitanti. Possiede il monte degli Ulivi, il monte Sion e
il monte del Tempio, e le colline di Ebron che oltrepassano i 900 metri di
altezza. La ricchissima storia dei l'empi antichi la si può contemplare
attraverso le rovine di mille siti archeologici che affiorano come diamanti
dal suolo aspro e duro di questa regione… Jaon Maria Fernet SacroCuore/aprile2002 |
Il dialogo più bello di Gesù, la parabola più umana di Gesù, il
gesto di gratitudine più caro a Gesù (quello del lebbroso), furono ispirati
da questa terra di Samaria, bella e dura, piena di ricordi storici, a metà tra
l'austera Giudea e la sorridente Galilea La Samaria in effetti si trova al centro della Terra Santa, sia
nella geografia che nella storia biblica. Mille evocazioni di personaggi e di
eventi costellano la cronologia antica e sono ricordati sulle colline
arrotondate o sulle dolci pianure di questa regione. I vestiti blu e bianco
delle sue donne danno ancor oggi una nota di gioia al paesaggio. Vista in
primavera, acquista una bellezza fresca e giovanile. I suoi innumerevoli
oliveti, con il loro grigio verde, coprono il territorio come un manto reale.
I monti Ebal e Garizim sono i monti delle maledizioni e delle benedizioni,
male e bene mescolati indissolubilmente nel cuore di questa terra che sa di
sofferenze e di gioie, dì sconfitte e di umiliazioni, ma sa anche che il
trionfo, come quello di Armaghedon, sulla sua frontiera nord, sarà del bene e
la vittoria apparterrà a Dio e al suo Cristo. Le colline della regione, molto
abbondanti, sono chiamale nella Bibbia" montagne di Efraim" perché
questa tribù del regno del nord occupava gran parte del territorio montuoso
di Samaria. Tra queste montagne si
estendono fertili vallate come quelle di Dotan, di Sicar e di Silo,
che producono ricchi raccolti di cercali, ortaggi e frutta, mentre le colline
sono coperte di ulivi, di mandorli e di estesi boschi di pini, querce e
terebinti. Punto di arrivo dei Patriarchi, vide le storie immortali dei
giudici e dei re di Israele. I suoi profeti, Eliseo e Osea, sembrano ancora
sentirsi lungo le valli che la solcano. Le sue città divennero belle e
ricche, i suoi santuari un'occasione di smarrimento per la fede d'Israele.
Ganim (odierna Jenin), Ibleam, Samaria, Izreel, Dotan, Silo e Tirza sono
alcune di queste città il cui nome risuona spesso nell'Antico Testamento. La
cisterna secca di Dotan e il pozzo di acque fresche di Sicar ricordano
cospirazione e conversione, morte e vita, infamia e adorazione. I contrasti
si mescolano acutamente in questa terra che ha sete e offre allo stesso tempo
acqua in abbondanza, come in Ainon, vicino a Salem, dove Giovanni battezzava,
e dove le acque del Giordano, per intervento di Eliseo, guarirono la lebbra
di Naaman, il generale siro. La Samaria, nel sec. X a.C., fu un regno scisso
dal grande territorio che era unito sotto Davide e Salomone. Quella prima
unità rimase per sempre spezzata come il mantello di Achia di Silo, simbolo
profetico di quanto sarebbe avvenuto ai territori governati da Salomone. La
sua infedeltà e il suo pessimo governo provocarono, sotto suo figlio Roboamo,
quello scisma che originò non solo la divisione del popolo di Israele, ma
l'odio e l'animosità tra di loro, suscitando guerre continue tra i due stati.
I re Geroboamo, Acab e Gezabele, Jeu, Joas e tanti altri sono tutti segnati
con l'infamia della deviazione dalla fede di Israele. La storia della vigna
di Nabot, le pretese dei sacerdoti di Baal, e l'annientamento della dinastia
di Acab fanno parte di questa tragica trafila di ombre e di stragi. Samaria,
nome femminile, dovrebbe ispirare dolcezza e tenerezza; invece e un nome che
evoca violenza, usurpazione, ingiustizia e disgrazia. In questa zona, poche
pagine della storia biblica respirano un'aria pacifica o promettente, se
eccettuiamo il canto di Osea 11, la fondazione della città di Samaria,
l'incontro di Gesù con la Samaritana o la narrazione della conversione dei
Samaritani per opera di Filippo (At 8). Tutto il resto non sembra che un
racconto di lotte, di intrighi, di crimini e di distruzioni, Eppure la
Samaria rimane viva, indimenticabile, per i lettori della Bibbia. Anche se
con tante ombre, il messaggio della sua storia e sempre attuale e lo
splendore delle sue pagine luminose abbaglia ancora oggi gli occhi della fede
e affascina i cuori. Joan Maria Vernet SacroCuore/maggio2002 |
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"Galilea: e come una parola
magica dei Vangeli, una parola che canta e danza, mentre la Giudea suona
grave... La Galilea suscita un'emozione particolare davanti ai dolci paesaggi
delle rive del lago, alla pacifica cupola del monte Tabor, alle colline di
Nazaret. E il paesaggio di Gesù. Qui egli ha vissuto la maggior parte della
sua vita e qui egli ha fatto suoi discepoli degli umili galilei"
(Francois Brossior). Gesù, fin da fanciullo, ha contemplato la bellezza e la vita
rigogliosa di questa regione della quale si è, per cosi dire, nutrito. Si
potrebbe dire che Gesù ha consacrato la Galilea come un santuario di
spiritualità e di mistica. Colline, sorgenti, pianure, monti, torrenti, perfino un lago
incantevole fanno della Galilea una regione singolare, di bellezza unica tra
le terre di Israele. Il Vangelo sembra compiacersi diquesta regione, sempre
giovane, e ce ne paria con delle citazioni bellissime, oramai diventate familiari.
Dice, per esempio, citando Isaia: "Il
paese di Zabulon e il paese di Neftali, sulla via del mare, al di là
del Giordano, Galilea delle genti: il popolo immerso nelle tenebre ha visto
una grande luce; su quelli che dimoravano in terra e ombra di morte, una luce
si e levata" (Mt 4,15-16; Is 8, 23-9,1). "L’ angelo Gabriele fu mandato da Dio in
uria città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine, promessa sposa di
un uomo della casa di Davide, chiamata Giuseppe. La vergine si chiamava
Maria"
(Lc 1,26-27), Galilea: principio e fine. Le colline di Nazaret hanno
contemplato l'aurora della salvezza con l'Incarnazione del Figlio di Dio nel
seno di Maria. Qui Gesù iniziò la sua vita terrena, fece le prime scoperte,
ebbe i primi amici, imparò le prime lezioni. I paesaggi della Galilea
costituirono la cornice del quadro della vita e della predicazione di Gesù.
Gesù passò pure la sua gioventù a Nazaret, lavorando come falegname accanto a
Giuseppe. Poi, la maggior parte della sua vita pubblica la trascorse anche in
Galilea, predicando in tutte le sinagoghe e svolgendo la sua attività in
maniera speciale attorno al lago. Gesù era conosciuto come il Galileo
(Mt 26,69). Le sue ultime apparizioni, come Risorto, ebbero anche come sfondo
i monti e il lago della Galilea. Questa regione, con il suo incanto e la sua poesia, fornì a
Gesù non soltanto le strade della sua missione e tanti cuori aperti alla sua
parola, ma anche il materiale concreto per le sue parabole e insegnamenti: il
seminatore, il granellino di senapa, il frumento, i pescatori, la rete piena
di pesci, il pastore e il suo gregge, ecc. Le rocce, il verde dell'erba fresca e il bagliore di mille
fiori che smaltano i prati, con gli uccelli che rallegrano la campagna, sono
gli stessi che gli occhi ammirati di Gesù contemplarono un giorno, e
preparavano fin d'allora la sua dottrina incomparabile sulla provvidenza:
"guardate gli uccelli del cielo, osservate i gigli del campo..." Qui Gesù predicò, fece dei miracoli, scelse i suoi discepoli,
manifestò la sua missione. Le folle lo seguivano, lo acclamavano, gli amici
lasciavano tutto per stare con lui. Il suo fascino era irresistibile. Il monte Tabor si meravigliò un giorno davanti alla luce
abbagliante della Trasfigurazione e le rive del lago furono testimoni di quella
prodigiosa attività di Gesù che "passò beneficando", e ascoltarono
le sue parole di vita eterna. La sinagoga di Cafarnao conservò l'eco del
discorso sul pane di vita che Gesù fece in seguito alla moltiplicazione dei
pani. E così ogni angolo della Galilea ha un ricordo, conserva un
messaggio, ci parla di un insegnamento di Gesù. Essa è per noi come un
sacramentale. Una visione eloquente di grazia e di evocazioni che ci fanno
incontrare ovunque la figura amata del Signore. Joan Maria Vernet SacroCuore/giugno2002 |
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Si conosce col nome di Perea la parte orientale della Terra
Santa che si estende alla sinistra del Giordano. Questa regione apparteneva
anticamente alle tribù di Manasse, di Gad e di Ruben. Al tempo del Nuovo Testamento faceva parte
della tetrarchia di Erode Antipa assieme con la Galilea. Per questo motivo fu
diverse volte visitata da Gesù. Oggi appartiene al regno di Giordania. Questo territorio, con le diverse conquiste degli Assiri, dei Babilonesi
e dei Persiani rimase per secoli staccato dal nucleo della Giudea e fu solo
più tardi riconquistato dal re asmoneo Alessandro Ianneo. Sotto Erode il
Grande, la Perea era una delle regioni più floride del suo regno. Da nord a sud comprendeva la striscia, generalmente piana e
ricca, che va dalla frontiera della Decapoli (tra Bet-Shean e Pella)
fino al Mare Morto. Poi continua, sulla parte montagnosa, verso il sud
fino alla fortezza di Macheronte, estremo limite della Perea, di
fronte al territorio dei Nabatei, La valle del Giordano è larga e
maestosa, e si va distendendo soavemente verso il Mare del Sale dove
sbocca il fiume dopo mille giravolte. Le sue terre sono fertili perché ben
irrigate e la gente viveva (e vive ancora) in una serena prosperità. Al tempo dell'Antico Testamento, appartenevano a questa regione
le terre di Galaad, ricordate nel Cantico dei cantici e nei Salmi per la loro
bellezza, o scenario di molti episodi della storia biblica. Abramo, Giacobbe,
Esau, Jefte, Elia, Davide, Assalonne e tanti altri sono vissuti o si sono
trovati per caso su queste terre della Perea. Uno dei punti più suggestivi di
questa zona è il torrente Kerit, dove soggiornò il profeta Elia. Ogni giorno veniva alimentato con la carne e il pane che i
corvi gli portavano. Il torrente, che forniva l'acqua, e profondo, solitario
e silenzioso, ornato da oleandri rossi e rosei, da terebinti e ginestre. Un altro luogo citato nell'Antico Testamento è la foresta di
Efraim che ricorda la tragica morte di Assalonne, figlio di Davide,
ucciso dal generale Gioab mentre pendeva dai rami di un grosso terebinto.
