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La Vita di San Nicola, Vescovo di Myra Origini della festa La Manna
Nicola, Vescovo di Myra Nicola era un vescovo orientale vissuto tra il III ed il IV secolo. Sua patria era Patara, città portuale della Licia, cioè di quella penisola meridionale dell'Asia Minore (oggi Turchia), che si affaccia nelle acque del Mediterraneo non lontane da Rodi. Della sua famiglia e della sua formazione nulla si sa. I vari dati relativi alla sua infanzia risalgono infatti alla Vita di un altro Nicola, un monaco vissuto
anch'egli in Licia due secoli dopo. Ben presto però dovette lasciare la sua città e trasferirsi a Mira, altra importante città distante un centinaio di chilometri ad oriente. Qui probabilmente ebbe luogo il primo episodio noto della sua vita: l'intervento a favore di alcune fanciulle da marito.
Figlio di genitori facoltosi, Nicola era venuto a sapere da un vicino che in una casa a pochi isolati dalla sua viveva, con le sue tre figlie povere, un nobile decaduto. La cosa però che lo scosse maggiormente fu la via che il padre voleva intraprendere per superare le difficoltà finanziarie, quella di fare prostituire le figlie. Ad evitare che il padre infelice mettesse in atto quello sciagurato disegno, Nicola avvolse delle monete d'oro in un panno e nottetempo si recò sotto la finestra di
quella casa, lasciando scivolare il sacchetto all'interno. Si può ben immaginare la sorpresa del padre, nonchè la grande gioia per la possibilità che gli si presentava di maritare onorevolmente la prima figlia. Qualche tempo dopo Nicola ripetè il gesto, ed il padre potè fare convolare a giuste nozze anche la seconda figlia. Si ripromise però di voler conoscere il provvidenziale donatore e cominciò a dormire cercando di cogliere ogni minimo rumore. Quando per la terza volta sentì cadere il
sacchetto di monete, corse alla porta e dopo un breve inseguimento raggiunse Nicola. Lo riconobbe, ma Nicola gli fece promettere di non dire alcunchè.
L'episodio sembra avere una base storica, poichè i manoscritti sono abbastanza antichi e geograficamente lontani. Secondo la tradizione sinaitica si trattò di due ragazze e per esse San Nicola "rubò" il denaro ai genitori benestanti. Secondo la tradizione etiopica le fanciulle erano quattro. Ma queste differenze, piuttosto che gettare discredito, confermano il nucleo principale dell'episodio, vale a dire l'aiuto alle fanciulle povere gettando del denaro attraverso la finestra.
Episodi di carità di questo tipo, nei quali Dante e san Tommaso videro la vera identità del Santo, portarono la popolazione cristiana di Mira ad eleggerlo vescovo. Una elezione a furor di popolo che gli antichi agiografi tradussero in termini miracolistici. Il Signore apparve ad uno dei vescovi dei dintorni confluiti a Mira e gli disse di proclamare vescovo della città colui che per primo all'alba si fosse presentato in chiesa a pregare.
Così Nicola, da poco trasferito a Mira, fu eletto vescovo di quest'altra importante città della Licia.
La delimitazione cronologica di questi avvenimenti non è facile. Infatti, gli scrittori cristiani del tempo non hanno lasciato alcuna informazione sul nostro Santo. Il primo a menzionarlo in uno dei suoi sermoni fu verso il 440 il patriarca di Costantinopoli Proclo. Qualcuno ha però dubitato dell'autenticità di questo testo. Per cui è necessario andare alla testimonianza successiva, quella del lettore della Chiesa di Costantinopoli, Teodoro (450-520 c.). Autore di una Historia tripartita (basata
sui tre storici cristiani Socrate, Sozomeno e Teodoreto), Teodoro inserì il nome di Nicola al 151° posto nella lista dei 318 padri presenti a Nicea. E' vero che Gustav Anrich, studioso nicolaiano tedesco, ha contestato l'autenticità di questo testo. Per lui, il nome di San Nicola è stato interpolato ed inserito nel manoscritto del XII secolo. L'autenticità del testo è stata però difesa dal maggiore studioso di concili antichi, il tedesco Edward Schwartz, il quale ebbe ad affermare che Teodoro
prese il nome di Nicola da uno dei tre storici menzionati o da qualche lista dei padri di Nicea.
