Lo studio della Riforma
protestante del XVI secolo è particolarmente importante perché anche oggi l'immagine
del cattolicesimo ne è fortemente condizionata. Innanzi tutto occorre
sottolineare che la Riforma protestante non è propriamente una riforma. Per
riforma di qualsiasi fenomeno storico, ma in particolare nella Chiesa, si
intende, infatti, una ripresa di autenticità della propria identità e delle
proprie origini, un approfondimento, una maturazione richiesta dalle
particolari circostanze in cui si vive. La riforma cluniacense del IX-X
secolo si può, in tal senso, definire una riforma della Chiesa che,
attraverso di essa, acquisì una nuova vitalità. Lo stesso si dica per la
riforma realizzata dalla nascita dell'ordine francescano e di quello
domenicano. La riforma implica sempre un approfondimento delle origini e un
loro sviluppo in circostanze nuove.
La Riforma protestante,
invece, tronca i legami con l'origine. Seguendone l'itinerario fino alla fine
non si troverà più l'avvenimento della fede nel suo aspetto oggettivo, ma
un'altra cosa. Lutero fu senza dubbio una grande personalità religiosa come dimostra
la sua capacità di aggregare intorno alla sue intuizioni molti altri uomini e
non solo contemporanei. Ma quello che è nato con lui non si può definire un
approfondimento, ma uno sviluppo, una reinterpretazione in senso moderno
della originale identità cristiana. Egli creò una cosa nuova.
Lutero stesso ha
lasciato una relazione scritta dell'avvenimento della sua conversione,
avvenuta tra il 1513 e il 1517 nella torre del monastero di Wittenberg:
"Nonostante che vivessi la mia vita di monaco in modo irreprensibile, mi
sentivo peccatore di fronte a Dio. La mia coscienza era estremamente inquieta
ed io non avevo alcuna certezza che Dio fosse placato dalle mie riparazioni.
Non amavo quel Dio giusto che punisce il peccatore, anzi lo odiavo". La
preoccupazione fondamentale di Lutero è dunque un rapporto irrisolto tra un
peccatore e un giudice giusto. Per il soggetto cristiano, come lo si è
descritto precedentemente, il problema di partenza non è questo, bensì
l'annuncio di una realtà nuova nel mondo, a cui il singolo partecipa nella
sua individualità. Nessun limite o errore pregiudica la certezza dell'evento,
a cui l'uomo aderisce con tutta la sua particolarità, credendo che esso è più
grande del suo male.
Con Lutero il problema
fondamentale del cristiano diventa quello di non avere dissidi con il Dio
giusto. È come se scomparisse l'evento di Cristo, dentro il quale la
misericordia di Dio accoglie l'uomo così com'è. Ecco invece l'orizzonte delle
preoccupazioni di Lutero: da una parte un Dio giusto che perseguita il
peccatore, dall'altra la coscienza che non riesce a tranquillizzarsi. Finché,
come afferma Lutero stesso (la traduzione è libera), Dio lo illuminò:
"Dio infine ebbe pietà di me e, meditando giorno e notte un certo
versetto, cominciai allora a comprendere che la giustizia di Dio è quella per
mezzo della quale il giusto vive del dono di Dio, se ha la fede. Mi sentii
allora letteralmente rinascere e mi sembrò di essere entrato nel
paradiso". La Riforma è una riduzione in senso moderno della fede cattolica,
in quanto la modernità è, appunto, l'affermazione della centralità del
soggetto umano così com'è, a prescindere dall'appartenenza all'avvenimento di
Cristo presente nella Chiesa. Per Lutero il problema è come l'uomo singolo
possa arrivare alla tranquillità della coscienza e sentirsi salvato, per lui
è prioritario e fondamentale l'aspetto soggettivo e sentimentale del
benessere del singolo: dall'appartenenza si è passati alla reinterpretazione.
Il soggetto che occupa il centro di interesse di Lutero è il singolo, che
esiste non per un'appartenenza bensì in sé e per sé nella sua immediatezza.
