La vita

 

       

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Figlia unica di Antonio Lotti ed Amata Ferri, Rita, la «perla preziosa dell'Umbria» (come la definì Papa Leone XIII) nacque  a Roccaporena, frazione di Cascia, con ogni probabilità nel  1371. Al fonte battesimale, nella Chiesa Parrocchiale di S. Maria della Plebe, a Cascia, le fu imposto il nome di Margherita (dal latino «margarita»= perla).

I genitori di Rita erano contadini e, pur non essendo ricchi possidenti, godevano di un decoroso tenore di vita e, soprattutto, per la loro moralità e onestà e indipendenza dalle varie fazioni, erano autorevoli nella comunità, nella quale svolgevano la funzione di «pacieri», vale a dire dei saggi cui rivolgersi in caso di liti o dispute allora molto frequenti.  Infatti, pur situata ai margini dei due grandi stati dell'Italia centro-meridionale dell'epoca, cioè dello Stato Pontificio e del regno di Napoli, e per la sua posizione geografica decentrata dai grandi avvenimenti storici e politici dell'epoca, anche Cascia era all'epoca  politicamente divisa nelle fazioni di guelfi (coloro che appoggiavano la politica del papa) e ghibellini (coloro che appoggiavano l'imperatore), costantemente in contrasto ed in lotta tra loro.

 

 

Sappiamo con certezza che Rita apparteneva all’ambiente borghese e non era priva di istruzione. Secondo la tradizione i genitori erano piuttosto anziani e la nascita di Rita fu accompagnata da alcuni prodigi: il più celebre e documentato è quello delle api bianche che si posano sulla bocca della piccola ancora  in fasce, senza pungerla, quasi volessero deporre sulle labbra della futura santa  il loro miele.  Secondo le  antiche cronache, Rita trascorse la sua infanzia e fanciullezza «con singolare innocenza e pietà» e nutrì da allora un «grandissimo desiderio di congiungersi strettamente con Dio».

 

Il miracolo delle api

 

Stando al racconto di un antico biografo, un giorno, mentre Margherita ascoltava la S. Messa a Cascia, nella chiesa delle Reverende Madri di Santa Maria Maddalena, fu profondamente colpita dalle parole dell'Evangelista:  «Ego sum Via Veritas et Vita’» («Io sono la Via la Verità e la Vita»), e da quel momento «incominciò ferventissimamente ad amare questo Giesù, ed a servirlo... ». Margherita comprese pienamente la portata e la forza di quel messaggio e da quel momento decise di incarnarlo pienamente nella sua esistenza. Sentì allora il profondo desiderio di consacrarsi interamente a Dio, e rimanere in quel monastero di Santa Maria Maddalena dove aveva udito quella affascinante «Parola». Ma i genitori si opposero, poiché avevano su di lei altri progetti e, poiché a quell'epoca  la volontà dei genitori  era determinante anche secondo gli Statuti di Cascia, la ragazza fu costretta ad accettare il marito che i genitori avevano pensato di darle.

Le cronache raccontano che Margherita fu data in sposa, forse intorno all'età di 17 anni,  a Paolo di Ferdinando Mancini, un giovane appartenente ad una illustre famiglia di Cascia e che alcuni  cronisti  definiscono «ben disposto», altri «risentito», altri ancora  «di costumi molto aspri»,  addirittura «huomo molto feroce». Accettando quest'ultima versione, il documento di canonizzazione, con un gioco di parole, afferma che, sposando un uomo simile,  a S. Rita toccò in sorte «un martirio più che un marito».Paolo era un soldato, forse di parte ghibellina e comandava la guarnigione di Collegiacone, nelle vicinanze di Roccaporena. I primi anni di matrimonio dovettero essere difficili, ma Rita, grazie alla sua formazione cristiana, alla sua dolcezza e mitezza di carattere, riuscì a trasformare il carattere impulsivo del marito.  

Dall'unione nacquero due figli, forse gemelli, Giangiacomo e Paolo Maria, la cui nascita allietò la vita dei due coniugi. Nessun'altra notizia possediamo su come sia trascorsa la vita matrimoniale di Margherita, sappiamo solo che essa fu sconvolta dall'assassinio del marito, avvenuto probabilmente nel 1410 e maturato nel clima di sopraffazione e di vendette che si viveva a Cascia negli scontri tra guelfi e ghibellini, nobili e borghesi contro plebei, liti e vendette tra famiglie, rivolte popolari, conflitti tra città e campagne, risse tra fazioni, delitti politici. Un clima  che si deteriorava sempre di più, aggravato dal fatto che in tutti dominava il desiderio di vendetta; le violenze alimentavano altre violenze e finivano per prolungarsi  per generazioni, coinvolgendo parenti e vicini in una spirale di odio che sembrava non avesse mai fine.

