Racconti di un pellegrino russo
Se
tu non capisci la parola di Dio i diavoli però capiscono quel che tu leggi e
tremano. |
Prefazione
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"Racconti
di un pellegrino russo" furono stampati la prima volta a Kazan nel 1881;
oggi sono già divenuti il libro più conosciuto e diffuso della spiritualità
russa. Tradotti in tedesco dopo la guerra del 1914, hanno avuto da allora
un’altra traduzione in tedesco, due traduzioni in francese, traduzioni in
inglese… oggi hanno la traduzione in italiano. La immediatezza del loro
linguaggio parlato, il procedere confuso della narrazione, l’assenza di ogni
ombra di letteratura e insieme la ricchezza delle scene e delle osservazioni,
la ingenuità fresca e saporosa del racconto, la vivacità popolare, la
sincerità della testimonianza di una esperienza rara di vita mistica, la
pienezza di gioia che tutto lo pervade e l’illumina, fanno di questo libro un
libro forse unico in tutte le lingue del mondo. Si tratta di un libro
delizioso che racconta, in quattro relazioni fatte al padre spirituale, i
pellegrinaggi di uno strannik attraverso l’immensità della steppa e la
campagna siberiana. È certo che il documento più prezioso e interessante
della religiosità popolare russa di un tempo che sembra ormai remoto. Chi
scrive, e sembra davvero che parli tanta è la freschezza e la vivacità del
racconto, è un paesano della Russia centrale che si è consacrato alla vita
ascetica del pellegrinaggio, così frequente e caratteristica nella russia di
allora: tutti i romanzi di Tolstoj, di Dostojeswsky, di Turghenev, di Ljeskov
conoscono questi tipi di pellegrini. Il vocabolario, la sintassi, le immagini
sono quelle di un mugik, ma il libro anche se non ha pretese letterarie, è
ritenuto ormai un classico della letteratura. Avventure succedono ad
avventure, incontri a incontri: in poche pagine il pellegrino ci dà un quadro
quasi completo e perfetto – anche se un po’ idealizzato – della Russia di un
secolo fa: briganti e soldati, guardaboschi sperduti nel deserto delle
immense foreste siberiane, scrivani increduli e motteggiatori, ragazze che
fuggono alla vigilia del matrimonio, giudici ubriachi, polacchi cattolici,
contadini, signori ospitali, nobili, pii sacerdoti, monache… Il pellegrino
nelle sue soste ora fa l’eremita col guardaboschi, ora, col sagrestano in una
piccola cappella, fa la lettura della Filocalia ai devoti, ora insegna a
scrivere al figlio di un contadino. Derubato dai briganti, viene giudicato
poi come seduttore di ragazze; per alcuni è un matto, altri lo ritengono un
santo e un taumaturgo. Viene bastonato, cade nell’acqua ghiacciata, si sperde
nelle foreste, è tentato da una donna: attraverso tutti i suoi casi, egli
continua a lodare Dio e il suo cuore trabocca di una gioia senza fine. È uno
dei più grandi libri di avventure: fantastico, vario, avvincente e, quello
che più conta, vero. Libro strano, senza riscontro, di cui non sai dire con
precisione né dove, né quando fu scritto, né che l’abbia composto. Quanto
raccogliamo dalla lettura è tuttavia sufficiente a determinare pressappoco la
data della sua composizione. Sembra di dover fissare questo tempo fra la
guerra di Crimea 1853-54 e la liberazione dei servi avvenuta nel 1862. Ma
questo tempo non ci direbbe piuttosto l’epoca nella quale sarebbero avvenute
le peregrinazioni del nostro strannik, invece che la data della composizione
del libro? Il libro infatti da una parte reca le tracce dell’epoca di
Alessandro I (primi decenni dell’ottocento) e forse del romanticismo
occidentale, dall’altra ha caratteristiche che sembrano proprie invece degli
scritti monastici russi degli ultimi decenni del secolo scorso. La medesima
incertezza riguardo al luogo. Il libro fu stampato la prima volta a Kazan nel
1881 da Paissio, abate del monastero di S. Michele Arcangelo, il quale aveva
ricopiato un manoscritto veduto molti anni prima in un monastero del Monte
Athos; d’altra parte sembra che il manoscritto l’abbia avuto fra mano il
celebre starets Ambrogio di Optina verso il 1860 e fosse di proprietà di un
asua penitente. Lo starets Ambrogio credeva anzi di aver conosciuto l’autore delle relazioni:
un certo mercante Nemytov che era stato discepolo per qualche tempo dello starets Macario di Optina. Primo racconto
Pregate
senza posa Per grazia di Dio io sono un
uomo e cristiano, per azioni gran peccatore, per condizione un pellegrino
senza terra, della specie più misera, sempre in giro da paese a paese. Per
ricchezza ho sulle spalle un sacco con un po’ di pane secco, nel mio
camiciotto la santa Bibbia, e basta. La ventiquattresima domenica dopo la
Trinità sono entrato in chiesa per pregare mentre si recitava l’Ufficio; si
leggeva l’Epistola dell’Apostolo ai Tessalonicesi, in quel passo dove è
detto: "Pregate senza posa".
Quella parola penetrò profondamente nel mio spirito, e mi chiesi come sarebbe
stato possibile pregare senza posa dal momento che ognuno di noi deve
occuparsi di tanti lavori per sostenere la propria vita. Ho cercato nella
Bibbia e ho letto coi miei occhi proprio quel che avevo inteso: Bisogna pregare senza posa, pregare con lo spirito in ogni
occasione, pregare in ogni luogo alzando mani pure. Avevo un bel riflettere, non
sapevo proprio cosa decidere. "Che fare?", pensavo. Dove trovare
qualcuno che mi possa spiegare quelle parole? Andrò nelle chiese dove
predicano uomini di gran fama, e forse là troverò quel che cerco. E mi misi
in cammino. Ho ascoltato molte prediche magnifiche sulla preghiera. Erano però
istruzioni sulla preghiera in generale; che cosa è la preghiera, perché è
necessario pregare veramente, su questo, nemmeno una parola. Ho sentito una
predica sulla preghiera in spirito e sulla preghiera perpetua; ma non mi si
diceva come fare per giungere a questa preghiera. Così, frequentando le
prediche non sono riuscito ad avere quel che desideravo. Allora ho smesso di
andare alle prediche e ho deciso di cercare con l’aiuto di Dio un uomo
sapiente ed esperto, che mi sapesse spiegare quel mistero dal quale il mio
spirito era rimasto invincibilmente attratto. Quanto tempo ho camminato!
Leggevo la Bibbia e chiedevo se non si potesse trovare in qualche luogo un
maestro spirituale o una guida saggia e piena di esperienza. Una volta mi fu
detto che in un villaggio viveva da molti anni un signore che si occupava di
salvare l’anima sua: "Egli ha una sua cappella, non si muove mai e senza
posa prega Dio e legge libri spirituali". A queste parole non camminai
più, ma mi misi addirittura a correre verso il villaggio; vi giunsi e mi
diressi subito alla casa di quel signore. – Che vuoi da me? –, mi chiese. –
Ho sentito dire che siete un uomo pio e saggio; per questo vi chiedo in nome
di Dio di spiegarmi che cosa vuol dire questa espressione dell’Apostolo:
"Pregate senza posa", e
come sia possibile pregare in questo modo. Ecco quel che voglio capire e pure
non ci so arrivare da solo. Il signore rimase qualche istante in silenzio, mi
guardò con attenzione e disse: – La preghiera perpetua è lo sforzo incessante
dello spirito umano per giungere a Dio. Per riuscire in questo benefico
esercizio, conviene chiedere spesso al Signore di insegnarci a pregare senza
posa. Prega di più, e con più zelo; la preghiera ti farà capire da sé come
può diventare perpetua; per questo ci vuole molto tempo. Dopo queste parole
mi fece servir da mangiare, mi diede qualche moneta per il viaggio e mi
congedo. Ma non aveva saputo spiegare nulla. Ripresi la mia via; pensavo,
leggevo, riflettevo come meglio potevo a quel che mi aveva detto quel signore,
e pure mi era impossibile comprendere; avevo tanta voglia di arrivarci che le
mie notti passavano senza sonno. Dopo aver percorso duecento verste, arrivai
a un capoluogo di provincia. Vi scorsi un monastero. Nella locanda mi dissero
che in quel monastero viveva un superiore pio, caritatevole e ospitale. Andai
da lui. Mi accolse con bontà, mi fece sedere e mi offrì da mangiare. – Padre
santo, gli dissi, non ho bisogno di un pranzo; vorrei invece che voi mi deste
un insegnamento spirituale: come fare per salvare l’anima? – Ecco: vivi secondo i comandamenti, prega Dio e sarai salvo! – Ho sentito dire che bisogna
pregare senza posa, ma non so come fare a pregare senza posa e non posso
nemmeno comprendere che cosa significhi la preghiera perpetua. Vi prego, Padre,
spiegatemi questo. – Non so, fratello, come spiegartelo meglio. Ma aspetta.
Ho un piccolo libro dove questo è esposto bene – e prese L’istruzione spirituale dell’uomo interiore di san Dimitri –:
prendi, leggi questa pagina. Cominciai a leggere questo passo: Le parole dell’Apostolo: Bisogna pregare senza posa si
applicano alla preghiera fatta con l’intelligenza; l’intelligenza, infatti,
può essere sempre immersa in dio e pregarlo senza posa. – Vi prego, spiegatemi come
l’intelligenza può rimanere sempre immersa in Dio senza distrarsi e pregarlo
senza posa. – È molto difficile, se Dio non
avrà concesso questo dono, disse il superiore. Ma non aveva detto niente.
Rimasi da lui tutta la notte, e il mattino, dopo averlo ringraziato per la
sua cortese accoglienza, mi misi in cammino senza saper bene dove andare. Ero
triste per la mia incapacità di capire, e per consolazione leggevo la santa
Bibbia. Così per cinque giorni seguitai a camminare per la strada maestra;
finalmente, una sera, incontrai un vecchietto che aveva l’aria di un
religioso. Alla mia domanda, rispose che era monaco e che l’eremo in cui
viveva con alcuni confratelli era a dieci verste dalla strada; mi invitò ad
andare da loro. – Da noi, mi disse, si ricevono i pellegrini, li alloggiamo e
diamo loro da mangiare nella nostra foresteria. Non avevo proprio alcuna
voglia di andarci e gli dissi: – Il mio riposo non dipende da un alloggio, ma
da un insegnamento spirituale; non cerco un pasto, ho abbastanza pane nel mio
sacco. – Quale insegnamento vai cercando? Cosa desideri capire meglio? Vieni
da noi, caro fratello: abbiamo alcuni starets
così esperti che possono darti un indirizzo spirituale e guidarti sulla via
vera alla luce della parola di Dio e degli insegnamenti dei santi Padri. –
Vedete, padre, è un anno ormai che, ascoltando leggere l’Ufficio, ho inteso
questo comando dell’apostolo: Pregate
senza posa. Non sapendo come interpretare questa espressione, mi sono
messo a leggere la Bibbia. E anche in essa, in molti passi, ho trovato il
comando di Do: bisogna pregare senza posa, sempre, in ogni occasione, in ogni
luogo, non solo durante il lavoro quotidiano, non solo quando si è svegli, ma
anche nel sonno: Io dormo ma il mio
cuore è desto. Questo mi ha molto sorpreso e non ho potuto comprendere
come si possa compiere tal cosa e quali sono i mezzi per arrivarvi; si è
destato in me un desiderio vivo e un’ardente curiosità: queste parole non mi
hanno più dato pace né di giorno né di notte. Così mi sono messo a
frequentare le chiese, ho ascoltato le prediche sulla preghiera; ma ascolta
ascolta, non ho mai sentito dire come si fa a pregare senza posa. Si parlava
sempre della preparazione alla preghiera o dei suoi frutti, senza che fosse
insegnato come pregare senza posa e quel che significa una simile preghiera.
