Il sacramento della penitenza

 

Preghiera d’inizio 

 

Fammi grazia, o Dio, 

secondo la tua costante tenerezza. 

Nel grande amore delle tue viscere, 

nella tua capacità di immedesimarti nella mia situazione,

cancella la mia ribellione al tuo ordine. 

Lavami dalla mia disarmonia; 

tirami fuori dal mio smarrimento 

in un progetto alternativo. 

Oggi ti rallegri di me, mi accogli così come sono. 

Rivelati a me perché ti possa conoscere, 

fammi accettare gli altri come tu accetti me. 

Dammi la forza 

e suggerisci cosa posso fare per il loro bene 

e per cambiarli in bene. 

Tu sai, mi guardi per interrogarmi, 

mi metti in discussione e io ascolto il tuo rimprovero.

Riconosco la mia colpa, 

il mio peccato mi sta sempre davanti. 

In quello che ho fatto agli altri e alla natura, 

contro di te, contro te solo ho peccato! 

Nell’analizzare le mie responsabilità, 

non mi deprimo inutilmente ma dialogo con te. 

Come è stato possibile fare 

quello che è male ai tuoi occhi, al tuo amore? 

Eppure l’ho fatto! 

Quotidianamente mi chiedo che cosa mi pesa 

e mi rende inquieto, 

come avrei dovuto diversamente comportarmi. 

Se tu fossi solo giudice, per me non ci sarebbe scampo, 

ma tu sei parte ferita e il tuo giudizio è il perdono. 

Il mio dolore nasce da questa sproporzione: 

come ho potuto offendere 

chi ancora mi contraccambia con la sua amicizia? 

E quante volte ti offendo, 

trascurando un rapporto con gli altri! 

Anch’io, quando mi ritengo leso, 

voglio ricambiare con il perdono e l’amicizia.

(Libera parafrasi del Salmo 51) 

 

0. Introduzione

Dopo aver dedicato spazio e tempo alla riflessione sul sacramento della penitenza (o confessione o riconciliazione) entriamo ora nel vivo della sua attuazione: come ci si confessa? Per rispondere a questa domanda riporto (quasi alla lettera) una meravigliosa riflessione del cardinale Carlo Maria Martini (in L’Evangelizzatore in San Luca, Milano, Ancora, 1980, 73-80).

 

1. Il nostro cammino penitenziale

Cerchiamo di riflettere sul nostro cammino penitenziale. Una volta si seguiva la pratica della confessione frequente che è un’espressione del cammino penitenziale; questa pratica ha subìto, soprattutto in alcune regioni, un grande calo; conosco paesi e città nelle quali la confessione è diventata molto rara; è sostituita ‑ ogni tanto ‑ da liturgie penitenziali, che, alla fine, risultano certamente più comode di quello che è lo sforzo di una confessione individuale. Sarebbe troppo lungo parlare della crisi della penitenza già tanto studiata, in questi anni, nella Chiesa e, probabilmente, una delle ragioni della crisi è imputabile anche ad un certo formalismo penitenziale in cui si era caduti. Tutti noi, almeno i più anziani di ministero di confessione, abbiamo avuto l’esperienza di persone che si confessavano molte volte, ma con poco vantaggio, in maniera abitudinaria come succede. Ora si è passati all’eccesso opposto: quando una cosa è divenuta abitudinaria si preferisce lasciarla, invece di approfondirla e di renderla più vera.

Siamo, quindi, ad una svolta incerta di cui non sappiamo l’avvenire. La Chiesa ha però recuperato un senso penitenziale molto più forte di prima, soprattutto per ciò che riguarda la coscienza dei peccati sociali, dell’ingiustizia, del bisogno di fraternità, anche se rimangono temi ancora abbastanza generici. Non vogliamo occuparci tanto di questo ma di quello che è il cammino penitenziale di ciascuno di noi.

Dio giustifica gratuitamente il peccatore e questa è la salvezza che l’uomo continuamente riceve. L’uomo, incapace di amare davvero fino in fondo, è reso capace di amore vero dalla trasformazione dello Spirito che lo purifica. Se perdiamo questo punto di passaggio - lo Spirito che gratuitamente purifica e rende capace di amore vincendo l’egoismo e la paura della morte - non siamo più capaci di costruire la comunità cristiana, con tutta la buona volontà che abbiamo di instaurare rapporti fraterni fra la gente. La posta in gioco è certamente grave per quanto riguarda il senso della penitenza e del peccato.

 

2. Due categorie di penitenti

Che cosa aggiungere, direi a modo di consiglio, per l’esperienza personale nostra? Io distinguerei la nostra esperienza, o meglio l’esperienza della penitenza in due categorie.

Vi sono alcuni per i quali la penitenza intesa nel modo antico, cioè come una confessione breve, frequente, nella quale si costituiscono come una serie di pietre miliari che ci aiutano a essere purificati da tutte le colpe quotidiane e a tenere vivo in noi il senso della gratuità della salvezza, ha ancora un preciso significato. Per chi trova facile questa via, per chi vi è abituato e la porta avanti senza problemi, è una grazia; vuol dire che il Signore lo guida e lo guiderà su questa strada.

Ci sono però, talora, persone che, avendo vissuto l’esperienza del cambio di regime penitenziale, hanno trovato assai più difficile continuare la pratica della confessione regolare; la trovano faticosa, un po’ formale, poco utile, poco stimolante. Vorrei parlare soprattutto per questi: avendo anch’io sperimentato un po’ questo tipo di travaglio, ho cercato di vedere come se ne può uscire. Mi ha aiutato una considerazione semplice e che sembra paradossale. Mi sono detto: se mi è così faticoso fare la confessione breve, perché non provare a farla più lunga? Un po’ un rovesciamento delle situazioni. Ed è nata l’esperienza (che ho poi confrontato con altre esperienze di gruppi, persone, situazioni, anche in diverse parti del mondo) del colloquio penitenziale che vuole salvare i valori della confessione tradizionale, ma inserendoli in un quadro un po’ più personale. 

