Superato il bivio dell' Angitola, dopo l' uscita di Pizzo dell' Autostrada Salerno-Reggio Calabria, e imboccata la Statale 110 che conduce a Serra San Bruno, oltrepassato il lago con gli splendidi scorci che si aprono tra i pini che lo circondano, ci si inerpica tra i tornanti verso San Nicola da Crissa.
L' invaso artificiale, che occupa una superficie di 196 ettari, lungo le cui rive presenta boschetti di salice bianco e di ontano nero, è un' oasi naturale protetta dal WWF dove si possono ammirare diverse varietà di uccelli. La strada procede tra lecci e pini, e poi olivi bassi e querce. I numerosi cascinali indicano come la zona conservi ancora la propria naturale vocazione agricola.
I segnali stradali indicano le diramazioni per tanti centri: Maierato, con la sua Chiesa Matrice con il suo bel campanile cuspidato, Monterosso Calabro, con il suo Museo della civiltà contadina, Capistrano, con la bella chiesa barocca, al cui interno si conservano gli affreschi, risalenti al 1851, attribuiti al grande pittore francese Auguste Renoir, che nel paese giunse su invito di un sacerdote suo amico.
Ma la mèta del viaggio è Vallelonga, dove nacque il critico Vito G. Galati (1893-1968), ad appena qualche chilometro da San Nicola da Crissa. E' un piccolo paese ordinato di poco più di ottocento abitanti, sulla dorsale tirrenica delle Serre, noto per il Santuario della Madonna del Monserrato, che sorge alla fine di una vasta piazza, a fianco di un bellissimo parco di oltre quattro ettari, con elci e querce secolari.
Le origini di Vallelonga sono incerte. Sono pochi i documenti storici che consentono la ricostruzione del suo passato, in cui si è cimentato diligentemente pochi anni addietro il sacerdote don Vincenzo Barbieri.
E' certo, comunque, che intorno al XII secolo esistesse a Vallelonga la Chiesa di Santa Maria de Magistero, così chiamata, come sostiene Domenico Taccone Gallucci nel suo Regesti dei Romani Pontefici per la Chiesa di Calabria, in onore di San Nilo, <>, che assunse in seguito il titolo di San Giovanni Theriste (mietitore), come è documentato da Antonio Rocchi nel suo De Coenonobio Cryptoferratensi , in cui sono descritti i possedimenti della Certosa di Serra San Bruno e dove compare anche la Chiesa di San Giovanni di Vallelonga. Un' altra attestazione ci è data dalla carta geografica della Calabria redatta da Egnazio Danti intorno al 1580, dove Vallelonga è riportata in lettere più grandi dei diversi paesi vicini.
Come documentato da don Vincenzo Barbieri, diverse sono le Visite ad limina, redatte dai vescovi che ressero la diocesi di Mileto nel Seicento, in cui si attesta della <>, che fa parte del vicariato di Belforte insieme a Vazzano, Pizzoni e Stefanaconi; e diversi sono i documenti che indicano l' attività del clero e che la Matrice del paese già nel 1500 era intitolata a Santa Maria, poi alla Madonna Assunta e nel Settecento a Santa Maria Maggiore.
Certo, una chiesa non ricca né con importanti opere, a cui certo non contribuì la generosità dei marchesi Castiglione Morelli, signori di Vallelonga dal 1761 e poi di San Nicola da Crissa e delle baronie di Chiaravalle e di Gagliato.
Il terremoto del 1783, poi, distrusse oltre alla cittadina, documenti e vestigia del suo passato, come testimonia fra l' altro Giovanni Vivenzio nel suo 'Storia e teoria del tremuoti', apparso a Napoli un anno dopo il sisma. E naturalmente distrusse quasi del tutto la Chiesa, che nel Cinquecento dipendeva dal convento degli Agostiniani, che sorgeva sul lato nord dell' attuale basilica, nello spiazzo ancora oggi chiamato Largo dei Monaci.
Un documento attesta che <>. E un altro della metà del Settecento testimonia inoltre il culto della miracolosa Madonna, di cui <>. La festa della <> si celebrava nella seconda domenica di luglio <>, a testimonianza di un culto molto diffuso e sentito non solo nei centri vicini, come attesta anche una lettera del 1804 del Padre generale dei Riformati, nella quale si sostiene che la Vergine di Monserrato, conosciuta <> gode di una fervida devozione in tutta la provincia e per questo <>.
In un Apprezzo dello Stato di Soriano del 1650, Antonio Tango così descrive la chiesa <>.
Una descrizione in cui oggi è assolutamente impossibile riconoscere il bel Santuario che, abbattuto dal terremoto, in parte riedificato, e poi distrutto da un incendio nel 1926, fu ricostruito interamente conservando dell' originaria struttura il portale, l' altare maggiore e alcune opere d' arte.
