Il sacramento della penitenza

 

Preghiera d’inizio

Padre santo, come il figliol prodigo

mi rivolgo alla tua misericordia:

«Ho peccato contro di te,

non sono più degno

di essere chiamato tuo figlio».

Cristo Gesù, Salvatore del mondo,

che hai aperto al buon ladrone

le porte del paradiso,

ricordati di me nel tuo Regno.

Spirito santo, sorgente di pace e di amore,

fa’ che purificato da ogni colpa

e riconciliato col Padre

io cammini sempre come figlio della luce.

(Liturgia della penitenza)

 

0. Introduzione

Il segno distintivo della vita spirituale del credente è il sacramento della confessione. Ciò che fa la differenza fra un vago senso di Dio e una seria ricerca è proprio la celebrazione di questo sacramento. Nella sua attuazione, infatti, il cristiano si espone in prima persona dicendo di se stesso qualcosa che non vorrebbe dire, ma insieme ricevendo il segno sacramentale del secondo battesimo che lo rinnova interiormente.

 

1. Il senso del peccato.

Von Balthasar, in un suo saggio sul tema del peccato così diceva: «La parola peccatore non ha più per me nessun significato. Per l’opinione pubblica ha un certo sapore di comicità: nei titoli dei film a sfondo erotico essa compare allo scopo di richiamare gli spettatori, ma nessuno ci fa più caso». Quale il motivo della perdita del senso del peccato? Vi è stato un lungo periodo nella storia in cui l’etica non consisteva in altro che nell’essere conformi al bene. L’imperativo era: agisci secondo natura! Il bene era un’evidenza. L’etica riguardava dunque l’agire. Il bene, in quanto termine della conoscenza era solo da realizzare, da fare, perché ben conosciuto dalla coscienza. Il male, e dunque il peccato, era semplicemente una sottrazione, un agire non conforme al bene. Il problema si è creato quando è venuta meno l’evidenza del bene. Che cosa è il bene? La risposta è un chiaro «non so» da cui deriva un’altra evidenza: «non so nemmeno che cosa sia il male».

Al tema del bene si è sostituito il tema dei valori. Per agire (e nessuno può sottrarsi ad agire) è necessario avere delle regole; e dunque avere un sistema di valori per decidere le regole di comportamento. Ma, a questo punto, ciò che è bene e ciò che è male, diventa una valutazione soggettiva. Ciascuno ha i suoi valori, il suo bene e dunque il suo male. Esaltata come il trionfo della libertà, questa concezione ha condotto ai conflitti terribili del XX secolo, naufragando nei forni crematori di Auschwitz.

Come è dunque possibile ritrovare il punto di riferimento?

           

2. La verità ha un nome

Il punto di riferimento è Gesù Cristo. Nel senso che il bene non ha, né può avere, la figura astratta dell’essere (quell’essere secondo cui ens, unum, verum et bonum convertuntur), ma ha la figura storica, concreta, incarnata di un uomo, Gesù Cristo. Diversamente rimaniamo sempre nel campo minato dell’astrattezza, delle ipotesi, della ricerca accomodante.

 Riconoscere in Gesù, et quidem nel Vangelo, la verità significa schierarsi per quella verità e non anteporre nulla alla sua attuazione nella nostra vita.

Comprendiamo subito il senso del peccato. Il peccato non è il senso di colpa originario che ciascuno porta con sé; il peccato non è il «precipitato» del nostro io che non ritrova pace con se stesso. Il peccato è la non fede, cioè l’agire con una logica diversa dal Vangelo. Se il Vangelo è l’apparire storico della verità, ogni scelta che vi si oppone è una scelta che non fa la verità e dunque fa la menzogna, cioè il peccato.

Il tentativo di sempre è non chiamare il peccato con il proprio nome, giustificando così, a poco a poco, tutta una serie di circostanze che illanguidiscono la propria indisponibilità al Vangelo. Si crea così una situazione per cui, a fronte della generale e dichiarata adesione al cristianesimo, pochissimi, di fatto, vi aderiscono realmente.

 

3. Dire il peccato come atto di fede

L’affermazione del peccato come un atto di fede è forse una cosa cui non pensiamo mai. Ci pare che dire un peccato sia un atto di memoria: si tratta di ricordare il peccato che si è fatto. Abitualmente noi concepiamo l’esame di coscienza soprattutto come un atto di memoria mentre bisogna che noi ritroviamo il significato profondo, più propriamente cristiano di questo dire il peccato come atto di fede. L’atto di fede non starà nel ricordare quello che ho fatto, questo è solo atto di memoria, ma nel riconoscere quello che ho fatto come peccato. Questa volta non è Adamo che dà un nome alle cose. Devo lasciarmi dire dalla Parola perentoria e misericordiosa del Signore quello che nella mia vita è peccato o non lo è: non dall’opinione pubblica, non da quello che sento, non dal consenso, dai mass media, neppure dalla mentalità dominante, non dal codice civile o penale, ma dalla Parola di Dio. Per questa ragione dire il peccato, dire che quello che ho fatto è peccato, in prospettiva cristiana non può essere che atto di fede. È un modo per lasciarmi dire dalla Parola perentoria e misericordiosa del Signore che quello che ho fatto ha questo nome: è un peccato. In principio non sta la mia coscienza come soggettività assoluta. Mai un cristiano può pensarsi cosi. In principio sta la mia coscienza che si lascia misurare su una Parola: dico che questi sono peccati perché la Parola li chiama con questo nome, e proprio perché anch’io li chiamo così divento credente, faccio un atto di fede. Paradossalmente sono un peccatore che diventa cristiano. L’esame di coscienza come un atto di fede è un lasciarsi dire di fronte alla storia e alla vicenda che mi è capitata, qual è nome degli atteggiamenti, dei pensieri e degli atti che ho compiuto. Così quando dico: «questo è peccato», compio un atto di fede. Se fosse soltanto un atto di memoria, servirebbe a ben poco perché in definitiva ci farebbe soltanto ritornare su noi stessi, mentre invece riconoscere il peccato è una cosa grande, perché significa poter dire al Signore che questo, per quanto miserevole e umiliante sia, lo riconosco come un peccato perché credo nella sua Parola. In questo modo incomincia il mio accesso al Vangelo: pentitevi e credete al Vangelo. Il Vangelo in quanto è un messaggio di salvezza ed è Parola misericordiosa, lo è proprio per coloro che si lasciano dire: guai a te se continui in questo modo. Stai correndo un pericolo.

 

Domande

·     Che cosa è per me il peccato?

·     Quando penso alla mia coscienza e ai suoi punti di riferimento penso al Vangelo?

·     Quali sono le difficoltà psicologiche nel dire il peccato?