Giovanni 14,23-29
Gli rispose Gesù: «Se uno mi ama, osserverà la
mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo
dimora presso di lui. Chi non mi ama non osserva le mie parole; la parola
che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.
Queste cose vi ho detto quando ero ancora tra voi. Ma il Consolatore,
lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli v'insegnerà ogni
cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto. Vi
lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io
la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. Avete
udito
che vi ho detto: Vado e tornerò a voi; se mi amaste, vi rallegrereste
che io vado dal Padre, perché il Padre è più grande
di me. Ve l'ho detto adesso, prima che avvenga, perché quando
avverrà, voi crediate.
Omelia
di p. Hans van Schijndel
consultore generale dei Padri Sacramentini
Nel giorno, in cui concludiamo quest'anno
giubilare, ci vengono in mente tanti motivi per rendere grazie.
Grazie per un
carisma
così ricco. Grazie per tanti confratelli e laici, che hanno
cercato di vivere questa ricchezza con fedeltà e convinzione.
Grazie per le sfide che ci hanno spinti a scoprire la novità.
Grazie per le critiche e le difficoltà che ci hanno portati
a cambiare strada. Speriamo di essere ora più fedeli alla
nostra ispirazione originale. Il Vangelo di oggi si inserisce bene
in quel contesto di ringraziamento, perché rivela un elemento
importante della spiritualità eucaristica: l'eucaristia
come strumento e nutrimento della pace. Vorrei
approfondire un po' questo aspetto.
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Il Vangelo che abbiamo ascoltato contiene tanti elementi importanti. Quasi
ogni frase rappresenta un programma di vita e meriterebbe un'omelia completa.
Il testo ci propone l'amore per Gesù e le conseguenze che quest'amore
dovrebbe avere nella mia vita. Così anche la relazione di Gesù al
Padre con delle indicazioni nuove, che potrebbero trasformare considerevolmente
la nostra immagine di Dio. Lo Spirito ci è promesso come consolatore
e sostegno per la nostra vita. Tutte cose importanti che riguardano il
centro e l'essenza della nostra fede.
Tutte queste sono raggruppate intorno ad una formula proprio nel centro
del nostro testo biblico, che ci parla della pace. Conosciamo bene queste
poche parole. Ritornano in ogni Eucaristia dopo il Padre Nostro quale la
preghiera che ci ricorda, come Gesù ha promesso la sua Pace; ai
suoi discepoli e dopo di loro anche a noi, la sua chiesa. "Signore
Gesù Cristo, che hai detto ai tuoi apostoli: Vi lascio la pace,
vi do la mia pace".
Forse non ci rendiamo più conto di queste parole, sono talmente
conosciute. Però in questa preghiera si tratta di una cosa molto
importante: la pace nella linea di Gesù e secondo i suoi criteri.
Non qualsiasi pace, come forse il risultato di un lungo processo di trattative
o di una svolta felice nello sviluppo della storia del mondo. Neanche
soltanto l'assenza di guerra; neppure un semplice essere contento con se
stesso, una tranquillità interiore. Ma molto di più. Che
cosa di più? Com'è la pace di Gesù e come essa avviene?
Per trovare una risposta a questa domanda, è importante guardare
bene il testo biblico. Queste parole sulla pace si trovano nel grande discorso
di addio di Gesù ai suoi apostoli, e questo aspetto da loro
un peso molto speciale. Di solito un addio è l'occasione di guardare
alla vita passata e sottolinearne quello che è importante. Parole
dette nel corso di un addio, hanno una vita intera come sfondo, evocano
il perché di tutta questa vita. Queste parole non possono essere
comprese a se stanti, come le parole in un dizionario, ma sono da
comprendere come la sintesi la più breve di una lunga e faticosa
storia umana.
Così dobbiamo leggere e comprendere anche queste parole di Gesù oggi
nel Vangelo: cariche del suo impegno, di tutta la sua missione in parole
ed in opere. Se le ascoltiamo così, la sua Pace riceve un significato
del tutto speciale.
Sullo sfondo della vita di Gesù la sua pace vuole dire: un'autentica
riconciliazione con gli emarginati, i piccoli e i deboli della società,
coloro che non contano, perché sono considerati senza importanza,
improduttivi, parasiti, o anche pericolosi. La sua pace vuoi dire:
uguaglianza fondamentale di tutti gli uomini di tutte le razze, tutti
i popoli, e tutte le classi e non solo come principio, ma anche nella pratica.
Fa parte di questa pace condividere con gli altri ciò che è nostro;
dare agli altri gli stessi diritti, al primo posto il diritto di essere
se stessi, il diritto di essere diversi. Fa parte della sua pace il vivere
come comunità, non semplicemente il vivere uno accanto dell'altro,
ma condividere le gioie e le sofferenze di ciascuno, affinché nessuno
debba più dire: Io non ho nessuno, nessuno mi vuole, sono superfluo,
nessuno sentirebbe la mia mancanza. Se uno dovrebbe lamentarsi così,
vuoi dire che la pace di Cristo non c'è ancora.