Questo soggetto, eretto
a criterio di interpretazione di tutto, riprende tutta la tradizione della Chiesa
e la rilegge dal suo punto di vista. Questo è il protestantesimo. Il
cattolicesimo, invece, è il soggetto umano che cresce e si realizza
nell'appartenenza: incontrato l'avvenimento di Cristo nella storicità della
vita ecclesiale, esso incomincia un processo di educazione nel quale matura
una coscienza nuova di sé e un criterio nuovo di giudizio. Quello del
protestantesimo è un procedimento opposto: il soggetto umano, che coincide
con l'individuo caratterizzato dai dati del suo temperamento, della sua
intelligenza, della sua affettività, deve interpretare un oggetto che gli sta
di fronte, cioè Dio, in modo da avere la certezza sentimentale, psicologica e
affettiva di essere salvato. Alcune espressioni comuni anche in contesti
"cattolici", come: "La fede è una cosa che si sente; se la si
sente è vera, altrimenti no" indicano quanto sia stata incidente la
trasformazione soggettiva ed emozionale prodotta dal protestantesimo. La fede
è ridotta ad oggetto (analogo a tutti gli altri trattati dalla scienza) il
cui scopo è ricavare una salvezza intesa come benessere. Per 1500 anni, essa
era stata invece un evento che si annunzia nel mondo per la presenza di
Cristo nella Chiesa, e che chiama ogni uomo ad aderirvi.
I fattori che preparano la Riforma
Nel periodo che stiamo
esaminando si forma, nella coscienza della cultura e della società europea,
un soggetto che non considera l'evento, ma che, anzi, è tanto più soggetto
quanto più prende le distanze dall'evento. Possiamo identificare quattro
fattori di questo processo:
1. Una riduzione della
Chiesa da mistero, sacramento, partecipazione alla realtà di Cristo presente,
ad una struttura di carattere situazionale (i cristiani sono tali perché sono
nati in Occidente, in una data situazione). Sorge un soggetto umano che vive
nella Chiesa, come afferma Romano Guardini, ma non vive più la Chiesa; non
vive un'esperienza di appartenenza. Già al termine del Medioevo la Chiesa
comincia ad essere sentita da alcune minoranze intellettuali come un
avvenimento estrinseco all'individuo.
2. Una sottolineatura estrema della ragione come capacità di
problematizzazione radicale, per cui i fatti e le idee stanno sullo stesso
piano. Alle spalle della Riforma ci sono almeno 150 anni di "nominalismo",
che è in sostanza una riduzione del sapere a "nomina", cioè a
concetti astratti con cui l'intellettuale gioca cercando di organizzarli il
più intelligentemente possibile. Negli ultimi 150 anni della cultura
medioevale, in ogni università esistono cattedre di "nominalismo",
cioè di pura ricerca intellettuale astratta, dove il fatto dell'Incarnazione
e la possibilità della non Incarnazione, la Trinità e la possibilità che non
esista, l'esistenza e la possibilità della non esistenza di Dio, vengono messi
sullo stesso piano: sono "nomina" con cui giocare.
3. Una volontà (come reazione antiintellettualistica a questa sottolineatura
enfatica dell'intelligenza intesa come pura organizzazione di
"nomina") di salvare la fede contro la ragione, abbandonando quest'ultima
al male, al demonio. Tra fede ed intelligenza avviene una rottura radicale:
la fede dev'essere salvata senza l'intelligenza con un atto di carattere
puramente volitivo e sentimentale. Si afferma il fideismo come concezione
della fede-sentimento staccata dalla ragione. Viene così a perdersi la grande
eredità dell'età patristica e medioevale, per cui in Cristo si realizza la
pienezza di tutto l'umano.
4. Il crearsi di un'immagine di uomo puramente naturale, che si può
realizzare anche solo con la sua intelligenza e la sua volontà. La fede
diventa qualche cosa che si aggiunge dall'esterno, un particolare prezioso ma
accidentale. È esattamente in questo periodo, al finire del Medioevo, che
nasce l'espressione "naturale e soprannaturale". Sino a questo momento
non si era operata tale distinzione perché era chiaro che l'unico avvenimento
è Cristo, nel quale l'uomo viene realizzato in pienezza. Adesso si parla di
un uomo naturale che agisce secondo il puro lume della ragione e che già può
realizzare un suo fine nobile, "naturale". Alcuni poi tendono, in
aggiunta, ad un fine soprannaturale (Cristo), che non entra nella vita
dell'uomo per realizzarla pienamente, ma è un particolare di cui al limite si
potrebbe anche fare a meno.