Continuando verso sud, si trova il torrente Jabbok, affluente del Giordano,
che scende dalle terre di Galaad e dal deserto. Tra i diversi episodi in
rapporto con questo torrente, il più conosciuto è quello della lotta di
Giacobbe con l’angelo durante la notte. Verso la parte finale della regione, si trova il monte Nebo,
da dove Mosè contemplò la terra Promessa. Ai suoi piedi si estendono le
steppe di Moab sulle quali Mosè si accomiatò dal popolo con quei discorsi,
ricchi di contenuto, che costituiscono gran parte del libro del Deuteronomio. In quei dintorni si ricorda anche il passaggio del Giordano,
sia dell'Arca dell'Alleanza che dell'intero popolo di Israele, sotto la guida
di Giosuè; passarono all'asciutto il fiume, arrivando alla Terra promessa
dopo quarant'anni di vita errante nel deserto. La tradizione evoca, nello stesso luogo, il profeta Elia
rapito in cielo su di un carro di fuoco. E sempre in questi dintorni, nella
pienezza dei tempi, Gesù di Nazareth fu battezzato da Giovanni
Battista. In occasione del Giubileo del 2000, si sono fatti molti studi
archeologici, scavi e ricostruzioni nella zona dell'attuale uadi Kharrar, piccolo
affluente del Giordano. Il luogo fu visitalo da Giovanni Paolo II nella sua
storica visita alla Terra Santa, iniziata in Giordania. La maggior parte dei ricordi biblici sono dell'Antico
Testamento, ma nella Perea, oltre al ricordo del Battesimo di Gesù e
di alcune sue visite, si sentì per la prima volta la dottrina sul divorzio
e l’insegnamento sulla sequela di Gesù.
La scena di Gesù coi bambini, con l’episodio del giovane
ricco, sono anche da collocarsi, secondo il testo del vangelo, in questa
regione. Una delle città più importanti della zona fu Livias, l'antica
Bet-Haram, costruita dal tetrarca Antipa, ma il luogo più suggestivo è la
grande fortezza erodiana di Macheronte dove il Battista tu decapitato
dal tetrarca. La notizia la conosciamo grazie allo storico ebreo Flavio
Giuseppe. Joan Maria Vernet SacroCuore/settembre2002 |
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In questi ultimi articoli ci siamo soffermati sulla geografia della
Terra Santa, considerando le diverse regioni che la componevano nei tempi
antichi, specialmente al tempo del Nuovo Testamento Oggi finiremo con questa descrizione geografica parlando
dell'Idumea, un nome che nel Vangelo appare qualche volta, specialmente in
rapporto con la predicazione dì Gesù. In Marco leggiamo "Dalla Giudea,
da Gerusalemme e dall’ Idumea... una gran folla, sentendo ciò che Gesù
faceva, si recò da lui” (Mc3,8). Dobbiamo pensare che è con una nota di simpatia verso questa
regione che i Vangeli accennano all'Idumea, anch'essa interessata, come la
Giudea o la Galilea, alla novità che suscitava la persona e la predicazione
di Gesù. Il nome “Idumea” viene dalla traduzione greca della parola
'Edom', fatta dalla versione della Bibbia dei Settanta. Come territorio, l'
Idumea si trovava nella parte meridionale della Giudea e occupava le terre
della tribù di Simeone e parte di quella di Giuda. La sua estensione era
approssimativamente la striscia che va da Hebron fino a Bersabea, e dal Mare
Morto fino alla Pianura Costiera. Era una regione economicamente povera per quanto riguarda
l'agricoltura, in buona parte desertica e stepposa, ma ricca in pastorizia e
in sali (Mar Morto), molto frequentata dal commercio delle carovane che
venivano dall'oriente e dal nord e andavano verso i porti del Mediterraneo e
verso l'Egitto. La sua città principale era Maresa, citala nell'Antico
Testamento. Sicuramente era la capitale. Recentemente si sono fatti degli
scavi che hanno dato alla luce interessantissimi esemplari di case, ville,
tombe, ceramica e impianti per la produzione dell'olio. Questo territorio rimase quasi spopolato durante l'esilio di
Babilonia (587-539 a.C.), e, in quelle circostanze, fu lentamente occupato
dagli edomiti che provenivano dalle terre di Seir, la parte orientale
dell'Aravà (attuale Giordania del sud). Quell'infiltrazione edomitica fu provocata dalla pressione dei
Nabatei, provenienti dal sud dell'Arabia, che stabilirono il loro regno nelle
regioni dove prima abitavano gli edomiti, "L'anno 63 a.C-, il generale romano Pompeo separò dalla
Giudea la parte meridionale dell'Idumea, costituendo una toparchia
indipendente con le città di Adora e di Maresa, Con Erode il Grande l'Idumea
fu incorporata al suo regno- Con i procuratori romani apparteneva alle
regioni della Giudea e Samaria, formando la piccola provincia della Giudea,
dipendente però dalla provincia dì Siria. Durante la guerra giudaica, tra gli anni 67-70, l'Idumea prese
parte con i suoi guerrieri alle stragi organizzate dagli zeloti di
Gerusalemme e vide devastato il suo territorio dai legionari di Vespasiano e
dalle bande del feroce Simone bar Ghiera. Vi sono resti di molte chiese bizantine in tutta l'estensione
del suo territorio, cosa che sta a indicare la pronta cristianizzazione dell'Idumea"
(J. Prado). Sì, è bello pensare che l'eco della predicazione di Gesù fosse
arrivata a questa lontana regione e che ci fosse tanta gente che da essa
andava verso la Galilea per sentirlo. Frutto di questa apertura e certamente
di molte con versioni, fu poi la rapida diffusione del Cristianesimo su
queste terre. L'Archeologia di questa zona ha mostrato molte testimonianze
della fede cristiana, come basiliche, monasteri e documenti, che manifestano
il passaggio dell'Idumea dalla idolatria alla fede cristiana. La figura storica più importante dell'Idumea è senza dubbio
Erode il Grande, chiamato appunto il re idumeo, appartenente alla
famiglia degli Antipatridi. Erode ordinò la strage degli Innocenti e fu il
padre di Archelao, di Erode Antipa e di Erode Filippo, tutti e tre citati nei
Vangeli. Durante la dominazione persiana, l'Idumea fu una satrapìa retta
da un governatore che probabilmente risiedeva a Lakis e la cui autorità si
estendeva fino alla penisola del Sinai. Sotto i Selcucidi costituì una
eparchia. Gli idumei furono alleati dell'impero seleucida e cercarono di
spingersi sempre più verso nord e verso il Mediterraneo, tanto che allora la
frontiera si estendeva fino alla città di Bet Sur, a soli 27 km da
Gerusalemme. A loro interessava essere forti di fronte agli Ebrei che man
mano acquistavano più potere. Ma Giuda Maccabeo riuscì a conquistare Bet Sur ed Hebron, non
riuscì invece ad impadronirsi di Maresa, che era la capitale. A partire dell'anno 129, Giovanni Ircano, si impadronì
dell'Idumea e obbligò gli abitanti ad abbracciare la religione ebraica. Da
allora l'Idumea segui le vicissitudini della Giudea, nonostante l'odio tradizionale che nutrivano vicendevolmente
Giudei ed Edonisti. Sotto gli Asmonei, l'Idumea ottenne un certo potere politico
grazie alla dinastia degli antipàtridi, cioè la famiglia di Antipatro,
governatore dell'Idumea al tempo della conquista di Giovanni Ircano, e
particolarmente di suo figlio Antipatro, padre della figura più rilevante di
tutta la sua storia,Erode il Grande. Joan Maria Vernet SacroCuore/ottobre2002 |
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La Persia è un paese ben conosciuto dagli autori della Bibbia. Nell'Antico
Testamento è ogni tanto citata, specialmente in quei libri (canonici o
deutero-canonici) in cui si svolgono storie, profezie ed eventi relativi alla
gente di questo popolo o in cui vengono descritti i personaggi dei racconti. Possiamo affermare che la Persia è il paese limite della
geografia orientale biblica, al di là del quale non vengono citate altre
terre o, se citate, per nulla sono descritte o considerate come scenario di
qualche storia o di qualche personaggio, come è il caso dell'India, solo
nominata come l'estremo orientale del dominio persiano (Est 3, 13'). La Persia si trova oltre la Mesopotamia, cioè, al di là del
Tigri, a partire delle montagne degli Zagros, e oltre la quale il mondo
rimane ignorato. Così la pensavano gli autori biblici. Sulla geografia di
questo paese sappiamo dalla stessa Bibbia che c'erano delle regioni chiamate
Elam, Media e Persia, con delle città come Susa, Ecbatana, Rage e Persepoli;
perfino ci viene data la distanza (poco precisa) tra Ecbatana e Kage, e della
città di Ecbatana ci vien detto addirittura che si trova "nella
pianura" (Tb 5, 6). Ci vengono descritti diversi re della dinastia achemenide
(Ciro, Dario, Serse, Artaserse), sempre favorevoli al popolo d'Israele,
specialmente Ciro, chiamato dal libro di Isaia "Messia", cui Dio
affidò il grande incarico di liberare il popolo ebraico dalla deportazione di
Babilonia, Nel Nuovo Testamento, quando Luca scrive la lista dei popoli
presenti all'evento della Pentecoste a Gerusalemme, i tre primi nomi citati
sono: Parti, Medi, Elamiti, cioè, i popoli più lontani dell'universo biblico che, in
quell'occasione, si radunarono accanto a Pietro e ascoltarono la sua
predicazione, battezzandosi in seguito e formando un primo nucleo nella
chiesa di tremila credenti, E questi tre popoli appartenevano alla Persia. Un altro caso è quello dei "magi" citati nel vangelo
di Matteo al momento della nascita di Gesù (Mt 2, 1-12). Questo nome, con
tutto il contesto della narrazione, ha un sapore prettamente persiano (e in
qualche modo anche zoroastriano). E' degno di nota che nessun profeta ha detto mai un oracolo
contro la Persia, mentre sono abbondanti quelli contro Babilonia, Ninive,
Aram, Damasco, Ammon, Moab, ecc. Sicuramente accanto alla benevolenza
ricevuta dai re Achemenidi, i profeti sapevano che la stessa religione
iraniana aveva molte connotazioni con quella ebraica, a cominciare
dall'unicità di Dio, dogma fondamentale della religione ebraica. In base a ciò possiamo ben applicare alla Persia il titolo di Terra
biblica, considerando che su questo vasto paese si sono svolte storie, si
sono innalzate preghiere al Dio di Abramo, si è sentita la voce della
profezia e sono vissuti e morti diversi personaggi citati nei libri biblici,
alcuni dei quali perfino sono venerati da antichissime tradizioni nelle loro
tombe. La Persia, nei racconti biblici ci offre uno splendido
messaggio spirituale e umano. E, se può vantarsi di molte glorie nella sua