Così stando le cose, è ovvio che il primo punto fermo nella storia di Nicola è il 325 come anno della sua partecipazione al concilio di Nicea. Il che permette di avanzare ipotesi sulle date principali. Il 260 dovrebbe essere una data vicina alla sua nascita e il 335 una data vicina alla sua morte. A
parte l'indicazione di qualche biografo che pone la sua morte a poco dopo il concilio di Nicea, c'è anche il fatto che dopo il 335 il suo nome difficilmente sarebbe sfuggito a un Atanasio o a un Girolamo, molto attenti all'episcopato del loro tempo. Di conseguenza, se è vero che morì a tarda età è necessario che avesse già una certa età prima del 325.
In ogni caso, l'episodio della sua vita più noto in Oriente è quello della Praxis de stratelatis (Il fatto dei comandanti militari). Tre ufficiali di Costantino, nell'ambito di una operazione per domare una ribellione di mercenari Taifali, scesero con le loro navi costeggiando l'Asia Minore. Attraccarono ad Andriake e concessero alcune ore di libertà ai soldati. Un gruppo di essi raggiunse Mira, a circa tre chilometri all'interno, e provocò dei disordini. Di questi furono accusati tre
cittadini innocenti, i quali furono trascinati sul luogo dell'esecuzione. Alcuni accorsero dal vescovo Nicola, che nel frattempo aveva ricevuto i tre ufficiali, e gli riferirono ciò che stava accadendo. Lasciando tutto, Nicola si avviò speditamente dove solitamente i soldati conducevano i condannati. Non li trovò. Si informò nuovamente, e dopo qualche tentativo, giunse finalmente sul luogo proprio mentre il boia si preparava a decapitare i malcapitati. Dopo aver bloccato il boia, e liberati i
prigionieri, si condusse al palazzo del governatore Eustazio e lo rimproverò aspramente per aver approfittato della situazione e, lasciandosi corrompere, aver condannato tre innocenti.
Quando gli ufficiali Nepoziano, Urso ed Erpilione rientrarono a Costantinopoli furono accolti trionfalmente. Ma alla gloria seguì l'umiliazione. Il prefetto Ablavio, influente consigliere di Costantino, li accusò di aver tramato ai danni dell'impero e li fece condannare a morte. La sera precedente all'esecuzione, in carcere Nepoziano pregò il Signore affinchè, come Nicola aveva salvato i tre innocenti a Mira, salvasse anche loro per la sua intercessione. Nicola allora apparve minaccioso in sogno
prima all'imperatore poi al prefetto. Quando si svegliarono questi pensarono ad arti magiche, ma la testimonianza di Nepoziano rivelò il miracolo e Costantino li liberò, inviandoli persino a consegnare dei doni al santo vescovo di Mira.
Questo episodio è l'unico che si è salvato di una Vita di san Nicola (Bìos) del IV-V secolo di cui parla nel 583 il presbitero Eustrazio di Costantinopoli. E fino all'VIII secolo rimase anche l'unico conosciuto, tanto che talvolta ci si riferiva ad esso non come Praxis de stratelatis, ma semplicemente come Praxis tou Agiou Nikolaou.
Che però il culto si stesse già diffondendo è attestato da Procopio, che nel De Aedificiis parla di una chiesa restaurata a Costantinopoli da Giustiniano (verso il 550). Anche la Vita di Nicola del monastero di Sion (570 circa) riporta alcuni dati relativi al "progenitore San Nicola": una chiesa a Mira (il martyrion), delle chiese nei dintorni, e la festa delle rosalie, che si teneva in occasione del concilio provinciale. Anche Andrea di Creta (710 circa), che
compose canoni in suo onore, parla della festa, e riporta (lui solo) l'episodio secondo cui Nicola si diede da fare per convertire all'ortodossia il vescovo ariano o marcionita Teognide.
