Invenzione delle Relequie

Il ritrovamento delle reliquie avvenuto nel 415 non ha iniziato il culto di Stefano, sicuramente già in atto, ma ha indubbiamente contribuito ad aumentarlo. Può stupire il fatto che di un martire così glorioso se ne fosse perduta la memoria del sepolcro; però due considerazioni devono essere proposte: in primo luogo il culto presso il sepolcro dei martiri iniziò nel sec. II e si sviluppò nel IV dopo L’ottenuta libertà religiosa; in secondo luogo tragici avvenimenti sconvolsero la Palestina e particolarmente Gerusalemme sia nel 70 da parte di Tito come nel 135 sotto l’impero di Adriano, in cui la città subì una completa distruzione.

La relazione dell’ invenzione del corpo fu redatta dallo stesso autore della scoperta, il prete Luciano di Kefar_Gamla; il testo greco fu immediatamente tradotto in latino da Avito di Braga (cf. Pl, XLI, coll. 807-18) con una risonanza davvero straordinaria. Le altre traduzioni in siriaco, copto, ecc., contribuirono a rendere generale nel mondo cristiano la fortunata invenzione. La Relazione di Luciano spiega quindi l’estensione del culto; tuttavia la narrazione lascia molto perplessi, sia sul contenuto, sia sulla genuinità delle reliquie. Papa Gelasio con un decreto condannò un’Apocalisse di Stefano come libro non genuino (PL, LIX, coll.177-78); non si sa se questo testo condannato sia da identificarsi con la Relazione del prete Luciano.

Secondo questo racconto, il, 10,17 dic. 415 a Luciano apparve in sogno Gamaliele, il maestro di San paolo, per stimolarlo a rendere onore ai resti di San Stefano sepolti nei pressi del suo villaggio di Kefar_Gamla.

Gamaliele raccontò parimenti come il corpo del martire si trovasse in quella località; egli stesso infatti aveva recuperato la salma gettata in mezzo ai rifiuti e le aveva dato sepoltura nel proprio possedimento di Kefar-Gamla. Nello stesso sepolcro, così rivelò Gamaliele, avrebbe trovato il proprio corpo, quello del figlio Abibo e di Nicodemo, rifugiatosi nel suo villaggio dopo la cacciata violenta dal Sinedrio per la sua conversione al Cristianesimo.

Mentre Luciano informò delle visioni il vescovo di Gerusalemme, Giovanni, anche al monaco Megezio venne rivelato il luogo della presunta sepoltura di Stefano. Trovata la tomba fu rimossa la tomba sepolcrale su cui erano incisi in lettere greche quattro nomi ebraici che Giovanni interpretò come quelli di Stefano, Nicodemo, Gamaliele, Abibo (questo nome però non compare in tutte le recensioni.) In seguito all’invenzione si verificarono grandiosi prodigi. Una piccola parte delle ossa di Stefano fu lasciata in possesso di Luciano, che ne fece poi dono a vari amici (di cui la diffusione delle reliquie), mentre la porzione maggiore del corpo fu traslata provvisoriamente a Gerusalemme nella chiesa di Sion il 26 dic. 415, data già riservata in alcune località orientali, al martire Stefano (cf. Martirologio siriaco in Acta SS Novembris, II,1, Bruxelles 1894, p. LII) Il prete Luciano ha forse voluto drammatizzare una reale fortunata invenzione del corpo del protomartire ? Può anche essere; ma le perplessità dei critici moderne su questa narrazione rimangono assai copiose.

Il vescovo di Gerusalemme, Giovenale fece poi costruire una basilica sul presunto luogo della lapidazione; tale basilica fu solennemente inaugurata nel 439 con una cerimonia liturgica presieduta da Cirillo, patriarca di Alessandria (PG, LXXXV, col. 469). In seguito l’imperatrice Eudossia (m. 460) devotissima al martire volle edificare una basilica ancora più grandiosa con annesso un vasto monastero. Altre chiese furono costruite in Gerusalemme in onore del martire, come quella eretta da Melania (cf. Vie de Sainte Melanie) Le tormentate vicende palestinesi (invasioni persiane, arabe, crociate, turche) portarono alla distruzione della basilica eudossiana, i cui resti furono messi in luce nel secolo scorso.