L’EucaristiaPreghiera inizialeSii benedetto, o Padre, che nel tuo infinito amore ci hai donato l’unigenito tuo Figlio, fattosi carne per opera dello Spirito Santo nel seno purissimo della Vergine Maria, e nato a Betlemme duemila anni or sono. Egli s’è fatto nostro compagno di viaggio e ha dato nuovo significato alla storia, che è un cammino fatto insieme nel travaglio e nella sofferenza, nella fedeltà e nell’amore, verso quei nuovi cieli e quella nuova terra in cui Tu, vinta la morte, sarai tutto in tutti. Lode e gloria a Te, Trinità Santissima, unico e sommo Dio! Per tua grazia, o Padre, l’Anno giubilare sia tempo di conversione profonda e di gioioso ritorno a Te; sia tempo di riconciliazione tra gli uomini e di ritrovata concordia tra le nazioni; tempo in cui le lance si mutino in falci e al fragore delle armi succedano i canti della pace. Donaci, o Padre, di vivere l’Anno giubilare docili alla voce dello Spirito, fedeli nella sequela di Cristo, assidui nell’ascolto della Parola e nella frequenza alle sorgenti della grazia. Lode e gloria a Te, Trinità Santissima, unico e sommo Dio! (Giovanni Paolo II, Preghiera per il Giubileo)
0. Introduzione La Tertio millennio adveniente al n° 55 dice: «La celebrazione del Grande Giubileo sarà una glorificazione della Trinità. Inoltre il Duemila sarà un anno intensamente eucaristico: nel sacramento dell’Eucaristia il Salvatore, incarnatosi nel grembo di Maria venti secoli fa, continua ad offrirsi all’umanità come sorgente di vita divina». Alle parole del papa fanno eco quelle del nostro arcivescovo che, nella sua lettera pastorale Quale bellezza salverà il mondo?, afferma: «La Bellezza della carità divina dovrà risplendere anche nella liturgia. Quanto è importante una celebrazione liturgica che nei tempi, nei gesti, nelle parole e negli arredi riflette qualcosa della bellezza del mistero di Dio! Ogni volta, nel cuore della celebrazione eucaristica, l’esclamazione “mistero della fede” scaturisce dallo stupore consapevole dell’orante, quando lo splendore della verità gli si manifesta in pienezza. Dopo aver compiuto ciò che il Signore Gesù ha comandato agli Apostoli di ripetere “in memoria di Lui”, gli occhi della fede si aprono, come quelli dei discepoli di Emmaus e confessiamo con stupore e gratitudine il “mistero della pietà”. La Bellezza si svela nel mistero di Cristo culminante nella Pasqua: la celebrazione eucaristica ne costituisce il memoriale. L’esigenza del celebrare bene si radica in queste convinzioni. I ritmi di parola, silenzio, canto, musica, azione nello svolgersi del rito liturgico contribuiscono a questa esperienza spirituale» (pp. 42-43).
1. L’orizzonte di senso La domanda che ci guida è: Che cosa è l’Eucaristia? Procederemo per brevi tesi, poi da riprendere più attentamente, ma necessarie per introdurre ad una comprensione teologica. L’Eucaristia è il sacramento della presenza reale del sacrificio di Gesù. È questa la tesi fondamentale che vorremmo brevemente illustrare. Il sacramento dice il modo della presenza del Signore. Un tempo (nel catechismo di Pio X) si diceva che «i sacramenti sono segni efficaci della grazia». Non entriamo nel merito ma solo diciamo che l’azione salvifica di Gesù (quell’azione di cui ci parlano i Vangeli e gli Atti degli Apostoli) «è passata», dopo l’ascensione, nei sacramenti della Chiesa. È questo un principio patristico. In effetti il sacramento è un modo della presenza di Gesù: non fisicamente, non spiritualmente, ma, appunto, sacramentalmente. Si tratta della libera volontà di Gesù Cristo di farsi presente attraverso un rito, il rito dell’Eucaristia. La presenza reale dice che nel pane e nel vino consacrati c’è Gesù, «corpo anima e divinità» (come precisa il Concilio di Trento). Non si tratta di una presenza simbolica che ricorda, non è una presenza legata alla comunità che celebra (come vorrebbe qualcuno), ma è legata alle specie del pane e del vino. Tradizionalmente si parla di transustanziazione per esprimere il mistero: il pane resta pane e il vino resta vino: la loro «sostanza» (il riferimento è la filosofia aristotelica) cambia: sono corpo e sangue di Cristo. Tuttavia la presenza reale non ha un vero e proprio «contenuto», perché il «contenuto» della presenza reale è il sacrificio di Gesù. Il sacrificio di Gesù rimanda esplicitamente alla croce, cioè al mistero del dono della vita fatto da Gesù sulla croce. Il mistero della Pasqua, passione, morte e resurrezione di Gesù è il centro della storia, la rivelazione di Dio e la salvezza di ogni uomo. L’Eucaristia è memoriale della Croce, è attuazione, qui ed ora del sacrificio di Gesù sulla croce. Dentro questo orizzonte dobbiamo capire il mistero dell’alleanza.
