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I cind crusc |
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Ricordo di don Emanuele Lucente
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(i cento segni di croce)
Quando la gente viveva (circa 60 anni fa e più) impregnata di tradizioni religiose e di fede popolare, era usanza, nei nostri paesi, incontrarsi la sera del 15 agosto, ai crocicchi delle vie e invocare la Vergine Assunta in cielo con la seguente preghiera, recitata in vernacolo a mo' di cantilena: Quan amà mrì alla vall d Gesafatt ama ndè u nmic dananz ama trvè; tu, nmc, fatt dè; tu a me non a ce fè; iosc iè u giorn d Santa Marì m fazc cind crusc e cind Avemmarì
Traduzione: Quando dobbiamo morire alla valle di Giosafat dobbiamo andare, il nemico davanti dobbiamo incontrare; tu, nemico, fatti più in là (va' via dalla mia strada), tu con me non hai niente da fare; oggi è il giorno di Santa Maria io faccio cento croci e cento "Ave Maria".
Tale preghiera veniva ripetuta ben cento volte, seguita da cento segni di croce e da cento "Ave Maria". Venivano, inoltre, accese tante lampade ad olio per illuminare la via (così si credeva!) alla Madonna che saliva in cielo. Dopo la recita di questo particolare rosario, si era soliti condividere un pasto frugale, che consisteva in pezzi di focaccia casalinga, fresche fette di anguria e… tanta allegria (con canti alla Vergine). Era questo il Ferragosto più bello e più atteso da tutti, perché pieno di gioia e semplicità. Col passare degli anni si volle italianizzare ed abbreviare la suddetta preghiera con una giaculatoria: Va' in cielo, o Maria, vieni all'ora della morte mia ripetuta sempre cento volte e seguita dai soliti cento segni di croce e cento "Ave Maria". Rivolgo a me stessa e a voi lettori, nel 2001, una domanda-riflessione: "Che cosa è rimasto, ora, di tanto ardore spiritual-popolare?". Rispondo: "Mi auguro un semplice rosario o, almeno, una sola "Ave Maria", rivolta alla Vergine, con tutto il cuore". Angela Schiraldi
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