 

 

Sembra che Paolo fu ucciso durante un agguato, forse  in concomitanza o in conseguenza di una rivolta popolare. Rita, rimasta sola coi suoi due figli, ancora adolescenti, fu assalita non solo dall'angoscia per la perdita del marito che ella aveva tanto amato al punto, forse, da cambiargli il carattere, ma anche dal pensiero della faida di sangue che stava per scatenarsi. Uno degli antichi biografi ci informa che Rita «pregava Dio per l’homicida per obbedire al santo precetto di Dio e ricordandosi dell’esempio del suo Signore il quale stando in croce perdonò a’ crucifissori, anzi pregava ed esortava quanto poteva i suoi figlioli a perdonare e a rimettere l’offesa per amor di Dio».

Ma se Rita riuscì a perdonare gli assassini, non altrettanto riuscirono a fare i figli e a nulla valsero le sue esortazioni al perdono poiché l'ambiente sociale e familiare e il clima politico spingevano i figli alla vendetta. Inutilmente - così racconta il cronista -  Rita aveva nascosto la camicia insanguinata del marito assassinato, quando era andata coi figli sul luogo dell'agguato e aveva trovato il marito morto, «acciò che vedendola li figli non si movessero alla vendetta» e «si diede con meravigliosa charità ad addolcire gli animi loro e a disporgli non soltanto alla dimenticanza, ma al perdono del commesso misfatto».  Nel clima di odio che si era determinato, i due giovani, ormai destinati alla violenza e alla vendetta, giurarono di vendicare il padre. Quando Rita si accorse dell'inutilità dei suoi sforzi per dissuadere i figli dalla vendetta, ebbe il coraggio di pregare Dio perché li chiamasse a sé, piuttosto di permettere che si macchiassero di omicidio. Narra l'antico cronista che «accettò la divina bontà l’holocausto che Rita le faceva delle viscere proprie, chiamando a sé in brevissimo tempo quei giovinetti», i quali morirono, forse di peste, qualche tempo dopo. 

 

 

Rimasta sola, Rita pensò di affidare anche se stessa totalmente a Dio e andò a bussare al convento delle suore agostiniane di Cascia. La sua richiesta non fu accettata poiché accogliere nel monastero una «vedova di sangue»  voleva dire coinvolgere nella faida anche quel luogo sacro e le altre suore, tutte inevitabilmente legate, per nascita e parentela, alle varie fazioni in lotta. Rita allora capì che non avrebbe potuto realizzare il suo sogno se non fosse prima avvenuta la pacificazione tra i parenti dell’uccisore e quelli dell’ucciso.

 

 

 Si gettò quindi con tutte le sue energie in questo tentativo di pacificazione. Inutilmente, tanto che le monache rifiutarono più volte di aprirle le porte del monastero. Sola, nella casa deserta, pregò incessantemente i suoi tre santi protettori, S. Giovanni Battista, S. Agostino e S. Nicola da Tolentino, finché una notte avvenne il miracolo. 

San Giovannni Battista, Sant'Agostino e San Nicola da Tolentino

 

 

I tre santi le apparvero e la invitarono a seguirla: giunti davanti alla porta del convento, nonostante essa fosse chiusa da chiavistelli e catenacci, essi la spalancarono e condussero Rita nel mezzo del coro, dove le suore stavano recitando le preghiere del mattutino.

 
 

 

Rita poté così finalmente  indossare il saio delle agostiniane, e  realizzare l'antico desiderio di consacrarsi totalmente a Dio, votandosi alla penitenza, alla preghiera e all'amore di Cristo crocifisso.

Nel convento delle Agostiniane di Cascia, in una piccola cella, Rita condusse una vita di penitenza e di preghiera. Un antico cronista, in maniera molto scarna ed essenziale, ci informa che  «perseverò per quarant’anni nel servire Dio con amore».

Di lei il cronista  ricorda la principale virtù, l'obbedienza:

«Volendo una volta la Reverenda Madre Abbadessa provare l’obbedienza della beata Rita, per longo spatio di tempo le fece annaffiare una secca pianta, che dentro il suo horticino si trovava, et ella volentiere e patientemente il faceva». Da quel momento il tralcio di vite ricominciò a dare i suoi frutti.