lunga storia e nella sua brillante e millenaria cultura, una cosa la rende
sempre attuale e contemporanea e fa sì che sia sempre ricordata e ammirata:
il ripetuto accenno che di essa fa la Bibbia. Il primo accenno che si fa della Persia nei libri biblici si
trova nella Genesi (cap. 10), nella lista dei popoli che sorsero dalla
discendenza di Noè dopo il diluvio. Quando parla dei figli di Iafet, il testo accenna ai popoli non
semiti, chiamati da noi "indoiraniani", sparsi nelle terre del Nord
e dell'Occidente della Palestina, e ai Medi (Madai) che ai trovavano ad
Oriente (Gn 10, 2). L'autore conosceva che questi popoli non appartenevano ne
all'etnia ne alla lingua semitica. Al tempo della redazione del libro, la
Persia achemenide (sec. VI a. C.) non era ancora una realtà politica
conosciuta, invece esisteva, già da qualche secolo, il regno dei Medi,
chiamati dagli archivi di Tiglat-Pilèser III proprio Maddai, come si legge
nel testo biblico. Dobbiamo poi fare un salto di secoli per ritrovare di nuovo
nella Bibbia le terre della Media quando, nel secondo libro dei Re, si parla
della deportazione degli abitanti di Samaria in Assiria e nelle regioni della
Media (2 Re 17, 6) dopo l'espugnazione della città da parte di Sargon II
eSalmanassar V (721 a. C.). In seguito si parlerà sovente della Persia in
occasione soprattutto dell'editto di Ciro il Grande (538 a. C.), che
permise il rimpatrio degli ebrei deportati in Babilonia per ricostruire il
tempio di Gerusalemme e stabilirsi nuovamente nella Giudea. Questo evento, di massima importanza per la storia di Israele,
viene ricordato dalla profezia del secondo Isaia (Is 44, 24 - 45, 7) e dai
racconti dei libri di Esdra (Esd 1, 1-11), di Neemia (Ne 1,1 - 2,11) e della
fine del secondo libro delle Cronache (2 Cr 36, 22-23). In tutto il movimento del ritorno a Gerusalemme, giocò un
grande ruolo la profezia delle "settanta settimane" di Geremia (Ger
25,11-12), profezia citata e interpretata poi dal profeta Daniele (Dn 9,
1-27). Questa profezia conterebbe un numero tondo di 70 anni a partire del
609, anno della morte del re Giosia e della sottomissione del suo successore
Ioachim a Babilonia. Il libro di Daniele
parla di Susa e del suo fiume Ulai quando, nel cap. 8, descrive la visione
che annuncia la fine dei regni dei Medi e dei Persiani e l'avvento di
Alessandro Magno con i susseguenti regni dei Diadochi o generali successori
di Alessandro. La storia di Ester e di Mardocheo si svolge interamente nelle
terre della Persia (più concretamente nella città di Susa, residenza della
corte achemenide). Il libro di Tobia descrive buona parte del suo
bellissimo racconto nelle terre della Media, nelle città di Ecbatana (attuale
Hamadan) e di Rage (attuale Rey, presso Teheran), Anche il libro di Giuditta
accenna diverse volte alla Persia. Parla di Ecbatana, dove regnava Arfaxad, e
fa una descrizione grandiosa delle sue potentissime mura (Gdt 1, 1-4). In
seguito parla della regione di Ragau (Rage) dove si svolse la battaglia di
Nabucodonosor contro Arfaxad, nel corso della quale quest'ultimo fu vinto
(Cdt 1, 13-15). Finalmente anche i due libri dei Maccabei parlano della Persia quando accennano alle
conquiste di Alessandro Magno (1 Mac 1, 1-9) e alla città di Elimaide con il
suo tempio di Nanea, di cui Antioco IV voleva depredare i tesori (1 Mac 6,
1-4). E' anche degno di nota che la figura di Alessandro Magno sia demitificata
dall'autore del primo libro dei Maccabei, che considera nella vita e nelle
vicende del Macedone vittorioso la parte di debolezza e i limiti della
condizione umana. Nel considerare il riflesso che la Persia ha sulla Bibbia,
c'è anche da segnalare il caso letterario dell'utilizzo, nello stesso testo
originale ebraico, di qualche parola tipicamente persiana, come vediamo nel
vocabolo "pardes" (giardino), adoperato nel Cantico dei
cantici: "pardes rimonim", "giardino di melagrane" (Ct 4,
13). Pochi paesi, fuori della Palestina, Mesopotamia o Egitto, sono
stati tanto citati nella Bibbia come la Persia. Questo paese ha esercitato un
fascino singolare sugli autori sacri, sicuramente per la sua ricchezza, il
suo potere politico e la benevolenza dei suoi
sovrani verso il popolo di Israele, caso tipico dell'influsso
linguistico e che fa pensare alla composizione di questo libro nel cosiddetto
"periodo persiano" o posteriore ad esso (tra i secoli V e II a.C.) Joan Maria Vernet SacroCuore/dicembre2002/gennaio2003 |
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"Monti e voi tutte, colline, lodate il Signore" (Sal
148, 9). "Gesù amava la montagna. Ogni volta che doveva comunicare qualcosa
di bello ai suoi apostoli, se li portava su qualche monte della sua terra.
Per Matteo il luogo privilegiato delle manifestazioni di Gesù sono i monti
della Galilea. La vita di Gesù è inquadrata da due scene sul monte:
all'inizio, il diavolo condusse Gesù sopra un monte altissimo per offrigli il
potere sul mondo (Mt 4, 8-10) e alla fine, Gesù conferisce ai suoi il potere
che ha ricevuto dal Padre (Mt 28. 16-20)" (Pia Compagnoni). Ben sappiamo che nella Bibbia i monti sono stati sempre privilegiati
come luogo di rivelazione o di manifestazione di Dio. Basta pensare al monte
Sinai, al monte Nebo, al monte Tabor e ad altri. La stessa configurazione
della montagna, elevata verso il cielo e dove si gode più il silenzio e la
bellezza della natura, ha ispirato gli uomini biblici e in genere tutti i
fondatori di religioni, che l'hanno considerata come luogo ideale
dell'incontro con Dio. Molti monti di Israele furono centri religiosi importanti già
da tempi remotissimi. Al tempo dei Cananei (gli ultimi abitanti prima
dell'arrivo degli Ebrei) la gente venerava in modo particolare le montagne e
vi eresse molti santuari. Alcuni di questi santuari passarono poi agli
Israeliti che li trasformarono in centri della loro religione, prima che il
tempio di Gerusalemme fosse da essi ritenuto come unico luogo di culto. Lo stesso tempio di Gerusalemme si innalzava sul monte, detto
appunto "monte del tempio", sicuramente sui resti di un antico
santuario gebuseo. La Bibbia cita spesso le montagne sia per il senso religioso
che suscitano sia perché su di esse si sono svolti avvenimenti importanti o
vi è vissuto qualche personaggio celebre, o perché vi era edificata una città
o un santuario. "La loro altezza e la loro stessa mole provocano un
sentimento misterioso del sacro. Per questo quasi tutti i popoli hanno i loro
monti santi, concepiti come dimora della divinità. La Bibbia conserva in
parte queste credenze, depurandole da ogni elemento incompatibile con il più
puro monoteismo. Appaiono infatti nella Sacra Scrittura allusioni al
"monte di Jahvè" o alla "montagna santa" (O. Garcia de la
Fuente). In Terra Santa sembra che tutto si magnifichi e si ingrandisca.
Forse perché l'estensione ridotta della terra e l'umiltà geologica delle sue
componenti ha creato il bisogno di ingrossare gli elementi geografici del
posto: così il lago di Galilea diventa un mare; un villaggio qualsiasi vien
chiamato città; e una collina, monte. Quando si parla di monti nella terra di Israele si deve tener
conto che sono pochi quelli che oltrepassano i mille metri di altezza; si
possono contare con le dita di una mano. Il Libano e l'Ermon, monti che si
aggirano attorno ai 3000 m, si innalzano propriamente fuori della Terra
Santa, dove la montagna più alta è quella presso Merom, in Galilea,
con appena 1208 m. di altezza. Tra i monti importanti della storia biblica dobbiamo citare
innanzitutto il monte Sinai, culla della religione e dell'esperienza
religiosa del popolo guidato allora da Mosè. Fa parte non solo della
geografia e della storia biblica, ma anche della fede e della pietà
giudeo-cristiana ed è motivo di lode e di gloria per il Signore, citato in
parecchi salmi. Ma è stata soprattutto la presenza di Gesù - di cui alcuni
monti della Terra Santa mostrano l'attrattiva incomparabile del suo ricordo e
della sua preghiera - a renderli così cari e santi. Joan Maria Vernet SacroCuore/aprile
2003 |
Così descriveva questo monte Felix Fabri OP nell'anno 1480:
"Comunemente viene chiamato Monte degli Ulivi. Tuttavia il suo vero nome
è Monte delle Luci poiché questo monte è il primo ad essere illuminato dal
sole. All'aurora viene baciato dalla luce del sole molto prima di qualsiasi
altro monte, e da lui i suoi raggi passano alla Città Santa. Dalla sua vetta, contemplando la Città di Gerusalemme, si
comprende quello che dice il Salmo 125, 3: "I monti circondano
Gerusalemme...". E dirà il Patriarca di Gerusalemme Sofronio (sec. VII): "Attraversata
la Porta maggiore, procedendo su gradini osserverò ad Occidente la bellezza
della Città Santa. "Come e bello guardare il tuo splendore dal monte
degli Ulivi...!". Il Monte degli Ulivi è l'unico monte che sia espressamente
nominato nei Vangeli. Il Pentateuco ignora totalmente Gerusalemme e i suoi
monti. Conosce solo il monte Oreb o Sinai, monte della rivelazione di Dio e
dell'Alleanza. Negli altri libri dell'Antico Testamento il monte che risalta
più di qualsiasi altro è il monte Sion, il monte del tempio, citato centinaia
di volte. Con Gesù si fa un silenzio totale su questi monti. Un altro prende
il loro posto: il Monte degli Ulivi. Il monte degli Ulivi possiede diversi nomi: Monte Oliveto,
"Har ha-Zeitim" in ebraico, "Gebel at-Tur" in arabo
(sinonimo di monte santo). La sua altezza massima è di 818 m. E la parte
centrale della catena di monti che, venendo dal Monte Scopus (con
l'Università ebraica e l'ospedale Augusta Victoria a nord), continua poi
verso il sud con il monte dello Scandalo, dove Salomone eresse santuari alle
divinità straniere per le sue mogli (1 Re 11, 7). "I grandi avvenimenti del Monte degli Ulivi costituiscono
essenzialmente una storia religiosa... Questo monte rimane oggi ciò che era
all'epoca di Davide: una sommità spirituale" (A. Storme). Davide si
incontrò con Achimelec, e gli chiese dei pani (1 Sam 21, 2-10); più tardi,
Davide salì piangendo l'erta del monte degli Ulivi a causa della rivolta del
figlio Assalonne (2 Sam 15, 30-37). Il monte degli Ulivi segna il percorso dell'ultima strada fatta
da Gesù: "Dalle tenebre dell'agonia alla gloria dell'Ascensione".