Questi quattro fattori fanno da scenario all'esperienza di Lutero e
condizionano la mentalità sua e della gente a cui parlava.
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Cristo a misura dell'interpretazione
del singolo
L'esperienza di fede di Lutero ha dato corpo a un soggetto che prescinde
dalla Chiesa, anzi, facendo propria l'opposizione individuo-comunità,
demolisce la Chiesa intera come pura istituzione che, impedendo al singolo il
rapporto diretto con Cristo, ne ostacola la maturazione. Per Lutero il
singolo è chiamato a vivere un rapporto diretto con Cristo e poiché la Chiesa
si pone fra lui e Cristo con una serie artificiosa di strutture, ed inoltre
essa è debole moralmente, l'individuo deve rifiutarla. Lo scandalo suscitato
in Lutero dall'immoralità degli ecclesiastici incontrati a Roma o di quelli
che predicavano le indulgenze, risponde a un schema banalissimo: se si vive
male una realtà giusta, vuol dire che essa non è giusta; è un rifiuto
moralistico della Chiesa e in particolare del popolo giudicato degenerazione e
inquinamento del Cristo. Il rapporto con Cristo, per Lutero, è tutto
nell'esperienza di un nesso immediato e diretto del singolo attraverso un
oggetto che non può mutare: la Parola scritta. L'esperienza della fede, per
Lutero, è l'interpretazione che il soggetto fa dell'oggetto Parola, a cui può
seguire, nel soggetto, il sentimento di essere salvato, oppure può non
seguire nulla. Si rifiuta dunque la Chiesa. Per 1500 anni la Scrittura,
fissata dalla prima generazione cristiana, non era stata lo strumento privilegiato
del rapporto con Cristo (tale strumento era la vita del popolo di Dio, la
Chiesa), bensì un punto di riferimento obbligato per avere una coscienza
esatta di Cristo. Con Lutero, scomparso il popolo, è rimasta la parola.
Secondo la tradizione la vita della Chiesa immette nell'avvenimento di Cristo
attraverso la propria struttura sacramentale. Con la Riforma non rimane più
nulla dei sacramenti: essi sono tutti eliminati o, al massimo, concepiti come
pura commemorazione (la Santa Cena protestante va intesa in questo senso). La
stessa storicità di Cristo viene posta in secondo piano di fronte alla
Parola. Cristo infatti è importante per la parola che ci ha lasciato, per i
comandi che ha dato: non è un evento a cui si partecipa. In tal modo viene
ritrascritto tutto il patrimonio della cattolicità. Questo mutamento era già
presente nell'esperienza di Lutero, anche se la storia della Riforma svolgerà
ulteriormente e successivamente tale embrione di riduzione soggettivistica e
sentimentale della fede. Il contesto sacramentale della Chiesa viene
sostituito dal rapporto immediato e diretto con la Parola. L'esperienza
religiosa viene così radicalmente trasformata. Ha perso senso la
sacramentalità della Chiesa, secondo cui l'evento di Cristo permane nel mondo
non in una Parola scritta, ma attraverso il mistero della Chiesa, cioè
attraverso un'unità non riconducibile alla carne ed al sangue, bensì al luogo
della presenza di Cristo, che non può essere eliminata dagli errori e dai
peccati di quelli che in essa vivono. Questa riduzione avviene in un quadro
di rigida predestinazione. Infatti, colui che pone l'uomo dentro o fuori la
salvezza, concedendogli il sentimento dell'essere salvo o negandoglielo, è
Dio stesso che sceglie solo alcuni e perché non vuole la salvezza di tutti.
