Lo Spirito Santo

Il fine della vita cristiana, è l’acquisizione dello Spirito Santo. La grazia dello Spirito assimilata gradualmente attraverso la preghiera e l’ascolto del Vangelo provoca la spiritualizzazione del cuore, questo centro decisionale di tutto il nostro essere. La vita spirituale, con essa indichiamo lo spessore della nostra fede, è vita nello Spirito Santo.

“Dio si è fatto sarcoforo (= portatore della nostra carne), perché l’uomo possa diventare pneumatoforo (= portatore dello Spirito) scriveva Atanasio al capitolo ottavo del suo “Trattato sull’incarnazione”. Lo Spirito risveglia nell’uomo una sensibilità fondamentale che va al di là delle facoltà sensibili e intelligibili: è la capacità di “sentire” Dio in tutto e al di là di tutto. Anche la memoria dei morti diventa memoria di Dio, del Dio che si incarna e discende fin nella morte e nell’inferno, la nostra morte e il nostro inferno, per farvi zampillare la forza vivificante dello Spirito, la potenza della risurrezione.

L’amore infinito dello Spirito santo è colui che ci rivela il volto di gloria del Cristo risorto e che ci fa partecipare, attraverso l’umiliazione del Figlio eterno, alla gloria della sua risurrezione; l’amore infinito dello Spirito santo ci trascina al seguito di Gesù, fino alla destra del Padre celeste, e dimora con noi per sempre.

La venuta dello Spirito santo, di cui Gesù è il precursore, è veramente il termine e la pienezza dell’amore della santa Trinità, amore rivelato e offerto come comunione, in lui la vita stessa di Dio scorre nelle nostre membra, ci unifica, ci rinnova, ci purifica. Lo Spirito santo è il grande Purificatore, viene a porre la sua dimora in noi, a purificarci da ogni impurità, da ogni peccato, da ogni male. Santificarci, chiamarci alla purificazione è l’esigenza propria dell’amore di Dio; senza questa purificazione il nostro amore stesso, i nostri gesti e i nostri doni sono opachi, appesantiti. L’amore è umile, ma esigente.

Lo Spirito santo è il dono supremo di Dio. Finché non l’abbiamo ricevuto, il dono che il Padre ci ha fatto mandando nel mondo il Figlio unico non raggiunge pienamente il suo effetto. La vittoria di Dio sul peccato è ottenuta nell’istante in cui Gesù muore in croce, essa risplende dinanzi agli uomini il giorno di Pasqua, ma il frutto  di questa vittoria, la venuta del Regno, la trasformazione dei cuori, si rivela solamente nella Pentecoste (At 2, 1-13). Noi siamo i figli del Padre perché possediamo il suo Spirito nei nostri cuori. Come , dunque, non cercar di conoscere meglio questo Spirito, dono del Padre ? Non si può conoscere lo Spirito come si conosce il Padre o il Figlio: lo Spirito non ha affatto un volto, e neppure un nome in grado di evocare una figura umana. Non si può mettersi al cospetto dello Spirito, contemplarlo, seguirne i gesti. “Voi lo conoscete” dice Gesù ai suoi, “perché dimora in voi” (Gv14,17).Conoscere lo Spirito significa innanzitutto sperimentare la sua azione, lasciarsi invadere dalla sua energia, rendersi docili ai suoi slanci; significa volerlo in maniera sempre più cosciente alla sorgente della nostra vita. Lo Spirito ci consacra al Signore, lo Spirito ci parla del Signore, ci fa vivere o morire per il Signore, è lo Spirito del Signore. Lo Spirito che Gesù dà ai suoi non è una ricchezza di cui egli dispone e che viene ad aggiungersi a ciò che egli è. E’ il suo stesso Spirito, è lo Spirito di Dio, lo Spirito che fa della sua umanità l’umanità del Figlio di Dio, che fa di ognuno dei suoi gesti i gesti del Figlio unico. Il segreto di Gesù Cristo, quello che spiega tutta la sua vita e il suo essere, è che egli è il Figlio unico e diletto. E la prova ultima che ci ha dato realmente il proprio Spirito è il fatto che ci ha resi capaci di vivere da figli di Dio. Il cristiano, senza avere di Dio un’esperienza sensibile, prende coscienza che le sue azioni sono ispirate da un atteggiamento nuovo, da una nuova maniera di vedere la vita, di porsi dinanzi a Dio. Questo atteggiamento è quello del figlio: vive con spontaneità al cospetto del Padre, accogliendo il suo amore e rispondendo all’amore con l’amore. Da dove gli vengono questa naturalezza e questa franchezza, dal momento che non ha mai visto il Padre e non può neanche sentirne la presenza ? Dallo Spirito santo che, nel silenzio, attesta al suo spirito che egli è figlio di Dio e che, con un linguaggio intraducibile in parole umane, gli ispira l’invocazione capace di raggiungere Dio, cioè la preghiera stessa del Figlio: “Abbà, Padre !” (Rom 8, 15). E’ in quest’azione tutta in profondità che lo Spirito si rivela interamente. Nell’Antico Testamento si manifestava soprattutto come una potenza divina che sconvolgeva il mondo (Gen 1,2; Gen 2,7; Ez 37, 1-14). La sua azione, per quanto interiore fosse, rimaneva orientata verso la creazione. Certo essa aveva lo scopo di far risplendere la gloria di Dio, ma appariva sempre come venuta da Dio e rivolta verso il mondo: eseguiva infatti la sua volontà, portava la sua Parola fino all’estremità dell’universo, irradiava sulla creazione. L’opera suprema dello Spirito che si manifesta in Gesù e anima i cristiani non è meno attiva e meno creatrice (Lc 4,18; At 2,17-18) è quella di orientarli a Dio, di suscitare in loro il dialogo con lui. Non solo lo Spirito viene da Dio, ma ritorna a Dio, fa parlare a Dio. “Dio è colui da cui tutto discende, il Padre, e colui attraverso il quale tutto risale, lo Spirito, e questa rivelazione è opera di colui che è risalito al padre nello Spirito, poiché nello Spirito era venuto: il Figlio Gesù Cristo.” (Jacques Guillet).

Don Marco