Per questo esso è tanto caro al cuore cristiano; la pietà bizantina,
medievale e moderna l'ha venerato e lo venera in modo particolare. Da noi
viene ricordato nella recita di due misteri del Rosario: nel primo mistero
doloroso (l'agonia di Gesù al Getsemani), e nel secondo mistero glorioso
(l'ascensione di Gesù al cielo). Si potrebbe aggiungere anche il quarto
mistero glorioso, l'assunzione di Maria in corpo ed anima al cielo, avvenuta
a partire dalla sua tomba ai piedi del monte degli Ulivi. Nei suoi due
versanti, ricorda molti altri episodi della vita di Gesù: - sul versante orientale ci sono Betania e Betfage dove si
trovava prima della Passione; - sulla sua cima, la grotta degli insegnamenti di Gesù e del
Padrenostro, il luogo dell'Ascensione (il bizantino Imbomon) e la
chiesa greco-ortodossa dei "Viri galilei", dove avvenne l'incontro
tra Paolo VI e il Patriarca ecumenico Atenagora (ripetuto poi alla
Delegazione Apostolica); - sul pendio occidentale si ricorda il pianto di Gesù (Dominus
flevit), la grotta del Tradimento, il luogo dell'Agonia di Gesù e la
tomba di Maria. Nell'epoca bizantina era il monte prediletto dai fedeli, ricco
di chiese e monasteri (più di trenta) perché vide gli ultimi giorni della
vita terrena di Gesù: concretamente la risurrezione di Lazzaro, la cena di
Betania, la processione da Betfage verso Gerusalemme e il suo pianto sulla
Città. Poi, il discorso escatologico, la preghiera del Getsemani, il
tradimento di Giuda, l'arresto, e finalmente l'Ascensione. I giudeo-cristiani
lo scelsero come luogo privilegiato di sepoltura. Anche oggi ci sono tanti santuari, monasteri e cimiteri su
questo monte, uno dei più venerati e visitati della Terra Santa. Joan Maria Vernet SacroCuore/maggio 2003 |
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Il monte Garizim (881 m) non è citato col suo nome nel Nuovo
Testamento ma la sua evocazione diede
a Gesù occasione di parlare di uno dei
temi più belli e profondi sull'adorazione del Padre. Questo monte è chiamato in arabo at-Tur, nome condiviso
con gli altri monti santi: il Sinai, il Tabor e il monte degli Olivi. Da
sempre il Garizim è stato un monte santo, sia nella religione cananea che in
quella israelitica e samaritana. Anche gli Ellenisti e i Romani vi eressero
dei templi e non mancò una grande basilica cristiana, quella della Theotokos
o Madre di Dio, costruita dall'imperatore bizantino Zenone nel 481. La centralità di questo monte in Terra santa, le sue condizioni
geologiche (pendii facili, largo pianoro sulla superficie, altezza non
eccessiva) e la sua incomparabile vista panoramica su tutta la Palestina
(dalle colline di Galaad al mar Mediterraneo, dai colli della Galilea ai
monti della Giudea) hanno fatto di esso un monte venerato e amato nella
religiosità di queste terre lungo i secoli. A cominciare con la Bibbia, il Garizim è stato chiamato il
monte delle Benedizioni (Dt 27-28), dove alcune tribù di Israele hanno
proclamato le benedizioni del Signore su coloro che osservano i comandamenti
di Dio, a differenza del monte Ebal, chiamato monte delle Maledizioni. Nella
riforma religiosa di Geroboamo I, il monte Garizim fu trascurato, avendo dato
più importanza ai luoghi strategici di Betel e di Dan, limiti nord e sud del
regno della Samaria, e ciò per evitare che i pellegrini andassero a
Gerusalemme per le feste. Fu nel tempo che seguì la deportazione di Samaria verso le
terre dell'Assiria e della Media (721 a.C.), che si istituì il vero culto samaritano
centrato sul monte Garizim, quando la religione javista degli israeliti
rimasti nel regno del nord si mescolò con la religione delle città da cui
provenivano i nuovi venuti in Samaria. La separazione dagli ebrei del sud si
fece più profonda quando Sanballat, governatore della Samaria, volle impedire
a Neemia la costruzione delle mura di Gerusalemme (Ne 3-4). L'allusione del libro di Neemia (cap. 13) sull'esclusione dal
tempio del figlio del sommo sacerdote, viene spiegata da Flavio Giuseppe, che
ci parla, in seguito, della costruzione del tempio samaritano. Dice il testo
biblico: "Uno dei figli di Ioiadà (Jaddo in Flavio Giuseppe) figlio di
Eliasib, sommo sacerdote, era genero di Sanballat il Coronita: io lo cacciai
via da me" (Ne 13,28). E, secondo Flavio Giuseppe, la storia era questa:
Il figlio cacciato via era Manasse, che si era sposato con Nicaso, figlia di
Sanballat. Nella riforma di Neemia tutti i matrimoni misti dovevano
sciogliersi e un gran numero di israeliti e di sacerdoti lo fecero, ma altri
opposero resistenza. Uno di questi fu Manasse, che preferì rimanere con la moglie
Nicaso e andarsene in Samaria. Come riconoscenza per il suo amore e per la sua fedeltà, il
suocero Sanballat lo ricompensò costruendo sul monte Garizim un tempio in
tutto simile a quello di Gerusalemme. Altri sacerdoti sposati con donne samaritane andarono con Manasse e Sanballat
regalò loro città e terre (Antichità Giudaiche XI, VIII, 302-303). Più tardi la difficile relazione tra giudei e samaritani si
complicò con il dominio degli Asmonei e arrivò al punto massimo di tensione e
di odio quando Giovanni Ircano cercò di impiantare con la forza il giudaismo
in Samaria e, soprattutto, quando, nel 128 a.C., distrusse il tempio di
Sanballat sul monte Garizim. Era questa la situazione sociopolitica quando Gesù si incontrò
con la donna samaritana. Giovanni annota: "I giudei infatti non mantengono buone
relazioni con i samaritani" (Gv 4, 9). E più avanti la samaritana dirà a Gesù: "I nostri padri
hanno adorato Dio su questo monte e voi dite che è a Gerusalemme il luogo in
cui bisogna adorare" (Gv 4,20). La risposta di Gesù fu: "Né
su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre... I veri adoratori
adoreranno il Padre in spirito e verità" (Gv 4, 21-23).» Joan Maria Vernet SacroCuore/settembre
2003 |
Monte
Calvario Di tutti i monti di cui parla
la Bibbia quello che merita più attenzione e
rispetto è senza dubbio il
monte Calvario. Su di esso fu crocifisso Gesù,
il Messia, Salvatore degli uomini e col suo sangue sparso sulla Croce
l'umanità intera fu redenta "Oltre la Porta del Giudizio, che si apre nella parte
occidentale delle mura, si alza a poca distanza la piccola collina del
Golgota. Nei suoi dintorni ci sono vecchie cave di pietra in alcune delle
quali erano state tagliate delle tombe. Nell'avvallamento tra la collina e le
tombe vi era pure un orto" (Tu, Madre del Messia, p. 157). Più o meno
così vien descritto dagli autori il Calvario e i suoi dintorni, luogo vicino
a Gerusalemme. In effetti si tratta di un piccolo promontorio, non superiore
a 10 m di altezza. E' interessante inoltre considerare che i Vangeli non
parlano mai del Calvario o Golgota come "monte". Dicono
semplicemente il Luogo chiamato Calvario". Il nome di monte ci viene
dall'antica tradizione cristiana che ben conosceva il posto. L'archeologia ce
lo ha fatto vedere come un modesto colle calcareo fuori di Gerusalemme e a poca
distanza dalle sue mura. Il nome di Calvario o Teschio (in ebraico Golgota)
gli era stato dato forse dalla sua forma, ma secondo P. Vincent "sarebbe
meglio affermare che quel nome fu semplicemente dato ad un rilievo roccioso
qual è precisamente il luogo della crocifissione, perché offriva un rialzo, proprio come
ancora oggi, in Oriente si chiamano ras (testa) certe asperità naturali che
non hanno assolutamente nulla a che vedere con una somiglianza umana". A parte questioni sul nome e sulla forma, il Calvario rimane
tra tutti i luoghi della Bibbia quello più venerato e amato. Al tempo di Gesù
questo modesto promontorio si trovava, fuori le mura di Gerusalemme. Solo
alcuni anni più tardi, quando regnava sulla Giudea Agrippa I, il posto fu
inglobato entro le mura della città (come di fatto oggi appare). I discepoli
di Gesù e la primitiva comunità conoscevano perfettamente il luogo e alla
loro maniera, molto discretamente, lo veneravano. Quando, nel sec. II, l'imperatore Adriano decise di riedificare
la nuova città di Gerusalemme chiamandola Elia Capitolina, volle far piazza
pulita di quel luogo che i cristiani consideravano molto importante per la
loro fede, e costruì sullo spazio che occupava il monticello e la tomba di
Cristo un tempio consacrato alla triade capitolina Giove, Giunone e Minerva.