Ho letto spesso la Bibbia e vi ho trovato quel che avevo sentito; ma non sono
ancora riuscito a comprendere quello che vorrei sapere. Così dal quel tempo
io continuo a essere incerto e inquieto. – Ringrazia Dio, fratello caro,
perché ti ha rivelato un’attrazione così viva in te verso la preghiera
interiore perpetua. Vedi in questo la chiamata di Dio e calmati, pensando che
così l’accordo tra la tua volontà e la volontà divina è stato giustamente
provato; egli ti ha dato di comprendere che né la saggezza di questo mondo,
né un desiderio vano di conoscenza possono guidare alla luce celeste – la
preghiera perpetua – ma la povertà di spirito e l’esperienza attiva nella
semplicità del cuore. Ecco perché non fa meraviglia che tu non abbia inteso
nulla di profondo sull’azione di pregare e che non abbia potuto imparare come
giungere a questa attività perpetua. In verità si predica molto sulla
preghiera e ci sono molti lavori recenti su questo argomento, ma tutti i
giudizi dei loro autori sono basati sulla speculazione intellettuale, sui
concetti della ragione naturale e non sull’esperienza nutrita dall’azione,
parlano più di quel che è accessorio alla preghiera che non della sua
essenza. Uno spiega magnificamente perché è necessario pregare; un altro
parla della potenza e degli effetti benefici della preghiera; un terzo delle
condizioni necessarie per pregare bene, ossia lo zelo, l’attenzione, il
fervore del cuore, la purità di spirito, l’umanità, il pentimento, tutti
sentimenti necessari per accingersi a pregare. Ma a che cosa sia la preghiera
e a come si impari a pregare – problemi che pure sono essenziali e
fondamentali – è raro trovare risposta nei predicatori di oggi; perché questo
è più difficile di tutte le loro spiegazioni e richiede non una cultura scolastica,
ma una conoscenza mistica. E quel che è più triste, questa saggezza
elementare e vana porta a misurare Dio con una misura umana. Molti commettono
un grande errore quando pensano che i mezzi preparatori e le buone azioni
generano la preghiera, mentre in realtà la fonte delle opere e di tutte le
virtù è proprio la preghiera. Essi, erroneamente, scambiano i frutti o le
conseguenze della preghiera con i mezzi per arrivarci, e così ne diminuiscono
la forza. È un punto di vista completamente opposto alla Scrittura, perché
l’Apostolo Paolo così parla della preghiera: Vi scongiuro prima di tutto di pregare. Così L’Apostolo pone la
preghiera al di sopra di tutto: vi
scongiuro prima di tutto di pregare. Al cristiano si chiede di compiere
molte opere buone, ma l’opera della preghiera è al di sopra di tutte le
altre, perché senza di lei non si può trovare la via che conduce al Signore,
conoscere la Verità, crocifiggere la carne con le sue passioni e i suoi
desideri, essere illuminato nel cuore dalla luce di Cristo e unirsi a lui
nella salvezza. Dico frequente, perché la perfezione e la correzione della
nostra preghiera non dipendono da noi, come ancora dice l’Apostolo Paolo: Non sappiamo quel che bisogna
domandare. Solo la frequenza è lasciata in nostro potere come mezzo per
raggiungere la purezza di preghiera, che è la madre di ogni bene spirituale. Acquista la madre e avrai la discendenza,
dice sant’Isacco il Siriaco, insegnando che bisogna acquistare prima la
preghiera per poter mettere in pratica tutte le virtù. Ma conoscono male tali
questioni e ne parlano poco quelli che non si sono familiarizzati con la
pratica e gli insegnamenti misteriosi dei Padri. Così conversando, eravamo arrivati senza accorgercene fino all’eremo.
Per non separarmi da quel saggio vecchietto e soddisfare tutto il mio
desiderio, mi affrettai a dirgli: – Vi prego, venerando Padre, spiegatemi che cosa è la preghiera
interiore perpetua e come la si può imparare; vedo che voi ne avete
un’esperienza profonda e sicura. Lo starets accolse la mia
domanda con bontà e mi invitò a rimanere con lui: – Vieni da me, ti darò un libro dei Padri che ti farà comprendere in
modo chiaro che cosa sia la preghiera e te la farà imparare con l’aiuto di
Dio. Entrammo nella sua cella e lo starets
mi rivolse queste parole: – La preghiera di Gesù, interiore e costante, è l’invocazione continua
e ininterrotta del nome di Gesù con le labbra, con il cuore e con
l’intelligenza, nella certezza della sua presenza in ogni luogo, in ogni
tempo, anche durante il sonno. Si esprime con queste parole: "Signore
Gesù Cristo, abbiate pietà di me!" Chi si abitua a questa invocazione ne riceve gran consolazione e prova
il bisogno di dire sempre questa preghiera; dopo un po’ di tempo, non può più
vivere senza ed essa scorre in lui da sola. Comprendi ora cos’è la preghiera
perpetua? – Lo comprendo benissimo, padre! In nome di Dio, insegnatemi ora come
arrivarci! Esclamai pieno di gioia. Come si impari la preghiera, lo vedremo in questo libro, che si chiama Filocalia, e contiene la scienza
completa e particolareggiata della preghiera interiore perpetua esposta da
venticinque Padri; è così utile e perfetto da essere considerato la guida
essenziale della vita contemplativa e, come dice il beato Niceforo,
"conduce alla salvezza senza pena e senza dolore". – È allora più alto della Bibbia? Gli chiesi: – Non è più alto né più santo della Bibbia, no. Ma contiene le
spiegazioni luminose di tutto quel che rimane misterioso, nella Bibbia, a
cagione della debolezza del nostro spirito, la cui vista non arriva fino a
quelle altezze. Ecco un’immagine: il sole è un astro maestoso, splendente e
superbo; ma non si può guardarlo a occhio nudo. Per contemplare questo re
degli astri e sopportare il suo sguardo di fiamma, bisogna usare un vetro
artificiale, infinitamente più piccolo e più opaco del sole. Bene: la
Scrittura è quel sole splendente e la Filocalia
quel pezzo di vetro. Ascolta, ora ti leggerò come esercitarsi alla preghiera
interiore perpetua. Lo starets aprì la Filocalia, scelse un passo di Simeone
il Nuovo Teologo e cominciò. "Rimani assiso nel silenzio e nella
solitudine, piega il capo, chiudi gli occhi; respira più dolcemente, guarda
con l’immaginazione nell’intimo del tuo cuore, raccogli la tua intelligenza,
ossia il tuo pensiero, dalla testa al cuore. Scandisci respirando:
"Signore Gesù Cristo, abbiate pietà di me", a voce bassa, o anche
soltanto con la mente. Sforzati di cacciar via ogni pensiero, sii paziente e
ripeti questo esercizio". Poi lo starets mi spiegò
tutto questo con degli esempi, e leggemmo ancora nella Filocalia le parole di san Gregorio il Sinaita e dei beati
Callisto e Ignazio. Tutto quel che leggemmo lo starets me lo spiegava con parole sue. Io stavo attento ed
estatico, sforzandomi di fissare tutte quelle parole nella memoria con la
maggior precisione. Passammo così tutta la notte e andammo a mattutino senza
aver dormito mai. Lo starets,
congedandomi, mi benedisse e mi esortò a tornare con franchezza e semplicità
di cuore, perché è vano accingersi senza guida all’opera dello spirito. In chiesa sentii in me uno zelo che mi incitava a studiare con
attenzione la preghiera perpetua, e chiesi a Dio di volermi aiutare. Poi mi
venne il timore che sarebbe stato molto difficile andare dallo starets per confessarmi e chiedergli consiglio;
in foresteria non potevano ospitarmi più di tre giorni e nei dintorni non
c’era alcun modo di essere alloggiato… Per fortuna, seppi che a quattro
verste da lì c’era un villaggio; allora vi andai per cercare un posto e, con
mia gioia, Dio mi aiutò. Potei sistemarmi come guardiano presso un contadino,
a patto di passare l’estate da solo in una capanna in fondo all’orto. Grazie
a Dio, avevo trovato un angolo tranquillo. Fu così che mi misi a vivere e a
studiare, secondo i mezzi suggeriti, la preghiera interiore, andando spesso a
vedere lo starets. Per una settimana mi esercitai nella solitudine del mio orticello allo
studio della preghiera interiore, seguendo esattamente i consigli dello starets. Da principio, tutto pareva
andare bene. Ma poi sentii una gran pesantezza, pigrizia, noia, un sonno
invincibile e i pensieri si abbatterono su di me come nuvole. Andai dallo starets pieno di rammarico e gli
esposi il mio stato. Mi accolse con bontà e mi disse: – Fratello caro, è la lotta che conduce contro di te il mondo oscuro,
perché non c’è nulla che esso tema tanto quanto la preghiera del cuore. Ma il
nemico non agisce che secondo la volontà e il permesso di Dio, nella misura
che a noi è necessaria. È certamente opportuno che la tua umiltà venga ancora
messa alla prova; è troppo presto per arrivare con uno zelo eccessivo alle
soglie del cuore, perché correrai il rischio di cadere nell’avarizia
spirituale. Ti leggerò ora quel che dice in proposito la Filocalia. Lo starets cercò tra gli
insegnamenti del monaco Niceforo e lesse: "Se malgrado tutti gli sforzi, fratello, non puoi entrare nella
regione del cuore, come io ti ho consigliato, fa’ quel che ti dico e, con
l’aiuto di Dio, troverai quello che cerchi. Tu sai che la ragione di ogni uomo sta nel petto… A questa ragione leva
via dunque ogni pensiero (lo puoi se lo vuoi) e ripeti il "Signore Gesù
Cristo, abbiate pietà di me". Cerca di sostituire con questa invocazione
interiore ogni altro pensiero, e alla fine questo ti aprirà certamente la
soglia del cuore: l’esperienza lo garantisce". Accolsi con gioia le parole dello starets
e tornai alla mia capanna. Mi misi a fare per filo e per segno quel che egli
mi aveva insegnato. Per due giorni ci fu qualche difficoltà, poi questo
divenne così facile che quando non dicevo la preghiera, sentivo il bisogno di
riprenderla ed essa scorreva facile e leggera senza più l’applicazione
costretta dell’inizio. Narrai questo fatto allo starets,
che mi ordinò di recitare seimila preghiere al giorno e mi disse: Sta’ tranquillo e sforzati soltanto di attenerti fedelmente al numero
di preghiere che ti è prescritto: Dio avrà misericordia di te. Per tutta una
settimana rimasi nella mia capanna solitaria a recitare ogni giorno le mie seimila
preghiere senza preoccuparmi di niente e senza dover lottare contro le
distrazioni; cercavo solo di osservare fedelmente il comando dello starets. Che avvenne? Mi abituai così
bene alla preghiera che, se mi fermavo anche solo un istante, sentivo un
vuoto come se avessi perduto qualcosa; non appena ricominciavo la preghiera,
mi sentivo di nuovo leggero e felice. Se incontravo qualcuno, non avevo più
voglia di parlare, desideravo soltanto stare in solitudine e recitare la
preghiera, tanto mi ero abituato nel giro di una settimana. Lo starets che non mi vedeva
ormai da dieci giorni venne da me egli stesso, a sentire mie notizie; gli
spiegai quel che mi accadeva. Mi ascoltò, poi disse: – Eccoti abituato alla preghiera. Vedi, bisogna ora conservare quest’abitudine
e rafforzarla; non perdere tempo e, con l’aiuto di Dio, impegnati a recitare
dodicimila preghiere al giorno; rimani in solitudine, alzati un poco prima,
coricati un poco più tardi e vieni a trovarmi due volte ogni mese. Mi attenni agli ordini dello starets
e, il primo giorno riuscii a malapena a recitare le mie dodicimila preghiere,
terminando a sera molto avanzata. Il giorno dopo la cosa mi riuscì più facile
e più gradevole; sentii dapprima una certa fatica, una specie di indurimento
della lingua e una rigidezza nelle mascelle, ma senza alcuna sensazione
sgradevole; quindi avvertii un leggero dolorino al palato, poi al pollice
della mano sinistra che sgranava il rosario, mentre il braccio si riscaldava
fino al gomito, il che provocava una sensazione deliziosa. E questo non
faceva che incitarmi a recitare ancor meglio la mia preghiera. Così per
cinque giorni eseguii fedelmente le dodicimila preghiere e insieme con
l’abitudine acquistai anche la gioia della preghiera. In mattino per tempo fui, si può dire, svegliato dalla preghiera.
Cominciai a dire le mie orazioni del mattino, ma la lingua mi si inceppava e
non avevo altro desiderio che quello di recitare la preghiera di Gesù. Non
appena cominciai, divenni tutto gioioso, le mie labbra si muovevano da sole e
senza sforzo. Passai tutta la giornata in letizia. Ero come tagliato fuori da
tutto e mi sentivo in un altro mondo; terminai senza difficoltà le mie
dodicimila orazioni prima della fine della giornata. Avrei addirittura voluto
continuare, ma non osavo superare la cifra che mi era stata imposta dallo starets. I giorni che seguirono
continuai a invocare il nome di Gesù Cristo con facilità e senza mai
stancarmi. Andai a visitare lo starets e
gli raccontai ogni cosa nei più minimi particolari. Alla fine egli mi disse: – Dio ti ha dato il desiderio di pregare e la possibilità di farlo
senza fatica. È un effetto naturale, prodotto dall’esercizio e
dall’applicazione costante, come una ruota che si fa girare intorno a un
perno; dopo una spinta essa continua a girare su se stessa, ma per far sì che
il movimento duri bisogna ungere il meccanismo e dare nuove spinte. Tu vedi
ora di quali facoltà meravigliose il Dio amico degli uomini ha dotato la
nostra natura sensibile, e hai conosciuto le sensazioni straordinarie che
possono nascere anche nell’anima peccatrice, nella natura impura che non è
illuminata ancora dalla grazia. Ma quale grado di perfezione, di gioia e di
rapimento non raggiunge l’uomo, quando il Signore vuole rivelargli la
preghiera spirituale spontanea e purificare l’anima sua dalle passioni! È il
dono che ricevono coloro che cercano il Signore nella semplicità di un cuore
che trabocca d’amore! Ormai ti permetto di recitare tante preghiere quante tu vorrai; cerca
di consacrare alla preghiera tutto il tuo tempo, e invoca il nome di Gesù
senza più contare, rimettendoti umilmente alla volontà di Dio e sperando nel
suo aiuto; egli non ti abbandonerà e guiderà il tuo cammino. Obbedendo a questa regola, passai tutta l’estate a recitare senza posa
la preghiera di Gesù e fui veramente sereno. Durante il sonno, sognavo a
volte di star recitando la preghiera. E durante la giornata, quando mi
capitava di incontrare delle persone, esse mi parevano così care come se
fossero stati membri della mia famiglia. Le distrazioni si erano placate e io
non vivevo che con la preghiera; cominciavo a indurre il mio spirito ad
ascoltarla e a volte il mio cuore ne riceveva un senso di calore e di gioia
immensi. Quando mi succedeva di entrare in chiesa, il lungo servizio della solitudine
mi pareva breve e non mi stancava più come un tempo. La mia solitaria
capannuccia mi pareva un palazzo meraviglioso, e non sapevo come ringraziare
Dio di aver mandato a me, povero peccatore, uno starets dagli ammaestramenti così preziosi. Ma non potei beneficiare a lungo della direzione del mio diletto e
saggio starets: egli morì sul
finire dell’estate. Gli dissi addio con le lacrime agli occhi e,
ringraziandolo per il suo paterno insegnamento, gli chiesi di lasciarmi come
benedizione il rosario con cui aveva sempre pregato. Così rimasi solo.