Ecco ciò che sarebbe piuttosto nella linea della sua pace. Dialogare,
invece di ridursi a vicenda al silenzio; accogliersi a braccia aperte
che trasmettono il messaggio: "Sei benvenuto, non hai niente da temere",
invece di avvicinarsi con una faccia truce e un linguaggio corporale
che non promette niente di buono. Una pace così implica finalmente
un dono di sé come Gesù ce ne ha dato l'esempio: non semplicemente
un lasciarsi condizionare dagli eventi, ma accettare coscientemente ciò che
Dio tramite le circostan¬ze e gli altri mi chiede, dire il mio sì a
queste esigenze ed entrare così attivamente nel suo progetto di
salvezza.
La sua pace è dunque una cosa molta più impegnativa che non
l'equilibrio degli interessi, che di solito è il nostro fine. La
sua pace contiene e condiziona un rifare la nostra vita e apre un processo
che sbocca in qualcosa che non possiamo chiamare altro che una nuova creazione.
Le tante nostre iniziative per la pace possono certo dare un contributo
in quella dirczione, ma non possono essere considerate già la
fine del processo. La sua pace va aldilà, è ancora più radicale,
contiene molto di più. Rappresenta un ideale, un'utopia, un sogno,
che di fronte ad ogni singolo passo ci dice: bello e buono, ma non basta.
La sua pace ci fa scoprire continuamente quanto le nostre paci umane sono
ancora incomplete, malfatte, troppo restrittive. La sua pace stimola la
nostra immaginazione troppo ristretta riguarda alla pace e ci spinge avanti.
Non è forse troppo impegnativo, troppo pesante questo programma?
Non è forse frustrante di dover affrontare continuamente nuove
sfide, sentire che non basta mai? Non va forse così rovinato il
gusto della poca pace che possiamo realizzare? Sarebbe così, se
non ci fosse stato questa aggiunta: "Vi do la mia pace".
E queste parole sono da prendere molto sul serio. Queste poche parole
cambiano tutto, ci permettono di vivere e di operare sotto delle condizioni
completamente diverse. La sua pace, così dicono queste parole, una
pace che supera tutto, non è il frutto dei nostri sforzi, ma essenzialmente
un dono. Questa pace si avvicina a noi, ci viene incontro. Noi possiamo
lavorare nella sua direzione, possiamo togliere gli ostacoli, e dobbiamo
anche farlo. Però non possiamo produrre questa pace, ancora meno
forzarla.
Non mi sento frustrato e deluso che le cose stanno così, ma piuttosto
tranquillo e consolato. Se nonostante tutte le nostre fatiche non
lo facciamo, questa pace con gli altri e neanche la pace con noi stessi,
non è ancora tutto perduto, la nostra vita non ha perso il suo senso.
Dio non ci abbandona, egli ci da la sua pace, la sua salvezza. È lui
che si impegna, affinché da tanti nostri piccoli pezzi cresca
qualcosa di buona, un insieme. Non è dunque il nostro successo che
finalmente determina tutto, non è il prestigio, o il potere o l'influsso;
ma unicamente il suo dono, il suo dono di pace.
E questo aspetto trasforma radicalmente tutto. Toglie dal nostro impegno
per la pace la rigidità, la tensione e lo stress, che troppo spesso
caratterizzano le nostre azioni. Ciò che facciamo è necessario,
perché: come potremmo accettare che il nostro mondo, che le relazioni
fra gli uomini sono ancora così diverse dalla sua pace? Ma
in tutto il nostro impegno ci è data, come il sottofondo, una serenità profonda
che ci rende di nuovo felici nel nostro agire. E questa felicità ci
fa del bene, a noi e a tutti gli altri. È già una piccola
porzione di salvezza, è come un pegno della sua pace, un dono del
ciclo sulla nostra terra.
La serietà di questo dono si rivela nelle ultime parole di Gesù in
questa promessa di pace: "Non come la da il mondo, io la do a
voi". Cioè: non solo la sua pace è diversa, più grande,
più profonda, più radicale, ma anche il suo dare è tutto
speciale. È un dare totale, senza calcoli, senza condizioni, senza
prestazioni anticipate. Vale per tutti, ognuno può accettare questa
offerta. Non è richiesta cambiare prima per essere considerato
degno di questa pace. No! Così come siamo possiamo lasciarci dare
questa pace ed entrare in questo movimento di vita nuova.
Si, dobbiamo riconoscere ed accettare la specificità e la radicalità della
pace di Gesù, però non siamo giudicati secondo un certo dovere
da compiere, una quantità fissa di successo da contribuire. Se facciamo
ciò che possiamo, se facciamo del nostro meglio, se ci mettiamo
dentro, questo basta. Gesù prende veramente il rischio di dare,
senza prima sapere quanto riceverà da noi in ritorno. Incredibile!
Incomprensibile! Ma così è la sua natura e in questo assomiglia
perfettamente a Dio, suo Padre. "Dio ci ha amati, quando eravamo peccatori",
diceva San Paolo. Se si vuole parlare di una prestazione avanzata, allora
essa sta unicamente da parte di Dio e da nessun altra parte.
Soltanto in questo ordine cresce la vera pace: cominciando da Dio, rispettando
la sua iniziativa e poi riprendendo e continuando con le nostre forze ciò che
Egli ci ha offerto come punto di partenza. Solo così un mondo nuovo
e migliore si sviluppa ove regna la pace vera.
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