2. Alleanza Prima di addentrarci nella lettura e nella comprensione di alcune pagine significative dei due testamenti intorno al tema dell’alleanza, dobbiamo soffermarci sui termini che esprimono l’alleanza. L’ebraico utilizza il termine berit mentre il greco usa diatheke. Il termine berit si riferisce solitamente all’atto o al rito mediante il quale viene stipulata un’alleanza, nonché al contratto fra due soci. La parola greca significa testamento, ma nel Nuovo Testamento è usata per dire l’alleanza. La particolarità della Bibbia è intorno ai contraenti. Dio e l’uomo non sono alla pari. L’alleanza non è fra due pari ma fra due dispari.
3. L’Esodo Per comprendere il senso dell’alleanza dobbiamo rileggere la pagina dell’Esodo. In quell’episodio v’è il racconto del patto stipulato da Dio con il suo popolo. «Mosè andò a riferire al popolo tutte le parole del Signore e tutte le norme. Tutto il popolo rispose insieme e disse: «Tutti i comandi che ha dati il Signore, noi li eseguiremo!». Mosè scrisse tutte le parole del Signore, poi si alzò di buon mattino e costruì un altare ai piedi del monte, con dodici stele per le dodici tribù d’Israele. Incaricò alcuni giovani tra gli Israeliti di offrire olocausti e di sacrificare giovenchi come sacrifici di comunione, per il Signore. Mosè prese la metà del sangue e la mise in tanti catini e ne versò l’altra metà sull’altare. Quindi prese il libro dell’alleanza e lo lesse alla presenza del popolo. Dissero: «Quanto il Signore ha ordinato, noi lo faremo e lo eseguiremo!». Allora Mosè prese il sangue e ne asperse il popolo, dicendo: «Ecco il sangue dell’alleanza, che il Signore ha concluso con voi sulla base di tutte queste parole!» (24,3-8). Mosè costruisce un altare ai piedi del monte Sinai, poi incarica alcuni giovani di offrire sacrifici di comunione. Mosè versa parte del sangue degli animali sacrificati sull’altare e con l’altra parte asperge il popolo dicendo: «Ecco il sangue dell’alleanza, che il Signore ha contratto con voi con tutte queste parole» (v. 8). L’allusione è alle parole del Signore (v. 3) proclamate da Mosè dinanzi al popolo, il quale rispose a una sola voce: «Faremo tutte le cose che il Signore ha detto». Il rito è descritto secondo il costume antico di una cultura agricola, poiché non si accenna ai sacerdoti, ma piuttosto ai giovani che offrono il sacrificio. D’altra parte compaiono elementi di epoca tarda, come la menzione dell’altare stabile e la terminologia sacrificale usata. Particolarmente significativo è il rito dell’aspersione dell’altare ‑ simbolo di Dio ‑ e del popolo con il sangue dei sacrifici. Il sangue, che presso gli israeliti simboleggiava la vita, unisce Dio e il popolo in una inaudita comunione di vita, in un vincolo quasi parentale. Il legame ‑ che viene così istituito - non è naturale, di natura biologica. Infatti la lettura del rotolo dell’alleanza rende note le condizioni perché sussista e permanga la comunione di Dio con il suo popolo. La parola interpreta e conferma il rito. Il rito non è dunque un atto magico, ma acquista valore soltanto nel contesto della proclamazione del rotolo dell’alleanza: rito e parola costituiscono un’unità inscindibile. Il sangue, in quanto simbolo di vita, appartiene a Dio che, mediante Mosè, ne fa partecipe il popolo; anche i sacrifici di comunione (v. 5) creano un’unione tra Dio e il popolo. L’alleanza viene istituita sia attraverso il rito del sangue sia attraverso l’accettazione della parola di Dio. Il carattere personale dell’alleanza è messo in evidenza dall’impegno esplicito del popolo (v. 3). La comunione con Dio è significata visibilmente dall’offerta dei sacrifici (v. 8). Riassumendo possiamo dire che gli elementi costitutivi dell’alleanza sono: la parola di Dio, l’ascolto del popolo, il rito dei sacrifici e dell’aspersione con il sangue. Tali elementi non sono però soltanto una premessa o un presupposto, ma sono costitutivi della stessa relazione di Dio con il suo popolo. L’alleanza sinaitica, in questo brano, non è presentata come un trattato, ma come un vincolo quasi familiare: JHWH e il popolo sono uniti dallo stesso sangue, cioè dalla stessa vita, sono membri quasi di una sola famiglia. L’alleanza infatti crea un legame di fraternità. I “figli d’Israele” (v. 5) diventano, in forza di tale unione, ‘am, che significa propriamente non ”popolo”, ma “famiglia”. È la famiglia di JHWH. Tuttavia il patto dell’Esodo sarà più volte violato. Israele, da subito, sarà infedele all’alleanza sinaitica stretta con Dio.