L’estate finì, si raccolsero i frutti dell’orto; non avevo più un tetto. Il
contadino mi diede due rubli d’argento per salario, riempì il mio sacco di
pane per il viaggio e io ripresi la mia vita errante, ma non ero più povero
come un tempo: l’invocazione del nome di Gesù Cristo mi sosteneva lungo il
cammino e tutti mi trattavano con bontà; pareva che tutti si fossero messi a
volermi bene. Un giorno mi chiesi che cosa avrei potuto fare con i rubli che mi aveva
dato il contadino. A che cosa mi servono? Ah, ecco: non ho più lo starets, non ho alcuno che mi serva di
guida. Mi vado a comprare una Filocalia;
ne trovai una, sì, ma il negoziante voleva tre rubli e io non ne avevo
che due. Ebbi un bel contrattare, non volle scendere di un centesimo; alla
fine mi disse: – Va’ un po’ a vedere in questa chiesa, qui accanto. Chiedi del
sagrestano. So che ha un vecchio libro come questo, e forse te lo cederà per
due rubli. Vi andai e infatti potei acquistare per due rubli una Filocalia quanto mai vecchia e
sciupata. La aggiustai come mi fu possibile con della tela e la misi nel mio
sacco in compagnia della Bibbia. E ora eccomi pellegrino, recitando senza posa la preghiera di Gesù che
mi è più cara e più dolce di ogni altra cosa al mondo. Talvolta percorro più
di settanta verste in un giorno e non mi accorgo di camminare; sento soltanto
che recito la preghiera. Quando un freddo violento mi colpisce, recito la
preghiera con maggior attenzione e ben presto mi sento caldo e confortato. Se
la fame si fa troppo insistente, invoco più spesso il nome di Gesù Cristo e
non mi ricordo più di aver avuto fame. Se mi sento male e la schiena o le
gambe mi dolgono, mi concentro nella preghiera di Gesù e non sento più
dolore. Quando qualcuno mi insulta, non penso che alla benefica preghiera di
Gesù; immediatamente collera o pena svaniscono e dimentico tutto. Il mio
spirito è diventato semplice, veramente. Non mi do pena per nulla, nulla mi
occupa, nulla di quanto è esteriore mi trattiene; vorrei essere sempre in
solitudine; per abitudine, non ho che un bisogno solo: recitare senza posa la
preghiera, e quando lo faccio divento allegro. Dio sa che cosa si compie in
me. Naturalmente tutte queste cose sono soltanto impressioni sensibili o,
come diceva lo starets, l’effetto
della natura e di un’abitudine acquisita; ma non oso ancora mettermi a
studiare la preghiera nell’intimo del cuore, sono troppo indegno e troppo
stupido. Aspetto l’ora di Dio sperando nella preghiera del mio starets defunto. Così non sono giunto
ancora alla preghiera spirituale del cuore, spontanea e perpetua: ma, grazie
a Dio, comprendo chiaramente ora quel che significa la parola dell’Apostolo
che avevo udita un tempo: Pregate senza
posa. Secondo Racconto
Signore… Gesù… Cristo… A lungo ho viaggiato per ogni sorta di paesi, accompagnato dalla
preghiera di Gesù, che mi dava forza e consolazione in tutti i miei viaggi, in
ogni occasione e in ogni incontro. Alla fine mi parve che avrei fatto bene a
fermarmi in qualche luogo per trovare una solitudine più piena e studiare la Filocalia, che fino allora avevo
potuto leggere solo di sera, quando mi fermavo, o durante la siesta di
mezzogiorno. Avevo un desiderio ardente di immergermi a lungo in quella
lettura per attingervi con fede la dottrina vera della salvezza dell’anima
con la preghiera del cuore. Purtroppo, per soddisfare il mio desiderio, non
potevo impegnarmi in alcun lavoro manuale, perché fin dalla prima infanzia
avevo perduto l’uso del braccio sinistro; così, nell’impossibilità di
fissarmi in qualche luogo, mi diressi verso i paesi della Siberia, verso
sant’Innocente d’Irkutsk pensando che, attraverso le pianure e le foreste
della Siberia, avrei trovato un grande silenzio e mi sarei potuto dedicare
con più agio alla lettura e alla preghiera. Mi misi in viaggio recitando
senza posa la preghiera. Dopo un po’ di tempo sentii che
la preghiera scorreva da sola nel mio cuore, o meglio, il mio cuore, battendo
regolarmente, si metteva in certo qual modo a recitare da sé le parole sante
a ogni battito; per esempio, 1: Signore, 2: Gesù, 3: Cristo, e via dicendo.
Cessai di muovere le labbra e ascoltai attentamente quel che diceva il mio
cuore, ricordandomi quanto fosse piacevole, secondo le parole dello starets defunto. Poi avvertii un lieve
dolore al cuore e nello spirito un amore così grande per Gesù Cristo che, se
l’avessi veduto, mi sarei gettato ai suoi piedi, li avrei stretti, baciati e
bagnati di lacrime, ringraziandolo per la consolazione che egli ci dà con il
suo nome, nella sua bontà e nel suo amore per la sua creatura colpevole e
indegna. Si accese presto nel mio cuore un confortevole calore che si diffuse
in tutto il petto. Questo mi portò in particolare a un’attenta lettura della Filocalia per verificare in essa
queste mie sensazioni e studiare così lo sviluppo della preghiera interiore
del cuore; senza questo controllo avrei avuto paura di cadere nell’illusione,
di scambiare le azioni della natura per quelle della grazia e di inorgoglirmi
così per quella rapida conquista della preghiera, come mi aveva ben spiegato
il mio starets defunto. Per questo
camminavo soprattutto durante la notte e passavo la giornata a leggere la Filocalia seduto nei boschi sotto gli
alberi. Quante cose nuove, profonde e ignorate scoprii con quella lettura! In
quella occupazione gustai una beatitudine più perfetta di quanto mai avessi
potuto immaginare fino a quel momento. Senza dubbio, alcuni passi rimanevano
incomprensibili al mio spirito limitato, ma gli effetti della preghiera del
cuore illuminavano quello che non riuscivo a comprendere; per di più, vedevo
talvolta in sogno il mio starets
defunto che mi spiegava molte difficoltà e piegava sempre di più la mia anima
verso l’umiltà. Trascorsi i due mesi della piena estate in questa perfetta
felicità. Passavo specialmente per i boschi e per i viottoli di campagna;
quando arrivavo a un villaggio, domandavo un sacco di pane, un pugno di sale
e riempivo d’acqua la mia borraccia, quindi ripartivo per altre cento verste.
Certamente per causa dei
peccati commessi dalla mia anima incallita, o per il progresso della mia vita
spirituale, verso la fine dell’estate si fecero sentire le tentazioni. Ecco
come avvenne. Una sera che ero sbucato sulla via principale, incontrai due
uomini che avevano un berretto militare sul capo; mi chiesero del denaro.
Quando io risposi loro che non avevo un centesimo, non mi vollero credere e
gridarono con violenza: – Non raccontarci storie; i pellegrini mettono sempre
via un mucchio di soldi! Uno dei due aggiunse: – È inutile perder tempo a
parlare! E mi colpì sul capo con il suo bastone: io ruzzolai per terra
svenuto. Non so se rimasi così molto tempo, ma quando tornai in me, vidi che
ero nel bosco vicino alla strada; ero tutto strappato e il mio sacco era
scomparso; non c’erano più che i capi delle due cordicelle con le quali lo
tenevo. Grazie a Dio, non mi avevano rubato il passaporto, che io serbavo nel
mio vecchio berretto per poterlo esibire in fretta quando ce n’era bisogno.
Rimesso in piedi, piansi amaramente non tanto per il dolore al capo, quanto
piuttosto per i miei libri, la Bibbia e la mia Filocalia, che erano nel sacco rubato. Tutto il giorno, tutta la
notte mi rammaricai e piansi. Dov’è finita la mia Bibbia, che leggevo da
quando ero bambino e che avevo sempre portata con me? Dov’è la mia Filocalia, dalla quale traevo
insegnamento e conforto? Infelice, ho perduto l’unico tesoro della mia vita,
prima di essermene saziato fino in fondo. Sarebbe stato meglio morire che
vivere così, senza nutrimento spirituale. Non li potrò mai comperare di
nuovo. Per due giorni potei a malapena camminare tanto ero afflitto; il terzo
giorno mi lasciai cadere stremato di forze presso un cespuglio e mi
addormentai. Ecco che in sogno mi vedo nella cella del mio starets e gli racconto in lacrime la
mia pena. Lo starets mi consola e
mi dice: – Sia questa per te una lezione di distacco dalle cose terrene per
andare più liberamente verso il cielo. Questa prova ti è stata mandata
affinché tu non cada nella voluttà spirituale. Dio vuole che il cristiano
rinunci alla sua volontà e a ogni attaccamento ad essa, al fine di affidarsi
completamente alla volontà divina. Tutto quello che egli fa è per il bene e
la salvezza dell’uomo. Egli vuole che tutti siano salvi (1Tm 2,4). Fatti animo, e credi che con la tentazione il Signore
procurerà anche la via d’uscita (1Cor 10,13).
Quanto prima tu riceverai una consolazione più grande di tutto il tuo dolore.
A queste parole mi svegliai, sentii nel mio corpo delle forze nuove e
nell’anima quasi un’aurora e una calma nuova. – Sia fatta la volontà del
Signore! – dissi. Mi alzai, mi feci il segno della croce e partii. La
preghiera agiva di nuovo nel mio cuore come un tempo e per tre giorni
camminai serenamente. A un tratto incontro per la via una colonna di forzati,
che venivano condotti con la scorta. Quando mi furono vicini, riconobbi tra
loro i due che mi avevano derubato e, dato che camminavano a un lato della colonna,
mi gettai ai loro piedi e li supplicai di dirmi dove erano i miei libri. In
un primo momento essi finsero di non riconoscermi, poi uno di loro disse: –
Se ci dai qualche cosa, ti diremo dove sono i tuoi libri. Vogliamo un rublo
d’argento. Giurai che glielo avrei dato senz’altro, a costo di mendicare per
metterlo insieme. – Prendete il mio passaporto, tenetelo come pegno. Mi
dissero che i miei libri erano nei carri, insieme con gli altri oggetti
rubati che avevano dovuto consegnare. – Come posso fare per riaverli? – Chiedili al capitano della
scorta. Corsi dal capitano e gli spiegai la cosa in tutti i particolari.
Così, parlando, egli mi chiese se sapevo leggere la Bibbia. – So leggere, non
solo, ma anche scrivere; sulla Bibbia troverete una scritta di mio pugno, che
prova che quel libro è mio; ed ecco qua sul passaporto il mio nome e il mio
cognome. Il capitano mi disse: – Questi briganti sono dei disertori, vivevano
in una capanna e depredavano i passanti. Un vetturino in gamba ieri li ha
arrestati, mentre quelli cercavano di portargli via la troika. Non chiedo di
meglio che di restituirti i tuoi libri, se sono là dove ti hanno detto; ma
bisogna che tu venga con noi fino alla prossima tappa; è solo a quattro
verste di qui, non posso fermare tutto il convoglio per causa tua. Camminavo
tutto lieto a fianco del cavallo del capitano e parlavo con lui. Vidi che era
un brav’uomo e non più tanto giovane. Mi domando chi ero, da dove venivo e
dove andavo. Gli risposi in tutta verità; e così arrivammo al luogo di tappa.