La prima vita che ci sia pervenuta è quella di Michele Archimandrita (720 circa), il quale accenna soltanto alla Praxis de stratelatis (essendo nota a tutti) e riporta altri episodi, compreso quello delle tre fanciulle. Ricorda inoltre l'intervento di Nicola in tempo di carestia, la distruzione
del tempio di Artemide (la divinità pagana più venerata a Mira) e l'intervento con cui portò in salvo dei naviganti durante una tempesta. A questi andrebbe aggiunto anche l'episodio secondo cui ottenne da Costantino la riduzione delle tasse per i Miresi, che non si trova nelle biografie ma costituisce una narrazione "vagante" e autonoma.
In tutti questi testi emerge l'orientalità del Santo, o meglio della sua immagine. Michele Archimandrita ad esempio riporta l'episodio dell'allattamento (una sola volta il mercoledì e il venerdì), chiaro riferimento alle usanze liturgiche orientali. Anche la fusione (e confusione) con il Nicola di Sion (verificatasi verso il 900 d.C.) incrementa gli elementi di orientalità, non solo con la vita ascetica ma anche con i suoi viaggi in Terra Santa.
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tratte dal sito della Pontificia Basilica di San Nicola - BARI
Origini della Festa
San Nicola (255-333/334) fu vescovo di Myra in Asia Minore (attuale Turchia). Santo universale, venerato in Oriente ed in Occidente, è segno di unità nella Chiesa, simbolo di pace e riconciliazione fra gli uomini. Il 20 aprile 1087 sessantadue marinai baresi trafugarono le ossa del Santo da Myra e le traslarono a Bari il 9 maggio. Per custodirle fu costruita una Basilica in stile romanico.
Sin dai primi anni nacque la consuetudine di celebrare la festa dell'arrivo a Bari delle reliquie. Le Fonti coeve della Traslazione testimoniano già questa circostanza. Alla festa liturgica del 6 dicembre, si aggiungeva quella della Traslazione il 9 maggio. Scrive l'autore russo della Leggenda di Kiev: "Quel giomo, il papa di Roma, Germano (= Urbano II), i vescovi e tutti i cittadini istituirono una grande festa in onore del Santo, che ripetono (annualmente) sino ad oggi. Mangiarono, bevvero,
e fecero festa in quei giorni e molti doni fecero ai poveri". Divenuto luogo di pellegrinaggio nella sua triplice dimensione: ecumenica, europea e mediterranea, Bari identifica il suo destino in quello di San Nicola "che ha illuminato il cuore di fedeli d'Oriente e d'Occidente".
La festa di dicembre è molto sentita nei paesi occidentali, soprattutto del Nord Europa, dove la figura di Santo, in seguito alla Riforma protestante del XVI sec. Si identifica con quella di "Santa Claus". L'anniversario della Traslazione è celebrato particolarmente nel mondo russo-ortodosso. Dopo la caduta del muro di Berlino nel 1989, la Basilica di San Nicola è tornata ad essere meta preferita dei pellegrinaggi russi ortodossi, interrotti nel 1917. Le prime informazioni dettagliate
intorno alla festa della Traslazione sono fomite agli inizi del'600 dallo storico barese Antonio Beatillo, il quale si serve di antiche carte della Basilica oggi disperse. Tra la fine del 700 e gli inizi dell'800 la processione varca le mura della Basilica, prolungando il percorso fino al Molo e dando origine alla tradizionale Processione a mare dell'8 maggio. In questo giorno, per consentire ai Baresi di partecipare alle celebrazioni, la Civica Amministrazione concede congedo ordinario e giornata
festiva.
Le migliaia di "pellegrini" che giungono a Bari, alcuni a piedi, nei giorni della Sagra, e la massiccia partecipazione dei Baresi alle diverse manifestazioni, che il Comitato Feste Patronali organizza d'intesa con la Basilica di San Nicola e il Comune di Bari, fanno della festa nicolaiana uno dei più importanti appuntamenti di aggregazione religiosa, socio-economica e culturale nel Meridione d'Italia.