Ma prima di parlare della Chiesa, è bene dire del culto della Madonna. Com' è noto, il culto deriva dal noto Santuario della Madonna di Montserrat annesso al monastero benedettino fondato intorno al 1030, che si erge sulle montagne rocciose, dalle forme strane che l' avvolgono, vicino alla città spagnola di Barcellona. Questo culto si diffuse nell' Italia meridionale ad opera degli Aragonesi. Attualmente in Italia sono circa centocinquanta le chiese dedicate al culto della Madonna del Monserrato; e in Calabria, oltre a Vallelonga, esiste una chiesa a Reggio Calabria, edificata nel 1635, intitolata alla Madonna di Monserrato, una a Gerace e un' altra a Scigliano.
Non è dato sapere come il culto sia arrivato a Vallelonga, alla cui diffusione hanno contribuito notevolmente i Domenicani e i Francescani Riformati. Di certo esso è posteriore al 1550. Nella sua visita pastorale del 1586, monsignor Del Tufo, trova nella chiesa di Vallelonga <>. La presenza di questa cappella è testimoniata anche dal Regesto Vaticano nel 1603, sotto il pontificato di Clemente VIII. La statua pare essere la stessa, naturalmente con diverse <> che ne hanno modificato un poco i tratti originari, di quella che si trovava nella citata cappella.Esistono anche alcune leggende sull' erezione del Santuario, che narrano dell' apparizione della Vergine e delle tante guarigioni operate, segno della grande diffusione del culto e della partecipazione popolare, specie in occasione della festa, che si svolge la seconda domenica di luglio, con una grande processione.
La festa è preceduta da una lunga veglia di preghiera, e molti pellegrini, legati all' obbligo di soddisfare dei voti, un tempo rimanevano tre giorni, da giovedì a domenica, dormendo in chiesa o nel vicino boschetto. Essi in ginocchio percorrevano la navata centrale fino alla Sacra effigie; altri lo facevano strisciando la lingua sul pavimento. Il momento di più intensa commozione della processione si ha quando la statua della Vergine viene portata in spalla nel vicino boschetto, sotto una grande quercia, detta della Madonna. Qui la processione si ferma; cala il silenzio. E' il momento in cui la Madonna si impossessa del paese.
La Madonna è stata incoronata nel 1932 e il Santuario è stato elevato a Basilica Minore da papa Paolo VI nel luglio del 1971.
Il grande santuario, ricostruito come dicevamo dopo l' incendio del 1926, conserva dell' edificio originario il portale e l' altare maggiore. Presenta una facciata tripartita, con un bel portale barocco in pietra, opera di scalpellini serresi e due bassi campanili a cupola ai lati (quello di destra mancava nell' originaria costruzione). L' interno, ricco di stucchi, è a tre navate, con pilastri quadrati rivestiti di marmi. Sul soffitto spiccano tre tele raffiguranti Giuditta con la testa di Oloferne, la Natività e la Fuga in Egitto. Sono tre belle e luminose opere di uno degli artisti più noti del nostro Ottocento, Andrea Cefaly da Cortale (1827-1907), e tra le poche di soggetto religioso di questo artista che ha dato una lettura davvero singolare di questi episodi biblici, con tocchi accesi di colore e una sapiente dislocazione dei volumi.
L' altare maggiore è in marmi policromi, con un imponente e sfarzoso ciborio dove è collocata la venerata statua della Madonna che regge il Bambino –che tuttavia non presenta nessun tratto affine con la statua venerata a Montserrat, opera medievale goticheggiante che ricorda le <> e ricoperta di un manto dorato-.
L' altare è un altro esempio della riconosciuta arte dei maestri serresi. Ai due lati dell' altare, due notevoli piccole sculture in marmo, raffiguranti due monaci domenicani, uno dei quali regge un Bambino, opere seicentesche di ottima fattura, provenienti forse dal distrutto convento che fu affidato alle cure dei frati domenicani e alle dirette dipendenze di quello della vicina Soriano. Sulla volta dell' abside, spicca una Incoronazione della Vergine, affresco del pizzitano Diego Grillo (1878-1963).
Nella chiesa si possono ammirare altre due interessanti opere lignee, tra cui una delicata Santa Lucia, seicentesca, rovinata però da una inopportuna ridipintura che ne ha modificato profondamente i tratti, e un' altra interessante statua, pure essa rovinata dai frettolosi lavori di ripulitura:,un San Giuseppe, opera del serrese Vincenzo Scrivo, attivo tra la fine del Settecento e metà dell' Ottocento.
Un culto che si rinnova ancora oggi pur tra le mende della storia e le vicende che hanno segnato la storia di questo territorio, che conserva elementi e testimonianze a dimostrazione della diffusa religiosità del culto mariano che in Calabria si esprime in diverse forme. |