Il capitano andò a cercare i miei libri e me li rese dicendo: – Dove vuoi
andare, ora? È notte ormai. Ti conviene restare con noi. Rimasi. Ero così
felice di aver ritrovato i miei libri che non sapevo come ringraziare Dio; li
strinsi al mio cuore fino ad averne i crampi alle braccia. Lacrime di gioia
inondavano i miei occhi e il cuore mi batteva di un palpito di gioia. Il
capitano disse guardandomi: – Si vede che ti piace leggere la Bibbia! Nella
mia gioia non riuscii a rispondere una sillaba. Non facevo che piangere. Il
capitano continuò: – Anch’io, fratello, leggo ogni giorno con attenzione il
Vangelo di Kiev che è rilegato in argento. Siediti qui, ti racconterò come
mai ho preso quest’abitudine. Olà! Portateci la cena! Ci sedemmo a tavola. Il capitano cominciò il suo racconto: – Dalla mia
giovinezza in poi ho sempre servito nell’esercito e mai nella guarnigione.
Conoscevo bene il servizio e i miei capi mi consideravano un soldato modello.
Ma ero molto giovane e altrettanto giovani erano i miei amici; per mia
disgrazia, imparai a bere e mi abbandonai a tal punto a questo piacere che
finii per ammalarmi. Quando non bevevo, ero un ottimo ufficiale, ma anche una
sola goccia di alcool voleva dire sei settimane di letto. Mi sopportarono un
bel po’, ma alla fine, avendo io insultato un capo dopo aver bevuto, fui
degradato e condannato a prestar servizio tre anni in guarnigione; se non
avessi rinunciato a quel vizio, mi minacciavano pene anche più severe. In
quella misera situazione ebbi un bel cercare di frenarmi, di farmi curare,
non potei liberarmi dalla passione del bere, e fu deciso allora di inviarmi
al battaglione di disciplina. Quando ne fui informato, mi abbandonai alla
disperazione. Un giorno che ero seduto nella camera e ruminavo queste cose, ecco
che viene un monaco a questuare per una chiesa. Ognuno dava quel che poteva.
Arrivato vicino a me, mi chiese: "Perché sei così triste?" Parlai
un po’ con lui e gli raccontai le mie disavventure. Il monaco mostrò molta
comprensione per i miei guai e mi disse: "A mio fratello è successo lo
stesso, e se l’è cavata in questo modo. Il suo padre spirituale gli diede un
Vangelo e gli ordinò di leggere un capitolo ogni volta che avesse desiderio di bere; e se il desiderio
tornava, doveva leggere il capitolo successivo. Mio fratello mise in pratica
il consiglio e di lì a qualche tempo la passione di bere cessò. Da quindici
anni non assaggio una bevanda alcolica. Fa’ lo stesso e ne proverai il
beneficio anche tu. Ho un Vangelo, se vuoi te lo porterò". A queste parole
gli dissi: "Cosa vuoi che faccia il tuo Vangelo, se i miei sforzi e i
mezzi medici non sono serviti a nulla?" (parlavo così perché non avevo
mai letto il Vangelo). "Non parlare così – replicò il monaco – ti
assicuro che ne ricaverai un bene". L’indomani infatti il monaco mi
portò questo Vangelo che ora vedi. Lo aprii, lo guardai, lessi qualche frase
e dissi: "Non lo voglio, non ci capisco nulla; non ho l’abitudine di
leggere i caratteri dei libri di chiesa". Il monaco continuò a
persuadermi dicendo che nelle parole del Vangelo c’è una forza benefica,
perché sono parole che Dio stesso ha pronunciato. "Non importa se non
capisci nulla, basta che tu legga con attenzione. Un santo ha detto: "Se tu non capisci la parola di Dio,
i diavoli però capiscono quel che tu leggi e tremano (cfr. Gc 2,19), e certamente il desiderio di
bere è pure l’opera dei demoni. E ti dico anche questo: Giovanni Crisostomo
scrive che anche il posto in cui viene tenuto il Vangelo sgomenta gli spiriti
delle tenebre e serve di ostacolo ai loro complotti". Ora non ricordo
bene; mi pare di aver dato qualcosa a quel monaco; presi il suo Vangelo e lo
ficcai in un baule con le cose mie, ma ben presto lo dimenticai
completamente. Qualche tempo dopo giunse il momento di bere; morivo dalla
voglia e aprii il mio baule per prendere il denaro e correre alla mescita. Mi
cadde sotto l’occhio il Vangelo, e mi tornò in mente immediatamente tutto
quello che il monaco mi aveva detto. Lo aprii e cominciai a leggere il primo
capitolo di Matteo. Lessi fino in fondo, senza capirci nulla. Ma mi ricordai
quello che aveva detto il monaco: non importa se non capisci, basta che tu lo
legga con attenzione. Bene – dissi tra me – leggiamone un altro capitolo. La
lettura mi sembrò più chiara. Ecco già il terzo: non l’avevo cominciato che
squillò il segnale della ritirata. Non c’era più modo di uscire dalla
caserma, e rimasi senza bere. Il mattino dopo, mentre stavo per uscire a
cercare un po’ d’acquavite, mi dissi: e se leggessi un altro capitolo del
Vangelo? Stiamo un po’ a vedere. Lessi e non mi mossi di là. Un’altra volta
ancora mi venne voglia di bere dell’alcool, ma mi misi a leggere e mi sentii
rinfrancato. Ne fui tutto riconfortato, e a ogni richiamo del mio vizio, mi
precipitavo su un capitolo del Vangelo. Più il tempo passava e meglio
andavano le cose. Quando ebbi finito i quattro Vangeli, la mia passione per
il vino era completamente scomparsa; ero diventato di sasso a tal riguardo.
Ed ecco, da più di vent’anni non assaggio più una bevanda alcolica. Tutti
furono stupiti del mio mutamento. In capo a tre anni fui riammesso nel corpo
ufficiali, percorsi i gradi successivi e divenni capitano. Presi moglie,
capitai in una bravissima donna; abbiamo messo da parte qualcosa e ora,
grazie a Dio, le cose vanno benino; aiutiamo i poveri come possiamo e
ospitiamo i pellegrini. Ho un figlio che è già ufficiale, un gran bravo
ragazzo. Ebbene vedi, dopo la mia guarigione, mi sono ripromesso di leggere
ogni giorno, per tutta la mia vita, uno dei quattro Vangeli per intero, e non
c’è ostacolo che valga. Quando sono carico di lavoro e mi sen spossato, mi
corico e prego mia moglie o mio figlio di leggere il Vangelo accanto a me,
così non vengo meno al mio impegno. In testimonianza di riconoscenza e per la
gloria di Dio, ho fatto rilegare il Vangelo in argento massiccio e lo porto
sempre sul mio petto. Ascoltai con vivo piacere i propositi del capitano e
gli dissi: – Ho conosciuto un caso analogo al vostro; nel mio villaggio, alla
fabbrica, c’era un bravissimo operaio che sapeva molto bene il suo mestiere;
ma per sua disgrazia gli piaceva bere, e spesso. Un uomo devoto gli
consigliò, ogni qualvolta avesse voglia di acquavite, di recitare trentatré
preghiere di Gesù in onore della santissima Trinità e degli anni di vita
terrena di Gesù. Egli eseguì il consiglio e smise di bere. E non è tutto;
dopo tre anni, entrò in un monastero. – E che cosa vale di più, la preghiera
di Gesù o il Vangelo? Chiese il capitano. – È una cosa sola, risposi. Il
Vangelo è come la preghiera di Gesù, perché il nome divino di Gesù Cristo
racchiude in sé tutte le verità evangeliche. I Padri dicono che la preghiera
di Gesù è la sintesi di tutto il Vangelo. Poi recitammo le preghiere; il
capitano cominciò a leggere dall’inizio il Vangelo secondo Marco e io lo
ascoltai pregando entro il mio cuore. Il capitano terminò la lettura alle due
del mattino e ci andammo a coricare. Secondo la mia abitudine, mi alzai
presto il mattino; dormivano tutti; l’alba spuntava allora e io mi immersi
nella lettura della mia diletta Filocalia.
Con quale gioia l’apersi! Mi pareva di aver ritrovato un padre dopo una lunga
assenza o un amico risuscitato da morte. Baciai il libro e ringrazia Dio di
avermelo restituito; quindi cominciai a leggere Teolepto di Filadelfia nella
seconda parte della Filocalia. Fui
meravigliato di vedere che egli propone di dedicarsi contemporaneamente a tre
ordini di attività: seduto a tavola – egli dice – da’ nutrimento al tuo
corpo, al tuo spirito la lettura e al tuo cuore la preghiera. Ma il ricordo
della benefica sera trascorsa mi spiegò praticamente questo pensiero. Fu
allora che compresi il mistero della differenza tra il cuore e lo spirito.
Quando il capitano si svegliò, andai a ringraziarlo della sua bontà e a
dirgli addio. Mi versò il tè, mi diede un rublo d’argento e ci separammo. Io
ripresi la mia via di buonumore. Dopo la prima versta, mi ricordai che avevo
promesso ai soldati un rublo e ora possedevo proprio un rublo. Dovevo
darglielo o no? Da un lato – mi dicevo – essi ti hanno bastonato e derubato,
e non possono farti niente perché sono in arresto. Ma d’altro canto ricordati
quel che scrive la Bibbia: Se il tuo
nemico ha fame dagli da mangiare (Rm
12,20), e Cristo stesso ha detto: Amate
i vostri nemici (Mt 5,44) e anche: Se
qualcuno vuole portarti via la tua veste, dagli anche il mantello (Mt
5,40). Così persuaso, tornai sui miei passi e giunsi alla stazione di tappa
proprio mentre il convoglio si stava rimettendo in marcia; corsi verso i due
malfattori e feci scivolare in mano a uno di loro il mio rublo, dicendo: –
Pregate e fate penitenza; Gesù Cristo è l’amico degli uomini. Non vi
abbandonerà! Con queste parole mi allontanai e ripresi la mia strada
nell’opposta direzione. Dopo aver percorso una
cinquantina di verste sulla strada principale, mi addentrai per i viottoli di
campagna più solitari e più adatti alla lettura. Girovagai a lungo per i
boschi; ogni tanto incontravo un piccolo villaggio. Spesso mi fermavo tutta
la giornata nella foresta a leggere la Filocalia;
vi attingevo insegnamenti stupendi e profondi. Il mio cuore era infiammato
dal desiderio di unirsi a Dio con la preghiera interiore, che mi sforzavo di
studiare e verificare nella Filocalia;
nello stesso tempo ero afflitto di non aver trovato un ricovero dove potermi
dedicare alla lettura in pace e senza interruzioni. In quel tempo leggevo
anche la mia Bibbia e sentivo che cominciavo a comprenderla meglio; non vi
trovavo più tanti passi oscuri. I Padri hanno ragione di dire che la Filocalia è la chiave che scopre i
misteri sepolti nella Scrittura. Sotto la sua guida cominciai a comprendere
il senso segreto della parola di Dio: scoprii che cosa significa l’uomo interiore nel profondo del suo
cuore (1Pt 3,4), la preghiera vera, l’adorazione in spirito
(Gv 4,23), il regno all’interno di noi (Lc
17,21), l’intercessione dello
Spirito Santo (Rm 8,26);
comprendevo il significato di queste parole: Voi siete in me (Gv 15,4),
dammi il tuo cuore (Pr 23,26)
essere rivestito di Cristo (Rm 13,14 e Gal 3,27), le nozze dello
Spirito nei nostri cuori (Ap 22,17),
l’invocazione Abba Pater (Rm 8,15-16) e molte altre. Quando
nello stesso tempo io pregavo nel profondo del cuore, tutto quello che mi
circondava mi appariva sotto un aspetto meraviglioso: alberi, erbe, uccelli,
terra, aria, luce, tutto mi sembrava dirmi che essi esistono per l’uomo, che
attestano l’amore di Dio per l’uomo; tutto pregava, tutto cantava gloria al
Signore. Capivo così quel che la Filocalia
chiama "la conoscenza del linguaggio della creazione" e vedevo
com’è possibile conversare con le creature di Dio. Feci così una lunghissima
marcia. Alla fine giunsi in una zona così desolata che per tre giorni non
riuscii a incontrare un villaggio. Avevo finito il pane e mi chiedevo con
inquietudine come non morire di fame. Ma appena cominciai a pregare nel mio
cuore, ogni preoccupazione sparì e mi affidai alla volontà di Dio; divenni
così lieto e tranquillo. Avevo percorso un breve tratto della via che
attraversava un’immensa foresta, quando scorsi davanti a me un cane da
