Il tempo del codice

Il secolo XIII fu un periodo di grandi trasformazioni sociali. Il feudalesimo già da parecchi decenni andava lentamente morendo, l’impero si trovava in serie difficoltà. Il regno di Federico I, il Barbarossa (1190), fu una continua lotta contro i comuni, le grandi città che negavano sempre con maggior forza i "diritti" imperiali.

Basti pensare alla battaglia di Legnano (29 maggio 1176) nella quale Federico I fu sconfitto, costretto a trattare la pace e a concedere autonomie. Il successore Enrico VI, unì le corone di Germania e di Sicilia ma morì a soli 32 anni (1197).

Federico II, che fu anche letterato e protettore di letterati, allo scopo di ottenere l’amicizia del Papa, parti (1227) per una crociata, ma una epidemia scoppiata nelle navi lo costrinse al ritorno. Ripartì una seconda volta e ottenne Gerusalemme attraverso trattative con il sultano. Ritornato nell’impero ebbe alcuni successi, ma non riuscì a liberare il figlio Enzo che, dopo la battaglia di Fossalta rimase prigioniero a Bologna dove morì. Egli avversò molto il papato e nel 1241 la sua flotta, unita a quella pisana, sconfisse quella genovese alla Meloria e prese prigionieri molti prelati italiani e stranieri, fra cui Guglielmo vescovo di Luni, e li tenne in Puglia per dieci anni. Da non dimenticare le discordie interne. I guelfi e i ghibellini si combattono aspramente, e questi ultimo si appoggiano all’autorità imperiale.

Ultimo dei punti salienti da ricordare è la discesa in Italia di Arrigo (o Enrico VII) salutato da Dante Alighieri che sperava di veder attuata la sua idea politica dei due soli: il papato e l’impero, ma Arrigo muore durante questa spedizione , a Buonconvento, presso Siena nel 1312.

Oberto Pelavicino, nominato vicario imperiale per la Lunigiana (vedi capitolo seguente), cerca di mettere insieme un corpus di tutti i privilegi concessi da papi e imperatori. Il primo risale all’anno 900. Berengario marchese del Friuli e re d’Italia, conferma al Vescovo Odelberto i privilegio concessi dai suoi predecessori alla Chiesa di Luni. Non sappiamo a chi siano stati concessi i precedenti privilegi, l’investitura del vescovo di Luni pare debba risalire molto addietro, se non addirittura a Carlo Magno. Sembra certo che alcuni prelati lunensi abbiano partecipato alla cerimonia d’incoronazione di Carlo nella Chiesa di san Pietro la notte di Natale dell’anno 800, ma non si sa chi sia stato il primo a prendere il titolo di conte Episcopus et comes-.

I documenti del codice sono oltre 500, ma solamente 7 anteriori al 1000,11 fra il 1000 e il 1100, 12 fra il 1100 e il 1150, 67 fra il 1150 e il 1200; tutti i rimanenti si restringono nell’arco di u secolo, cioè al tempo del Vescovo Gottifredo II Enrico da Fucecchio.

I primi documenti sono molti distanziati l’uno dall’altro e il motivo è evidente. Nel lasso di tre secoli ( e in quale periodo!) la quasi totalità di quelli esistenti era andata perduta. Fra i rimasti, il più importante è quello del 963 con il quale l’imperatore Ottone I conferma al vescovo Adalberto tutti i privilegi concessi alla chiesa lunense dai suoi predecessori. Per la prima volta viene nominato il castrum de Sarzano.

E’ questo il periodo più florido per il feudo e per la Chiesa, ma questo non si può affermare del tutto: basta scorrere alcuni documenti per notare con quale frequenza il vescovo conte si trovi in contrasto con re e imperatori, con visdomini, castaldi e cittadini.

Oberto Pelavicino si allontanò dalla Lunigiana dopo pochi anni e il fascicolo passò nelle mani dei vescovi. Seguono altri anni difficili. Un contrasto sorge nel 1055 per il possesso del castello di Aghinolfo, ma ben più gravi sono i contrasti coi Malaspina, imparentati col Pelavicino, che cercano di erodere terre al vescovo per giungere al mare.

I visdomini fanno l’interesse proprio, non quello del Vescovo. Guglielmo Mascardo arriva a vendere i castelli di Trebiano, di Barbazano e di Bolano al Banco di San Giorgio. I contrasti aumentano. Molti comuni chiedono ed ottengono lo stututo: Ponzanello (1233), Sarzana (prime concessioni 1234), Carrara (1235). Questi sono quelli contenuti nel codice. I sarzanesi sono sempre più esigenti nel chiedere l’autonomia della città. Nell’ultimo periodo del governo della diocesi del Vescovo Guglielmo, ritornato da alcuni anni dalla prigionia in Puglia, colpevole d aver ceduto numerosi castelli a Nicolò Fieschi furono emessi i primi statuti (1269)

Il vescovo Enrico, uomo di vasta cultura e di insolita energia, si sforza di ricomporre l’unità del feudo e cerca di mettere insieme tutti i documenti per comprovare suoi diritti, ma ormai la concezione della vita sociale è profondamente mutata. Fra le sue grandi opere volte al riordinamento del feudo è notevole la costruzione del castello di Castelnuovo. L’ultima concessione, di valore più nominale che reale è quella ottenuta da Rodolfo, re dei Romani, di battere moneta di peso giusto e legale, cioè dell’imperiale grosso, piccolo e piccolissimo. Non risulta però che la zecca di Luna sia entrata in attività. Il vescovo Enrico, lasciò la diocesi nel 1297 e morì poco dopo in un convento di Toscana.

Si può affermare che il feudo abbia arrecato più amarezze che vantaggi ai vescovi lunensi che mal potevano conciliare il potere spirituale con quello temporale. Le numerose tasse e impostazioni e il dovere di partecipare alla difesa della città rendevano l’autorità malvista se non odiata, e il vescovo in modo particolare.

L’ultimo documento porta la data 10 novembre 1297, ed è una sentenza del cappellano del papa, Guidotto, emessa in seguito alle violenze e ai danni recati dai Sarzanesi al vescovo Antonio da Camilla, successore di Enrico da Fucecchio, che farà poi, nel 1306, la pace coi Malaspina, essendo Dante intermediario.