4. La nuova alleanza dei profeti. Nella letteratura profetica, il termine berit è normalmente evitato perché poteva essere inteso in modo sbagliato, cioè come una garanzia divina di stabilità che esonerasse dalle responsabilità e dall’impegno della fedeltà e dell’obbedienza. I profeti sviluppano una “teologia del cuore” con lo scopo di indurre gli uditori a un assenso interiore, convinto e personale, ad amare JHWH e a camminare nelle sue vie. L’idea di alleanza compare, per la prima volta, nel profeta Osea. Egli paragona la relazione tra Dio e Israele al legame sponsale tra sé e sua moglie infedele. Com’egli rimane fedele, così Dio mantiene il suo amore verso Israele. Il matrimonio israelitico era un vero contratto e perciò il paragone tra alleanza e matrimonio è dominato dall’idea di contratto. Tuttavia l’alleanza è costituita, per Osea, da un “amore di alleanza” (hesed) che non contraddice e non è inconciliabile con la natura del contratto. L’amore di Dio per Israele è la “ragione” e il fondamento per cui Dio attende da Israele una risposta d’amore. Non è mai specificato a quale “alleanza” si fa riferimento. Ma quando Osea denuncia la rottura dell’alleanza con Dio sembra intendere tutto il complesso delle relazioni tra Dio e il suo popolo. Israele ha abbandonato il suo Dio: «Hanno trasgredito la mia alleanza è alla mia legge si sono ribellati» (8,1). L’alleanza consiste nell’elezione d’Israele per pura grazia di Dio, ma anche nella dedizione esclusiva d’Israele a JHWH. Osea denuncia la rottura di tale mutua appartenenza. Un altro testo profetico molto importante è necessario qui affrontare: Geremia 31,31‑34. «Ecco verranno giorni - dice il Signore - nei quali con la casa di Israele e con la casa di Giuda io concluderò una alleanza nuova. Non come l’alleanza che ho conclusa con i loro padri, quando li presi per mano per farli uscire dal paese d’Egitto, una alleanza che essi hanno violato, benché io fossi loro Signore. Parola del Signore. Questa sarà l’alleanza che io concluderò con la casa di Israele dopo quei giorni, dice il Signore: Porrò la mia legge nel loro animo, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi il mio popolo. Non dovranno più istruirsi gli uni gli altri, dicendo: Riconoscete il Signore, perché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande, dice il Signore; poiché io perdonerò la loro iniquità e non mi ricorderò più del loro peccato». Si tratta di una promessa d’alleanza nuova. Dio, per sua libera iniziativa, instaurerà un nuovo ordine di relazioni con Israele: «Io porrò la mia legge (torah) in mezzo a loro e nel loro cuore la scriverò; ed io sarò per essi il loro Dio ed essi saranno per me il mio popolo» (v. 33). La torah sinaitica non sarà più una rivelazione inafferrabile dall’uomo, distante: la torah è vicina all’uomo, nel suo cuore e sulla sua bocca. L’iscrizione della torah nel cuore dell’uomo produce una “identificazione” del pensiero umano e del volere divino. Lo “scrivere sul cuore” corrisponde a quello che Deuteronomio 10,16 chiama la “circoncisione” del cuore. L’interiorizzazione della torah per opera di Dio garantisce l’unione delle volontà di Israele e di Dio. L’alleanza sarà perciò “nuova”, nel senso che sarà l’alleanza di un “uomo nuovo”. Ma Geremia 31,31‑34 dice più che una semplice restaurazione dell’alleanza sinaitica, perché l’antica alleanza è superata e sostituita sulla base della torah sinaitica che ora verrà assimilata e praticata. Non si tratta di una legge nuova, ma di una situazione antropologica nuova. L’interiorità della torah, che fa “nuova” l’alleanza, è la possibilità di un contatto diretto e immediato dell’individuo con il suo Dio e con la sua torah. La nuova alleanza è opera di Dio, è una promessa incondizionata di Dio, espressione dei suo «amore irrevocabile» (v. 3). È l’assoluta bontà e fedeltà di JHWH che opererà la nuova alleanza, cioè farà conoscere Dio stesso e darà la capacità di obbedire alla sua volontà.
Domande · Che cosa è per me la S. Messa? Che cosa mi dice? · Vivo l’Eucaristia come un dovere, un’abitudine oppure come un incontro col Signore nel mistero centrare della sua vita? |