L'attuale svolgimento della Sagra si stabilisce tra le celebrazioni dell'VIII (1087-1887) e del IX Centenario (1087-1987) della Traslazione. Dal 1994 è stato inserito il Palio Marinaro "Città di San Nicola", gara su caratteristici "gozzi" (barche da pesca). Partecipano i rappresentanti delle 9 Circoscrizioni della Città e l'equipaggio del Circolo Canottieri "Barion". Le gare finali hanno luogo la Domenica precedente il 7 maggio. Il "Bollettino di San
Nicola", organo ufficiale della Basilica, pubblica ogni anno il programma della Sagra ed offre un ampio resoconto delle celebrazioni.
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tratte dal sito della Pontificia Basilica di San Nicola - BARI
La Manna
Per nutrire Sansone, Dio fece ricorso a un indovinello, come è raccontato nella Bibbia: un favo
di miele raccolto all'interno di una carcassa di leone, un posto insolito per un alveare. Dalla sacra urna di Nicola, deposta con le sue reliquie forse nel pavimento del martyrion cruciforme annesso alla basilica di Mira, si riteneva che, subito dopo la sua morte, avesse preso a scaturire un liquido straordinario, detto myron, in rapporto certo con le essenze profumate diffuse nel territorio, da cui la stessa città prendeva il nome. Nel panorama agiografico mediterraneo l'essudazione di liquidi da
reliquie di Santi non era infrequente: sant'Andrea a Patrasso grondava "manna" il giorno della festa, così come san Giovanni ad Efeso e san Demetrio a Salonicco (olio e manna in modo farinae), sant'Eufemia a Calcedonia stille di sangue, e san Giacinto ad Amastris un curioso violento getto di polvere. Tutto veniva raccolto dai pellegrini in piccoli contenitori ed ampolle (eulogie, cioè benedizioni): acqua, polvere, manna, olio, cera, da portare in patria non solo come souvenir e attestato
del pellegrinaggio effettuato, ma anche come pegno della assidua protezione del martire di cui si era venerato il sepolcro.
A Mira il sarcofago di san Nicola lasciava sgorgare (dalle ossa o dalla tomba?) il myron (che si raccoglieva con una piuma, cioè in piccole quantità) divenuto comunque il liquido più famoso del genere, tanto da attrarre un gran numero di pellegrini per quel fenomeno. Purtroppo non ci è stata conservata neppure un'eulogia di San Nicola (di V-VI secolo), a differenza di quelle, numerose, di San Mena di Alessandria d'Egitto, Santa Tecla di Antiochia, San Simeone Stilita in Siria, San Foca di Sinope,
San Demetrio di Salonicco, conservate nei Musei di Bobbio, Monza, Farfa, Londra, Parigi, Sassari, con la stampigliatura delle immagini dei Santi o decorate da croci, stelle, fiori, palmette, figure oranti o qualche scena od emblema sintetico della vita e dei miracoli del martire venerato. Su qualcuna è conservato il modellino stesso del santuario visitato (Palestina, Efeso, Delo).
In Oriente accenna alla distribuzione di tali ampolle già Giovanni Crisostomo in una omelia rivolta al pellegrino: "Sosta presso la tomba dei martiri, versa fiumi di lacrime, castiga il tuo cuore e porta con te l'eulogia. Prendi l'olio santo, affinchè il tuo corpo ne riceva unzione, la lingua, le labbra, il collo, gli occhi". Un'eulogia piuttosto capiente per un'unzione così vasta! Per quanto riguarda san Nicola, il suo primo biografo, Michele Archimandrita, intorno al 710-720, connette
la "profumata e odorissima condotta" del Santo in vita, al suo "corpo prezioso e odoroso delle fragranze della virtù" e alla conseguente essudazione di "un olio odoroso e soave, che allontana ogni maleficio ed è buono a fornire un rimedio che salva e respinge il male", riferendosi ad un ambito concettuale generico piuttosto che ad uno taumaturgico specifico. Da sottolineare che il myron, anzichè liquido oleoso, è costituito, invece, da acqua pura, ma probabilmente
sulla sua natura si era allora piuttosto dubbiosi.