guardia che sbucava da una macchia; lo chiamai e quello venne, tutto festoso,
a farsi carezzare. Mi rallegrai e dissi tra me: è proprio un segno della
bontà di Dio! Vi è certo un gregge in questa foresta, ed è il cane del
pastore, o forse un cacciatore sta inseguendo per questa via la sua preda; in
ogni modo, poteri chiedere un po’ di pane, perché sono già due giorni che non
mangio, o informarmi se non sia un villaggio poco lontano. Il cane, dopo aver
gironzolato intorno a me, vedendo che non c’era nulla da mangiare, scappò nel
folto per lo stesso viottolo dal quale era sbucato sulla via. Lo seguii; dopo
un duecento metri, scorsi tra gli alberi il cane che da una tana sporgeva
solo il muso e abbaiava. Vidi avvicinarsi tra gli alberi un contadino magro e
pallido, di mezza età. Mi chiese come fossi arrivato fin là. Io a mia volta
gli domandai che cosa facesse lui in un luogo così desolato; e scambiammo
così qualche frase amichevole. Il contadino mi pregò di entrare nella sua
capanna e mi spiegò che era guardiaboschi e sorvegliava la foresta che doveva
essere tutta tagliata. Mi offrì pane e sale, e la conversazione si fece
serrata. – Io invidio la vita solitaria che conduci – gli dissi –, non è come
la mia, sempre errante e a contatto con tutti. – Se vuoi – mi disse – puoi
vivere benissimo qui; c’è poco lontano una vecchia capanna che era servita
alla guardia forestale di prima. È un po’ malconcia, ma per l’estate uno può
arrangiarsi alla meglio. Hai un passaporto. C’è pane abbastanza per due; me
ne portano ogni settimana dal nostro villaggio, e il ruscello qui accanto non
manca mai d’acqua. Quanto a me, fratello, sono dieci anni che non mangio
altro che pane e non bevo altro che acqua. Solo in autunno, quando i lavori
dei campi saranno finiti, verranno qui duecento uomini per il taglio della
foresta; io non avrò più nulla da fare qui, e non sarà nemmeno a te di
rimanere. A queste parole mi invase una gioia così grande che per poco non mi
gettai ai suoi piedi. Non sapevo come ringraziare Dio della sua bontà verso
di me. Tutto quello che desideravo e per cui mi affannavo l’avevo
improvvisamente raggiunto. Prima della metà dell’autunno c’erano ancora due
mesi, e durante quel periodo potevo approfittare del silenzio e della pace
per studiare con l’aiuto della Filocalia
la preghiera perpetua nell’intimo del cuore. Così decisi di accomodarmi alla
meglio nella capanna. Continuammo a parlare, e quell’uomo semplice mi
raccontò la sua vita e le sue idee. – Nel mio villaggio – disse – non ero
mica l’ultimo arrivato; avevo un mestiere, tingevo i tessuti in rosso e blù;
vivevo benino, ma da peccatore: ingannavo volentieri i miei clienti e
bestemmiavo a ogni occasione; ero volgare, ubriacone e attaccabrighe. In quel
villaggio c’era un cantastorie che possedeva un libro vecchio sul Giudizio
finale e spesso egli andava per le case dei fedeli ortodossi a leggerne dei
passi, e gli si dava un po’ di denaro. Veniva anche da me. Di solito gli si
dava cinque soldi e quello rimaneva a leggere fino al canto del gallo. Una
volta che, pur prestando orecchio alla lettura, io stavo lavorando, egli
lesse un passo sui tormenti dell’inferno e sulla risurrezione dei morti, come
Dio verrà a giudicare, come gli Angeli faranno squillare le trombe, e il
fuoco e la pece che vi saranno, e i vermi che divoreranno i peccatori. A un
tratto provai uno spavento terribile, e mi dissi: "Io non me la cavo, no
certo! Questi tormenti sono anche per me. Qua è meglio che mi metta a salvare
l’anima mia e forse riuscirò a farmi perdonare i miei peccati". Ci pensai
su a lungo e alla fine decisi di abbandonare il mio mestiere; vendetti casa e
bottega, e dal momento che non avevo famiglia, divenni guardaboschi, non
chiedendo per salario che il pane, qualcosa per coprirmi e qualche cero da
accendere durante la preghiera. Sono qui ormai da più di dieci anni. Non
mangio che una volta al giorno e mi accontento di pane e acqua. Ogni notte mi
alzo al canto del gallo e fino alle prime luci del giorno faccio le mie
genuflessioni e i miei inchini fino a terra; quando prego; accendo sette ceri
davanti all’icona. Di giorno, quando percorro la foresta, porto sulla pelle
delle catene di settanta libbre. Non bestemmio, non bevo birra né alcool, non
litigo con alcuno; delle donne ho sempre fatto a meno. All’inizio ero
piuttosto contento di vivere così, ma a lungo andare per forza sono assalito
da considerazioni che non posso mandar via. Dio solo sa se io riscatterò i
miei peccati, ma intanto questa vita è proprio dura. E poi, è vero quello che
il libro racconta? Come fa l’uomo a risuscitare? Quelli che sono morti da
cent’anni e più sono polvere ed è sparita anche quella. E poi, ci sarà o non
ci sarà un inferno? In ogni caso, nessuno è mai tornato dall’altro mondo;
quando l’uomo muore, si putrefà e non ne rimangono più tracce. Questo libro
forse l’ hanno scritto i preti per far paura a noi ignoranti, e per tenerci
più sottomessi. Così si vive male, senza un po’ di consolazione su questa
terra, e poi nell’altro mondo non troveremo nulla! Allora ne vale proprio la
pena? Non è meglio avere un bel po’ di tempo subito? Queste idee non mi danno
pace – aggiunse – e ho paura di dover riprendere il mio vecchio mestiere. Ero
pieno di pietà per lui e mi dicevo: "Si dice che solo i sapienti e gli
intellettuali diventano liberi pensatori e non credono più a nulla, ma i
nostri fratelli, i semplici contadini, sanno fabbricarsi da sé una bella
incredulità! Certamente il mondo delle tenebre fa presa su tutti e forse più
facilmente ancora sui semplici. Bisogna ragionare fin dove è possibile e
fortificarsi contro il nemico con la parola di Dio". Così per sostenere
un poco il fratello e rinsaldare la sua fede, trassi dal sacco la Filocalia e l’aprii al capitolo 109
del beato Esichio. Glielo lessi, e spiegai che non ci si astiene dal peccare
solo per timore del castigo, perché l’anima non può liberarsi dai pensieri
colpevoli che con la vigilanza dello spirito e la purità del cuore. Tutto si
acquista con la preghiera interiore. Se qualcuno si mette sulla via
dell’ascetica, non solo per timore dei tormenti dell’inferno ma anche per
desiderio del Regno celeste – aggiunsi – i Padri paragonano la sua azione a
quella di un mercenario. Ma Dio vuole che noi veniamo a Lui come figli, vuole
che l’amore e lo zelo ci spingano a comportarci in modo degno e che godiamo
dell’unione perfetta con Lui nell’anima e nel cuore. Puoi fare quel che vuoi;
logorarti, importi le prove e le penitenze fisiche più dure, ma se non hai
Dio sempre nello spirito e la preghiera di Gesu nel cuore, non sarai mai al
riparo dai cattivi pensieri; sarai sempre pronto a peccare alla prima
occasione. Mettiti dunque, fratello, a recitare senza posa la preghiera di
Gesù; ti sarà facile farlo in questa solitudine; ti accorgerai presto del suo
benefico effetto. Le idee empie spariranno, la fede e l’amore per Gesù Cristo
si riveleranno a te; capirai come i morti possono risuscitare e il Giudizio
ultimo ti apparirà quello che realmente è. E nel tuo cuore ci sarà tanta
leggerezza e tanta gioia che ne sarai meravigliato; non ti sentirai più
stanco o turbato per la tua vita di penitenza! Gli spiegai poi come meglio
potevo il modo di recitare la preghiera di Gesù, secondo il comandamento
divino e gli insegnamenti dei Padri. Il guardaboschi non chiedeva di meglio e
la sua inquietudine diminuì. Allora, congedandomi da lui, entrati nella
vecchia capanna che mi aveva indicata. Lavori spirituali Mio Dio, che gioia, che consolazione, che rapimento provai nel varcare
la soglia di quel ricovero, o per meglio dire, di quella tomba; mi apparve
come un magnifico palazzo pieno di letizia e mi dissi: bene, ora in questa
calma e in questa pace bisogna lavorare seriamente e pregare il Signore di
illuminare la mia mente. Così cominciai a leggere la Filocalia
dal principio alla fine con grande attenzione. Dopo un certo tempo, terminata
la lettura, mi resi conto della saggezza, della santità e della profondità di
quel libro. Ma dato che vi erano trattati argomenti diversi, non potevo
capire tutto, né raccogliere le forze del mio spirito sul solo insegnamento
della preghiera interiore per arrivare alla preghiera spontanea e perpetua
nell’intimo del cuore. Ne avevo però un vivo desiderio, secondo il comando
divino trasmesso dall’Apostolo: Cercate
i doni più perfetti (1Cor 12,31),
e anche: Non spegnete lo spirito (1Ts 5,19). Ma per quanto riflettessi, non sapevo cosa fare. Non ho un’intelligenza
tanto acuta e non c’era nessuno che mi potesse aiutare. Cercherò di annoiare
il buon Dio a forza di preghiere, e allora Lui illuminerà la mia mente.
Passai così una giornata a pregare senza fermarmi un solo istante; i miei
pensieri si calmarono e mi addormentai; ed ecco che in sogno mi vedo nella
cella del mio starets ed egli mi
spiega la Filocalia dicendo:
"Questo santo libro è pieno di grande saggezza. È per questo che voi,
spiriti semplici, non dovete leggere i libri dei Padri tutti di seguito come
sono esposti qui. Questa è una disposizione conforme alla teologia; ma colui
che non è istruito e vuole imparare la preghiera interiore nella Filocalia deve attenersi a
quest’ordine: leggere per prima cosa il libro del monaco Niceforo (nella
seconda parte) poi il libro di Gregorio il Sinaita per intero, salvo i
capitoli brevi, poi le tre forme della preghiera di Simeone il Nuovo Teologo
e il suo trattato sulla fede, infine il libro di Callisto e Ignazio. In
questi testi si trova l’insegnamento completo della preghiera interiore del
cuore, alla portata di tutti. Se vuoi un testo ancora più comprensibile, prendi nella quarta parte lo
schema della preghiera di Callisto, patriarca di Costantinopoli. E io, come
se avessi avuto in mano la Filocalia,
cercavo il passo indicato senza riuscire a trovarlo. Lo starets allora, sfogliando qualche pagina, mi disse: – Eccolo, te
lo segno! E raccolto un pezzo di carbone da terra, fece una riga sul bordo
della pagina, accanto al passo indicato. Ascoltai con attenzione tutte le
parole dello starets e cercai di
fissarle nella memoria con fermezza e in ogni particolare. Mi svegliai e, visto che ancora non era giorno, rimasi disteso,
richiamando alla memoria tutto quel che avevo veduto in sogno e ripetendo
quel che mi aveva detto lo starets.
Poi mi misi a riflettere: Dio sa se è l’anima del mio defunto starets che mi appare così o le mie
idee che prendono tale forma, perché io penso spesso e a lungo alla Filocalia e allo starets! Mi alzai in questa incertezza di spirito; cominciava ad albeggiare. Ad
un tratto vedo sulla pietra che mi serviva da tavolo la Filocalia aperta alla pagina indicata dallo starets e segnata con un tratto di carbone, proprio come nel
sogno; il carbone era ancora lì vicino al libro. Ne fui colpito, perché mi
ricordai che il libro la sera non era sulla pietra; l’avevo messo, chiuso,
accanto a me prima di prendere sonno, e mi ricordai anche che in quella
pagina non c’era alcun segno. Questo fatto mi diede fede nella verità
dell’apparizione e mi garantì della santità della memoria del mio starets. Così ricominciai a leggere la
Filocalia secondo l’ordine
indicato. Lessi una volta, poi un’altra, e questa lettura infiammò il mio
zelo e il desiderio di provare coi fatti tutto quello che avevo letto.
