La processione del Venerdì Santo nei
ricordi degli anziani dei paese.
Al silenzio delle campane, si univa l'austerità
dell'addobbo della Chiesa: i crocifissi e
i grandi quadri erano coperti e il Santissimo
spostato dall'altar maggiore all'altare dedicato
alla Madonna del Rosario. "Si portava
il Santissimo in un altro altare dove si faceva
"il Sepolcro", si addobbava con
i vasi e i fiori più belli, poi il
sabato santo si faceva la processione nella
chiesa e si riportava all'altare maggiore."
Durante la funzione del venerdì un
crocifisso veniva offerto al bacio dei fedeli.
Aveva quindi luogo la processione alla Cappella
delle Crocette, dedicata a N.S. Addolorata.
Si andava in processione con "una croce
che tenevano giù alla cappella di S.
Rocco, una grossa croce fatta da "diplomatici":
erano assi grossi, ma vuoti dentro, se no
avrebbe pesato 4 quintali, era grossa, grossa.
La portava sempre Angelo Suppo, uno già
vecchio che accendeva e spegneva candele tutto
l'anno. Aveva un camicione bianco con un berretto
a punta in testa e due fori per vedere dove
andava. E poi cadeva sotto il peso della croce
quelle due o tre volte come era caduto il
Signore". Oltre ad Angelo Suppo che impersonava
il Cristo, vi era un altro uomo anch'esso
in costume che svolgeva il ruolo del Cireneo
aiutando a portare la croce; seguivano i membri
delle diverse confraternite presenti in paese.
"C'erano le Figlie di Maria vestite di
bianco, la Compagnia del Rosario, quella del
Carmine, di S. Croce vestiti di giallo..."
La processione era un susseguirsi di canti,
e le fermate che si facevano erano in concomitanza
alle cadute di colui che rappresentava il
Signore. La partecipazione dei fedeli era
molto numerosa, "si cantava lo Stava
Mater dolorosa lacrimosa tutti insieme ...Facevano
paura quei due vestiti così. Il Cireneo
era di Torre del Colle. Finita la processione
si tornava alla chiesa parrocchiale e facevano
ancora la predica." I canti eseguiti
durante il percorso "erano molti, ce
nera uno in particolare, non ricordo
come si intitolasse, ma la melodia portava
a farcelo cantare così: Papì
spinass papì 'd mërlüs, na
bun-a süpa faita al brüsch";
il contenuto dello storpiamento del canto:
non più spinaci, non più
merluzzo, una buona zuppa fatta con l'aceto
alludeva allormai prossima fine del
digiuno quaresimale. Se per alcuni bambini
di allora lo spettacolo di questa processione,
incuteva una forma di vago timore, in altri
prevaleva lo spirito dissacratore e la serietà
drammatica del momento poteva diventare occasione
di scherzi furtivi: "Questo non è
da scrivere: quello che portava la croce,
aveva gli zoccoli, e allora i ragazzacci che
erano con me, gli buttavano i sassolini negli
zoccoli!
e acquistava delle indulgenze...
quello che portava la croce con quei sassolini
che gli facevano dispetto, che buttavamo noi!".
In questi giorni conclusivi della Quaresima,
le donne e i bambini in particolare, si preparavano
alla Pasqua andando a confessarsi, e per questo,
sceglievano a volte dei vicini santuari: "le
nostre nonne quando si doveva fare Pasqua,
partivano quattro o cinque donne insieme e
andavano a piedi fino ai Cappuccini ad Avigliana,
lo facevano proprio per penitenza, e lì
si confessavano." Gli uomini invece preferivano
confessarsi e partecipare alla messa detta
apposta per loro, il mattino presto della
domenica delle Quarantore.
Rid. da Augusta Bugnone "Calendario
tradizionale contadino, il ciclo festivo e
della vita in Valmessa". 1994. Un affettuoso
ringraziamento agli informatori contattati
in occasione delle stessa tesi.
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