In Occidente il primo scrittore che ricorda la "manna" di san Nicola è Giovanni di
Amalfi (950 circa), seguito da altri che puntualizzano i miracoli operati dal suo flusso e l'impatto del prodigio sulle folle di pellegrini. In uno dei loro scritti è contenuta una pittoresca illustrazione del sepolcro di san Nicola a Mira ("in un luogo elevato alla destra dell'aula" della chiesa), che riunisce nella stessa tomba il defluire dei due elementi, l'olio e l'acqua: "Come noi stessi avemmo modo di osservare, scaturiscono
due rivoli che sino ad oggi non hanno cessato di sgorgare. Dalla fonte, all'altezza della testa del sacro tumulo, fluisce un liquido oleoso e chiaro; dal rivolo che fluisce in corrispondenza dei piedi esce un'acqua soave e trasparente che, se data da bere agli infermi, questi riacquistano la salute del corpo". Di "mirra" era invece piena la fiala descritta da Rabano Mauro in un poema composto nell'816 su diciassette reliquie conservate sulla tomba di san Bonifacio. Al momento della
irruzione dei Baresi nella basilica di Mira, i monaci custodi del Santuario, ritenendoli pellegrini, anche se un po' rumorosi, offrirono loro un po' di santo "liquore" estratto dal sepolcro, raccolto come oleo in un'ampolla di vetro dal presbitero Lupo. E al momento dell'apertura del sarcofago, il giovane Matteo immerse prima le mani alla ricerca delle ossa coperte da quel "liquore" fino a metà della tomba e poi tutto il corpo, inzuppando le proprie vesti del "salutifero
latice". E' noto che quel liquido fu lasciato ai Miresi per loro grama consolazione: "Dovreste essere abbondantemente consolati dal fatto che avete con voi un sepolcro pieno di santo liquido, lasciato apposta per voi". La Cronaca di Kiev parla invece di manna: "trovarono l'urna piena di manna. Versarono la manna in degli otri, presero le reliquie". Quegli otri, se davvero furono utilizzati, rappresentano i più antichi esemplari delle "bottiglie della manna"
baresi.
Non si sa nulla del prodigioso effluvio nei due anni in cui le sacre spoglie furono custodite nella chiesa di S. Stefano. Ma dopo la loro solenne reposizione nella cripta, la "manna" per antonomasia riprese a sgorgare copiosa, anche se il Responsorio del Santo riprende il tema dell'olio ("cuius Tumba fert oleum, matris, olivae nescium; quod natura non protulit, marmor sudando parturit"). Olio o acqua, i Baresi, nel corso del tempo ne fecero incetta, per custodirla entro le
graziose "bottiglie" dipinte con l'immagine e scene della vita di san Nicola, di grande varietà e tipologia, dalla fiala al bottiglione di qualche litro! Pronto soccorso mobile, è provato dalla devozione popolare che la manna di san Nicola abbia funzionato come la più efficiente Unità Sanitaria Locale!
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tratte dal sito della Pontificia Basilica di San Nicola - BARI
Documenti scientifici sulla natura della manna di san Nicola
LABORATORIO DI CHIMICA GENERALE
R. UNIVERSITÀ DI BARI
Bari, 4 luglio 1925.
Dal Rev.mo Padre Domenicano Pio Scognamiglio ho avuto in esame due campioni della Manna di S. Nicola. Uno portava la scritta: "Manna del 1925" e l'altro "Manna del 1910".
Mi fu anche consegnata dell'acqua esterna che si raccoglie qualche volta durante l'alta marea o per infiltrazione di pioggia nella Chiesa. Quest'ultima era un acqua torbida, giallo-bruna che, filtrata, conteneva un residuo fisso di gr. 1 ,038 per litro.
Data la piccola quantità di Manna avuta, ho limitato il mio esame al residuo fisso della Manna ed alla sua densità.
I risultati ottenuti sono i seguenti:
Manna 1925
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densità a 12° gr. 1,0013 per litro
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residuo fisso gr. 0,048 per litro
Si tratta, come si vede, di acqua quasi pura e che non ha alcuna relazione coll'acqua, per così dire esterna.