La posizione cattolica aveva affermato che Cristo è Dio che si comunica per
la salvezza di ogni uomo; a lui si aderisce per la volontà del singolo. In
Lutero il criterio è completamente capovolto: c'è un Dio che
capricciosamente, in una massa destinata alla perdizione perché peccatrice,
predestina alcuni alla salvezza ed altri alla dannazione (in Calvino si
parlerà di "arbitrarismo divino"). Dio può scegliere il malvagio
per salvarlo nonostante la sua malvagità, e può dannare il buono. Si tratta,
insomma, di un'immagine di Dio che agisce nei confronti dell'uomo in modo
assolutamente arbitrario.
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La concezione protestante
dell'uomo
La riduzione protestantica della fede reca con sé alcune conseguenze a
livello antropologico, cioè di concezione dell'uomo.
1. La fede è un problema solo per chi si sente peccatore. Pertanto, l'uomo
moderno ha due volti: quello di chi si sente padrone dell'universo (che
troverà nell'illuminismo la sua celebrazione), signore della storia, non più
servo di Dio ma re di se stesso; oppure ha il volto pessimistico dell'uomo
cosciente del proprio limite invincibile, insuperabile. Il primo tipo di uomo
non arriva alla fede, perché non ne ha bisogno; il secondo, invece, avverte
il problema della fede. Il cristianesimo comunque si è già ristretto a un
problema che si pone solo per alcuni. Il protestante non ha niente da dire a
chi non si sente peccatore. Il cristianesimo autentico invece, ponendo nel
mondo l'avvenimento di Cristo morto e risorto, salvezza di chi si sente
peccatore e di chi non si sente, di chi è intelligente e di chi non lo è, di
chi è greco come di chi è barbaro, di chi è schiavo e di chi è libero, rivela
il suo valore universale esattamente in quanto si rivolge alla struttura
ultima dell'uomo. Con il protestantesimo invece è l'uomo che giudica la fede
e non viceversa. La religione diventa un problema moralistico, il problema di
fare del bene, che interessa solo chi avverte il problema del proprio
peccato. Da questo punto di vista l'immagine che il mondo odierno ha del
cattolicesimo e che tante volte anche i cattolici hanno di se stessi, è molto
più protestante che cattolica.
La fede "protestante" non è più un avvenimento che giudica il mondo
e lo salva, bensì un messaggio che non mette in discussione il mondo così
com'è, ma, anzi, deve trovare il suo posto nel mondo e precisamente nel cuore
di coloro che, vivendo il problema del loro peccato, vogliono cambiare.
2. La fede, cioè il sentimento di essere salvati, a cui ci si abbandona senza
possibilità di comprendere fino in fondo, coincide con una posizione di
assoluta fiducia, che non coglie la totalità dell'uomo come intelligenza e
volontà, ma solo il suo aspetto affettivo e sentimentale. Il credente è
ridotto a un tipo di uomo che ha il problema di vivere rettamente. L'uomo si
trova radicalmente diviso: da un lato sperimenta il sentimento emozionale di
essere salvato, sull'onda del quale vive la vita nella certezza che Dio l'ha
predestinato e perciò lo salverà; dall'altro lato la sua ragione è intesa
come capacità di far cultura, conoscere la realtà, realizzare rapporti,
scelte, costruire progetti in cui la fede non c'entra. Ne consegue che, sia
che intenda la ragione dell'uomo come buona, e tenda, di conseguenza, ad
adeguarsi culturalmente a tutti gli altri uomini, sia che la consideri di
nessun valore e si affidi, quindi, a chi solo può garantire un'ordinata
convivenza, il protestante è sempre favorevole al potere qualunque esso sia.
Il calvinismo e certo protestantesimo liberale pensano che il successo negli
affari sia segno di elezione da parte di Dio. Il luteranesimo ritiene invece
che l'unico fattore di salvezza sia la fiducia in Cristo e nella sua parola:
tutta la storia umana rimane preda di una contraddizione cui solo gli ultimi
tempi porranno fine. In ogni caso il protestantesimo, sia nella sua versione
ottimistica, come in quella pessimistica, non può in ultima analisi che
giustificare il mondo e la sua ideologia.