Scoprii chiaramente il senso della preghiera interiore, i mezzi per arrivarci
e i suoi effetti; compresi che essa riscalda l’anima e il cuore, e che si può
distinguere se questa felicità viene da Dio, dalla natura sana o dall’illusione. Cercai per prima cosa di scoprire il luogo del cuore, secondo
l’insegnamento di san Simeone il Nuovo Teologo. Chiusi gli occhi e diressi il
mio sguardo verso il cuore, cercando di rappresentarmelo com’è, nella parte
sinistra del petto, e ascoltando attentamente il suo battito. Ripetei questo
esercizio prima per mezz’ora, molte volte al giorno; all’inizio non vedevo
che tenebre; presto però il mio cuore apparve e sentii il suo movimento
profondo; poi arrivai a introdurre nel mio cuore la preghiera di Gesù e a
farvela uscire, seguendo il ritmo del respiro, secondo l’insegnamento di san
Gregorio il Sinaita, di Callisto e di Ignazio; perciò, guardando con lo
spirito nel mio cuore, inspirai l’aria e la tenni nel petto, dicendo: Signore
Gesù Cristo, e la espirai dicendo: abbiate pietà di me. Mi esercitai per
un’ora o due, nei primi tempi, poi mi applicai con sempre maggiore frequenza
a questa occupazione, e infine passai così quasi tutta la giornata. Quando mi
sentivo pesante, stanco o inquieto, leggevo subito nella Filocalia i passi che trattano dell’attività del cuore, e il
desiderio e lo zelo per la preghiera rinascevano in me. In capo a tre
settimane, avvertii un dolore al cuore, e poi un tepore gradevole e un
sentimento di consolazione e di pace. Questo mi infuse maggior forza per
esercitarmi nella preghiera a cui i miei pensieri si riferivano, e cominciai
a provare una gioia immensa. Da quel momento provai di volta in volta diverse
sensazioni nuove nel cuore e nello spirito. Talvolta c’era nel mio cuore come
un fervore e una leggerezza, una libertà, una gioia così grandi che ne ero
trasformato e mi sentivo in estasi. A volte, sentivo un amore ardente per
Gesù Cristo e per tutta la creazione divina. Talvolta le mie lacrime fluivano
da sole per riconoscenza al Signore che aveva avuto pietà di me, peccatore
indurito. Talvolta il mio spirito angusto si illuminava in modo tale che io
comprendevo chiaramente quello che un tempo non avrei potuto nemmeno
concepire. Talvolta il dolce calore del mio cuore si diffondeva in tutto il
mio essere e sentivo con emozione la presenza infinita del Signore. Provavo
certe volte una gioia potente e profonda nell’invocare il nome di Gesù Cristo
e comprendevo quel che significa la sua parola: Il Regno di Dio è dentro di
voi (Lc 17,21). In mezzo a tali benefiche consolazioni, notai che gli effetti della
preghiera del cuore si manifestano sotto tre forme: nello spirito, per
esempio, la dolcezza dell’amore di Dio; nei sensi il gradevole calore del
cuore, la pienezza di dolcezza nelle membra, il fervore della gioia nel
cuore, la leggerezza, il vigore di vita, l’insensibilità alle malattie o alle
pene; nell’intelligenza l’illuminazione della ragione, la comprensione della
sacra Scrittura, la conoscenza del linguaggio della creazione, il distacco
dalle vane cure, la coscienza della dolcezza della vita interiore, la
certezza della vicinanza di Dio e del suo amore per noi. Dopo cinque mesi solitari in queste occupazioni e in questa
beatitudine, mi abituai così bene alla preghiera del cuore che la praticavo
senza posa e alla fine si compiva da sola senza alcuna attività da parte mia;
nasceva nel mio spirito e nel mio cuore non solo allo stato di veglia, ma
anche durante il sonno e non si interrompeva più un solo minuto. La mia anima
ringraziava il Signore e il mio cuore esultava di una gioia incessante. Venne il tempo del taglio, i taglialegna si riunirono e dovetti
lasciare la mia silenziosa dimora. Ringraziato il guardaboschi e recitata una
preghiera, baciai quell’angolo di terra in cui il Signore aveva voluto
manifestarmi la sua bontà e partii. Camminai e camminai, percorsi molti paesi
prima di entrare in Irkutsk. La preghiera spontanea del cuore fu la mia
consolazione durante tutto il cammino, e non cessò mai di confortarmi, anche
se a gradi diversi; mai e in nessun luogo mi ha dato noia, nulla ha potuto
menomarla. Se io lavoro, la preghiera agisce da sola nel mio cuore e il
lavoro va avanti più svelto; se ascolto o leggo qualcosa con attenzione, la
preghiera non si interrompe, e io sento l’una e l’altra insieme, come se
fossi sdoppiato o se nel mio corpo si trovassero due anime. Mio Dio, com’è
misterioso l’uomo!… Le tue opere sono grandi, Signore;
tu hai fatto tutto con saggezza (Sal 104,24). Ho avuto nel
mio cammino molte straordinarie avventure. Se dovessi raccontarle tutte, non
basterebbero delle giornate. Ecco, per esempio: una sera d’inverno passavo
solo per una foresta, e volevo andare a dormire a due verste di là, in un
villaggio di cui si scorgevano già le prime luci. A un tratto mi si avventò
contro un grosso lupo. Tenevo in mano il rosario del mio starets – lo portavo sempre con me –. Respinsi il lupo con il
rosario. E – lo credereste? – il rosario mi scappò di mano e si attorcigliò
intorno al collo della belva. Il lupo balzò indietro e, saltando attraverso i
pruni, le zampe posteriori si impigliarono tra le spine, mentre il rosario si
impigliava nel ramo secco di un albero. Il lupo si dibatteva con tutte le sue
forze, ma non riusciva a liberarsi perché il rosario gli serrava la gola. Mi
feci con fede il segno di croce e avanzai per liberare il lupo; soprattutto
temevo che mi strappasse il rosario e portasse via con sé quell’oggetto tanto
prezioso. Mi ero appena avvicinato e avevo messo la mano sul rosario che il
lupo lo strappò davvero e fuggì via senza troppi complimenti. Così,
ringraziando il Signore e ripensando al mio santo starets, arrivai senza fatica al villaggio; mi diressi
all’albergo e chiesi da dormire. Entrai in casa. Due viaggiatori erano seduti
a una tavola d’angolo, uno già avanti negli anni, l’altro d’età matura e
robusto. Bevevano del tè. Chiesi chi fossero al contadino che custodiva i
loro cavalli. Mi spiegò che il vecchio era istitutore e l’altro cancelliere
del giudice di pace: tutti e due di origine nobile: – Li conduco alla fiera a
venti verste da qui. Dopo essermi riposato qualche istante, chiesi alla padrona un ago e un
po’ di filo. Mi avvicinai alla candela e cominciai a cucire il mio rosario.
Il cancelliere mi lanciò un’occhiata e disse: – Ne hai fatte di riverenze, per strappare in quel modo il tuo rosario! – Non l’ ho rotto io, signore, fu un lupo… – Guarda, anche i lupi ora si mettono a pregare… rispose con una risata
il cancelliere. Raccontai allora l’avventura nei suoi particolari e spiegai come quel
rosario fosse prezioso per me. Il cancelliere ricominciò a ridere e disse: – Per voi creduloni, son tutti miracoli! Cosa c’è di misterioso nella
tua storia? Tu hai gettato semplicemente qualcosa al lupo, questi ha avuto
paura ed è scappato. Cani e lupi hanno sempre paura dei gesti, e non è
difficile impigliarsi le zampe tra i pruni; non bisogna mica credere che ogni
cosa che capita nella vita sia un miracolo! – L’istitutore allora cominciò a discutere con lui: – Non parlate così, signore! Voi non siete profondo in queste
questioni… Dal canto mio, io vedo nella storia di questo contadino un duplice
mistero, sensibile e spirituale… – Come come? – chiese il cancelliere. – Ecco: senza avere un’istruzione superiore, voi avrete certamente studiato
la storia sacra in domande e risposte, nell’edizione per le scuole. Vi
ricordate che quando il primo uomo, Adamo, era nello stato d’innocenza, tutti
gli animali erano sottomessi a lui. Si avvicinavano a lui con timore ed egli
dava loro il nome. Lo starets, al
quale è appartenuto questo rosario, era un santo: e che cos’è la santità?
Null’altro che la risurrezione nell’uomo peccatore dello stato d’innocenza
del primo uomo. Ecco il mistero della natura spirituale! Questa forza è
avvertita naturalmente da tutti gli animali e specie attraverso l’odorato; il
naso è l’organo essenziale dei sensi nell’animale. Ecco il mistero di natura
sensibile… – Per voi sapienti non ci sono che forze e storie simili; ma noi, noi
vediamo le cose in modo più semplice: versarsi un bicchiere e tracannarlo,
ecco che cosa dà forza, disse il cancelliere dirigendosi verso l’armadio. – A voi spetta quello, affare vostro – rispose l’istitutore; ma in
questo caso lasciate a noi le nozioni un po’ dotte. – Le parole dell’istitutore mi erano piaciute; mi avvicinai a lui e gli
dissi: – Permettetemi di raccontarvi ancora qualche cosa e proposito del mio starets. Gli spiegai come mi fosse
apparso in sogno e dopo avermi istruito, avesse fatto un segno sulla Filocalia. L’istitutore ascoltò il mio
racconto con attenzione. Il cancelliere invece, steso su una panca,
brontolava: – È vero che si diventa matti a tenere sempre il naso incollato sulla
Bibbia. Basta veder questo bel tipo! Qual è il lupo mannaro che si diverte a
sporcarti i libri durante la notte? Avrai fatto cadere il tuo scartafaccio
per terra rigirandoti nel sonno ed è finito nella cenere… E questo è un
miracolo?! Questi bricconi! Li conosco, caro mio, quelli della tua risma! Dopo aver brontolato in questo modo, il cancelliere si rigirò verso il
muro e si addormentò. A queste parole mi chinai verso l’istitutore e gli
dissi: Se volete, vi farò vedere il libro che porta veramente il segno, e non
tracce di cenere. Estrassi la Filocalia
dal sacco e gliela mostrai dicendo: mi meraviglio che sia possibile a
un’anima incorporea prendere un carbone e scrivere… L’istitutore guardò il segno sul libro e disse: – Questo è il mistero degli spiriti. Te lo spiegherò. Quando gli
spiriti appaiono a un uomo sotto forma corporea, compongono il loro corpo
visibile di luce e di aria, utilizzando per questo gli elementi dai quali era
stato tratto il loro corpo mortale. E come l’aria è dotata di elasticità,
l’anima che ne è rivestita può agire, scrivere o afferrare degli oggetti. Ma
che libro hai dunque? Fammi vedere. Lo aprì e capitò sul discorso e il trattato di Simeone il Nuovo
Teologo. – Ah! È certamente un libro di teologia. Non lo conosco… – Questo libro, piccolo padre, contiene quasi unicamente l’insegnamento
della preghiera interiore del cuore al nome di Gesù Cristo; è esposto qui in
modo particolareggiato da venticinque Padri. – Ah! La preghiera interiore… So che cosa è – disse l’istitutore. – Mi piegai ancor più verso di lui e lo pregai di dirmi qualche parola
sulla preghiera interiore. – Ebbene, nel Nuovo Testamento si dice che l’uomo e tutta la creazione
sono soggetti non per volontà propria alla vanità e che tutto sospira e tende
verso la libertà dei figli di Dio (Rm 8,19-20);
questo misterioso movimento della creazione, questo desiderio innato nelle
anime è la preghiera interiore. Non la si può imparare, perché essa è in
tutti e in tutto! – Ma come acquistarla, scoprirla e sentirla nel nostro cuore? Come
prenderne coscienza e accoglierla volontariamente, giungere a che essa agisca
attivamente, riscaldando, illuminando e salvando l’anima? – chiesi. – Non so se i trattati di teologia ne parlano – rispose l’istitutore. – Ma qui tutto questo sta scritto – esclamai. L’istitutore prese una matita, annotò il titolo della Filocalia e disse: "Voglio farmi
venire questo libro a Tobolsk e lo leggerò. Ci salutammo, e ognuno andò per i fatti suoi. Andandomene ringraziai
Dio per la conversazione con l’istitutore e pregai il Signore che permettesse
al cancelliere di leggere di leggere un giorno la Filocalia e di comprenderne il senso per il bene dell’anima sua. Un altra volta, a primavera,
giunsi in una borgata e mi fermai in casa di un prete. Era un uomo d’oro, che
viveva da solo. Passai tre giorni con lui. Dopo avermi attentamente osservato
per tutto quel tempo, alla fine mi disse: "Rimani con me, io ti darò un
salario; ho bisogno di un uomo fidato. Avrai visto che si sta costruendo una
nuova chiesa in pietra accanto a quella vecchia che è di legno. Non riesco a
trovare una persona coscienziosa che mi sorvegli gli operai e che stia nella
cappella a raccogliere le offerte per la costruzione; vedo che tu ne saresti
capace e che questa vita sarebbe adatta per te; tu saresti da solo nella
cappella a pregare Dio, c’è là uno sgabuzzino isolato nel quale puoi
stabilirti a tuo agio. Rimani, te ne prego, almeno fino a che la chiesa sia
costruita". Mi difesi per un bel po’, ma alla fine dovetti cedere alla
preghiera insistente del sacerdote. Rimasi dunque tutta l’estate fino
all’autunno e mi installai nella cappella. All’inizio fui lasciato tranquillo
e mi potei esercitare nella preghiera, ma specialmente nei giorni di festa
venivano molte persone, alcune per pregare, altre per sbadigliare, altre
ancora per piluccare qualche soldo nella cassetta delle elemosine. E quando
vedevano me intento a leggere la Bibbia o la Filocalia, alcuni visitatori intavolavano discorsi con me, altri
mi chiedevano di leggere loro qualche brano. Dopo un po’ di tempo notai che
una fanciulla del paese veniva spesso nella cappella e vi rimaneva a lungo in
preghiera. Tendendo l’orecchio a quello che la fanciulla bisbigliava, mi
accorsi che recitava delle curiose preghiere, e certe erano addirittura
travisate. Le chiesi: – Chi ti ha insegnato queste parole? – Mi rispose che
era stata sua madre che era ortodossa, mentre suo padre era uno scismatico
della setta dei senza-preti. La sua situazione mi impietosì e le consigliai
di recitare le preghiere correttamente, secondo la tradizione della santa
Chiesa. Le insegnai il Padre Nostro e l’Ave Maria. Alla fine le dissi: –
Recita soprattutto la preghiera di Gesù; essa ci avvicina a Dio più di ogni
altra preghiera e tu ne ricaverai la salvezza dell’anima tua. La fanciulla mi
ascoltò con attenzione e agì con molta semplicità, secondo i miei consigli.