 

3. Il colloquio penitenziale

Cosa intendo per colloquio penitenziale? Intendo un dialogo fatto con una persona che mi rappresenta la Chiesa, concretamente un sacerdote, nel quale cerco di vivere il momento della riconciliazione in una maniera che sia più ampia di quello che è la confessione breve, che elenca semplicemente le mancanze.

Cerco di descrivervi come questo avviene - il nuovo Ordo paenitentiae ammette questo allargamento: se si può, come suggerisce l’ordo paenitentiae, è meglio ­ cominciare il colloquio con la lettura di una pagina biblica, ad esempio un Salmo, che uno ha cercato perché corrispondente al suo stato d’animo; si recita poi una preghiera, magari spontanea, che mette subito in un’atmosfera di verità. Segue un triplice momento che sinteticamente chiamo: confessio laudis, confessio vitae e confessio fidei.Confessio laudis: ripete proprio l’esperienza di Pietro in Luca 5. Pietro, per prima cosa, sperimenta che il Signore è grande, che ha fatto per lui una cosa immensa e lo ha riempito di doni inaspettati. Confessio laudis è cominciare questo colloquio penitenziale rispondendo alla domanda: dall’ultima confessione, quali sono le cose per cui sento di dover maggiormente ringraziare Dio? Quelle cose nelle quali sento che Dio mi è stato particolarmente vicino, in cui ho sentito il suo aiuto, la sua presenza? Fare emergere queste cose, cominciare con questa espressione di ringraziamento, di lode, che mette la nostra vita nel giusto quadro.Segue poi quella che è la confessio vitae. Evidentemente trovo molto giusto quello che si insegnava nella pratica della confessione, di confessarsi cioè secondo i dieci comandamenti o secondo un altro schema, ma per questa confessio vitae io suggerirei - per coloro che hanno una possibilità maggiore di tempo - questa domanda: a partire dall’ultima confessione che cosa è che, soprattutto davanti a Dio, non vorrei che fosse stato? Che cosa mi pesa? Quindi più che preoccuparsi di far emergere una lista di peccati - che ci potrà anche essere quando sono cose molto gravi e precise perché, allora, emergono da sé - si tratta di vedere le situazioni che abbiamo vissuto e che ci pesano, che non vorremmo che fossero e che proprio per questo mettiamo davanti a Dio per esserne sgravati, per esserne purificati.Qui la áfesis amartión ha il suo senso proprio: toglierci un peso e un peso potrebbe essere, per esempio, che abbiamo vissuto una certa antipatia senza riuscire a liberarcene e non sappiamo vedere esattamente se ci sia stata colpa o no, ma ha pesato sul nostro animo; oppure abbiamo vissuto una certa fatica nel compiere il bene, una certa pesantezza nell’amare, nel servire che magari è stata poi causa di altri difetti, perché è una radice di fondo.Così mettiamo in luce veramente noi stessi, come ci sentiamo. Che cosa avrei voluto che non fosse avvenuto? Che cosa mi pesa particolarmente ora davanti a Dio? Che cosa vorrei che Dio togliesse da me? In questo modo è più facile far emergere davvero la persona con le sue situazioni sempre mutevoli, con la sua realtà di peccato spesso non documentabile e che gli altri riconoscono e vedono più di noi, magari criticano e noi non riusciamo a individuare se non in questo modo.Chiediamo di essere liberati perché la potenza di Dio è per liberare noi, non per liberarci da un punto di vista contabile o moralistico; è per darci spazio, per darci animo, per farci riprendere una nuova spontaneità.

Infine la confessio fidei che è la preparazione immediata a ricevere il suo perdono. È la proclamazione davanti a Dio: Signore, io conosco la mia debolezza, ma so che Tu sei più forte. Credo nella tua potenza sulla mia vita, credo nella tua capacità a salvarmi così come sono adesso. Affido la mia peccaminosità a Te, rischiando tutto, la metto nelle tue, mani e non ne ho più paura.

È necessario, cioè, cercare di vivere l’esperienza di salvezza come esperienza di fiducia, di gioia, come il momento in cui Dio entra nella nostra vita e ci dà la Buona Notizia: «va’ in pace», mi sono preso io carico dei tuoi peccati, della tua peccaminosità, del tuo peso, della tua fatica, della tua poca fede, delle tue interiori sofferenze, dei tuoi crucci. Li ho presi tutti su di me, me li sono caricati perché tu ne sia libero.

 

4. Conclusione

Ecco uno dei tanti modi: a me sembra che questo tipo di colloquio sia più capace di darci un vero aiuto e l’impressione che ne ricaviamo è di volere ripeterlo volentieri perché ne usciamo un po’ diversi e ci fa del bene.

La confessione non è soltanto un dovere: è un’occasione lieta che si cerca. Anche nelle confessioni ordinarie alle quali è presente tanta gente, a volte vedo che è bello fare questa domanda alle persone che si confessano rapidamente: ma lei ha qualche cosa nella sua vita di cui vorrebbe ringraziare Dio? È una domanda che già mette il colloquio su un piano diverso, non soltanto formale, è già un entrare nella vita di quella persona.

 

Domande

·     Vivo nella mia vita cristiana il senso delle tre confessio: cioè il ringraziamento, la memoria del peccato, l’abbandono della fede?

·     Sta crescendo, a fronte di queste catechesi, il desiderio di celebrare il sacramento del perdono?