Sul luogo stesso del Calvario eresse una statua di Venere. Così, per circa 200 anni, quella costruzione pagana rimase sul
luogo più santo della cristianità, nascondendolo ma anche proteggendolo. Nel
concilio di Nicea (325) il vescovo di Gerusalemme Macario chiese
all'imperatore Costantino di riportare alla santità dovuta quei luoghi così
amati dai fedeli. L'ordine dell'imperatore non si fece attendere e cominciò
la costruzione della grande basilica costantiniana. Constava di una grande
chiesa a cinque navate dietro la quale c'era una quadriportico e a
continuazione vi era la grande rotonda o spazio circolare con in mezzo la
tomba di Cristo. Il Calvario si trovava in un angolo del quadriportico. La
costruzione costantiniana era una delle più splendide e più antiche
edificazioni cristiane non solo della Palestina ma di tutta la Chiesa. Rovinata diverse volte e poi distrutta, la basilica fu
nuovamente ricostruita dai Crociati (sec. XII) ed è praticamente la stessa
costruzione che oggi si può ancora ammirare da tutti e che si conosce come
basilica del Santo Sepolcro o, come dicono i Greci, basilica dell'Anastasis o
della risurrezione. La chiesa dei Crociati, molto bella e solida, è un'opera
geniale e armonica, che ingloba nel suo interno tutti i posti citati nella
passione di Cristo (crocifissione, unzione, risurrezione) e inoltre il luogo
che attualmente si chiama cappella di sant'Elena, dove, secondo la storia, fu
ritrovata, nel sec. IV, la croce di Gesù. Il Calvario, inseparabile dal santo Sepolcro, da venti secoli è
venerato dalla fede e dall'amore della Chiesa e costantemente visitato da
pellegrini e fedeli di tutto il mondo: simbolo di sofferenza e di morte, ma
anche luogo di risurrezione e di gloria. Joan Maria Vernet SacroCuore/ottobre
2003 |
"Le è data la gloria del Libano, lo
splendore del Carmelo e di Saron " (Is 35,2). Dire monte Carmelo è dire devozione mariana, santuario della Madonna,
scapolare, evocazioni bibliche di Elia. Tutti hanno sentito parlare di questo
monte, ma certamente non tutti avranno un'idea della sua situazione
geografica, delle sue dimensioni, della sua bellezza. È quello che ora ci
proponiamo di fare, con lo scopo che i lettori, siano o non siano stati in
Terra Santa, possano avere una informazione e un concetto su questo monte,
estremamente bello, citato spesso nell'Antico Testamento. La parola Carmelo
in ebraico significa "vigna di Dio". Il monte Carmelo è propriamente un'altura che non raggiunge i
600 m. e, più che una catena
montagnosa, forma un vasto altipiano con colline, avvallamenti e dirupi. La
forma di tutto questo insieme è somigliante ad un grande triangolo isoscele,
con la base da Haifa a Suni (vicino a Cesarea): 34 km di lunghezza, e i due
lati, che convergono a Mùhraqa, di 22 km ognuno. Questo monte si trova nella
parte nord-occidentale della Palestina, avendo il suo inizio nell'alto
promontorio che domina la città Haifa, sul mare Mediterraneo. Nella parte orientale si stacca dal massiccio montagnoso della
Samaria nella depressione di Uadi Milh (moderna strada di Jokneam). La sua
altezza massima è di 536 m, nella cittadina di Isfiya. L'anfiteatro che si
osserva dal posto di Mùhraqa (130 m più in giù) non è altro che un resto di un antico vulcano spento. In fondo
alla valle (la grande pianura di Esdrelon), scorre il torrente Kishon, citato
anch'esso diverse volte nei libri storici dell'Antico Testamento. Il panorama che si osserva dal Carmelo è impressionante per la
sua bellezza e vastità: verso nord si scorgono le colline di Nazaret e la
pianura di Esdrelon. Verso occidente, il Mar Mediterraneo, verso est e sud il
monte Tabor, i monti di Gelboe, le terre della Samaria e la pianura di Saron.
Tutto il Carmelo è rivestito da una rigogliosa vegetazione: pini, querce,
mirti, lentischi, terebinti, ulivi, carrubi e cipressi. La fauna vi è
ugualmente abbondante e svariata: cinghiali, volpi, sciacalli, tassi,
porcospini, aquile, falchi e tante altre specie. Biblicamente il Carmelo è citato nei libri storici e poetici,
dove viene messo in risalto la sua bellezza e la sua ricchezza, sempre
giovani. Nel Nuovo Testamento non vi si accenna mai. La figura biblica che
domina la storia di questo monte è il profeta Elia (1 Re 18) con il famoso
sacrificio dei profeti di Baal e la visione della nuvoletta che saliva dal
mare. Anche Eliseo soggiornava spesso sul Carmelo e proprio lì andò a
cercarlo la donna sunammita per condurlo con sé, dopo la morte di suo figlio,
che venne risuscitato dal profeta (2 Re 4). I pellegrini antichi (tra cui Beniamino di Tudela) parlano di
dodici pietre disposte a forma di cerchio: pensavano fosse l'altare di Elia
eretto al momento del sacrificio, ma probabilmente si trattava dei resti di
un antico santuario cananeo dedicato a Baal. La visione della nuvoletta fu
sufficiente a Elia per scoprirvi la fine di una lunga carestia di tre anni e
mezzo: quella nuvoletta infatti diventò poi un cielo plumbeo di nubi che
scatenò una dirottissima pioggia. I Padri della Chiesa videro in questa
nuvoletta la figura di Maria, origine umana del Salvatore, che è la vera
pioggia della salvezza degli uomini, desiderata da Isaia: "Stillate,
cielo, dall'alto e le nubi facciano piovere la giustizia" (Is 45,8). Nel periodo bizantino (sec. IV-VII) vi fu sul Carmelo una
grande fioritura di eremiti, cenobiti e monaci, attratti dall'esempio di
Elia. Nel medioevo, al tempo dei Crociati, il monte Carmelo si ripopolò
ancora di monaci e vi si originò l'ordine carmelitano che tanta gloria
avrebbe dato a Dio. Nel sec. XVIII si costruì una bella chiesa sopra la
cosiddetta grotta di Elia che è l'attuale santuario detto "Stella
Maris", visitato ogni anno da migliaia di pellegrini, non solo cristiani
ma anche musulmani. Così il Carmelo, con la sua vita rigogliosa e i suoi
ricordi biblici, offre anche ai nostri giorni spazio alla vita spirituale
all'ombra della Madonna. Joan Maria Vernet SacroCuore/dicembre
2003 |
I monti di Gelboe sono celebri per il canto che ne fece Davide
quando seppe la notizia della morte di Saul e Gionata nella sconfitta degli
ebrei di fronte ai filistei (2 Sam 1,19-27). Quel: "O monti di Gelboe, non più rugiada ne pioggia su
di voi, ne campi di primizie, perché qui fu avvilito lo scudo degli
eroi!" risuona ancora con tutta la tremenda forza dell'amarezza,
della frustrazione, quasi della disperazione e della maledizione che
infiammavano il cuore del giovane Davide quando seppe di quella disfatta. Il
cuore ferito dell'amico non poté bloccare l'immensa ondata di emozione e di
dolore che gli straziava le viscere, e il suo sentimento rimase come
pietrificato in quest'elegia memorabile ai caduti in battaglia presso i monti
di Gelboe: uno dei capolavori della poesia biblica antica. I monti di Gelboe sono le ultime propaggini delle montagne
della Samaria nord-orientale, a forma di arco, che vanno da nord a est, con
un totale di 18 km di lunghezza, per 5 o 6 km di larghezza. La loro altezza
massima si trova nel gebel Fuku'a, a 518 m. Questi monti si vedono a sinistra
della strada che per la valle del Giordano si dirige verso Nazaret, appena si
entra nella Galilea. Il terreno che si percorre è la parte orientale della
grande pianura di Isreèl (o Esdrelon), la più vasta e ricca di Israele, che
si prolunga per alcuni km verso sud e arriva fino al Giordano, e poi si
estende verso occidente, giungendo fino al Mediterraneo. Quando il re Saul andò dai monti di Gelboe fino al luogo di
Endor, nella collina antistante, per consultare la negromante, il percorso
dovette essere di circa 15 km, quindi di tre ore circa di cammino. La
risposta che gli diede lo spirito di Samuele, evocato dalla negromante, fu
fatidica, con l'annuncio scarno della sconfitta dell'esercito di Israele e
della morte del re e dei suoi figli. Ascoltando quelle parole, "Saul
cadde a terra lungo disteso, pieno di terrore per le parole di Samuele"
(1 Sam 28, 20). La battaglia nel giorno seguente si combatté ai piedi dei
monti, anche se il luogo preciso non viene indicato. Saul con Gionata e altri
suoi figli furono uccisi dai filistei e i loro corpi furono appesi alle mura
della vicina città di Bet Shean. Più tardi vennero gli abitanti di Iabes di
Galaad e diedero degna sepoltura a quei corpi umiliati (1 Sam 31,11-13). Dicono che i rabbini di Israele hanno seminato di sale una
delle cime di questi monti per evitare che vi cresca la vegetazione e rendere
così più visibile la maledizione di Davide su di essi. Ai piedi dei monti di
Gelboe si trova un luogo, famoso per la sua bellezza e abbondanza di acque,
Sohne, formato da un lungo bacino di acque termali attorno alle quali ci sono
dei giardini e dei prati che permettono un tempo di svago per migliaia di
persone. La vegetazione rigogliosa, fatta di palme, cipressi, ulivi e mille
altre specie favorisce le ore di riposo e di relax che tanti abitanti della
Galilea e dell'intero Israele si prendono come vacanza. Ma il luogo più importante di questi dintorni, descritto con
tutto dettaglio dalla Bibbia, è senza dubbio quello della sorgente di Ain
Harod, dove Gedeone fece la scelta dei suoi uomini per combattere i nemici.
In effetti, "qui, intorno alla fonte, si accampò Gedeone con le truppe
dalle quali, scegliendoli per ordine dell'Altissimo fra coloro che non si attardavano
nel calmare l'arsura, e trasse i trecento prodi con cui assalì di nottetempo
gli alloggiamenti dei Madianiti (Gdc 7,4-23)" (Donato Baldi, Guida di
Terra Santa, 216). Il racconto parla di 32.000 soldati di Gedeone, ma con la
scelta fatta presso le acque della sorgente, gli rimasero solo 300 uomini;
con questo piccolo numero vinse il nemico che voleva invadere Israele. Dio
ridusse drasticamente il numero dei guerrieri affinché si vedesse chiaramente
che la vittoria di Gedeone era dovuta all'aiuto di Dio e si incrementasse la
fede del popolo nel suo Dio. I luoghi di questa regione citati nella Bibbia si trovano quasi
tutti tra i monti di Gelboe e la collina di Ghivat Morè: - Ain Harod (storia di Gedeone: Gdc c. 7). - Pianura (vittoria di Gedeone contro i Madianiti: Gdc 7). -
Endor (negromante: 1 Sam 28). - Yisreel (vigna di Nabot: 1 Re 21; 2 Re 9). Patria di
Achinoam, moglie di Davide e madre di Amnon, il primogenito. - Sunem (la donna sunamita: 2 Re 4). - Bet Shean (nelle cui mura furono appesi i corpi di Saul e
Gionata (1 Sam 31) Joan Maria Vernet SacroCuore/gennaio2004 |
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Tutti i pellegrini e turisti che si recano in Galilea rimangono
ammirati di una bella collina solitaria che si trova a occidente del lago di
Tiberiade. E una collina formata da un vecchio vulcano spento il cui cratere
si eleva a 316 m. sul livello del mare. Questa collina solitaria si vede
quasi sempre da lontano, normalmente non si visita perché un po' fuori mano,
e il suo nome, Corni di Hattin, viene a indicare la forma del promontorio con
due vette ravvicinate l'una all'altra. Si trova su un altopiano della bassa Galilea, a occidente del
lago. Dalla parte sud la collina è attorniata da una fertile pianura che
discende soavemente, mentre che dalla parte nord cade a precipizio sulla
pianura di Arbela. Il vecchio cratere è circondato da grandi pietre nere,
basaltiche, mentre sulla pianura circostante e all'interno del cratere cresce
abbondante il grano. Anche se poco visitato e conosciuto, malgrado la sua bellezza e
l'imponente panorama che si scorge dalla sua vetta, gli studiosi di Storia
universale conoscono bene questo luogo, almeno lo hanno letto e considerato
tante volte nei libri che parlano dei Crociati. Proprio attorno a questi
Corni del cratere, il 4 luglio 1187 si svolse una grande battaglia tra
musulmani e cristiani, con la sconfitta di questi ultimi. Fu la luttuosa
disfatta dei Crociati di fronte a Salah ed-Din (o Saladino), che segnò la
fine del dominio latino sulla Terra Santa. "Vi perirono 20.000 cristiani e 30.000 furono fatti
prigionieri. Lassù, sulla collina di Hattin, quando già tutto era perduto e
il campo circostante tutto cosparso di cadaveri e di feriti, una piccola
schiera di Templari e di Ospitalieri, l'eletta dei prodi, stretti intorno al
re, tentarono l'ultima disperata difesa contro il nemico; e là infine
dovettero arrendersi al vincitore Saladino. Sulla cima di Hattin vi sono rovine antiche, probabilmente
della città cananea di Madon, presa da Giosuè (Gs 11,1). Il villaggio di
Hattin è abitato da drusi che vi venerano un apocrifo sepolcro di Jetro (Nabi
Shuweib), suocero di Mosè" (Donato Baldi, Guida di Terra Santa, pgg.
