SIAMO VINCOLI O
SPARPAGLIATI? Avvenire,
supplemento "èfamiglia", venerdì |
II
vivace dibattito sulla famiglia oggi in atto nel nostro Paese non può che
essere salutato positivamente da chi si è occupato per lunghi anni di
famiglia nel silenzio e nel disinteresse generale della politica, dei media, dei cosiddetti opinion makers ("quelli che fanno
opinione", o meglio "quelli che vogliono imporre agli altri la
propria opinione"...); oggi la famiglia occupa prepotentemente il centro
del dibattito, nelle aule del Parlamento ma anche in quelle dei consigli
comunali dei paesi più piccoli, nei salotti televisivi più importanti, a
partire dalle poltroncine di Vespa e Costanzo, fino alle redazioni delle
televisioni e delle radio locali, per arrivare alle discussioni quotidiane
della gente
comune, nei posti di lavoro, al bar, nelle scuole. Questa nuova centralità
non genera però inevitabilmente il bene della famiglia, perché spesso le
argomentazioni sono faziose, i pareri sono eterogenei e a volte paradossali,
e nella babele di voci che dicono tutto e il contrario di tutto non è
assolutamente garantito che emergano le parole più chiare, i giudizi più
adeguati, i punti di vista più realistici; spesso vince chi grida di più,
oppure chi buca il video, o peggio ancora chi, semplicemente, è più abile ad
organizzare il contesto comunicativo a favore di uno specifico messaggio. La
famiglia è infatti un oggetto di conoscenza
particolare, che chiede rispetto e ascolto, e che non può essere esposto,
filmato dal buco della serratura e poi mostrato in pubblico senza veli;
l’intimità, il pudore, il rispetto della sfera privata della persona sono
tutti elementi indispensabili per potersi avvicinare alla famiglia "in
punta di piedi", ascoltandola e osservandola, e non mettendola in piazza
senza mediazioni, o peggio descrivendola a partire dai propri pregiudizi. Almeno un aspetto però sembra emergere con chiarezza dal
frastuono comunicativo che possiamo ascoltare e leggere ogni giorno: la
famiglia è diventata il terreno di confronto e di scontro tra due idee di
uomo e di persona, tra due modelli antropologici che si trovano
inevitabilmente in contrasto: gli "individuali"
e i "relazionali”. Per
il primo modello la libertà e la felicità dell'essere umano sta
essenzialmente nella "libertà da", nell'assenza di vincoli, nella
possibilità di poter scegliere in ogni momento cosa fare, senza impedimenti
di alcun genere; per il secondo la libertà e la felicità dell'essere umano
sta invece proprio nella disponibilità di legami buoni, nella capacità di
condividere, nell'esperienza dell'appartenenza e della interdipendenza. Per
gli individuali il nemico principale è il legame, qualunque tipo di legame,
per i relazionali è invece la solitudine. Evidentemente i progetti di
famiglia generati dall'uno o dall'altro modello antropologico saranno
radicalmente diversi: la parola legame, che caratterizza inevitabilmente il
fare famiglia, nella sua ambivalenza descrive anche l'inevitabile
rappresentazione delle relazioni familiari; per i relazionali, ad esempio, un
legame di coppia che si rompe è oggettivamente un fallimento, una ferita,
mentre per gli individuali la rottura del legame può essere naturale, in un certo senso prevedibile, non traumatica. Ritroviamo
qui la domanda che Pappagone, mitico personaggio
della pubblicità un po' ruspante e spesso dialettale della TV in bianco e
nero, nei primi anni Settanta, rivolgeva a Totò: "siamo vincoli o sparpagliati? ",
siamo uniti o ognuno per conto suo? A ciascuno di noi rispondere, in un mondo
che trova, sempre nell'immaginario pubblicitario, il modello ideale nell’ "uomo che
non deve chiedere mai ": cambia la società, cambia la pubblicità, ma
le domande di fondo rimangono. Francesco
Belletti Direttore
Cisf (Centro Internazionale Studi Famiglia) |