La Manna del 1910 diede dei numeri assai vicini:
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densità a 12° gr 1,000 per litro
-
residuo fisso gr. 0,04 per litro
Dai dati avuti si può affermare:
La Manna di S. Nicola è un’acqua quasi pura che non è in relazione colle acque d'infiltrazione dell'ambiente esterno all’arca del Santo.
Prof. RICCARDO CIUSA
R. UNIVERSITA DI BARI ISTITUTO D’IGIENE
Istituto d’Igiene
Bari. 18 luglio 1925.
Reverendissimo Padre Pio Scognamiglio
Superiore dei Domenicani
Convento S. Francesco, Bari
Ho l'onore di riferire a V. S. Rev.mo i risultati dell'esame batteriologico, quantitativo e qualitativo, eseguiti sui campioni di Sacra Manna di S. Nicola, prelevati, a richiesta di V. 3., nei giorni 8 e 12 del corrente mese.
Al momento dei prelevamenti, vedessi raccolto in fondo all'urna una piccola quantità di Manna, che non giunse a bagnare le ossa soprastanti al livello del liquido.
Tra un prelevamento e l'altro l'urna rimane suggellata.
Il prelevamento viene eseguito per aspirazione mediante pipetta sterile affidata ad un tubo 'di gomma, e per assorbimento mediante spugna sterile.
Con la piccola quantità (pochi cmc.) di Manna raccolta eseguo la determinazione del contenuto microbico e la ricerca del bacterium coli.
Da un cmc. di Manna seminata in piastre di agar e di gelatina si sviluppano circa 50 colonie di schizomiceti, appartenenti a due sole specie, di cui una rappresentata da bacillus liquefaciens non fluorescens, e l'altra da un bacillo non fondente la gelatina, ma non fermentante il glucosio e quindi non appartenente al coligruppo. Non si sviluppa alcuna colonia di ifomiceti.
La Manna seminata nella quantità di 2 cmc. nei tubi di fermentazione contenenti glucosio, tenuti per 48 ore a 37°C non ha dato luogo alla produzione di gas; onde devesi escludere la presenza di bacterium coli.
Il basso contenuto batterico trovato, il numero limitatissimo delle specie schizomicetiche, e l'assenza di bacterium coli sono, per le acque sotterranee, indizi di purezza biologica.
In base a questi risultati si deve ritenere che la Sacra Manna di S. Nicola si forma e si raccoglie in condizioni tali da escludere qualsiasi inquinamento per parte delle acque superficiali.
Prof. FILIPPO NERI
Direttore dell’Istituto d'Igiene nella R. Università di Bari.
R. UNIVERSITÀ DI BARI
Istituto di'Igiene
Bari, 20 luglio 1925.
Reverendissimo Padre Pio Scognamiglio
Superiore dei Domenicani
Convento S. Francesco, Bari
A quanto Le ho riferito ieri l'altro circa l'esame batteriologico della Sacra Manna di S. Nicola, posso aggiungere che un residuo fisso (40 mg. per litro) così basso come quello trovato dal Prof. Ciusa nella stessa Manna, è eccezionale per le acque sotterranee. Il residuo fisso di queste acque varia entro limiti molto ampi, in relazione con la natura del terreno; ma raramente è inferiore a 100 mg. per litro.
Nei trattati e monografie a mia disposizione, non ho mai trovato per queste acque un residuo inferiore a 50 mg. per litro. Questi bassi residui sono propri delle acque che si raccolgono in terreni silicei, dopo avere attraversato un soprassuolo povero di sostanze organiche in decomposizione.
Residui anche inferiori a 40 mg. per litro si trovano invece non raramente nelle acque superficiali, specie in quelle scorrenti su terreni silicei compatti difficilmente solubili, e nei terreni alpini alimentati dalla fusione dei ghiacciai.
Con ossequio.
devotissimo
Prof. Filippo Neri
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tratte dal sito della Pontificia Basilica di San Nicola - BARI
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