Il Monastero delle agostiniane a Cascia

 
 

 

Altre notizie su S. Rita e la sua vita claustrale  apprendiamo da una singolare testimonianza: la sua cassa funebre decorata da pitture che illustrano i momenti salienti della sua vita di ascesi, nonché dall'epigrafe di un anonimo poeta che, in quindici versi, in dialetto casciano, così si esprime a proposito della Santa di Cascia:

 

O beata con fermeça et virtude

quando alluminasti in nella croce

dove pene de te aviste acute

lassando la mundana e trista foce

per sanare toi inferme e scure piaghe

in quella paxion tanto feroce

che meritu sci grande adtribuisti

che a te sopra ongne domna fu donata

che una dele spine de Christo recepisti

non per mezzo mundano, non per mercede

ch’ella credexe aver altro tresoru

se non colui che tucta allui se diede

et non te parve ancor esser munda

che xv anni la spina patisti

per andar alla vita più jocunda.

S. Rita e le consorelle

 

Negli ultimi quindici anni della sua vita, Rita portò sulla fronte la stigmata di «una delle spine di Cristo» quale segno mistico della sua diretta partecipazione alla Passione e alle sofferenze di Gesù crocifisso.

 

 

S. Rita riceve la stigmata della spina

 

 

Così l'antico biografo racconta il miracolo avvenuto  (forse) il venerdì santo del 1442, dopo che Rita aveva ascoltato una predica sulla passione del Signore Gesù:

«Ritornata che fu al monastero, si gettò immediatamente a’ piedi d’un Crocifisso, ivi orando, ivi meditando con ogn’affetto di cuore... Lo pregava con abbondantissime lacrime, ed ardentissimi prieghi, ed accese parole, che dal suo infiammato cuore le uscivano, dimandò a Giesù Christo che le facesse grazia di sentire e provare nel corpo suo con dolore simile a quello che Giesù Christo haveva sentito per una delle spine della sua sacratissima corona... e meritò d’esser esaudita, perché nel mezzo della sua fronte sentì non solamente il dolore di pungenti spine, ma ancora ve ne rimase una, la quale fece una ferita e si convertì in piaga, che le durò tutto il tempo di sua vita».

 

 

Sempre dall’antica biografia apprendiamo che la santa trascorse gli ultimi anni di vita inferma, immobile sul suo povero giaciglio, priva anche della forza  di nutrirsi e circondata dall’affetto e dalla venerazione delle monache e di tutto il popolo di Cascia.

S. Rita attorniata dalle consorelle agostiniane

 

L'antica biografia narra un altro episodio avvenuto durante gli ultimi giorni di vita della Santa:

«Quindi si compiacque Dio Nostro Signore di dare segni evidenti dell’amore ch’egli portava alla sua diletta sposa. Nel più aspro rigore dell’inverno, essendo ogni cosa ricoperta di neve, una buona parente fu a visitarla; nel partire le richiese se da casa sua voleva cosa alcuna. Rispose Rita che avrebbe desiderato una rosa e due fichi del suo orto. Sorrise la buona donna, credendo ch’ella delirasse per la violenza del male, e se n’andò. Giunta a casa ed entrata ad altro fine nell’orto, vide sulle spine spogliate d’ogni verdura e cariche di neve una bellissima rosa, e sulla pianta due fichi ben maturi; e ben rimasta attonita per la contrarietà della stagione e per la qualità di quel freddissimo clima, veduti il fiore e i frutti miracolosi li colse e a Rita li portò".

E' questo l’episodio che spiega la tradizione delle rose per cui, in tutte le chiese lei dedicate, o dove è vivo il suo culto, nel giorno della sua festa, il 22 maggio, i devoti accorrono portando mazzi di rose che vengono benedette.

 

Rose rosse

 

 

La fama della sua santità varcò le mura del severo convento di Cascia. Le preghiere di Rita ottennero prodigiose guarigioni e conversioni. Per sé non chiese che di addossarsi i dolori che alleviava al suo prossimo. Morì nel monastero di Cascia il 22 maggio1447, all'età di 76 anni. 

Dopo la morte, immediato fu il culto come testimoniano il primo sarcofago e il Codex Miraculorum entrambi del 1457, anno della prima ricognizione ufficiale del corpo della Santa. Da allora un incredibile e costante flusso di pellegrini si reca in pellegrinaggio in quel piccolo paese dell'Umbria a venerare la «santa degli impossibili», salita alla gloria degli altari nel 1900.

 

 
I resti mortali di S. Rita