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SIAMO DEL TUTTO INNOCENTI ?

Ancora un efferato delitto ha insanguinato la nostra terra di Sicilia... Funerali di Stato, manifestazioni di indignazione, cortei, scioperi, discorsi, proclami... servono poco o nulla. La mafia non teme questo, tutt'altro. Ha imparato da tempo a strumentalizzarli inviando facinorosi che fomentano il disorientamento e il disaccordo tra quanti hanno veramente a cuore la fine di una vicenda così assurda. Potrebbe persino considerare tutto questo come implicito riconoscimento della sua potenza e della sua impunità. Ciò che incoraggia è invece la numerosissima presenza dei giovani che si pone in chiaro atteggiamento di rifiuto nei confronti di quella cultura di morte e di peccaminoso silenzio che ci mortifica da secoli. 
Non è il momento di colpevolizzare indiscriminatamente le istituzioni, anche se rimane vero che a questo livello molte cose devono assolutamente cambiare. 
Non demonizziamo per principio la politica anche se è perfettamente vero che "la criminalità" organizzata viene favorita da atteggiamenti di disimpegno, di passività e di immoralità nella vita politico-amministrativa. C'è infatti una "mafiosità" di comportamento, quando, ad esempio, i diritti diventano favori, quando non contano i meriti, ma i legami di "comparaggio" politico (CEI, Chiesa Italiana e Mezzogiorno, n. 14). 
I veri nemici sono i grandi alleati della mafia: l'emarginazione, il sottosviluppo, la cultura individualistica, familistica, del clan e soprattutto quella sete di denaro, quell'idolatria dell'avere che cerca spazio nello spaccio della droga, nel commercio delle armi, negli appalti di ogni genere. 
I veri nemici sono ancora coloro che cercano di dividerci o che, favorendo un assurdo garantismo, rendono impossibile ogni tentativo di difesa e la stessa pacifica convivenza. 
Ma è doveroso chiederci se noi che non viviamo ai vertici della cosa pubblica, siamo del tutto innocenti o piuttosto terreno fertile in cui la mala pianta della criminalità organizzata riesce ad attecchire e prosperare. 
Non possiamo usare la parola "amico" quando si tratta di rapporti clientelari. Non possiamo chiamare intelligenza o "furbizia meridionale" la non curanza e persino la mancanza di rispetto per gli altri o peggio ancora quella logica più o meno larvata della intimidazione alla cui radice sta la convinzione che "la legge sono io". 
Che dire poi del rifugio nel privato con il conseguente disinteresse per il bene pubblico che porta tanti a non aver rispetto alcuno per i pubblici servizi e a trincerarsi dietro al "non so", "non voglio sapere", "non sono affari miei"? 
Non ripetiamo che la mafia non esiste o che sono tutti mafiosi. Non difendiamoci quando si tratta di conservare una vuota apparenza di dignità. Evitiamo i ragionamenti contorti, incomprensibili, carichi di sottintesi che favoriscono a tutti i livelli gravi forme di omertà. Cerchiamo di vivere questa trasparenza evangelica che Gesù ha sintetizzato nell'espressione: "sia invece il vostro parlare 'si, si, no, no' il di più viene dal maligno" (Mt. 5,37). 
E' la via per uscire dalla falsa rassegnazione, dalla paura, dall'immobilismo, dal tradizionalismo, dal fatalismo che portano tanti, anche credenti, a rifugiarsi nella superstizione, nella magia e a ricorrere a poteri occulti, tutti segni di estrema fragilità ed insicurezza. 
Il Signore ci ha creati liberi e la redenzione è la via della libertà. Abbiamo dinanzi ai nostri occhi l'esempio di uomini come noi che non hanno avuto paura di morire. Dovremmo convincerci che sono morti per tutti noi
Non possiamo dimenticarli, dobbiamo affidarli alla misericordia di Dio e dobbiamo anche essere convinti che la preghiera per i loro assassini è l'arma di cui si serve il cristiano per vincere. 
Quale la nostra responsabilità di credenti in questi momenti così dolorosi e così difficili? 
Siamo chiamati, come sempre, ad operare con dedizione alla ricostruzione di questa nostra città terrena, affinché diventi, in un certo qual modo, immagine ed anticipazione di quella futura. 

  

Dobbiamo farci compagni di viaggio di tutti gli uomini di buona volontà. 
E' nostro preciso dovere offrire ai responsabili della cosa pubblica la nostra collaborazione per la soluzione dei gravi problemi che ci angustiano. Lo faremo nel nostro spazio di azione che è quello della "nuova evangelizzazione" per la edificazione della civiltà dell'amore. 
Il Cristo che ha vinto il mondo è la nostra speranza e la nostra certezza. 
Il Figlio di Dio, Gesù Cristo, ci ricorda l'apostolo San Giovanni, è morto "per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi" (Gv.11,52). La nostra fede in Lui ci aiuti ad essere per questa società disgregata, divisa, vittima di contraddizioni, uomini di pace e di comunione. 
  

+ DOMENICO AMOROSO, VESCOVO

 

 

Alzati Palermo,
non adagiarti nel fatalismo,
non rassegnarti alla sconfitta,
è dal Signore
che dobbiamo invocare ed attendere
un gesto salvifico
che infonda forza, coraggio e speranza
a questa città
che ha vissuto e oggi ancora vive
momenti tenebrosi,
ma che con tutta la sua anima
non cessa, non deve cessare
di anelare, di andare verso la luce.


Card. Salvatore Pappalardo