Lo credereste? Dopo un po’ di tempo mi annunciò che si era abituata alla
preghiera di Gesù, che sentiva il desiderio di ripeterla senza posa se fosse
stato possibile; quando pregava, sentiva il gusto della preghiera e infine la
gioia e insieme il desiderio di continuare a pregare sempre di più, invocando
il nome di Gesù Cristo. La fine dell’estate si avvicinava; molti visitatori
della cappella venivano a trovarmi, non più soltanto per chiedermi un
consiglio o una lettura, ma per raccontare le loro pene domestiche e anche per
sapere come ritrovare gli oggetti smarriti; evidentemente alcuni di loro mi
prendevano per un mago. Un giorno infine la –fanciulla accorse tutta
disperata per chiedermi che cosa doveva fare. Suo padre voleva sposarla
contro voglia a uno scismatico come lui e l’officiante sarebbe stato un
contadino. – Ma è un vero matrimonio, questo? – diceva angosciata – È
concubinato e basta! Io voglio scappare di casa, seguendo lo sguardo dei miei
occhi! Le dissi allora: e dove andrai? Ti potranno sempre raggiungere. Con i
tempi che corrono, non potrai mai nasconderti senza documenti, e si arriverà
facilmente a riacciuffarti; è meglio che tu preghi Dio con fervore affinché
spezzi con le sue vie la risoluzione di tuo padre e salvi la tua anima dal
peccato e dall’eresia. Questo è meglio del tuo progetto di fuga. Il tempo
passava, il rumore e le distrazioni mi riuscivano sempre più penose. L’estate
finì, e decisi di lasciare la cappella e riprendere la mia vita come un
tempo. Andai dal prete e gli dissi: – Padre mio, voi conoscete le mie
intenzioni. Ho bisogno di calma per dedicarmi alla preghiera, e qui non trovo
che distrazioni e fastidi. Ho fatto quello che mi avevate chiesto, sono
rimasto tutta l’estate; ora lasciatemi partire e benedite la mia strada. Il
prete non voleva lasciarmi andare e cercò di insistere ancora: – Chi ti
impedisce di pregare anche qui? Non hai che da rimanere nella cappella e
trovi il pane bell’è pronto. Prega notte e giorno là, se tu vuoi; vivi con
Dio! Tu sei capace e utile qui, non dici sciocchezze con i visitatori, sei
fedele e onesto e assicuri le entrate alla chiesa di Dio! È meglio agli occhi
del Signore che non la tua preghiera solitaria. Perché rimanere così solo?
Con gli altri si prega molto meglio. Dio non ha creato l’uomo perché egli non
conosca che se stesso, ma perché ognuno aiuti il suo prossimo, guidandoci
l’un l’altro verso la salvezza, ciascuno secondo le sue forze. Guarda i santi
e i dottori ecumenici, erano giorno e notte in movimento e in daffare per la
Chiesa, predicavano dovunque e non rimanevano in solitudine a nascondersi ai
loro fratelli. – Ciascuno riceve da Dio il dono che conviene, padre mio;
molti hanno predicato alle folle, e molti sono vissuti nella solitudine.
Ciascuno agiva secondo la sua inclinazione e credeva che fosse la via della
salvezza indicata da Dio. Ma come spiegate che tanti santi hanno abbandonato
tutte le dignità e gli onori della Chiesa e si sono rifugiati nel deserto per
non essere tentati dal mondo? Sant’Isacco il Siriaco ha abbandonato così i
suoi fedeli e il beato Atanasio l’Atonita ha lasciato il suo monastero; essi
consideravano quei luoghi troppo pericolosi e credevano veramente alla parola
di Cristo: Che serve all’uomo
acquistare il mondo, se perde la sua anima? (Mt 16,26). – Ma essi erano dei grandi santi – replicò il prete. –
Se i santi si guardassero con tanta cura dal venire a contatto con gli uomini
– gli risposi – cosa non dovrebbe fare un povero peccatore! Infine dissi
addio al buon prete e ci separammo da amici. Percorsi dieci verste e mi fermai
per trascorrere la notte in un villaggio. Viveva là un contadino gravemente
ammalato. Consigliai alla famiglia di farlo comunicare pensando ai santi
misteri di Cristo, e la mattina essi mandarono a cercare il prete del
villaggio. Io rimasi per inginocchiarmi davanti ai santi doni e per pregare
durante la somministrazione del Sacramento. Ero seduto su una panca davanti
alla casa e guardavo se il prete arrivava. All’improvviso vedo correre verso
di me la fanciulla che avevo visto in preghiera nella cappella. – Come hai
fatto a venire qui? – Le dissi. – In casa mia tutto era disposto ormai per le
nozze con quello scismatico, e io sono scappata. Poi, gettandosi ai miei
piedi, gridò: – Per pietà, prendimi con te e conducimi in un convento, da
queste parti, non voglio marito, voglio vivere in un convento recitando la
preghiera di Gesù. Ti ascolteranno là, e mi accetteranno. – Di’ un po’, dove
vuoi che ti conduca? Non conosco nemmeno un convento, da queste parti, e come
potrei prenderti con me senza passaporto? Non potrai fermarti mai in nessun
posto. Ti scopriranno subito; sarai ricondotta a casa tua e punita per la tua
scappata. Ritorna invece a casa e prega il Signore; e se non ti vuoi sposare,
inventa qualche scusa. Questa sarà una "bugia pietosa". Così hanno
agito la santa madre di Clemente, la beata Marina, che salvò la sua anima in
un monastero di uomini, e tante altre. Mentre noi stavamo così parlando,
vedemmo quattro contadini in un biroccino che trottavano dritti verso di noi.
Acciuffarono la ragazza e la caricarono sulla carretta: uno di loro partì con
lei, gli altri tre mi legarono le mani e mi condussero al borgo nel quale
avevo passato l’estate. A tutte le mie spiegazioni essi rispondevano con
grida: – Imparerai, santoccio, a sedurre le ragazze! – Verso sera, mi
condussero alla prigione, mi fecero mettere i ferri ai piedi e mi fecero
rinchiudere in attesa del giudizio per l’indomani. Il prete, avendo saputo
che ero in prigione, venne a trovarmi, mi portò la cena, mi consolò e disse
che avrebbe preso le mie difese dichiarando, come mio confessore, che io non
avevo assolutamente quelle tendenze che mi venivano attribuite. Si trattenne
un po’ di tempo con me, poi se ne andò. Sul far della notte passò di là il
commissario di polizia del distretto e gli fu raccontata la storia. Egli
ordinò che si riunisse il consiglio comunale e si conducesse me al
commissariato. Noi entrammo e rimanemmo in piedi ad aspettare. Ad un tratto,
ecco il commissario già piuttosto eccitato; sedette al tavolo col suo
berrettone ben calato sul capo e disse a voce molto alta: – Ehi, Epifanio,
questa ragazza qui, tua figlia, non ha portato via niente da casa? – Nulla,
piccolo padre. – Ha fatto qualche stupidaggine con questo scimunito? – No,
piccolo padre. – Allora la questione è giudicata e si decide: con tua figlia,
regolati tu come vuoi; e questo bel muso, lo pregheremo di svignarsela
domattina, dopo una solida correzione che gli levi la voglia di tornare da
queste parti. Via! Con queste parole il commissario si alzò in piedi e andò a
dormire; io fui ricondotto in prigione. L’indomani mattina, per tempo,
vennero due contadini che mi sferzarono di santa ragione e poi mi lasciarono
andare; e io partii di là ringraziando il Signore per avermi permesso di
soffrire in nome suo. Questo mi consolava e mi incitava anche di più a
pregare. Tutti questi incidenti però non mi avevano abbattuto: era come se
fossero toccati a un altro e io ne fossi solo lo spettatore; anche durante le
sferzate riuscivo a sopportare il dolore; la preghiera, che illuminava il mio
cuore, non mi dava tempo per accorgermi di alcun’altra cosa. Dopo quattro
verste, incontrai la madre della ragazza che tornava dal mercato. Si fermò e
mi disse: – Il fidanzato ci ha piantati. Si è arrabbiato con Akulka,
capisci?; perché lei è scappata! –. Poi mi diede del pane e un biscotto, e io
ripresi la mia strada. Il tempo era asciutto e non avevo voglia di chiedere
ospitalità per la notte in un villaggio: scorsi due mucchi di fieno nel bosco
e mi aggiustai là, per passare la notte. Mi addormentai e mi misi a sognare
che stavo camminando per la via, e leggevo i capitoli di sant’Antonio il
Grande nella Filocalia. A un tratto
mi apparve lo starets e mi disse: –
Non è là che devi leggere – e mi indicò il capitolo 35 di Giovanni di
Karpathos, nel quale è scritto: "Talvolta il discepolo è dato in pasto
alla vergogna e sopporta prove per coloro che ha aiutato
spiritualmente". E mi mostrò anche il capitolo 41 in cui si dice:
"Tutti coloro che si dedicano più ardentemente alla preghiera sono preda
di tentazioni terribili e logoranti" Poi aggiunse: – Fatti coraggio e
non abbatterti mai. Ricorda le parole dell’Apostolo: Colui che è in voi è più grande di colui che è nel mondo (1Gv 4,4). Tu ora hai conosciuto per
esperienza che non c’è tentazione che sia superiore alle forze dell’uomo.
Perché con la tentazione Dio prepara anche una via d’uscita (1Cor 10,13). E dalla speranza
nell’aiuto del Signore sono stati sostenuti i Santi che non hanno trascorso
la loro vita soltanto a pregare, ma hanno cercato, per amore, di insegnare e
di illuminare gli altri. Ecco quanto ha detto in proposito san Gregorio di
Tessalonica: "Non ci basta pregare senza posa secondo il comandamento
divino, ma bisogna che esponiamo quest’insegnamento a tutti, monaci, laici,
gente istruita o gente semplice, uomini, donne o bambini, onde risvegliare in
loro lo zelo per la preghiera interiore". Il beato Callisto Telicoudas
si esprime nello stesso modo: "L’attività spirituale (ossia la preghiera
interiore), dice, la conoscenza contemplativa e i mezzi per elevare l’anima
non debbono essere tenuti per noi, ma bisogna comunicarli con la scrittura o
con il discorso per il bene e l’amore di tutti. E la parola di Dio dichiara
che il fratello aiutato dal fratello è come una città alta e forte (Pr 18,19). Bisogna soltanto fuggire
con tutte le nostre forze la vanità e vegliare perché il buon grano
dell’insegnamento divino non sia disperso dal vento". Al risveglio
sentii nel mio cuore una gioia immensa e nell’anima una forza nuova. E
ripresi la mia strada. Molto tempo dopo ebbi un’altra
avventura; e se volete, ve la racconterò. Un giorno, il 24 marzo, sentii il
bisogno veramente invincibile di comunicarmi ai santi misteri di Cristo nel
giorno consacrato alla Madre di Dio, in ricordo della sua annunciazione
divina. Chiesi se da quelle parti ci fosse una chiesa; mi fu detto che vene
era una a trenta verste da lì. Camminai tutto quel giorno e la notte
successiva per arrivare all’ora di mattutino. Era un tempo da lupi, pioggia,
neve, vento e gelo. La strada attraversava un ruscello e non avevo fatto che
pochi passi quando il ghiaccio scricchiolò e cedette sotto il mio piede, così
caddi in acqua fino alla cintola. Arrivai al mattutino tutto inzuppato, ma
riuscii almeno ad ascoltare le preghiere e la messa, durante la quale il
Signore mi permise di ricevere la comunione. Per passare quel giorno in pace,
senza che nulla venisse a turbare la gioia dello spirito, chiesi a un custode
di lasciarmi fino all’indomani nella celletta di guardia. Passai tutta quella
notte in una gioia indicibile e nella pace del cuore; ero steso su una panca
in quella capannetta non riscaldata, come se riposassi sul seno d’Abramo: la
preghiera agiva con forza. L’amore per Gesù Cristo e per la Madre di Dio
attraversava il mio cuore con onde benefiche e immergeva l’anima mia in
un’estasi consolatrice. Stava scendendo la notte, quando avvertii nelle gambe
un improvviso dolore, acutissimo, e mi ricordai allora che erano bagnate. Ma
ricacciando il pensiero, mi immersi di nuovo nella preghiera e non avvertii
più alcun dolore. Quando al mattino mi volli alzare, non riuscivo più a
muovere le mie povere gambe. Erano inerti e molli come uno stoppino; il
guardiano mi tirò giù dalla panca e rimasi così due giorni senza muovere un
dito. Il terzo giorno il guardiano mi cacciò via dalla baracca dicendo: – Se
morrai qui, bisognerà poi correre in giro e darsi da fare per te –. Riuscii a
trascinarmi sulle mani fino alla scalinata della chiesa e vi rimasi disteso.