237-238). La collina non offre esplicitamente alcun ricordo biblico, non
essendo mai citata nella Scrittura, ma una tradizione locale, testimoniata da
un piccolo monumento eretto dai francescani, vi vorrebbe ricordare la scena
della chiamata degli Apostoli fatta da Gesù (Mc 3,13-19). Il vangelo
dice: "Gesù salì sul monte e chiamò a sé quelli che egli volle e
andarono da lui". Il luogo è molto suggestivo e nulla potrebbe opporsi al fatto
descritto nel vangelo, ma mancano le prove scritte o archeologiche e la voce
della tradizione antica. Parlavamo della sua bellezza e dell'imponente paesaggio che si
scorge dalla sua vetta. Infatti è uno dei punti panoramici più belli della
Galilea da dove si possono vedere, a nord, il monte Hermon e il monte Merom;
ad est, le alture del Golan, le terre di Galaad e la valle del Giordano; e ai
suoi piedi, a solo pochi chilometri, la famosa gola di Arsela, profondo e
ampio burrone che scende verso il lago e le cui sponde, tagliate a picco,
sono perforate dalle "grotte di Arbela", conosciute dalla storia di
Erode il Grande, che riuscì a stanare da quei rifugi i briganti che vi si
nascondevano e infestavano la Galilea, rendendola ingovernabile. Verso il sud si vede il monte Tabor e in lontananza le montagne
della Samaria; verso ovest ci sono le colline boscose della Galilea, con
l'avvallamento in cui si trova il santuario della tomba di Jetro. Ogni anno
migliaia di drusi provenienti da Israele, dalla Siria e il Libano accorrono a
questo posto centrale della loro fede per celebrare la memoria di quel
personaggio appena conosciuto nei libri dell'Antico Testamento. Corni di Hattin, natura rigogliosa, panorama splendido, ricordo
triste di una sconfitta, e forse anche memoriale della presenza di Gesù per
la scelta dei suoi Apostoli... Voi siete, come ogni angolo della Terra Santa,
un libro aperto per la storia, un pagina per la riflessione, un invito a
sentire più da vicino la presenza di Colui che passò beneficando per queste
stesse strade della Galilea. Joan Maria Vernet SacroCuore/febbraio2004 |
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Guardando verso il nord di Gerusalemme, si scorge sempre, sulla
vetta di una collina, un edificio con un minareto e alcuni alberi accanto. È
la collina di Nebi Samwuil, con 895m di altezza. Questo elevato promontorio è
uno dei punti più alti della Giudea e domina l'intera area di Gerusalemme. È
anche uno dei luoghi più ricchi di fatti biblici, celebre per la presenza di
grandi personaggi dell'Antico Testamento, dall'epoca dei Giudici fino a
quella dei Maccabei. Questa nobile altura offre una splendida veduta su gran parte
della Giudea e di Gerusalemme fino alle terre della Transgiordania, la valle
del Giordano e il Mar Mediterraneo. Del posto ci vien detto che era "la più grande
altura" (1 Re 3, 4), nel senso "del più importante alto luogo o
santuario" della Giudea, prima della costruzione del tempio di
Gerusalemme. In effetti, vi era un antico tempio cananeo, quello di Gabaon,
dove era stato eretto l'altare dei sacrifici e la tenda del deserto di
Israele. Salomone vi "offrì mille olocausti" (1 Re 3, 4), e proprio
qui, su questa cima, ebbe la sua celebre visione o sogno in cui Dio gli disse
di chiedere qualsiasi grazia e gli sarebbe stata concessa. Salomone chiese la
sapienza (2 Cr 1, 1-13). Con la costruzione poi del tempio di Gerusalemme,
l'alto luogo di Gabaon perdette importanza, ma sempre conservò il ricordo di
un luogo santo dove erano avvenuti importanti fatti della storia di Israele. Altre scene bibliche che ricorda questo luogo sono: la scelta
di Saul come re di Israele (1 Sam 10, 17-27), l'uccisione dei discendenti di
Saul e il gesto eroico di Rizpa (2 Sam 21, 1-14), e il raduno e la preghiera
dei soldati di Giuda Maccabeo (1 Mac 3, 46-60). Ma senza dubbio il personaggio più importante che si recò sulla
cima della collina è stato Samuele, e proprio per la sua presenza (più che
per la sua tomba), questa cima solitaria, visibile da grande distanza, è
stata consacrata dalla memoria popolare, a partire già dal periodo bizantino,
al profeta Samuele. E stato infatti lo storico di Giustiniano, Procopio (sec. VI) a
raccontarci che su questa collina vi era un monastero dedicato alla memoria
di san Samuele. Questo profeta e ultimo giudice di Israele fu una persona
rilevante in un periodo di difficile transizione tra il tempo dei giudici e
quello dei re, cambio che lui seppe fare con notevole prudenza e saggezza. "All'alba del 7 luglio 1099, i crociati videro per la
prima volta da questa collina la città che era stata in cima ai loro pensieri
per tre anni (Gerusalemme). Alla loro esplosione di gioia fecero eco molti
pellegrini e il nome popolare del luogo divenne "Mons Gaudii", in
francese medioevale "Mont Joie": "Monte della Gioia. La chiesa
costruita nel 1157 dai Premostratensi fu abbandonata quando essi si
ritirarono ad Akko dopo la battaglia dei Corni di Hattin, nel 1187. Riccardo
Cuor di Leone, re d'Inghilterra, vi passò alcune ore nel 1192. Fu quella la
sua fugace veduta della città santa che era venuto a liberare da tanto
lontano; egli infatti fu costretto ad abbandonare il suo piano di attaccare
Gerusalemme quando i rinforzi che attendeva non giunsero. Il suo biografo racconta che quando il re giunse a questo
luogo, le lacrime sgorgavano dai suoi occhi e si coprì la faccia con lo scudo
per non vedere la città che lui non era stato capace di liberare. Le difese del monastero gli conferivano l'aspetto di una
fortezza (100 x 50 m) e in quanto tale esso venne distrutto dal sultano
ayyubita al-Muazzam nel 1219. Si salvò la chiesa, che venne demolita
all'inizio del XVIII sec., quando venne eretta una moschea sulle sue
fondamenta. Nel tardo medioevo ebrei e musulmani erano soliti venirvi in
pellegrinaggio. Cominciato nel 1911, l'attuale edificio è stato gravemente
danneggiato al tempo della battaglia per la conquista di Gerusalemme nel 1917
e fu poi restaurato durante il mandato britannico" Se in un pellegrinaggio o viaggio a Gerusalemme si dispone di
un po' di tempo libero, si raccomanda vivamente una visita a questo luogo che
certamente arricchirà molto la conoscenza della Terra Santa, della sua storia
e dei suoi personaggi. Joan Maria Vernet SacroCuore/aprile 2004 |
Il monte delle Beatitudini si trova in mezzo ad un paesaggio
molto bello, pieno di colore e di armonia, sopra il lago di Galilea, in mezzo
alla striscia verde-smeraldo della valle del Giordano. Qui tutto è terra
fertile, vita, esuberanza. Un luogo incantato che si scambierebbe facilmente
per la porta del paradiso. Proprio qui Gesù pronunziò uno dei suoi discorsi
più ammirabili e fondamentali, il più popolare e il più conosciuto di tutti i
suoi discorsi: il discorso della
Montagna., "sintesi e vertice della predicazione evangelica"
(Paolo VI). Ma per un momento, come ci insegna Giovanni Paolo II, lasciamo
questo luogo incantevole. Lasciamo il lago e questo monte, e trasferiamoci ad
un altro monte, lontano, più al Sud: il monte Sinai. Il Sinai è tutta un'altra cosa: pure bello, solenne, grandioso,
ma austero, senza vita, tutto roccia dura, granitica, sabbia infuocata in una
regione desolata in mezzo all'immenso deserto: come se fosse un regno per cui
è giunta già la fine del mondo. Considerando i due monti, questo delle
Beatitudini e quello del Sinai, possiamo fare nostro il paragone di Paolo su
Agar e Sara, mogli di Abramo (Ga 4, 21-31) corrispendenti al Sinai e a
Gerusalemme. "Le due donne rappresentano le due Alleanze: una, quella
del monte Sinai, che genera nella schiavitù, rappresentata da Agar, che
corrisponde alla Gerusalemme attuale che di fatto è schiava insieme con i
suoi figli. Invece la Gerusalemme di lassù è libera ed è la nostra
madre"(vv. 24-26). Due Alleanze, due donne, due montagne. Un'opposizione chiara,
una svolta, un'altra visione di Dio e dei nostri rapporti con Lui. Il monte delle Beatitudini ci parla
di fiducia, di bellezza, di pace, di gioia, di certezza di una salvezza che
non si deve acquistare con l'osservanza della legge ma con l'accettazione di
una fede che santifica e trasfigura l'uomo. Questo monte (o collina) è molto
visitato e offre al pellegrino e al turista, non solo uno dei posti più belli
e impressionanti ma anche un'atmosfera particolare di pace, di armonia, di
sensazione di un alito divino che sembra rimanere qui dal tempo di Gesù,
talmente sereno è il luogo, talmente evocatrice è la memoria. Questa collina ricorda anzitutto il discorso della Montagna che
inizia con le beatitudini. Qui "l'occhio
per occhio" e il "dente
per dente", istinto gravato a fuoco nel cuore dell'umanità è stato
superato dalle Beatitudini (I. Larranaga). Le beatitudini sono lo stile di vita dei discepoli di Cristo.