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Il
rapporto con il potere
Il protestante è dunque strutturalmente per il mondo e per ciò che il mondo
ha creato. È possibile verificare tale affermazione in due punti
significativi.
1. Il mondo in cui il protestantesimo nasce è in trasformazione: nasce la
borghesia del mercantilismo, un ceto emergente nuovo che mette in discussione
l'età feudale o medioevale in quanto segnava la prevalenza della vita
religiosa sulle varie forme di attività, in particolare sulla contrattazione
e sul profitto. Mentre la Chiesa cattolica scomunica colui che presta a
usura, cioè il banchiere (in quanto sostiene, dall'inizio della sua storia,
la destinazione sociale della proprietà), il protestantesimo si dispone a
dare base sacrale e religiosa al mercantilismo. Lo affermano gli stessi
storici protestanti, ad esempio Troeltsch ne Le chiese e la nascita del
capitalismo e il suo allievo, R. Tawney in Protestantesimo e nascita del
capitalismo. Quello che Marx e i marxisti chiamano capitalismo non sarebbe
attecchito in Europa senza l'incremento, l'accettazione, la sacralizzazione
che di esso ha fatto il protestantesimo. La polemica di Marx contro la
società e contro la religione al servizio degli interessi di classe non
colpisce tanto il cattolicesimo, quanto il protestantesimo. I Manoscritti
economico-filosofici di Marx, infatti, sono stati scritti a Londra contro una
certa società che sicuramente cattolica non era. Il protestante addirittura
sostiene, con l'ingenuità e il rigorismo dei calvinisti, il mondo borghese e
capitalista perché l'uomo che si realizza da sé sperimenta la benevolenza di
Dio.
2. Sul piano etico-culturale, è il periodo in cui si realizza lo stato
assoluto, non come esercizio ma come immagine del potere. Si tratta di uno
stato chiamato impropriamente nazionale, che si concepisce come comprendente
tutte le dimensioni dell'esistenza anche quella religiosa. Il protestantesimo
sostiene questa immagine di Stato assoluto, fino a rendere la Chiesa parte
della realtà statale. Essa infatti priva della sua sacramentalità, è ridotta
ad una struttura pedagogica che, come tale, deve essere guidata da chi ha il
potere nella società. L'ideale del potere assoluto è una Chiesa di stato, in
cui l'autorevolezza vera sia quella politica, e la stessa autorità religiosa
ne dipenda. Un esempio chiarissimo è l'Atto di Supremazia, che ha fatto
nascere, nel 1534, la Chiesa di Inghilterra; Enrico VIII, il suo autore, si
dimostra come il più acuto e intelligente discepolo di Lutero. Ma già nel
manifesto di Lutero Alla nobiltà cristiana della nazione tedesca la Chiesa,
ridotta a struttura giuridica, pedagogica, culturale di formazione morale,
viene consegnata ai nobili, allo Stato. Quando attorno al 1525 i contadini,
vessati dal nascente stato liberal-borghese, si ribellano, Lutero scrive
parole terribili ai principi della regione tedesca, perché ammazzino quei
"cani" che hanno osato mettere in discussione l'ordine sociale
stabilito da Dio. Il protestantesimo, dunque, impedendo alla fede di
diventare cultura, cioè non unificando la persona, la lascia nella storia in
balia di chi detiene il potere ideologico o politico. Per questo il
protestantesimo ha certamente avallato la nascita della borghesia e del
capitalismo e l'insediamento di una realtà di stato assoluto, nel quale la
Chiesa è come la parte religiosa-culturale che è ed ha la sua legittimazione
soltanto nell'ambito della struttura sociale.
La debolezza attuale della presenza cattolica, l'incapacità di leggere il
vero bisogno degli uomini è forse dovuta ad un'infiltrazione di
protestantesimo nel cattolicesimo, per cui si considera la comunità cristiana
come appendice di una società già al tramonto anziché fattore di una nuova
evangelizzazione, di un nuovo annuncio: Cristo risorto, presente nel mistero
della Chiesa, proposta di salvezza a tutti gli uomini.
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