Trascorsi così due giorni circa; le persone che passavano non prestavano
alcuna attenzione né a me né alle mie domande. Finalmente un contadino mi si
avvicinò e si mise a chiacchierare. Dopo un po’, mi disse: – Cosa mi dai? Ti
voglio guarire. Anch’io ho avuto questo stesso male e conosco un buon rimedio.
– Non ho nulla da darti – gli risposi. – Cosa hai nel tuo sacco? – Null’altro
che del pane raffermo e dei libri. – Bene, tu lavorerai da me per un’estate
se ti guarisco. – Non posso nemmeno lavorare, vedi che ho un braccio che non serve. – Cosa sai fare, insomma? –
Niente, salvo leggere e scrivere. – Scrivere? Benissimo. Insegnerai a
scrivere a mio figlio, che sa già leggere un pochino e voglio che impari
anche a scrivere. Ma i maestri chiedono troppo, venti rubli per insegnare
tutto l’alfabeto. Mi misi d’accordo con lui e, con l’aiuto del custode, fui
trasportato in casa del contadino, dove venni sistemato in un vecchio bagno
in fondo al suo podere. Cominciò allora a curarmi. Raccolse dai campi, dai
cortili e dagli immondezzai delle vecchie ossa di animali, di uccelli e di
che altro ancora: li lavò, li frantumò in piccolissimi pezzi con un sasso e
li mise in una grossa pentola; la incappucciò con un coperchio forato e
rovesciò il tutto dentro un vaso che aveva interrato. Spalmò con gran cura il
fondo della pentola con uno spesso strato di creta e la coprì di ceppi che
lasciò bruciare per più di ventiquattro ore. Mentre disponeva i ceppi,
diceva: – Tutto questo farà un bel pastone di ossa. Il giorno dopo
dissotterrò il vaso nel quale, attraverso l’orificio del coperchio, era
colato quasi un litro di un liquido spesso, rossastro, oleoso e dall’odore di
carne fresca; le ossa rimaste nella pentola, da nere e marce, erano diventate
di un colore bianco e trasparente quanto la madreperla. Per cinque volte al giorno
io mi dovevo frizionare le gambe con quel liquido. Lo credereste? Il giorno
dopo mi accorsi che potevo muovere le dita; il terzo potevo piegare le gambe;
il quinto mi reggevo in piedi e camminavo per il cortile appoggiandomi a un
bastone. In una settimana le gambe erano tornate normali. Ne ringraziai Dio e
dicevo tra me: la sapienza di Dio si manifesta nelle sue creature. Delle ossa
spolpate e marce, già quasi ritornate alla terra, conservano in sé la forza
vitale, un colore e un odore; esercitano un’azione sui corpi vivi, ai quali
possono ridare la vita! È un pegno della risurrezione futura. Se avessi
potuto far sapere questo portento al guardaboschi con il quale avevo vissuto
e che dubitava della risurrezione e dei corpi! Così guarito, cominciai a occuparmi
del ragazzo. Scrissi come modello la preghiera di Gesù e gliela feci
ricopiare, mostrandogli come vergare le lettere in modo ordinato. Era molto
riposante per me, perché il ragazzo prestava servizio tutta la giornata
presso il castaldo e veniva da me solo quando il castaldo dormiva, ossia il
mattino per tempo. Il fanciullo era sveglio e in poco tempo imparò a scrivere
quasi correttamente. Il castaldo, che lo vide scrivere, gli chiese: – Chi ti
istruisce? – Il ragazzo rispose che era il pellegrino monco, che viveva da
loro nel vecchio bagno. Il castaldo curioso, era un polacco, venne a trovarmi
e mi trovò intento a leggere la Filocalia.
Parlò un poco con me e mi chiese: – Cosa leggi di bello? Gli mostrai il
libro. – Ah, è la Filocalia –
disse. Ho veduto questo libro dal curato, quando abitavo a Vilna. Ma ho
sentito dire che contiene strane formule e modi per pregare, inventati da
certi monaci greci sullo stampo dei santoni indiani e di Buchara, che
gonfiano i loro polmoni e credono ciecamente, quando riescono a sentire un
pizzicorino nel cuore, che questa sensazione naturale sia una preghiera data
da Dio. Bisogna pregare semplicemente, per compiere il nostro dovere verso
Dio; quando ci si alza il mattino, si recita il Pater come ha insegnato Gesù
Cristo; e questo basta per tutta la giornata. Ma a forza di ripetere sempre
la stessa preghiera, si corre il rischio di diventare matti e di guastarsi il
cuore. – Non parlate in tal modo di questo santo libro, piccolo padre. Non
sono dei semplici monaci che l’hanno scritto, ma antichi e santi personaggi
che la vostra Chiesa venera, come Antonio il Grande, Macario il Grande, Marco
l’Asceta, Giovanni Crisostomo e altri. I monaci dell’India e di Buchara hanno
preso la loro tecnica dalla preghiera del cuore, ma l’hanno deformata e
guastata, come mi ha spiegato il mio starets.
Nella Filocalia tutti gli
insegnamenti sulla preghiera interiore sono tratti dalla Parola divina, dalla
santa Bibbia, nella quale Gesù Cristo, pur dicendo di dire il Padrenostro, ha
affermato anche che bisognava pregare senza posa, dicendo: Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo
cuore e con tutta la tua anima (Mt 22,37);
osservate, vegliate e pregate (Mc 13,33); voi sarete in me e io in voi (Gv
15,4). E i santi Padri, citando la testimonianza di Davide nei salmi: Gustate e vedete quanto è buono il Signore
(Sal 34,9), lo interpretano
dicendo che il cristiano deve fare di tutto per conoscere la dolcezza della
preghiera, deve senza tregua cercarvi consolazione e non accontentarsi di
recitare una volta il Padrenostro. Sentite. Vi leggo quello che i Padri
dicono di coloro che non cercano di studiare la benefica preghiera del cuore.
Dichiarano che essi commettono un triplice peccato perché, per prima cosa, si
mettono in contraddizione con la santa Scrittura; in secondo luogo, non
ammettono che vi sia per l’anima uno stato superiore e perfetto:
accontentandosi delle virtù esteriori, ignorano la fame e la sete della
giustizia e si privano della beatitudine in Dio; in terzo luogo poi,
considerando le loro virtù esteriori, cadono spesso nella soddisfazione di sé
e nella vanità. – Tu leggi certo cose molto elevate – disse il castaldo – ma
come possiamo, noi laici, seguire simile via? – Ecco, ora vi leggo come degli
uomini dabbene hanno potuto, anche se laici, imparare la preghiera perpetua.
Presi nella Filocalia il trattato
di Simeone il Nuovo Teologo sul giovane Giorgio e mi misi a leggere. Il brano
piacque al castaldo che mi disse: – Dammi quel libro e lo leggerò nei miei
momenti liberi. – Se volete, ve lo posso lasciare per un giorno, ma non di
più, perché io lo leggo di continuo e non posso farne a meno. – Ma tu
potresti almeno copiarmi quel passo; ti darò del denaro. – Non ho bisogno di
denaro, ma lo copierò volentieri, sperando che Dio vi dia l’ardore per la
preghiera. Copiai immediatamente il passo che avevo letto. Egli lo lesse a
sua moglie e tutti e due lo trovarono molto bello. Da quel giorno essi mi
mandarono ogni tanto a chiamare. Io leggevo ed essi stavano a sentire, mentre
bevevano il tè. Un giorno mi trattennero a pranzo. La moglie del castaldo,
una simpatica vecchia signora, stava con noi e, mentre mangiava del pesce ai
ferri, inghiottì una lisca. Malgrado tutti i nostri sforzi, non riuscimmo a
liberarla; ed essa accusava un forte male alla gola e dopo un paio d’ore
dovette mettersi a letto. Si mandò a cercare un medico a trenta verste da lì,
e io tornai nella mia stanza piuttosto rattristato. Durante la notte io, che
avevo il sonno molto leggero, sentii la voce del mio starets, ma non vidi alcuno. La voce mi diceva: – Il tuo padrone
ti ha guarito e tu non puoi far nulla per il castaldo? Dio ci ha ordinato di
andare incontro al nostro prossimo che soffre. – Lo aiuterei più che
volentieri, ma in che modo? Non so proprio alcun rimedio. – Ecco che cosa bisogna
fare: essa ha sempre avuto una ripugnanza fortissima per l’olio di ricino;
basta l’odore per provocarle la nausea; se tu le dai un cucchiaio di olio di
ricino, lei vomiterà, uscirà la lisca e l’olio lenirà la ferità della gola;
così quella povera signora guarirà. – E come potrò farglielo bere, se lei ha
una ripugnanza così forte? – Prega il castaldo di tenerle ferma la testa e
versale il liquido in bocca con mano ferma. – Mi scossi dal sonno e corsi dal
castaldo, al quale narrai ogni cosa nei più minimi particolari. Egli mi
disse: – Che vuoi che possa fare il tuo olio? Mia moglie ha già la febbre e
sta delirando, il suo collo è tutto gonfio. In ogni modo si può tentare; se
l’olio non le farà bene, non le potrà fare nemmeno male. Versò l’olio di
ricino in un bicchierino e riuscimmo a farglielo ingoiare. Ella ebbe subito
un conato di vomito e sputò la lisca con un po’ di sangue. Si sentì meglio e
si addormentò profondamente. Il giorno dopo andai per sentire sue notizie e
la trovai mentre col marito stava sorbendo il suo tè. Erano molto stupiti
della sua guarigione, e soprattutto di quello che mi era stato detto in sogno
sulla sua ripugnanza invincibile per l’olio di ricino, perché non ne avevano
mai parlato con nessuno. In quel momento arrivò il medico: la signora gli
raccontò come era stata guarita e io come il contadino mi aveva curato le
gambe. Il medico dichiarò: – Non sono due casi straordinari. È una forza di
natura che ha agito tutte e due le volte, ma me lo voglio segnare per
ricordarmelo. Trasse una matita dalla tasca e scrisse alcuni appunti su un
suo notes. Si diffuse rapidamente la voce che io ero un indovino, un
guaritore e un mago; venivano a vedermi da ogni paese, per chiedermi
consigli, per portarmi dei regali, e cominciavano a venerarmi come un santo.
Allora, dopo una settimana di queste cose, io riflettei ben bene ed ebbi
timore di cadere nella vanità e nella dissipazione. La notte dopo lasciai di
nascosto io villaggio. Così ripresi ancora una volta la mia via solitaria, leggero come se una
montagna mi fosse caduta dalle spalle. La preghiera mi consolava sempre di
più; a volte il mio cuore traboccava di un amore infinito per Gesù Cristo, e
da quella meravigliosa pienezza si spandevano in tutto il mio essere onde
benefiche. L’immagine di Gesù Cristo era così impressa nella mia anima che,
pensando agli avvenimenti del Vangelo, potevo dire di vederli proprio davanti
ai miei occhi. Ero commosso e piangevo di gioia, e talvolta sentivo nel mio
cuore una tale felicità che non la saprei descrivere. A volte restavo ben tre
giorni lontano da ogni abitato umano e con estasi mi sentivo sulla terra
solo, miserabile peccatore davanti a Dio misericordioso e amico degli uomini.
Questa solitudine faceva la mia felicità e la dolcezza della preghiera era
molto più sensibile che non il contatto con gli uomini. Infine arrivai ad
Irkutsk. Dopo essermi inginocchiato davanti alle reliquie di sant’Innocente,
mi chiesi dove potevo ormai andare. Non avevo voglia di rimanere a lungo
nella città, perché era molto popolata. Camminavo per le vie e riflettevo tra
me. A un tratto incontrai un mercante del paese che mi fermò e disse: – Sei
un pellegrino? Perché non vieni a casa mia? Arrivammo nella sua magnifica
casa. Mi domandò chi ero e gli raccontai del mio viaggio. A queste parole mi
disse: – Dovresti andare fino all’antica Gerusalemme. Laggiù c’è una santità
che non è pari a nessun’altra! – Vi andrei volentieri – gli risposi – ma non
ho di che pagare la traversata, perché il denaro che ci vuole è molto. – Se
vuoi, ti posso indicare un mezzo – disse il mercante –. L’anno scorso ho
mandato laggiù un vecchio che era nostro amico. Caddi ai suoi piedi, ed egli
soggiunse: – Stammi a sentire. Io ti darò una lettera per mio figlio che sta
a Odessa e commercia con Costantinopoli; egli ha delle navi, ti farà
imbarcare fino a Costantinopoli e di là le sue agenzie ti pagheranno il
viaggio fino a Gerusalemme. Non è poi tanto caro. Ringraziai calorosamente,
colmo di gioia, il benefattore e tanto più ringraziai Dio che manifestava il
suo amore paterno per me, peccatore indurito, che non faceva alcun bene né a
sé né agli altri e che mangiava inutilmente il pane altrui. Sono rimasto tre
giorni con quel generoso mercante. Egli mi ha dato una lettera per suo figlio
e ora sto andando a Odessa nella speranza di raggiungere la città santa di
Gerusalemme. Ma non so se il Signore mi concederà di inginocchiarmi davanti
al suo sepolcro di vita.
Fonte: http://www.monasterovirtuale.it/ |