Sono il Vangelo del Vangelo, cioè, lo Spirito stesso di Cristo, nella stessa
maniera che il Deuteronomio è lo spirito dell'Alleanza dell'A.T. Sono il linguaggio dello Spirito Santo: la
Grazia, il Dono, l'alito di Dio in noi. Sono il programma di vita dei figli di Dio, degli uomini salvati, che
si sentono amati, amici di Dio, figli della luce, e sentono il bisogno di
amare e corrispondere all'amore divino. Sono coloro che vivono secondo lo
Spirito e si lasciano guidare dallo Spirito. La tradizione cristiana ha considerato da sempre questo monte
della sponda occidentale del lago, non lontano da Cafarnao, come il monte
dove Gesù pronunziò il suo primo discorso. Dal punto di vista archeologico, il tempo bizantino ricordava
questo insegnamento in una chiesetta costruita più in basso, vicino al
santuario di Tabgha o della moltiplicazione dei pani. Il santuario attuale è
opera di Antonio Barluzzi negli anni venti del secolo scorso. Ma qualsiasi
punto di questo monte ammirabile può considerarsi come lo scenario di quel
meraviglioso discorso del Salvatore. Vicino alla sua vetta, papa Giovanni Paolo II celebrò una
grande messa per i giovani nella visita che fece in Terra Santa nell'anno
giubilare 2000. Presso il luogo della messa si innalza la "Domus Galileae", centro di
spiritualità delle comunità neocatecumanali. Joan Maria Vemet SacroCuore,maggio
2004 |
di Joan Maria Vemet Questo monte del deserto di Giuda sull'orlo della valle del
Giordano e sopra Gerico è uno dei monti più conosciuti dai pellegrini e
turisti che si recano alla Terra Santa, anche se non tutti hanno avuto la
possibilità di visitarlo e di salire fino alla sua vetta da dove si gode di
un vasto e stupendo panorama. La tradizione medievale ha voluto collocare qui
due tentazioni di Gesù. la prima, quella dei pani, e la terza quella dei
regni del mondo visti da Gesù dall'alto del monte. Nel periodo dei Maccabei (sec. II a. C.) si innalzava una
grande fortezza, chiamata Doq (Doq in aramaico significa 'luogo elevato'), costruita dal
generale siriano Bacchide su una spianata di 100m di lunghezza per 40 di
larghezza. In quella fortezza venne ucciso più tardi il terzo dei fratelli
Maccabei , Simone, l'anno 134 a.C. L'anno 340 d.C. san Caritone, fondatore
del monachesimo nel deserto di Giuda, fondò sul posto dell'antica fortezza
distrutta la sua seconda "laura"
o insediamento eremitico. Alla fine del sec. IV, secondo Palladio,, vi erano
tanti monaci che tutta la montagna sembrava una città. Nel periodo bizantino
(sec. IV-VII) si ricordavano in questo luogo i 40 giorni del digiuno di Gesù
e le sue tentazioni, e la celebre pellegrina Egeria, salì "sul monte
consacrato al Signore sovrastante Gerico" secondo la testimonianza di
Valerio, sec. VII. Nel Medio Evo, al tempo dei Crociati (sec.XII), si credeva che
Gesù aveva subito in quel luogo due delle sue tentazioni, e si eressero due
cappelle, una in una grotta a mezza costa, l'altra sulla vetta. Nei
trent'anni che scorrono tra il 1874 e il 1904 la chiesa ortodoxa greca vi
costruì il piccolo monastero che "contiene la grotta-chiesa medievale,
nella quale si pensava che Gesù avesse digiunato e si fosse rifiutato di
trasformare le pietre in pane; viene ancora mostrata la pietra su cui egli
sedeva durante la discussione con Satana" (Murphy-O'Connor). Nella
vetta, sul luogo della fortezza antica, si iniziò la costruzione di una
chiesa che è rimasta incompleta. La cima del monte si trova ad un'altezza di 350 m sopra la
pianura di Gerico. Tutta la montagna è perforata da innumerevoli grotte che
furono adattate dai monaci come loro celle. Il monastero greco occupa una
lunga spaccatura orizzontale e la sua costruzione rassomiglia ad un treno
merci o, come dice Pia Compagnoni, a "un nido di rondini appeso alla
parete verticale del monte". Attualmente ci sono 4 monaci e il monastero
si può visitare senza difficoltà, anche dalle donne. Recentemente è stata
costruita una funivia che facilita l'accesso al cenobio da Gerico.
All'interno della costruzione vi sono diverse cappelle ornate da belle icone. Una visita alla Quarantena è molto auspicabile, anche se la
maggior parte dei pellegrini si devono accontentare di una vista dell'insieme
dal di sotto, alle volte solo dall'interno del pullman, ma poter entrare in
questo pittoresco monastero, respirare l'ambiente profumato da incenso e
leggere la pagina delle tentazioni di Gesù arricchisce la visita di
un'esperienza di un fatto evangelico sperimentato dallo stesso Gesù che non
si dimentica facilmente. Il vangelo delle tentazioni di Gesù si legge sempre
la prima domenica di Quaresima. Se poi si vuole giungere alla vetta del monte, la visita arriva
al suo punto culminante. La panoramica che si contempla dalla sua cima fa
dimenticare qualsiasi fatica nella salita. "Dall'alto si abbraccia con
lo sguardo tutta la depressione del Giordano e i monti di Moab a est, mentre
a ovest si profilano le alture del deserto. È uno dei panorami più belli del
deserto di Giuda" (Pia Compagnoni). Come ogni angolo della Palestina, anche questo monte è colmo di
evocazioni bibliche e storielle. Inoltre la Quarantena possiede il fascino di
ricordare la stessa presenza di Gesù prima della sua vita pubblica, presenza
che ci parla di fedeltà, di vittoria e di esempio, motivo sempre attuale di
incoraggiamento nella lotta di ogni giorno per la vita e la testimonianza
cristiana. Joan Maria Vemet SacroCuore,giugno
2004 |
Si è detto poeticamente che il Sinai è un monte solcato dal
passo di dei e di uomini. In quel deserto immenso il presente e il passato si
fondono in uno stretto abbraccio. Vi è nata una nuova umanità e vi è sorta una torcia che ha
illuminato il mondo. I suoi bagliori hanno preparato la strada ad un'altra,
luce, ad un'altra verità, ad un'altra vita. Per i giudei il Sinai è evocazione di gloria. Per i cristiani è la figura, come l'abbozzo della salvezza e
dell'azione di Cristo nell'Antico Testamento. È come il preludio, il
riassunto di tutta la rivelazione divina. In quell'inospitale deserto
nacquero Israele, il monoteismo e la Bibbia. Il padre di queste tre realtà fu
Mosè. Il Sinai è il luogo e il tempo per eccellenza dove si è formata
una coscienza religiosa, la coscienza di un popolo, di una fede, di
un'attesa, di una speranza. Quel monte ha forgiato le grandi realtà
caratteristiche della fede giudeo-cristiana: la liberazione, la rivelazione e
l'alleanza. La fede ebraica alimenta le sue radici negli eventi di quel
pellegrinaggio dell'Esodo, e la fede cristiana, pur sorpassando infinitamente
le realtà avvenute in questo luogo dell'incontro di Dio con il suo popolo, vi
si trova, come in miniatura, descritta anche nei particolari. L'Esodo d'Israele - un popolo in cammino verso la Terra
promessa - è sinonimo di salvezza e di alleanza. Israele vide le opere di Dio
e nelle diverse tappe di quel cammino ebbe a soffrire mille prove che
purificarono la sua fede, la sua speranza e la sua fedeltà, avendo avuto
spesso l'esperienza del peccato, dell'idolatria e della mormorazione contro
Dio e contro Mosè. Nel cammino dell'esodo il popolo di Dio ebbe per la prima volta
coscienza del suo Dio, un Dio salvatore e buono: "Il Signore, il Signore Dio misericordioso e pietoso, lento
all'ira e ricco di grazia e di fedeltà, che conserva il suo favore per mille
generazioni, che perdona la colpa, la trasgressione, il peccato, ma non
lascia senza punizione..." (Es 34, 6-7). Come il cielo intero si riflette in una sola goccia d'acqua,
così il Sinai, rispetto alla fede cristiana, è questa goccia trasparente dove
tutto è contenuto, tutto si riflette e si esprime. Le grandi idee di Dio, della salvezza, dell'alleanza, della
preghiera, del culto, delle tentazioni, della speranza, del traguardo finale,
dell'intercessione, dell'assistenza e dell'aiuto... Tutto si può ricavare
dalle pagine del Pentateuco che descrivono l'epopea salvifica del popolo di
Dio nel suo pellegrinaggio sinaitico. Cristo specialmente vi è evocato da tante figure ed eventi,
come l'agnello pasquale, la manna, il serpente di bronzo, l'alleanza, la
parola che guida e che salva. Anche Lo Spirito Santo è ricordato nella sua effusione sui
settanta anziani e nelle acque abbondanti di Meriba che diedero la vita al
popolo. I Padri della Chiesa hanno visto l'immagine della verginità di
Maria nel roveto che bruciava senza consumarsi. Il popolo di Israele durante il suo cammino lungo il deserto,
soffrì ogni sorta di tentazioni e di prove, seguite da cadute e da infedeltà.
Il pensiero di ritornare indietro, al luogo della schiavitù, rimpiangendo le
cipolle e l'aglio dell'Egitto; il proposito di abbandonare il suo Dio e adorare
il vitello d'oro, opera delle sue mani, il non voler camminare verso la terra
promessa temendo mille pericoli, mormorare contro Mosè, non fidarsi di Dio,
non ascoltare la sua voce, provocare ribellioni contro il piano stabilito da
Dio... ecco la debolezza e l'infedeltà di Israele. Anche la Chiesa ha le sue tentazioni di scoraggiamento, di
paura, di adorazione del mondo e del potere, di nostalgia, di fatica,
d'impazienza, di gloria e di dominio. Ma l'esempio e la forza di Cristo,
vincitore nelle sue prove, le indicano il cammino e l'incoraggiano a
perseverare nella fedeltà, nell'amore e nella fiducia in Cristo, che un
giorno disse: "Voi avrete
tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia: Io ho vinto il mondo" (Gv
16,33); e ancora: "Io sono con voi
tutti i giorni, sino alla fine del mondo" (Mt 28,20). Joan Maria Vemet SacroCuore,ottobre
2004 |
"Prendi
tuo figlio, il tuo unico figlio che ami, Isacco, va ' nel territorio di
Moriah e offrilo in olocausto sul monte che io ti indicherò" (Gn 2.2,2). Questo comando
terribile risuona una mattina nella vita di Abramo, la radice del popolo
ebraico e il padre di tutti i credenti. E in quelle parole, cheper usare
un'espressione del profeta Geremia - sono simili a un martello che spacca la
roccia, appare un monte innominato situato in una regione che non è
registrata nelle mappe topografiche della Palestina, Moriah. Le stesse antiche versioni della Bibbia si sono trovate
imbarazzate di fronte a questo vocabolo: l'antica traduzione della Bibbia in
greco, detta dei Settanta, ad esempio, l'ha inteso come un nome comune,
"terra elevata". Gli studiosi moderni si sono accaniti nel tentare congetture e
correzioni: la Genesi (22,12-14) dice: "So
che tu temi Dio... Abramo vide un ariete... e chiamò quel luogo «Dio
vede». E oggi ancora si dice sul monte «Dio vede»"; noi sappiamo che
un'antichissima tradizione già presente nella Bibbia ha escogitato per il
monte di Abramo una straordinaria identificazione. Nel Secondo Libro delle Cronache, opera nata negli ambienti
sacerdotali gerosolimitani attorno al III sec. a.C., si legge infatti:
"Salomone cominciò a costruire il tempio del Signore in Gerusalemme sul
monte Moriah. La tradizione giudaica e quella cristiana andranno anche oltre
scegliendo un punto preciso del monte Sion, il picco roccioso sul quale si
trovava l'altare degli olocausti. Là dove sarebbero saliti al cielo le fiamme e il fumo dei
sacrifici, secoli prima. Abramo avrebbe deposto con la morte nel cuore suo
figlio per quel sacrificio richiesto da un Dio misterioso e
"scandaloso" che prima gli aveva donato quella creatura e poi
gliela strappava senza ragione. Il racconto dei tre giorni di viaggio verso quel monte è
certamente un piccolo capolavoro letterario, psicologico e teologico. Il
racconto è spoglio e asciutto, aperto però a uno sfondo insondabile e
segreto, quello del mistero. Dopo quell'ordine implacabile piomba su Abramo il silenzio.
