
Parigi. "Sarebbe un' ingiustizia commentare il testo del Papa:
non l'ho sotto gli occhi, non l'ho meditato. Ma l'immagine del Muro mi
parla". André Glucksmann, il filosofo parigino, reagisce così
ai primi echi del discorso che il Pontefice ha tenuto a Gniezno davanti
a sette capi di Stato dell'Est.
Gniezno è la città del protomartire polacco Adalberto.
Qui, nel 1979, Papa Wojtyla disse: "Non è lo Spirito Santo a disporre
che questo Papa slavo manifesti l'unità spirituale d'Europa?".
Ardita speranza: quest'unità spirituale sembra oggi, 18 anni
dopo, più lontana che mai. E' lo stesso Papa ormai vecchio, ostinato,
dice oggi: "Non sarà che dopo la caduta del muro visibile, se ne
sia scoperto un altro, invisibile, che continua a dividere il continente
- un muro che passa attraverso i cuori?". Per il Papa, "le fondamenta dell'unità
d'Europa sono cristiane", e il muro invisibile che divide l'Europa nasce
"dalla crisi di questa autocoscienza cristiana".
Ora lei, Glucksmann, è ebreo e laico, ma ...
Ma quel muro lo riconosco. E' il muro che costruiamo di continuo per
non vedere. Più precisamente, per non vedere il male".
Il Papa parla di un "muro fatto di paura, di aggressività,
di mancanza di comprensione verso gli uomini di diverso colore, di diversa
origine, di diverse convinzioni religiose..."
"Appunto. Il muro dell'egoismo, che ciascuno eleva in sé contro
le cose che imbarazzano, che fanno male. E la coscienza del male che è
decisiva per unire. Le democrazie occidentali non sono unite da una comune
idea del bene, della perfezione, di Dio, ma dall'orrore del nazismo e del
fascismo".
E non è, appunto, un imperfezione? Lei giudica utopia la speranza
di unirsi in nome di una comune idea di bene?
"Le rispondo evocando quel libro profetico di Solov'ev, dove si immagina
che l'Anticristo si insedia a Gerusalemme e promette all'umanità
il bene, la pace, l'abbondanza, purché tutto il potere sul mondo
sia dato a lui. Convoca i vertici delle tre religioni, che accettano. Solo
in ciascuna delle tre religioni c'è un "eretico" che rifiuta il
bene dell'Anticristo. E ciascuno dei tre, ebreo, cristiano, musulmano,
rifiuta precisamente con questo motivo: che se si abbandona la responsabilità
individuale davanti al male, si diserta. E' la conclusione a cui giunge
Solgenitsin, che ha, non a caso, la sua radice spirituale in Solov'ev:
i più grandi mali di questo secolo sono stati perpetrati in nome
del "bene": l'uguaglianza, la fraternità...".
Dunque, il Muro invisibile che cosa sarebbe, per lei?
"L'oblio del male. Il non voler vedere la miseria, l'orrore. Dall'oblio
del male nasce il muro interiore".
Non dimenticare il male, dunque non perdonare?
"Al contrario: memoria e richiesta di perdono. Il Papa ha ripetuto
la parola che disse all'inizio del suo pontificato: Non abbiate paura.
Ebbene, ciò che ha risanato la Germania è stato il non aver
paura di tenere gli occhi aperti sui crimini zazisti. E credo che abbia
sanato la Polonia la richiesta di perdono del primate polacco ai tedeschi,
benchè le colpe polacche siano infinitamente minori di quelle dei
tedeschi. E anche Havel, il Presidente cecoslovacco, ha fatto bene al suo
Paese quando ha riconosciuto le colpe dei cecoslovacchi - di tutti, anche
dei comunisti, anche dei dissidenti e dei democratici - verso i tedeschi
espulsi dai Sudeti, gettati fuori dalle loro case...".
Allora appressa anche che Giovanni Paolo II abbia chiesto perdono
per le colpe della chiesa, commesse in duemila anni.
" Si. E' molto, molto bene. E' questa conoscenza lucida di sé,
senza paura, che impedisce il risorgere del muro invisibile. Conoscersi,
significa riconoscere il terrorista, o il complice del terrore, che è
in ciascuno di noi".
Dunque, il Papa che chiede perdono la coinvolge, come ebreo?
"Certo e in due sensi. In primo luogo, spero si capisca ora perché
non vogliamo che l'abisso di Auschwiz sia cancellato sotto il Carmelo,
che quell'abisso resti aperto senza redenzione. Perchè non è
vero che abbiamo capito Auschwiz una volta per tutte. Se si cancella la
memoria, torna il muro. E' bastato che la memoria cominciasse a svanire,
perché si producesse un genocidio".
Un genocidio?
"In Ruanda nel 1994, e l'Europa dimentica ha lasciato fare. E la Jugoslavia?
600 mila morti, prima che noi occidentali, tardivamente, intervenissimo.
E il genocidio è contagioso: chi lo subisce diventa violento, il
rischio che si ripeta diventa permanente, come si è visto in Ruanda".
E il secondo senso in cui il messaggio di Giovanni Paolo II la coinvolge
come ebreo?
"Mi porta a meditare sulla responsabilità di noi ebrei. Vittime,
certo. Ma nemmeno noi più lucidi degli altri uomini, anche noi pronti
a non vedere la crudeltà che abita anche in noi.
E questo oblio è la causa del marasma dell'Est non più
comunista?
"E' mancata la volontà di giudicare i crimini del comunismo:
per questo l'Est è nel caos non solo economico, ma morale".
Non c'è stata la Norimberga del comunismo.
"Ed ora continua a mancare un piano Marshall per l'Est: uno sforzo
generoso che solo l'Occidente può fare, per stabilire là
una democrazia vera e un'economia sana nella libertà".
Abbiamo chiuso gli occhi.
E il muro invisibile è risorto. E l'egoismo, nella storia, è
così fatto: che gli egoisti ne sopportano le conseguenze. Anche
l'Ovest ora ristagna nella disoccupazione. Avremmo molti disoccupati in
meno, se avessimo aiutato l'Est: grande impresa, lavoro per molti. Il piano
Marshall salvò l'Europa, ma anche la donatrice America, dalla stagnazione
che segue sempre alle guerre".