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Ecco tutti gli indizi storici che
"provano" il miracolo Credere che Gesù sia risorto è un atto fede: eppure esperti e biblisti si interrogano sui
fatti che sembrano confermare quella ipotesi. Per gli studiosi non ci sono
dubbi sul fatto che il sepolcro del Cristo fu trovato vuoto |
«Nerone spacciò per colpevoli e
condannò a pene di crudeltà particolarmente ricercata quelli che il volgo, detestandoli
per loro infamie, chiamava cristiani. Derivavano il
loro nome da Cristo, condannato al supplizio sotto l’imperatore Tiberio, dal
procuratore Ponzio Pilato». In questo modo,
riferendosi all’incendio di Roma, lo storico Tacito nei suoi «Annali»,
scritti tra il 115 e il 117, parla di Gesù e dei suoi seguaci. Una
testimonianza che attesta la rapida diffusione del cristianesimo e da sola
smentisce quanti ritengono il cristianesimo una
tarda creazione di qualche gruppuscolo di visionari orientali. Nei giorni della Pasqua ebraica,
venerdì 7 aprile dell’anno 30, un uomo, Gesù di
Nazareth, viene crocifisso come un malfattore dai romani su richiesta del
sinedrio fuori dalle antiche mura di Gerusalemme. Quattro testi, i vangeli,
scritti non molti anni dopo da autori diversi e basati su fonti in parte
differenti e sul racconto dei testimoni, descrivono gli avvenimenti di quei
tre giorni: la morte sul Calvario, la deposizione del corpo in un sepolcro.
Quell’uomo è in fondo soltanto un puntino che il radar della storia non
avrebbe rilevato nella periferia dell’impero. Poi la scoperta all’alba del 9
aprile: la tomba è vuota. E lui – dicono – si fa vedere di nuovo vivo,
apparendo prima a Maria Maddalena, poi agli apostoli. Fa vedere le sue
ferite, mangia e beve con loro. Appare «a più di cinquecento fratelli in una
sola volta: la maggior parte di essi vive ancora»,
scrive Paolo nella lettera ai Corinzi. Nessuno studioso serio ha ormai
più alcun dubbio sull’esistenza storica di Gesù. Credere però che egli sia il
figlio di Dio, e che sia risorto con un corpo trasfigurato e glorioso, è un
puro atto di fede. Ma il racconto evangelico e la
fede dei primi testimoni riaffermata da duemila anni sono sostenuti da indizi
di storicità? Ci sono elementi concreti che avvalorino la straordinaria
descrizione di quei tre giorni di Gerusalemme o i fatti che leggiamo sono
soltanto la pia invenzione di un gruppo di invasati?
Nessuno dei quattro evangelisti descrive il momento della resurrezione. La
loro narrazione interrotta con la deposizione, riprende con la scoperta del
sepolcro vuoto e con le prime apparizioni del risorto. Molti hanno scritto
che la scoperta della tomba senza il corpo di Gesù non sarebbe altro che una
leggenda inventata dalla prima comunità, un testo «eziologico», vale a dire
l’interpretazione di un’esperienza resa con un espediente letterario. C’è di più. I primi cristiani vengono accusati di aver rubato il corpo di Gesù. Non lo
attestano soltanto tutte le fonti evangeliche, ma quell’accusa riecheggia
anche nel singolare «editto di Nazareth», con il quale
l’imperatore romano (lo stesso Nerone, secondo l’identificazione della
storica Marta Sordi, scomparsa nei giorni scorsi), comminava la pena capitale
a quanti avessero violato i sepolcri e trafugato i cadaveri. Se gli avversari
della prima comunità cristiana accusavano i discepoli di aver rubato il corpo
di Cristo, significa che si dava per assolutamente certo che il sepolcro
fosse stato trovato vuoto. I discepoli di fronte al segno
della tomba sono stupiti ma ancora increduli. Per credere nella resurrezione
e diventarne annunciatori, hanno bisogno di vedere
Gesù, di parlargli nuovamente, di stare a tavola ancora una volta con lui.
Sono quasi tutti pescatori, gente solida, concreta. Non dei visionari, non
dei mistici o degli illusi seguaci di un fantasma pronti
a scommettere la loro vita per andar dietro a una consolatoria proiezione
mentale. Ci sono dunque indizi storici che riguardano le apparizioni del
Nazareno? Jacques Perret, docente di Storia romana
alla Sorbona di Parigi, a fine carriera, nel 1984, volle esaminare da storico
quei racconti. E scrisse: «Quando ci si rifiuta di
credere alla resurrezione di Gesù, non è per motivi storici. La storia, per
quanto ne è capace, non solo non contraddice, ma porta a giudicare come più
probabile tra tutte le ipotesi che gli evangelisti riferiscano con
sostanziale verità ciò che è davvero successo». L’indizio più importante è
l’impossibilità di giustificare con le categorie della storia e della
sociologia l’imprevedibile «Big Bang» che sta all’origine del cristianesimo:
il fatto che quei primi apostoli, distrutti dopo la morte in croce del loro
messia, si siano improvvisamente trasformati in
instancabili annunciatori della sua risurrezione. «Il fatto sorprendente
della resurrezione», scrive il biblista José Miguel García nel libro «Il
protagonista della storia» (Rizzoli), «è l’unica ragione veramente
esplicativa dell’esistenza della predicazione cristiana». Lo storico deve
ammettere di non essere in grado di spiegare la genesi della fede pasquale.
Quella fede che nessun documento, nessuna prova, nessuna scoperta
archeologica ha mai potuto mettere in discussione. Andrea Tornielli Il Giornale –Sabato 11 aprile
2009 |