Silenzio di Dio, silenzio di Abramo, silenzio del figlio Isacco che solo una
volta con ingenuità straziante, intesse un dialogo col padre: "Si rivolse al padre e disse: Padre
mio! Rispose: Eccomi figlio mio! Riprese: Dov'è l'agnello per l'olocausto?
Dio stesso provvederà, figlio mio”. (Gn 22,7-8) Al terzo giorno Abramo è sul suo "monte della
tentazione", la più terribile delle prove in cui Dio non solo tace ma
sembra anche contraddire se stesso imponendo la morte del figlio che lui
stesso aveva dato in promessa. Abramo sembra quasi un sacerdote: costruisce
l'altare, colloca la legna per l'olocausto, lega il figlio, lo depone
sull'altare, stende la mano ed estrae il coltello sacrificale... Ma a questo punto, ecco l'irruzione di Dio che ridona ad Abramo
Isacco, ormai non più come semplice figlio carnale ma come figlio della
promessa divina per eccellenza. In quel luogo oggi, si erge la celebre moschea di Ornar, dalla
cupola dorata. Tale moschea in arabo, porta il nome che significa
"cupola della roccia". Infatti, al centro della sua pianta ottagonale si erge,
infatti, un vasto masso roccioso, alto 2 metri, luogo sacro ora in modo
particolare per i musulmani perché da qui, secondo la tradizione, Maometto
sarebbe salito al cielo sulla sua giumenta alata. Anzi, gli Arabi nella
configurazione della roccia intravedono fantasiosamente i segni dell'ultimo
passaggio del loro profeta: in una depressione della pietra ci sarebbe la
traccia del turbante di Maometto. Caro alle tre grandi religioni monoteistiche, il monte di
Abramo diventa per tutti i credenti quasi l'emblema della fede, non facile e
scontata ma simile a una lotta, che conosce l'oscurità e il silenzio di Dio.
Eppure alla fine approda nella luce. G.Ravasi SacroCuore,
gennaio 2005 |
Il monte Nebo è il monte più conosciuto e visitato
dell'itinerario dell'Esodo, dopo quello del Sinai. Si trova nell'attuale
Giordania, nell'antica regione di Moab, domina la parte ultima della valle
del Giordano e si alza a una trentina di km dalla riva nord del Mare Morto. Il monte Nebo è noto specialmente per la morte di Mosè,
avvenuta proprio sulla sua cima secondo il libro del Deuteronomio: "Mosè salì dalle steppe di Moab sul
monte Nebo, sulla cima del Pisga, che e di fronte n Gerico. Il Signore gli
mostrò tutto il paese: Galaad fino a Dan, tutto Neftali, il paese di Efraim e
di Manasse, tutto il paese di Giuda fino al Mar Mediterraneo e il Neghev...
Mosè, servo del Signore, morì in quel luogo, nel paese di Moab, secondo
l'ordine dei Signore. Fu sepolto nella valle dei paese di Moab, di fronte a
Bet-Peor, e nessuno fino ad oggi ha saputo dove eia la sua tomba. Mosè aveva
cento vent'anni quando morì; gli occhi non gli si erano spenti e il vigore
non gli era venuto meno. Gli israeliti lo piansero nelle steppe di Moab per
trenta giorni" (Dt 34, 1-8). Molti lettori di questa rivista saranno
stati sicuramente sul Nebo e ricorderanno l'immenso panorama che si osserva
dalla sua cima, luogo dove si recò anche Giovanni Paolo II nel pellegrinaggio
che fece nell'anno 2000 in Terra Santa. Un luogo come questo non poteva rimanere ignorato dalla pietà
cristiana. Fin dal sec. IV ci fu la presenza di monaci che vi eressero un
grande monastero con una bella chiesa ornata di bellissimi mosaici. La
pellegrina Egeria lo visitò e ci lasciò una vivida pagina della sua
esperienza: "Per volontà di Dio sentii un altro desiderio, quello di
andare fino al monte Nebo, il luogo in cui Dio ordinò a Mosè di salire...
Nostro Dio si degnò di esaudire anche questo mio desiderio. Partendo quindi
da Gerusalemme e viaggiando in compagnia di santi uomini - un sacerdote e dei
diaconi di Gerusalemme e alcuni fratelli, cioè dei monaci - arrivammo a quel
luogo del Giordano dove erano passati i figli d'Israele quando san Giosuè,
figlio di Nun, aveva fatto loro attraversare il Giordano... Così dunque,
partendo da quel luogo, giungemmo ai piedi del monte Nebo che è molto alto;
tuttavia se ne può salire la maggior parte a dorso d'asino, ma una piccola
parte era più scoscesa ed era necessario salire a piedi, faticosamente, e
così infatti facemmo. Giungemmo dunque alla sommità di quel monte: vi è ora
una chiesa non grande, sulla cima del monte. In quella chiesa, nel luogo dove
vi è il pulpito, vidi uno spiazzo un poco più alto, lo cui dimensioni erano
quelle che hanno di solito le tombe. Allora chiesi a quei santi che cosa
fosse, ed essi mi risposero: "Qui fu deposto dagli angeli san Mosè,
poiché, com'è scritto, nessuno ha mai saputo dov'è la sua tomba: e così è
certo che fu sepolto dagli angeli. Poiché la sua tomba, dove egli sia stato deposto,
non viene mostrata fino ad oggi" (Egeria, Diario di viaggio). Il monte Nebo, descritto da vari esploratori nel sec. XIX,
ricevette un nuovo alito di vita a partire dell'anno 1932 quando la Custodia
di Terra Santa (PP. Francescani) comprò la cima del Nebo e la collegò con la
strada di Madaba. L'anno 1933 cominciarono gli scavi e il restauro del
monastero e della chiesa, appena percettibili, e oggi giorno si possono
ammirare per la loro vastità e la ricchezza di mosaici. Quattro Francescani
illustri, tra molti altri, hanno lavorato intensamente alla rinascita del
monte Nebo: P. Saller, l'iniziatore dei lavori, P. Bagatti, P. Corbo e P.
Piccirillo. Tre sono le tappe principali nella costruzione della chiesa: la
prima, utilizzò un'antica costruzione sepolcrale a forma di tricora (tre
absidi): era la chiesa "non molto grande" vista da Egeria) del sec.
IV. Al sec. V si aggiunse, a sinistra, una cappella con un battistero ornato
da ricchi mosaici. Nel sec, VI-VII si edificò una grande chiesa a tre navate
con diverse cappelle laterali, ricoprendo i mosaici anteriori, riscoperti
grazie al lavoro di restauro. Il monte Nebo ci parla di missione compiuta, di fine di una
tappa, di un disegno di Dio che Mosè portò a felice compimento. La pietà
cristiana ha voluto ricordarli e celebrarli con delle chiese e monasteri per
insegnarci che gli eventi biblici non sono cose del passato. Rivivono nella
fede e nella preghiera dei fedeli e si manifestano nella loro vita. Joan Maria Vemet SacroCuore,
febbraio 2005 |
Il Tabor è un monte conosciuto, evocatore, carissimo alla pietà
cristiana: fu il luogo della Trasfigurazione
di Gesù, prefigurazione della sua gloria e anticipo della sua realtà celeste
e della nostra sorte finale. Pietro ricorderà sempre quell'evento (2 Pt 1,
16-19), che ora può diventare a noi più familiare per la recita del quarto mistero
luminoso del Rosario, che contempla appunto la Trasfigurazione del Signore. Il monte Tabor, "gebel at-Tur" in arabo, "monte per
eccellenza, monte sacro", è una bellissima montagna della Galilea, isolata
nella sua maestà e misticismo, che si drizza ad un'altezza di 588 m sopra il
livello del mare. Per la sua forma, per le sue caratteristiche, per la sua
rigogliosa vegetazione e per lo splendore del suo panorama, il Tabor è una montagna
unica in Terra Santa. Con tutta certezza possiamo pensare che una montagna
così splendida avesse nel passato dei culti cananei, concretamente a Baal
Tabor, attestato da diversi documenti antichi. Nell'Antico Testamento il Tabor è citato diverse volte. Nel salmo
89 leggiamo: "Il Tabor e l'Hermon
cantano il tuo nome". Nel Nuovo Testamento non si accenna direttamente al monte
Tabor, ma la tradizione più antica colloca su questo monte la scena della
Trasfigurazione. I Padri della Chiesa affermano che su questa montagna ebbe
luogo quella scena, e l'archeologia ha mostrato resti di costruzioni
bizantine (tre chiese). Nel periodo crociato (sec. XII) si istallò sul Tabor una
comunità benedettina che vi costruì un monastero; alla fine di quel secolo vi
esistevano due monasteri latini e uno greco ortodosso. Dopo alcuni secoli di abbandono, a causa delle distruzioni dei
mamelucchi d'Egitto, i Francescani, grazie alla benevolenza del sultano di
Damasco Fakhar ed-Din, presero possesso delle rovine. Era l'anno 1631 e vi
costruirono un modesto convento con una piccola chiesa. Fu nel 1924 che
innalzarono l'attuale basilica, opera dell'architetto Antonio Barluzzi. Il
Barluzzi in un elegante stile siro-cristiano, ha costruito la facciata rappresentando
le tre tende di cui parlava Pietro, e dando alla chiesa un senso di
straordinaria luminosità coprendo il suo tetto con lastre di alabastro, poi
ricoperto con lamine di piombo per difenderlo dalle intemperie. Il Tabor ci presenta il mondo futuro, il mondo della luce, della
felicità eterna, il possesso di Dio nella gloria dei santi, la nostra eredità
per sempre. Niente di strano che Pietro, immerso in quell'esperienza unica,
dicesse: "Maestro, come è bello
per noi stare qui: facciamo tre tende" (Lc 9, 33). I tre discepoli
videro estasiati il Cristo trasfigurato, "lo splendore di fronte al
quale ogni altra luce impallidisce, l'infinita bellezza che, sola, può
appagare totalmente il cuore dell'uomo" (Giovanni Paolo II, Vita consecrata, 16). Joan Maria Vemet SacroCuore,
marzo 2005 |